2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana
2.2 La sospensione delle ordinarie regole di trattamento (art 41-bis
2.2.6 La tutela giurisdizionale: il reclamo
Nella formulazione originaria dell’art. 41-bis o.p. comma 2 non era espressamente prevista alcuna forma di controllo giurisdizionale sui provvedimenti di applicazione del regime differenziato. Nonostante il silenzio della norma, la dottrina e la giurisprudenza ritennero di non poter escludere l’ipotesi di un intervento di controllo giurisdizionalizzato204. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 410 del 1993, affermò che, anche in assenza di una disposizione espressa, la competenza a sindacare i provvedimenti di sospensione ex art. 41-bis dovesse riconoscersi «a quello stesso organo giurisdizionale cui è demandato il controllo sull'applicazione del regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'art. 14-ter dell'ordinamento penitenziario», in considerazione del «contenuto largamente coincidente dei due regimi», della medesima finalità dei due strumenti di particolare rigore e della notevole identità dei presupposti. Con l’esplicito riferimento all’art. 14-ter o.p., proprio il reclamo è parso il mezzo più idoneo per sollecitare il sindacato giurisdizionale sul provvedimento ministeriale ex art. 41-bis comma 2205.
Con le legge n. 279 del 2002, il legislatore ha recepito la giurisprudenza costituzionale e ha introdotto la disciplina del reclamo al
204 N. DE RIENZO, op. cit., p. 120
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Tribunale di Sorveglianza avverso il decreto applicativo o di proroga del regime differenziato. Con il comma 2-quienquies era riconosciuta al detenuto la facoltà di proporre reclamo nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento, al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione nell’istituto nel quale il detenuto è assegnato. Mentre, con il comma 2-sexies, si stabiliva che il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo, dovesse decidere nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p. sulla sussistenza dei presupposti richiesti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di ordine e sicurezza, prevedendo inoltre la possibilità di ricorrere in cassazione. L’ultimo intervento del legislatore è avvenuto con la legge n. 94 del 2009 che ha modificato i commi 2-quienquies e 2 quater, irrigidendo notevolmente la disciplina della tutela giurisdizionale.
Il detenuto sottoposto al regime detentivo speciale, per poter ottenere un controllo sul provvedimento ministeriale ex art. 41-bis comma 2, può utilizzare unicamente lo strumento del reclamo. Secondo dottrina e giurisprudenza, il reclamo disciplinato al comma 2-quienquies costituisce un vero e proprio mezzo di impugnazione206; da ciò discende che devono essere ritenuti applicabili al reclamo i principi generali in materia di impugnazione, primo tra tutti la tassatività delle impugnazioni dettato dall’art. 568 c.p.p207.
Il legislatore individua l’oggetto del reclamo nel decreto ministeriale con cui viene applicato per la prima volta il regime sospensivo, nonché nel
206 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 290
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decreto di proroga del regime. I soggetti legittimati a proporre il reclamo sono l’interessato (detenuto o internato) e il suo difensore. Il reclamo è proposto con atto scritto nei quali dovranno essere indicati i relativi estremi nonché i motivi su cui si fonda l’impugnazione208, nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento al detenuto. Questo termine è stato raddoppiato con la novella del 2009, probabilmente per consentire detenuto di avere un tempo maggiore per preparare la difesa, sempre in considerazione dell’irrigidimento della disciplina209. L’ultima parte del comma 2-quienquies prevede che la proposizione del reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento ministeriale.
La modifica più sorprendente della nuova formulazione del comma 2- quienquies è l’attribuzione della competenza a decidere sul reclamo a un unico tribunale di sorveglianza, quello di Roma, mentre prima era previsto che fosse competente il tribunale di sorveglianza che aveva giurisdizione nell’istituto nel quale il detenuto era assegnato. Questo accentramento della competenza è stato motivato da legislatore dall’intento di evitare «orientamenti giurisprudenziale eterogenei da parte dei diversi tribunali»210, quindi dall’intento di creare giurisprudenza unica su questioni delicate, grazie anche al contributo della Procura nazionale antimafia211. Secondo alcuni autori, la concentrazione della competenza presso un unico organo giudiziario è effettivamente funzionale a determinare una specializzazione dei giudici ed
208 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 194 209 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 475
210 «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», in Atti Senato. XVI leg., stamp. 733-
B, 2009, n. 127, p. 195
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ad agevolare la circolazione delle informazioni utili, considerata anche la vicinanza con la Procura nazionale antimafia212, ma rimangono comunque da rilevare alcune perplessità a seguito della scelta del legislatore del 2009. In primo luogo, se l’obiettivo è quello di evitare sentenze dai contenuti e dalle motivazioni difformi e quindi di soddisfare l’esigenza di uniformità della giurisprudenza, dobbiamo far notare che l’assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge è già uno dei precisi compiti della Corte di Cassazione213. In secondo luogo, in questo modo la valutazione sulla personalità del detenuto, sottesa alla decisione in ordine al reclamo, è affidata a un organo giurisdizionale lontano dalla alla realtà penitenziaria che vive il detenuto, invece che al giudice individuato secondo criteri che si riferiscono al locus custodiae214. Infine, è evidente che il Tribunale di sorveglianza di Roma sarà sottoposto a un aumento del carico lavorativo e quindi a un allungamento dei tempi delle decisioni dei reclami215.
Il comma 2-sexies si occupa di disciplinare il procedimento: il tribunale decide entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p.216, sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. Il rinvio alle due disposizioni processualistiche comporta un vaglio di inammissibilità sull’istanza, con la possibilità di ricorso in cassazione contro il relativo
212 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 289
213 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 198 214 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 198 215 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 290
216 L’art. 678 c.p.p. tratta del procedimento di sorveglianza, rinviando alla disciplina del
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decreto; la presentazione di motivi, a pena di inammissibilità e il rispetto di termini217. L’udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero e, a seguito delle modifiche apportate con la legge 94/2009, le funzione di p.m. possono essere affidate, oltre che al procuratore generale presso la Corte di appello, anche a un magistrato della procura nazionale antimafia o della procura presso cui si svolgono le indagini. Per quanto riguarda la possibilità per il detenuto di partecipare all’udienza, la disciplina del procedimento di sorveglianza ex art. 678 c.p.p. garantisce la presenza del detenuto all’udienza camerale ma solo nel caso in cui questi sia ristretto in un istituto penitenziario posto all’interno della circoscrizione del giudice, prevedendo negli altri casi il diritto di essere sentito dal magistrato di sorveglianza competente. Per i soggetti sottoposti al regime ex art. 41-bis o.p., il comma 2-septies, però, prevede che la partecipazione del detenuto all’udienza avvenga a norma dell’art. 146-bis delle nome di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. che impone che la partecipazione dell’interessato avvenga a distanza tramite video-collegamento. La decisione del tribunale avviene nella forma dell’ordinanza motivata, che interviene entro dieci giorni dalla ricevimento del reclamo. La brevità del termine comporta il suo mancato rispetto avvenga regolarmente218. Già da prima della riforma del 2002, quando il provvedimento ministeriale aveva durata semestrale, si riteneva che la previsione del termine meramente ordinario di
217 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 475
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dieci giorni incidesse significativamente sulla tutela dei detenuti219. Avveniva che, nel caso di accoglimento del reclamo da parte del tribunale di sorveglianza, la decadenza del provvedimento impugnato privava la decisione di qualsiasi effetto e l’Amministrazione penitenziaria poteva reiterare così il provvedimento eludendo la pronuncia giurisprudenziale220. Nel caso, invece, di rigetto del reclamo da parte del tribunale di sorveglianza, la decadenza del provvedimento impugnato precludeva la via del ricorso in Cassazione, per mancanza di interesse a agire221. Con la legge del 2002, e successivamente con quella del 2009, è stato previsto un termine di vigenza dei decreti più lungo che impedisce la scadenza dei provvedimenti durante il procedimento giurisdizionale. Oltre a questo nell’ultima parte del comma 2- sexies, la legge del 2009 ha stabilito che, in caso di accoglimento del reclamo, il Ministro che intenda disporre di nuovo il provvedimento di sospensione, debba tenere conto della decisione del tribunale di sorveglianza. Ma i problemi del sistema di tutela giurisdizionale sono stati risolti solo in parte: rimane il fatto che l’assenza di sanzioni processuali in caso di inosservanza del termine consentono il protrarsi nel tempo del procedimento e conseguentemente, dato che è previsto che la proposizione del mezzo di impugnazione non sospende il provvedimento, il protrarsi del trattamento di rigore222.
La decisione del Tribunale di sorveglianza può essere impugnata per
219 P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 205 220 A DELLA BELLA, op. cit., p. 294
221 A DELLA BELLA, op. cit., p. 295
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Cassazione entro dieci giorni dalla sua comunicazione, dal procuratore generale, dal detenuto, dall’internato o dai loro difensori. Il ricorso è ammesso per violazione di legge che ricorre nell’ipotesi di inosservanza delle disposizioni di legge ma altresì nelle ipotesi di mancanza della motivazione, cioè in tutti i casi nei quali essa appaia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare non idonea a rendere comprensibile il percorso argomentativo223.
Abbiamo detto che il sindacato del tribunale di sorveglianza, come modificato dalla legge n. 94 del 2009, ha ad oggetto «la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento». Rispetto al testo precedente è sparita la formula che estendeva il sindacato del tribunale anche alla «congruità del contenuto dello stesso alle esigenze di cui al comma 2». Il legislatore ha giustificato questo ridimensionamento dei poteri del tribunale con il fatto che, adesso, il contenuto del provvedimento sospensivo è predeterminato dalla legge: il Ministro non ha discrezionalità nello scegliere le restrizioni applicabili, in quanto deve limitarsi ad applicare le misure specificate dettagliatamente al comma 2-quater224. Tuttavia, sappiamo che non tutte le restrizione elencate al comma 2-quater sono predeterminate dal legislatore essendo previste, alla lettera a), l’adozione di misura di elevata sicurezza interna ed esterna e, alla lettera f), l’adozione delle necessarie misure di sicurezza dirette a garantire che sia assicurata l’impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, di
223 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 478
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scambiare oggetti o cuocere cibi: il contenuto di queste misure è lasciato alla discrezionalità del Ministro. Almeno in queste ipotesi di deleghe “in bianco” a favore del ministro della giustizia, sarebbe stato opportuno prevedere un controllo concreto della giurisdizione di sorveglianza e quindi consentire il sindacato sulle singole misure disposte con il decreto ministeriale225. La questione è stata portata di fronte alla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 190 del 2010, si è allineata alle motivazioni del legislatore, evidenziando come il giudizio di congruità rimesso ai tribunali di sorveglianza trovasse giustificazione essenzialmente nel fatto che non fosse prevista la sottoposizione a un regime già interamente predeterminato dalla legge226. Inoltre, la Corte ha osservato che, nonostante attualmente il comma 2-seies consenta al destinatario del decreto di proporre reclamo solo per contestare la sussistenza dei presupposti stabiliti nell’art. 41-bis comma 2 o.p., ciò non significa che il detenuto non disponga di altri strumenti per tutelare la sua situazione: al detenuto, infatti, rimane la possibilità di utilizzare il rimedio generale previsto dall’art. 14-ter o.p. e contestare il contenuto del decreto ministeriale laddove ritenga che il medesimo violi un suo diritto soggettivo227. Bisogna però sottolineare che si tratta di due tipi di controllo molto diversi: un conto è parlare di un sindacato finalizzato a verificare la congruità delle singole restrizioni stabilite nel decreto ministeriale, un altro
225 C. FIORIO, op. cit., p. 421
226 L. BRESCIANI, Commento al comma 25 dell'art. 2 legge 15 luglio 2009, n. 94, in G.
DE FRANCESCO, A. GARGANI, D. MANZIONE, A. PERTICI (a cura di),
Commentario al “pacchetto sicurezza” l. 15 luglio 2009 n. 94, Torino, 2011, p. 296 227 F. DELLA CASA, Interpretabile secundum Constitutionem la normativa che ha dimezzato il controllo giurisdizionale sulla detenzione speciale? in Giurisprudenza Italiana, n. 4, 2010, p. 2514
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conto è fare riferimento a un accertamento diretto a verificare se taluna delle limitazioni imposte implichi la violazione di un diritto soggettivo del destinatario del provvedimento ministeriale228.
La riduzione dell’ambito di sindacabilità del tribunale di sorveglianza ha avuto come conseguenza l’eliminazione di ogni riferimento all’accoglimento parziale del reclamo, che interveniva qualora il tribunale ritenesse di accogliere solo in parte il reclamo presentato dal detenuto229.
Il detenuto potrà sollevare reclamo contro il decreto ministeriale qualora ritenga che non sussista un titolo detentivo ex art. 4-bis o.p. ovvero quando contesti la sussistenza di collegamenti attuali con l’associazione criminale o, in caso di proroga, quando contesti la sussistenza della sua attuale capacità di collegarsi con la stessa230. Infine, potrà proporre reclamo qualora il provvedimento sia stato adottato senza che siano stati assunti i pareri prescritti al comma 2-bis231.
Per quanto concerne il contenuto del provvedimento decisorio, l’art. 41-bis o.p. non indica quale siano le decisioni che il tribunale di sorveglianza può assumere ma, dal comma 2-sexies, possiamo ricavare che il procedimento di reclamo può concludersi con un provvedimento di revoca del decreto o con un provvedimento di rigetto del reclamo e conseguente conferma del provvedimento impugnato232. Anche qualora il tribunale accolga il reclamo del detenuto, il Ministro della giustizia ha la facoltà di riemettere un
228 F. DELLA CASA, op. cit., p. 2515
229 L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., cit., p. 480 230 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 297
231 A. DELLA BELLA, op. cit., p. 297
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provvedimento sospensivo delle regole trattamentali; la legge 94/2009 ha però previsto che, in questo caso, il ministro «tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza», deve «evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo». In tal modo, la disposizione mira a evitare che sia perpetuato il regime differenziato sulla base delle motivazioni originarie, non operando una nuova valutazione della situazione: il ministro dovrà motivare il nuovo provvedimento sulla base delle indicazioni fornite dal giudice stesso233.