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2. I regimi detentivi di rigore nella legge italiana

2.1 Il regime di sorveglianza particolare

2.1.1 I presupposti del regime

Il regime di rigore della sorveglianza particolare venne introdotto dalla legge del 10 ottobre 1986 n. 663 – legge Gozzini – agli artt. 14-bis e ss. della legge sull’ordinamento penitenziario, nel capo III, dedicato alle modalità di trattamento. La collocazione della disciplina della sorveglianza particolare in questo capo della legge conferma come questo regime si configuri alla stregua di una forma di trattamento individualizzato47, infatti il regime si applica a condannati, internati e imputati sulla base di determinati comportamenti i quali evidenziano una specifica pericolosità per l’ordine e la sicurezza penitenziaria. Il legislatore ha introdotto questo regime differenziato per affrontare problemi di sicurezza e ordine all’interno degli istituti penitenziari, si tratta di un regime che si applica individualmente a quei detenuti che presentino specifiche caratteristiche di pericolosità idonee a minare l’ordine e la sicurezza interni. Potrebbe suscitare qualche perplessità l’estensione della sorveglianza particolare anche agli imputati, soprattutto alla luce della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva stabilita all’art. 27, comma 2 Cost., in realtà dobbiamo considerare che il regime in questione non ha una funzione punitiva ma piuttosto preventivo- cautelare in rapporto a atteggiamenti contrastanti con le esigenze di ordine e

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di sicurezza48 e per questo non avrebbe ragione l’esclusione degli imputati dai soggetti ricompresi nell’ambito di applicazione del suddetto regime.

I presupposti per l’accertamento della pericolosità sono espressamente individuati dal legislatore in una duplice prospettiva: attuale, per quanto riguarda le condotte tenute dal soggetto durante l’esecuzione in corso (art. 14- bis comma 1); potenziale, per quanto riguarda le condotte antecedenti tenute dal soggetto in precedenti esperienze penitenziarie o in stato di libertà (art. 14-bis comma 5)49. L'adozione del provvedimento è discrezionale, in quanto i detenuti “possono” e non “debbono” essere sottoposti al regime di sorveglianza qualora abbiano tenuto determinati comportamenti50.

Per quanto riguarda le condotte tenute durante la detenzione, possono essere sottoposti a regime di sorveglianza i detenuti: che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti; che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.

Si ritiene51 che i comportamenti che il soggetto deve tenere per poter giustificare l’applicazione del regime, debbano presentare, se non il carattere dell’abitualità, almeno quello di una certa reiterazione, in modo da escludere

48 T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, in V. GREVI (a cura di), Ordinamento penitenziario tra riforma ed emergenza, Padova, 1994, p. 162

49 L. R. RUSSO, La sorveglianza particolare e la regolamentazione della sospensione delle normali regole del trattamento, in G. FLORA (a cura di), Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario, Milano, 1987, pp. 27-28

50 T. PADOVANI, op. cit., p. 165

51 F. C. PALAZZO, Commento all'art. 1 della l. 10 ottobre 1986, n. 663. Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in Legislazione penale, 1987, p. 106

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che si tratti di condotte episodiche o occasionali; questo si deduce sia dal plurale dell’espressione “comportamenti”, sia dal fatto che è proprio sulla base della condotta del soggetto che va effettuato il giudizio prognostico sulla pericolosità penitenziaria.

Abbiamo già accennato, nel precedente capitolo, che uno degli aspetti più significativi del regime di sorveglianza particolare è il tentativo di fissare legislativamente i presupposti per l’applicazione dell’istituto52 ma si deve rilevare come il grado di determinatezza delle varie ipotesi delineate dall’art. 14-bis sia piuttosto diseguale53. La fattispecie delineata alla lettera a) del comma 1 è alquanto indeterminata, in quanto formulata mediante l’indicazione non di un comportamento ma del suo possibile effetto offensivo: la compromissione della sicurezza o il turbamento dell’ordine negli istituti54. Per quanto riguarda il concetto di ordine negli istituti, si fa riferimento allo svolgimento della quotidiana vita in carcere, in conformità alle norme di comportamento e di organizzazione interna55. Tuttavia, si deve ritenere che “turbamento dell’ordine” non si possa identificare con la semplice violazione episodica della norma da parte del detenuto ma occorrerà un comportamento capace di incidere con una certa estensione sulla regolarità della vita carceraria56. Con il concetto di sicurezza, invece, si fa riferimento, da un lato, agli interessi dei soggetti interni al carcere e alla loro incolumità personale e, dall’altro, si richiama l’interesse all’effettiva esecuzione della sanzione

52 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 105 53 T. PADOVANI, op. cit., p. 163 54 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 106 55 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 106 56 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 106

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detentiva e quindi all’evitare tutte quelle condotte che possano limitare il carattere segregate del carcere57. Si tratta di una formula che dipende interamente dal riferimento ai concetti di ordine e di sicurezza e per questo motivo è l’ipotesi capace di ricomprendere al suo interno il maggior numero di condotte, quasi fosse una clausola residuale. A contrario, le condotte delineate alle lett. b) e c) appiano di determinazione più rigorosa in quanto descrittive del comportamento del detenuto. L’ipotesi descritta dalla lett. b) dell’art. 14-bis mira a impedire atti violenti e di minaccia nei confronti di altri detenuti; mentre l’ipotesi alla lett. c) si riferisce ai detenuti che si avvalgono dello stato di soggezione di altri detenuti nei loro confronti. La sussistenza dello stato di soggezione difficilmente può essere oggetto di accertamento diretto ma saranno per lo più i comportamenti del soggetto sottomesso a farne sospettare l’esistenza58. Questo tipo di comportamento è molto diffuso nell’ambiente carcerario e il fatto che il legislatore abbia voluto prevederlo in un’ipotesi autonoma rispetto alla lett. a) deriva probabilmente dalla gravità che contraddistingue il fenomeno, per evitare che si crei in carcere un clima di intimidazione e di sopraffazione dei detenuti59.

Passiamo al presupposto di applicazione del regime di sorveglianza particolare che Russo ha definito «potenziale», che consiste nella possibilità di sottoporre i detenuti al regime fin dal momento del loro ingresso in istituto, sulla base di una valutazione riguardo a precedenti comportamenti

57 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 106

58 L. CESARIS, sub art. 14-bis ord. penit., in F. DELLA CASA, G. GIOSTRA, Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2015, p. 165

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penitenziari ovvero a altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà (art. 14-bis comma 5). E’ evidente come la formulazione sia caratterizzata da una «vera e propria caduta verticale di determinatezza»60 ma, probabilmente, la disposizione risente del fatto di rappresentare un emendamento allo schema originario della disciplina nella discussione alla camera61. Le condotte previste al comma 1 si basano su una osservazione dei comportamenti del detenuto all’interno dell’istituto, mentre le due ipotesi previste al comma 5 prescindono dall’attualità della condotta lesiva dell’ordine e della sicurezza e si basano su un giudizio prognostico sulla pericolosità penitenziaria dei detenuti.

Per quanto riguarda la determinatezza delle due categorie di comportamenti delineate alla lett. c), è pacifico che i precedenti comportamenti penitenziari possano essere ricondotti agli stessi indicati al comma 1 dell’art. 14-bis. Pertanto il detenuto potrà essere assoggettato al regime della sorveglianza particolare sin dal momento dell’ingresso in istituto qualora, in precedenti esperienze penitenziarie, si sia distinto per aver realizzato le condotte previste al comma 1. Per quanto riguarda invece la collocazione temporale delle precedenti esperienze penitenziari, la dottrina62 è incline a preferire un’impostazione restrittiva, nel senso di circoscrivere i comportamenti rilevanti a esperienze vicine nel tempo.

Il vero problema riguarda la seconda categoria di condotte e consiste

60 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 108

61 P. COMUCCI, Nuovi profili del trattamento penitenziario, Milano, 1988, p. 101 62 L. R. RUSSO, op. cit., p. 34

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nell’individuare quali siano i concreti comportamenti tenuti nello stato di libertà che giustificherebbero la sottoposizione immediata al regime63. E’ difficile capire come un soggetto entrato in carcere per la prima volta, il quale non ha dunque potuto in alcuna precedente occasione dimostrare la tendenza a assumere comportamenti lesivi dell’ordine e della sicurezza penitenziaria, possa essere ritenuto pericoloso dal punto di vista penitenziario, tale da giustificare nei suoi confronti l’applicazione di un regime diverso da quello ordinario64. L’ultima parte del comma 5 ci dice che l’autorità giudiziaria è il soggetto legittimato a segnalare i suddetti comportamenti all’Amministrazione penitenziaria ma rimane da chiederci in concreto in cosa consistono questi comportamenti. Il primo problema è che è evidente che questi comportamenti, in quanto tenuti in libertà, non potranno essere individuati con riferimento alle categorie dell’ordine e della sicurezza penitenziaria65. In secondo luogo, la norma sottolinea che il regime può essere applicato «indipendente dalla natura dell’imputazione», dunque potranno essere sottoposti al regime anche soggetti responsabili di reati privi di qualunque componente di violenza66. Le condotte tenute nello stato di libertà possono quindi non essere legate al reato e riguardare gli oggetti più disparati: si tratta di proiettare quei comportamenti che segnalati dall’autorità giudiziaria, in chiave prognostica, valutando la possibilità che essi si traducano all’interno del carcere in atteggiamenti contrari all’ordine o alla

63 T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 163

64 G. DI GENNARO, R. BREDA, G. LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, p. 109

65 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 108 66 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 108

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sicurezza. Quel che è certo è che, in questo modo, il legislatore ha utilizzato una formulazione così indeterminata, tale da consentire all’Amministrazione penitenziaria – soggetto competete a decidere in ordine all’applicazione del regime – un ambito di discrezionalità troppo ampio nella valutazione delle condotte che potrebbe legittimare la sottoposizione al regime67.