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Competenze: progettazione del cambiamento e adattamento al cambiamento

3   Il metodo delle competenze da Boyatzis a Spencer e Spencer 51

3.5   Criticità del metodo 79

3.5.3   Competenze: progettazione del cambiamento e adattamento al cambiamento

La teoria delle competenze è elaborata per spiegare quali caratteristiche soggettive possono o meno essere collegate ad una performance superiore in determinati job in specifiche organizzazioni. L’autonomia del metodo nel ricercare e nel creare quelle condizioni che permettano una performance superiore nello svolgimento di un’attività lavorativa risulta perciò ridimensionata proprio dalla presenza di elementi assunti come “estranei” e preesistenti al soggetto e alle sue competenze: l’organizzazione e l’insieme dei job dei quali essa si compone.

Una buona prestazione lavorativa necessariamente risulta all’intersezione di questi tre elementi, che per questo motivo devono essere disposti in modo “consistente” l’uno con l’altro: le caratteristiche della persona devono essere adatte al job, i job devono essere ben disegnati per rispondere ai requisiti funzionali dell’organizzazione, i quali sono determinati a loro volta dall’ambiente circostante.

Quest’ultimo è collocato in cima e presenta dei vincoli ineludibili che si ripercuotono in ciascuno degli elementi sottostanti (organizzazione, job e persone): «in a larger context, the economic, political, social, and religious conditions of the culture in which organization exists will affect its

92 climate and managers’ behavior» (Boyatzis, 1982, p. 20).

Ogni impresa deve operare in uno specifico ambiente di riferimento e proprio le caratteristiche di quest’ultimo finiscono per incidere sui tratti dell’organizzazione che ad esso si deve adattare, come le persone che vi lavorano. «The strategic position of a company in its industry and the condition of its industry also will affect the internal organizational environment, which in turn will affect managers’ behavior» (ivi, p. 19). Così, ad esempio, «in the public sector, the strategic position of a federal organization, in terms of its relationship to segments of the executive, legislative, and judicial branches of government, will affect the organizational environment, which in turn affect managers’ behavior» (ibid).

A sua volta l’ambiente organizzativo incide tangibilmente sulle azioni e sulle decisioni dei suoi membri; questo può essere pensato come un insieme eterogeneo di elementi, quali la struttura organizzativa, la cultura o le procedure ormai consolidate, che, congiuntamente, concorrono a determinare o orientare il comportamento dei soggetti che in esso svolgono la loro attività. «The organizational environment can be described in terms of a number of different factors. Organizational climate or culture has been used as a concept to describe the impact of the organization’s structure, policies, and procedures on its members» (ivi, p. 18).

L’“impatto” del contesto organizzativo sugli individui è così rilevante da arrivare a sancirne (più o meno direttamente) le condizioni di performance: «whether organizational climate is used as an indicator variable or whether the actual policies, procedures, and structure of an organization are used directly, the atmosphere or environment that organization creates and transmits to its members affects their performance» (ibid).

Nell’ambiente organizzativo ciascun lavoratore contribuisce alla performance complessiva ricoprendo i job opportunamente predisposti.

A job is usually described in terms of a title and list of responsibilities that the job occupant is expected to perform, decisions that he or she is expected to make, and outcomes that he or she is expected to produce. Every job can be said to have a set of functional requirements […]. Taken as a whole, the output of the integrated performance of the jobs by all members of an organization yields the performance of the organization with respect to its mission and objectives (ivi, p. 16).

Il job dunque prescrive e descrive ciò che un soggetto deve fare affinché gli obiettivi dell’impresa possano essere raggiunti; questo non si sostanzia però in un insieme di compiti ben definiti e formalizzati, ma piuttosto nelle responsabilità, nelle decisioni e negli obiettivi demandati ad un soggetto. In tal senso i job non sono pensabili come “mansioni”, bensì come “ruoli”: «job demands can […] be described in terms of various roles. The role describes a set of activities and responsabilites expected of a person in the […] job» (ivi, p. 17). Le esigenze dell’organizzazione sono frammentate e ripartite in ruoli, ciascuno specificatamente disegnato in modo funzionale per soddisfare determinati bisogni dell’organizzazione; la loro progettazione è perciò un’attività di fondamentale importanza che porta ad una chiara specificazione dei bisogni dell’organizzazione e dell’attività da svolgere. Ciascun job non può prescindere dalle caratteristiche del contesto

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organizzativo nel quale questo prende corpo e non può ignorare le peculiarità dell’organizzazione che anzi in esso necessariamente si riflettono: «for the performance of a job to be effective, the definition states that specific result and action taken to obtain them must “mantain or be consistent with policies, procedures, and conditions of the organizational environment”» (ivi, p. 13).

La possibilità di ottenere una performance superiore nello svolgimento dei job, quindi, risulta inevitabilmente subordinata ad una buona progettazione degli stessi all’interno dell’organizzazione. Questi devono essere ben disegnati e “in linea” con l’ambiente organizzativo: «if the job demands conflict with aspects of the organizational environment, effective performance will either not be forthcoming or it will be costly and highly inefficient» (ivi, p. 14).

Proprio (ed esclusivamente) in tale delicata fase di incontro tra persone e organizzazione il metodo delle competenze mostra tutta la sua efficacia e tutta la sua utilità, facilitando, da un lato, l’identificazione di quelle caratteristiche necessarie per svolgere bene un job, dall’altro, la selezione delle persone in possesso delle stesse.

Gli elementi che consentono una perfomance superiore in un’attività sono di fatto molteplici, ma molti sfuggono al metodo delle competenze, che per questo è collocato solo a valle di un difficile processo di progettazione organizzativa il cui esito non può che essere recepito e accolto come vincolo nell’identificazione delle competenze necessarie e nella scelta delle persone più adatte a svolgere una determinata attività.

All’interno di un contesto organizzativo la “compatibilità” tra lavoro e persone alimenta la performance lavorativa, ma attraverso le competenze si può intervenire solo sulla “variabile umana”: il metodo delle competenze non ha come obiettivo la progettazione delle posizioni. Questo non costituisce uno strumento atto ad identificare i requisiti funzionali dei job all’interno dell’organizzazione, a specificarne le attività e le responsabilità, né ad identificarne gli obiettivi:

The refinement of splitting the environment into a job demand component and an organizational environment component has been advanced by many authors in the management field […]. The distinctions of the model from prior research and theory will emerge from the discussion of what constitutes the “individual” component of the model (ivi, p. 16).

Nonostante la teoria delle competenze non sia stata appositamente pensata per fini progettuali di un’organizzazione, né tantomeno per tracciarne eventuali traiettorie evolutive e di cambiamento, sia Boyatzis che Spencer e Spencer alludono all’opportunità di poter cogliere a tal proposito alcuni suggerimenti dall’osservazione del lavoratore durante lo svolgimento della sua attività: «by examining those competencies that effective managers demonstrated but were not particularly demanded by management jobs at their level, guidelines for such redesign could be determined» (ivi, p. 250).

L’idea è estremamente semplice e promettente: se chi occupa un job in modo performante lo fa perché dimostra di possedere certe competenze, questo può essere ampliato per includere altre attività che diano piena espressione alle quelle medesime competenze: «management jobs can be designed to allow manager to utilize the competencies they have» (ivi, p. 249). L’arricchimento del

94 job può portare notevoli benefici.

For example, effective entry level managers demonstrated more use of socialized power than did their less effective peers. It was suggested that this aided them in coordinating their activities with other entry level managers. To utilize this competency more effectively, such coordination activities could be made a part of the entry level managers’ job (ibid).

Sebbene il metodo delle competenze non possa sostituire completamente l’attività tradizionale di progettazione in quanto carente di strumenti che permettano di identificare i bisogni funzionali dell’organizzazione per poi dividerli nei vari ruoli, tuttavia lo stesso si dimostra in grado di indicare grazie a quali competenze sono svolte con successo certe attività. Se si scopre che una particolare competenza aiuta a svolgere un lavoro con successo, e tale competenza distingue sistematicamente chi lo svolge in modo performante rispetto a tutti gli altri, allora l’analista avrà maturato una nuova conoscenza relativa al legame tra un job e una specifica competenza. Tale competenza, proprio perché permette di svolgere quel particolare lavoro con successo, sarà costantemente richiesta a tutti quelli che quel ruolo saranno chiamati ad occuparlo; potrebbe per questo motivo essere conveniente arricchirlo con altre attività che si “presume” richiedano la stessa competenza.

In estrema sintesi, la conoscenza maturata in merito alla nuova relazione mezzi-fini (ovvero competenze-performance) può utilmente essere utilizzata da un progettista per disegnare un job più funzionale.

La teoria delle competenze può dunque supportare l’attività di progettazione così come descritta dalla letteratura mainstream, con la quale appare fortemente in linea, essendone ricalcati molti assunti di fondo e diversi principi basilari: un progettista in possesso della conoscenza sulle relazioni mezzi-fini, già informato sulle caratteristiche di un ruolo, indica come può cambiare il contenuto dello stesso in termini di attività, processi di lavoro, responsabilità ed obiettivi per migliorarne la prestazione.

A differenza della prassi consolidata, che deriva la conoscenza mezzi-fini necessaria dalla letteratura manageriale, da modelli o da best practice di altre aziende dimostratesi particolarmente efficaci, ciò che appare differente è in realtà soltanto la fonte di tale conoscenza, che è desunta dall’osservazione del best performer nello svolgimento della sua attività lavorativa.

Tuttavia ciò non sembra assolutamente sufficiente a distinguere questo impianto di ragionamento da quello mainstream; poco importa “la natura” del modello scelto come riferimento, poco importa quale esempio di performance si cerchi di replicare: l’idea di poter replicare un “modello” in contesti o in momenti differenti ed ottenere gli stessi risultati non cambia, anzi è ancora più evidente.

Anche il modo con cui il progettista interviene sui processi di lavoro modificandoli è di chiara derivazione mainstream: questi dapprima esplicita la struttura del sistema, poi, attraverso le opportune modificazioni, giunge ad una nuova rappresentazione dello stesso. Ciò è sapientemente illustrato da Boyatzis il quale chiarisce come «of course, to change the functions and tasks involved in a management job, those that currently exist must be identified and clarified» (ibid).

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Il processo di cambiamento organizzativo appare così obbligatoriamente scandito da alcune fondamentali tappe:

– chi detiene la conoscenza dell’organizzazione (il progettista) ne rappresenta la “struttura”, identificando chiaramente il contenuto di ciascun job;

– successivamente – e il metodo delle competenze può offrire un utile supporto a tal proposito – lo stesso identifica secondo quali presupposti modificare la struttura, ovvero il contenuto dei ruoli predisposti e costruiti, per renderla più funzionale al conseguimento dei fini desiderati;

– infine, si assume che l’organizzazione, così come modificata secondo la razionalità e la conoscenza del progettista, coerentemente con i cambiamenti strutturali disegnati, adotti un nuovo comportamento, più efficace e performante.

Il modo in cui il metodo delle competenze promette di essere utile ai fini progettuali e di sostenere e orientare il cambiamento organizzativo ricalca perfettamente tale logica. L’analista, osserva il sistema e identifica i best performer, presso i quali la relazione competenze necessarie - perfomance superiore trova fattuale compimento. In tal senso i best performer possono essere ritenuti custodi “inconsapevoli” di quella conoscenza che illustra quali mezzi (competenze) siano adeguati per il conseguimento dei fini desiderati (performance in un job). A questo punto l’analista comprende, esplicita e formalizza tale relazione, riproponendola opportunamente come “modello” nella riprogettazione dei job.

Tale procedimento, esteso a più job e reiterato nel tempo, dovrebbe produrre continui cambiamenti strutturali dell’organizzazione che in tal modo trova una concreta opportunità di cambiare, migliorando progressivamente la sua performance nel tempo.

Se si decide di condividere la razionalità sottesa a questo impianto teorico, affinché un cambiamento organizzativo possa essere proficuo, devono ricorrere due condizioni ineludibili: la prima è che il progettista possa davvero identificare senza margine di errore la relazione che intercorre tra competenze e performance29, la seconda è che l’organizzazione possa conformarsi e

dare fattuale compimento al disegno del progettista così come recepito30.

Le modalità attraverso le quali la teoria delle competenze può sostenere il cambiamento non sono “limitate” all’eventualità di poter modificare il contenuto dei job, ovvero di progettarne dei nuovi più funzionali.

Il modo in cui le competenze possono più utilmente sostenere il cambiamento è illustrato con chiarezza da Spencer e Spencer attraverso alcune riflessioni, sostenute da numerose esperienze concrete di applicazione e implementazione del metodo, che arricchiscono e consolidano la teoria nella sua fase di maggiore maturità. Queste mostrano senza equivoci quanto utile possa essere il

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La praticabilità di tale ipotesi è stata già discussa e problematizzata in un precedente paragrafo.

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riferimento alle competenze nei processi di cambiamento organizzativo e quanto, dal metodo delle competenze, possano essere tratti dei benefici concreti:

i cambiamenti organizzativi richiedono dipendenti con tipi di competenza differenti. Le aziende globali necessitano di dipendenti capaci di lavorare nelle diverse parti del mondo. Le organizzazioni privatizzate hanno bisogno di stabilire quali impiegati statali hanno l’orientamento al risultato necessario per lavorare in un’azienda privata. Le aziende stagnanti necessitano di dipendenti dotati delle competenze innovative e imprenditoriali necessarie per sopravvivere in mercati dove i cicli produttivi sono sempre più brevi e la concorrenza estera sempre più aggressiva. Le aziende in via di ristrutturazione devono decidere chi resta e chi deve andarsene: in sostanza quali dipendenti hanno le competenze necessarie per lavorare nelle organizzazioni ridimensionate […]. La risposta alla domanda “chi resta e chi deve andarsene” dipende dalla scelta dei dipendenti che hanno le competenze necessarie per il successo nei ruoli della nuova organizzazione (Spencer, Spencer, 1993; trad. it., p. 261).

Il metodo delle competenze svela tutta la sua efficacia e tutte le sue potenzialità nella delicata fase di cambiamento organizzativo mostrando quali lavoratori sono più adatti alla nuova struttura disegnata per il compimento della strategia deliberata. “I ruoli della nuova organizzazione”, funzionali al conseguimento di nuovi obiettivi, “richiedono dipendenti con tipi di competenze differenti” e il metodo delle competenze può indicare chi è in possesso delle stesse.

La logica sottesa a questo ragionamento non appare in realtà troppo differente da quella tradizionale, consolidata nella teoria e ampiamente diffusa nella prassi manageriale, che vede la “struttura” dell’organizzazione dipendente dalla strategia e funzionale al conseguimento degli fini desiderati. Ad un cambiamento strategico segue la progettazione di una nuova struttura: il metodo delle competenze aiuta nell’integrazione e nell’adattamento del personale ai nuovi ruoli disegnati attraverso l’identificazione delle competenze necessarie per ciascun job e la ricerca della corrispondenza job-persona.

Il fatto che il cambiamento sia progettato top-down, che alla struttura sia richiesto di recepire la nuova strategia e che ciò possa essere facilitato se le persone sono in possesso delle nuove competenze necessarie a svolgere la nuova attività, non esonera dalla più delicata delle questioni (almeno dichiarata come tale in tutto l’impianto del ragionamento): l’identificazione delle competenze necessarie per una performance superiore.

Se si resta fedeli all’impostazione teorica e al metodo induttivo, i passi da seguire sembrerebbero più o meno obbligati: a seguito di un cambiamento “deciso dall’alto” si disegna una nuova struttura e, dopo un opportuno periodo di osservazione atto a indicare i best performer induttivamente si “scopre” di quali competenze questi sono in possesso, ovvero di quali competenze necessita la “nuova organizzazione” per raggiungere gli obiettivi deliberati.

Tuttavia il procedimento sancito dal metodo induttivo appare tutt’altro che immediato; anzi, risulta piuttosto elaborato e artificioso. I tempi necessari a conseguire una performance superiore possono essere variabili e potrebbero allungarsi per quei job ai quali è richiesto il conseguimento di obiettivi di lungo termine (verosimilmente proprio quelli con maggiore responsabilità).

Il metodo induttivo, se “genuinamente” implementato, si presta davvero poco a rapidi e continui cambiamenti; questi costringerebbero di volta in volta ad invalidare le induzioni fatte e a farne di

97 nuove per scoprire le competenze adatte ai nuovi job.

Il dubbio che le competenze necessarie non siano “scoperte” attraverso il procedimento induttivo, ma siano già ben note all’organizzazione è presto risolto.

ogni cambiamento dell’organizzazione (globalizzazione, privatizzazione, crescita, cambiamento di cultura aziendale o ridimensionamento) richiede il trasferimento di molte persone a nuovi incarichi, e quindi è necessario scegliere le persone più adatte. Le organizzazioni in via di globalizzazione debbono sapere quali addetti hanno le competenze necessarie per lavorare all’estero. Le aziende privatizzate debbono sapere quali burocrati hanno le competenze imprenditoriali richieste dal libero mercato. Le aziende in crescita debbono sapere chi assumere per potere continuare a crescere. Le organizzazioni che decidono di cambiare struttura e/o cultura debbono sapere quali dipendenti posseggono le competenze adatte alle future situazioni. Le aziende in via di ridimensionamento debbono identificare i dipendenti da conservare, cioè quelli che hanno le competenze più adatte alla nuova filosofia del “più magro e più snello” (ivi, p. 219).

Nel caso in cui un’organizzazione abbia pianificato un significativo cambiamento nella sua strategia, che comporti la rivisitazione del proprio disegno e del proprio operato, il metodo delle competenze può efficacemente essere utilizzato per identificare le persone che meglio saranno adatte alle “future situazioni”.

Così, se un’impresa pianifica una sua espansione su nuovi mercati e la contestuale definizione di “nuovi incarichi”, il metodo delle competenze può aiutare nella scelta dei lavoratori che meglio potrebbero svolgere la nuova attività. Similmente, in caso di privatizzazione o di qualsiasi altro evento che comporti una ridefinizione sostanziale dell’attività dell’impresa, attraverso il metodo delle competenze possono essere identificati i soggetti in possesso delle qualità che occorreranno nelle nuove e diverse situazioni lavorative. Anche nell’eventualità in cui si renda necessario un ridimensionamento o una contrazione dell’organizzazione che sancisca la necessità di cambiare “linee d’azione”, il riferimento alle competenze può essere utile per identificare gli individui “più adatti alla nuova filosofia”.

Si tratta di situazioni non troppo inconsuete che, soprattutto nella fase più matura della teoria delle competenze meritano un approfondimento:

Special challenges are posed in determining the competency requirements for future jobs and single incumbent jobs where there may be only one incumbent or the job being defined does not yet exist. How can competencies for these jobs be determined?

Future jobs

Three approaches for studying future jobs (in inverse order of desirability) are (a) expert panel “guesstimates,” (b) extrapolation from job elements with known competency correlates, and (c) sampling employees doing analogous jobs now […].

Single-Incumbent Jobs

Competencies for single-incumbent jobs can be determined by assembling data from key people (dependencies) who interact with the person in the job (Spencer e Spencer, 1993, pp. 109-110).

In caso di cambiamento organizzativo sembra doveroso cioè abbandonare il procedimento induttivo, (presumibilmente) adatto a rilevare le competenze in situazioni lavorative già affrontate e

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consolidate, ma completamente inadeguato a “scoprire” le competenze necessarie relative ad attività future; del resto, le stesse non sono ancora concretamente e direttamente osservabili e quindi nessuna induzione è possibile.

In questa ipotesi, sembra dominare una logica completamente diversa da quella preminente nel procedimento induttivo, che avvalla la possibilità di definire deduttivamente, a priori, le competenze necessarie per svolgere una particolare attività già ben definita. Si allude infatti alla possibilità di utilizzare il metodo in relazione ad attività future, non ancora strutturate, in ambienti nuovi e diversi, o peggio in contesti organizzativi dei quali si prevede un radicale mutamento.

In caso di cambiamento organizzativo, i principi cardine del metodo vengono completamente stravolti, proprio perché poco funzionali a situazioni nuove e inesplorate; relativamente a queste ultime, le opportunità “aperte” dalla teoria delle competenze non sembrano in realtà troppo dissimili da quelle mostrate da criteri deduttivi, largamente criticati in modo puntuale e pervasivo sia da Boyatzis che dagli Spencer.

Dunque, al metodo delle competenze si offre la possibilità di supportare il cambiamento organizzativo in due modi.

Il primo, nella delicata fase di progettazione. In questo caso però la teoria non si mostra