3 Il metodo delle competenze da Boyatzis a Spencer e Spencer 51
3.4 Estensione del metodo 69
3.4.4 La formazione 76
Il metodo delle competenze può utilmente supportare anche il processo di formazione all’interno dell’impresa. Già Boyatzis aveva individuato i possibili benefici che il riferimento alle competenze poteva offrire allo sviluppo e alla formazione dei lavoratori: «the findings and model have implications for the choice of training programs and the design of the training» (Boyatzis, 1982, p. 253). La strutturazione di un processo formativo basato sul metodo delle competenze può risultare particolarmente efficace perché supera alcuni limiti dei sistemi tradizionali, spesso finalizzati a trasmettere solo le informazioni specifiche circa l’attività da svolgere. Questo permette ai partecipanti di sviluppare le competenze ritenute necessarie per un job: «to be effective in competency development, the training must involve far more than teaching partecipants about the function of management. Evidence indicates that these and other generic characteristics can be developed through specific training and education programs» (ibid).
Il processo formativo ha come specifico obiettivo quello di ridurre il divario tra una condizione desiderata (le caratteristiche necessarie e richieste) e una condizione “reale” (le caratteristiche possedute).
L’impianto del ragionamento del metodo delle competenze semplifica non poco la difficoltà nel fissare adeguati obiettivi formativi: questi si identificano con le competenze rilevate presso i best performer, al quale l’intera popolazione aziendale dovrebbe tendere; «the integration of the information on how superior-performing managers think and act (i.e., the ideal) and how the potential manager stands on these competencies (i.e., the real) forms the beginning of a process of self- direct change» (ivi, p. 254).
Le ipotesi di cambiamento e di miglioramento sono date proprio dalla possibilità di colmare un divario che separa il best performer dagli altri; il confronto diretto con una performance ritenuta superiore costituisce l’esempio da seguire e questa rappresenta il riferimento di tutto il sistema di formazione.
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La “discrepanza” tra le competenze del best performer e le competenze possedute da chiunque altro segna il tragitto del cambiamento necessario; lo sviluppo delle competenze “ideali” (quelle proprie del più bravo) rappresenta il punto di arrivo del percorso di cambiamento, l’unico apprendimento possibile: «it is through the realization of personal discrepancies between the ideal and the real on such competencies that people can perceive and feel a need for change» (ibid).
L’approccio e la logica non cambiano con gli sviluppi del metodo, che anzi trova in Spencer e Spencer un approfondimento degli assunti precedenti e una loro concreta esemplificazione in una strategia di insegnamento-apprendimento della competenza.
Il punto di partenza è il medesimo: «le competenze possono essere insegnate» (Spencer, Spencer, 1993; trad. it., p. 267). Ancora una volta si allude alla possibilità di andare oltre l’insegnamento di conoscenze tecniche e di progettare sistemi di formazione al fine di far «acquisire o modificare i tratti profondi come le motivazioni o la visione personale» (ivi, p. 269).
Il percorso di apprendimento può essere articolato in 6 fasi specifiche le quali, partendo dal riconoscimento della competenza del best performer (che quindi continua ad essere proposta come una best practice da imitare) indicano il percorso da seguire per riprodurre il suo comportamento efficace.
In un primo momento si ha il riconoscimento: «l’obiettivo di questo primo passo è fare in modo che i soggetti si convincano personalmente che le competenze che si vogliono loro insegnare esistono e che è importante saperle utilizzare bene» (ivi, p. 272). I modi per far osservare le competenze dei best performer sono differenti, ma sempre riconducibili a simulazione pratiche.
Un caso di “confronto e contrasto” presenta al soggetto episodi critici di performer superiori e medi nel ruolo coperto dal soggetto stesso. Si chiede al soggetto: Qual è la differenza fra queste due persone? Quale delle due è la star? In sostanza, si chiede di analizzare il comportamento delle persone portate ad esempio. […] I casi di “confronto e contrasto” e le simulazioni mirano a stabilire la credibilità della competenza ed a creare un “divario fra attuale e ideale” tale da motivare il soggetto a volerla imparare” (ibid).
Nella successiva fase di studio «s’illustra la nuova competenza, in che cosa consiste e come esprimerla. […] Esempi reali o filmati dimostrano al soggetto come usare la competenza nelle situazioni di lavoro» (ibid). Il terzo step chiamato di autovalutazione è di fondamentale importanza, in quanto «informa il soggetto sui suoi livelli di competenza confrontati con quelli che predicono la performance superiore» (ivi, pp. 272-273). In questa fase il soggetto può prendere atto del divario tra le competenze ad lui imputate e quelle che, invece, attivano un comportamento efficace, garantendo una performance superiore. Sulla base di questo confronto diretto questi potrà incrementare “la propria energia e l’interesse” ad apprendere.
La quarta fase di pratica/feedback è quella che consente il miglioramento e l’apprendimento, ovvero lo sviluppo della competenza.
«Nel quarto passo i soggetti praticano comportamenti competenti in situazioni realistiche; confrontano le loro prestazioni con lo standard della performance superiore, e ricevono dall’istruttore il necessario feedback sul modo di migliorare» (ivi, p. 273); questa fase viene
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reiterata fin quando il soggetto non è in grado di tenere un comportamento performante in linea con quello a lui richiesto: «il soggetto ripete i cicli di pratica/feedback fin quando non raggiunge lo standard superiore» (ibid). Le ultime due fasi conclusive prevedono che il soggetto si impegni a utilizzare la propria competenza nella vita lavorativa, dapprima dichiarando gli obiettivi che intende conseguire (ciò è fatto al fine di incrementare la produttività, dal momento che «la dichiarazione degli obiettivi si traduce in un aumento della produttività del 19%» (ibid) aumentando la probabilità di realizzarli), poi impegnandosi (magari inizialmente aiutati, se necessario, dai supervisori) a conseguirli.
La formazione è presentata dagli autori come un momento di estrema rilevanza; nell’incessante ricerca della migliore corrispondenza tra i requisiti di competenza della mansione e della persona, la formazione offre l’opportunità di “colmare” uno scarto esistente tra una performance superiore desiderata ed uno svolgimento medio o basso, “allineando” i comportamenti di un soggetto qualsiasi a quelli di un best performer.
La formazione permette di “insegnare” quelle competenze “dimostratesi” necessarie per una performance superiore, ma ciò comporta un notevole dispendio di risorse in termini economici e di tempo necessario all’apprendimento.
«Le motivazioni intrinseche e i tratti della personalità come l’orientamento al risultato possono essere insegnati, ma è molto più conveniente selezionare una persona che le possiede già piuttosto che cercare di svilupparle in una persona che non le possiede» (ivi, p. 278).
L’adattamento della persona alla mansione attraverso la sua “formazione” è possibile, ma conviene selezionare un soggetto già in possesso delle caratteristiche necessarie per svolgere in modo performante la sua futura attività; «la regola è: la selezione prevale sulla formazione (“è possibile insegnare ad un tacchino ad arrampicarsi sugli alberi, ma è meglio assumere uno scoiattolo”)» (ibid).