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Sviluppo delle competenze e cambiamento organizzativo 146

6   L’esigenza di una nuova concezione: l’organizzazione come processo di azioni e

6.3   Sviluppo delle competenze e cambiamento organizzativo 146

Secondo la proposta funzionalista il job è assunto come unico insieme esaustivo e stabile di regole che orientano le azioni e le decisioni in un’organizzazione; così, esplicitate le prescrizioni della posizione lavorativa, le qualità personali del soggetto non possono che costituire l’unica altra variabile interpretativa delle scelte effettuate e dei comportamenti esplicati in risposta alle regole del job. Le scelte sono quindi deterministicamente indotte da regole eteronome e qualità individuali; queste ultime contribuiscono alla variabilità del comportamento, ma sempre in uno spazio d’azione completamente regolato e delimitato dal job47. Seguendo questa logica, risulta che,

nell’interpretazione delle scelte osservate, da un lato, l’esplicitazione delle caratteristiche del job dovrebbe offrire la possibilità di comprendere a priori la razionalità organizzativa e delle scelte effettuate, dall’altro, le competenze dovrebbero spiegare la variabilità di ogni scelta, riconducendola deterministicamente a caratteristiche soggettive (figura 6.1).

Fig. 6.1 – La competenza nelle concezioni di organizzazione

Fonte: nostre elaborazioni.

Sulla base di tale semplificazione, che di fatto trascura il processo di azioni e decisioni nonché il continuo divenire dell’organizzazione, si assume che qualsiasi analista, informato relativamente alle prescrizioni della posizione lavorativa indagata, a partire dall’interpretazione delle scelte e dei comportamenti esplicati, possa risalirne alle competenze a monte e codificarle in elenchi fruibili a piacimento dell’organizzazione (in tal senso reificata).

Successivamente, l’attività di sviluppo delle competenze è fatta coincidere con una periodica “manutenzione” degli elenchi formalizzati: dapprima sono rilevate le nuove “soluzioni” adottate, le

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Si ammette dunque la discrezionalità, ma non l’autonomia alla base dell’agire di un soggetto. Interpretazione e analisi del processo in essere (obiettivi, mezzi, struttura) Valutazione delle soluzioni adottate e delle possibili alternative (competenza) Insieme delle scelte formulate

Organizzazione come processo di

azioni e decisioni Organizzazione come insieme di job

Esplicitazione richieste del job

Caratteristiche soggettive (competenza) Insieme delle scelte formulate

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nuove scelte formulate, i “nuovi comportamenti” osservati (evidentemente differenti da quelli prescritti); poi gli stessi sono successivamente ricodificati in elenchi più “aggiornati” di competenze, capitalizzate in appositi database e demandate dall’organizzazione ai soggetti, ovvero ricercate in fase di selezione e “trasmesse” attraverso la formazione.

Diversamente, nella proposta socio-costruttivista, la possibilità da parte dell’organizzazione di sviluppare le competenze è interpretata attraverso il costrutto della comunità di pratica, descritta come luogo privilegiato nel quale le competenze possono essere appunto sviluppate. La comunità si consolida nell’organizzazione, ma mantiene una propria identità da essa distinta, alimentata dalla condivisione da parte dei membri di specifiche pratiche in uso.

L’accesso a tali pratiche, se “legittimato” dagli altri membri del gruppo, permette di sviluppare le competenze. Queste hanno carattere situato: possono essere socializzate tra individui attraverso il ricorso a categorie linguistiche e significati condivisi, ma in nessun modo possono essere codificate o trasmesse al di fuori della comunità che le ha coltivate. Seguendo tale impostazione concettuale, il processo di sviluppo delle competenze non può che identificarsi con il supporto all’azione delle comunità di pratica: le forme di sostegno programmate, lungi dall’interferire con le dinamiche da esse (e in esse) spontaneamente prodotte48, dovrebbero mirare alla valorizzazione delle sue

iniziative e al riconoscimento delle sue potenzialità. In ogni caso le competenze sviluppate in quanto contestuali, situate e non trasferibili, costituiscono un patrimonio gelosamente custodito dalla comunità di pratica che ne rimane unica depositaria.

In un’organizzazione intesa come processo di azioni e decisioni, invece, lo sviluppo della competenza non è circoscritto alla trasmissione di nozioni o regole di comportamento modellizzate e mostrate dal sistema ai soggetti, e neppure dal sostegno ad una comunità di pratica; lo sviluppo è alimentato dall’analisi di obiettivi, mezzi e regole analiticamente distinguibili in un processo, dalla riflessione sulle relazioni tra essi intercorrenti e dalla valutazione delle possibili alternative d’azione ad ogni livello contemplate.

Certamente è una valutazione limitata, […] ma è una valutazione che può riguardare le scelte di azione organizzativa, strutturali, tecniche e istituzionali, che può accompagnare quindi la costruzione del processo organizzativo, nel suo continuo prodursi e modificarsi, al variare delle conoscenze e dei valori (ivi, p. 94). Lo sviluppo delle competenze può trovare fattuale compimento in specifiche azioni di supporto ai processi decisionali che, a partire dall’interpretazione delle scelte compiute, portino alla valutazione di possibili alternative d’azione coerenti con l’insieme di vincoli e opportunità, regole eteronome e spazi di iniziativa, prescrizioni e possibili cambiamenti che solo l’analisi del processo, a livelli differenti, può mostrare, e che solo la mobilitazione di conoscenze eterogenee permette di giudicare.

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Si è argomentato nel quinto capitolo come qualsiasi tentativo di “orientare” dall’“esterno” le scelte e l’operato della comunità potrebbe minarne l’efficacia dell’azione o addirittura la sopravvivenza stessa.

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Si tratta di favorire la riflessione dei soggetti agenti nel processo i quali, attraverso la mobilitazione sia di conoscenze tecniche e istituzionali (che informano le scelte di mezzi e obiettivi), sia di conoscenze organizzative49 (strumentali alla descrizione e all’analisi di qualsiasi

corso d’azione), giungano alla descrizione e all’interpretazione del processo in essere e alla valutazione di possibili corsi d’azione alternativi50, sviluppando in questo modo la competenza51

(Albano, 2010; Fabbri, 2003; Maggi, 1984/1990, 2003). L’attività di descrizione, analisi e interpretazione del processo in essere, e dunque di giudizio circa l’adeguatezza delle scelte compiute e delle alternative possibili, deve avvalersi del contributo che, a diversi livelli di analisi, ciascun soggetto agente può offrire: questi, attraverso la propria iniziativa, le proprie scelte autonome e il proprio intervento, apporta continue modifiche alla regolazione dei corsi d’azione che, se contemplate52, possono migliorare la descrizione del processo e arricchirne l’interpretazione,

accrescendone la sua adeguatezza al futuro53.

La competenza che si sviluppa nel processo d’azione è unicamente ad esso relativa, e con esso si trasforma: non è in alcun modo codificabile, in quanto il processo muta in ogni momento, così come l’adeguatezza delle scelte che possono caratterizzarlo. Dunque, sebbene per la valutazione di un processo d’azione sia possibile avvalersi dell’esperienza maturata nell’interpretazione di altri corsi d’azione54, dei saperi disciplinari già acquisiti o di una metodologia di analisi già consolidata, la

competenza in sé non è decontestualizzabile, né tantomeno trasferibile, poiché sottesa alle scelte che compongono un particolare processo e pertanto in esse situata.

La descrizione e l’analisi del processo di azione sviluppano la competenza attraverso la riflessione sulla congruenza reciproca delle sue componenti analiticamente distinguibili. La valutazione degli effetti delle scelte implica la comparazione tra processi d’azione alternativi, ovvero tra corsi d’azione “eventuali”; in tal senso si configura come attività di progettazione il cui

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Si condivide in questo lavoro la definizione di conoscenza promossa da Fabbri, 2003.

50

Nel caso in cui le conoscenze strumentali alla valutazione di ciascun piano dell’azione organizzativa non siano disponibili tutte presso lo stesso soggetto impegnato nella valutazione del corso d’azione è possibile arricchire le conoscenze dello stesso attraverso periodi di formazione oppure operare una ricomposizione analitica di ambiti disciplinari e campi di conoscenza attraverso la costituzione di gruppi di studio eterogenei. Per un approfondimento metodologico si veda Maggi, 1984/1990 e Albano, 2010.

51

È bene ribadire che la competenza in alcun modo coincide con la somma discreta delle conoscenze strumentali alla descrizione del processo: queste ne permettono la descrizione e in tal senso possono informare le scelte che lo costituiranno; tuttavia anche altri fattori quali preferenze soggettive, valori, esperienza, ecc. si combinano variabilmente (e secondo razionalità limitata) nei processi decisionali e concorrono a caratterizzare le scelte che ne scaturiscono e la loro adeguatezza in relazione al processo di cui sono parte.

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In tal senso è possibile affermare che le regole eteronome non possono che descrivere parzialmente il divenire di un corso d’azione, offrendo per questo un supporto limitato alla sua interpretazione. Per una trattazione esaustiva dei concetti di autonomia, eteronomia e discrezionalità in un processo di regolazione si rimanda alle riflessioni di Maggi (1984/1990, 2003).

53

L’identificazione del processo analiticamente individuato per l’analisi e l’interpretazione dei soggetti chiamati a svolgere tale attività dipende dagli obiettivi dell’indagine.

54

Non perché attraverso l’esperienza possono essere formalizzate alcune leggi (o soluzioni) universalmente valide nell’ambito di qualsiasi processo d’azione, ma perché essa attiva il confronto con altri processi d’azione, stimolando la riflessione sulle possibili condizioni di adeguatezza che hanno caratterizzato scelte passate e che potrebbero caratterizzare quelle future. Ciò è possibile in quanto il processo d’azione è una costruzione ideal-tipica. Per questo è possibile il confronto di ogni processo concreto con l’ideal-tipo (Maggi, 1984/1990, 2003) oppure con altri processi d’azione osservati o ipotizzati.

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esito è l’ipotesi di disegno di un nuovo processo d’azione composto da nuovi obiettivi e differenti mezzi, diversamente strutturati. L’analisi di un processo coincide dunque con la ricerca delle condizioni di adeguatezza e con un contestuale intervento nella sua regolazione, al fine di migliorarlo e renderne gli esiti soddisfacenti.

L’attività di analisi non si sostanzia con la revisione di un piano “per l’azione” così come formulato volta a formalizzare un nuovo piano: non si tratta di svolgere un’attività volta a prescrivere top-down nuovi comportamenti (o competenze che dir si voglia) che orientino il cambiamento organizzativo nella direzione desiderata, secondo gli assunti di una razionalità “olimpica” a priori; né si tratta di attribuire senso ex post alle azioni intraprese dai singoli individui in specifici contesti di riferimento, “constatando” il cambiamento avvenuto, originato “dal basso”. L’analisi del processo accompagna il suo costante divenire e continuamente produce la sua regolazione, lo ri-progetta, attraverso l’affermazione di regole (eteronome o autonome, previe o contestuali) definite a qualsiasi livello d’azione e di decisione analiticamente distinguibile e sempre secondo razionalità limitata.

Il processo di analisi (e progettazione) è pervasivo e costante, in quanto ciascuna azione di cui l’organizzazione si compone è intrapresa a partire da una valutazione tra alternative possibili, necessariamente formulate tra opportunità, preferenze e vincoli (siano autonomi ed eteronomi, precedenti all’azione o ad essa contestuali) espressi in relazione a obiettivi e mezzi dati o possibili, ad ogni livello contemplati.

Da tale valutazione – ovvero dalla competenza che guida l’azione – scaturisce il cambiamento dell’organizzazione in senso lato (di mezzi obiettivi e loro ordine) e in senso stretto (della sua strutturazione).

Continuamente l’organizzazione cambia, orientando il proprio divenire attraverso un processo di pre-ordinazione di mezzi e fini; in ogni momento l’organizzazione si trasforma attraverso un processo di analisi, riflessione e ri-progettazione che non può non sottendere ogni singola scelta compiuta, o solo ipotizzata e (per questo) non può non attenere e al giudizio e alla valutazione di ciascun soggetto agente nell’organizzazione. In tal senso l’analisi del processo e lo sviluppo della competenza possono aiutare a interpretare il cambiamento e orientarlo attraverso scelte più consapevoli, ispirate da criteri di coerenza, di adeguatezza e di ricerca di esiti soddisfacenti, necessariamente guidate da razionalità limitata. Naturalmente, solo attraverso la partecipazione l’organizzazione potrà cogliere le opportunità di cambiamento che la riflessione di ciascun attore, ad ogni livello, continuamente dischiude.

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Capitolo VII