• Non ci sono risultati.

Riconoscere le competenze 117

5   Competenze e gestione delle persone nella corrente socio-costruttivista

5.3   Riconoscere le competenze 117

L’identificazione delle risorse presenti e la loro valorizzazione appare come uno dei presupposti irrinunciabili di un metodo di gestione delle persone che fa dello sviluppo dell’individuo (e dell’impresa-comunità nel quale questi agisce) il principale obiettivo da realizzare e al quale costantemente tendere:

da un punto di vista operativo, lavorare con le competenze significa attivare azioni di identificazione delle risorse presenti in una comunità di lavoro per poi valorizzarle attraverso la loro combinazione, finalizzandola alla tensione verso obiettivi condivisi capaci di coniugare le aspettative del singolo con quelle organizzative (ivi, p. 75).

In tale prospettiva, ciò che assume maggiore importanza non è identificare le competenze richieste da un lavoro, ma piuttosto osservare quali competenze una persona sa e può attivare nel contesto lavorativo. Individuare le competenze riveste un’importanza cruciale per le successive fasi di gestione, ma è un processo non privo di difficoltà: le competenze «sono refrattarie a una codifica descrittiva perché in continuo divenire» e qualsiasi «tentativo di una loro provvisoria individuazione» richiede necessariamente il ricorso ad «un metodo e una forma in grado di rappresentare la loro dinamicità e la loro natura contingente» (ivi, p. 81).

Dunque, proprio «la rappresentazione delle competenze, per quanto semplificatrice, parziale e provvisoria, costituisce il processo da cui far scaturire ipotesi di lavoro e di sviluppo» (ivi, p. 84).

Attivare un procedimento di rappresentazione efficace diviene quindi uno tra i principali problemi alla base di tale impostazione: occorre pervenire a una rappresentazione dell’insieme di competenze degli individui per poter progettare azioni di gestione (e sviluppo) del personale.

L’approccio per competenze può fare da sfondo e orientare le principali azioni di gestione del personale, ma alla base deve esserci la possibilità di riconoscere le stesse per dare loro visibilità; «il

118

riconoscimento possiamo dire che è il luogo e la fonte delle competenze» (ivi, p. 90), ciò che dona loro visibilità.

Il tema centrale del processo di individuazione è quello del riconoscimento. Una competenza si rappresenta, e perciò acquista visibilità, solo nel momento in cui è riconosciuta come tale in un contesto. Per avere competenza, quindi, c’è bisogno che ci sia riconoscimento, al punto potremmo dire che ogni descrizione di una competenza è la descrizione di un riconoscimento. Il riconoscimento […] è quindi costitutivo della competenza (ivi, p. 95). Il riconoscimento scaturisce dalla descrizione della competenza: «descrivere le competenze significa, in primo luogo, descrivere azioni e pensieri sulle azioni in un contesto: lo sguardo dell’osservatore si orienta verso ciò che il soggetto sta facendo in una comunità di lavoro e nello stesso tempo a come riflette mentre lo sta facendo» (ivi, p. 90). La descrizione in nessun caso è tesa a “spiegazioni molecolari”, parziali e frazionate dell’agire di un lavoratore; non si tratta di rilevare attraverso la semplificazione le parti di un problema complesso, né di analizzare sue frazioni ridotte; in nessun modo si cerca di scomporre la competenza in unità elementari e discrete o di misurare un comportamento di successo, ma piuttosto di osservare e ascoltare un lavoratore all’opera.

Qualsiasi descrizione è lontana dal poter cogliere e dare una perfetta evidenza dei fatti; la maggiore difficoltà in tale momento di descrizione è legata proprio all’impossibilità di considerare le descrizioni sufficientemente esaustive e fedelmente rappresentative della realtà; attraverso le stesse possono essere tracciate delle mappe, ma tali mappe presentano dei limiti difficilmente superabili dei quali occorre essere consapevoli per un lavoro adeguato con le competenze:

la consapevolezza dei limiti propri delle mappe tracciate, la staticità rispetto alla dinamicità dell’evoluzione, così come l’astrattezza rispetto alla storicità e alla contestualità delle competenze, permette un uso delle mappe stesse più appropriato che pone le condizioni per sviluppare azioni non prescrittive (ivi, p. 83).

In tale logica la descrizione equivale a tutt’altro che un tentativo di riproduzione fedele o di comunicazione pedissequa dello svolgimento delle azioni:

descrivere è un atto creativo che equivale a costruire un mondo. […] Descrivere una competenza non significa nominare qualcosa di già esistente quanto piuttosto istituire qualcosa di nuovo. Dire, da un punto di vista, che “qualcuno fa qualcosa, in quel modo, in quel contesto” equivale a delimitare e costruire un mondo, è un atto nello stesso tempo di scoperta e invenzione (ivi, p. 91).

Per tale motivo, «il problema non è tanto quello di chiederci come fare rappresentazioni più reali, ma come fare delle rappresentazioni plausibili […]; la qualità delle rappresentazioni dipende […] dal processo di negoziazione di significato che i soggetti attivano attorno alle rappresentazioni stesse» (ivi, p. 84) a seguito di una narrazione, di una conversazione riflessiva attraverso la quale le competenze sono colte. «La descrizione si origina dall’osservazione e dall’ascolto di una narrazione» (ivi, p. 93).

La narrazione è quindi considerata come il momento privilegiato attraverso il quale è possibile attribuire significato alle cose, alle azioni.

119

È, infatti, attraverso la narrazione che una situazione acquisisce senso per sé e per gli altri: il narrare ci permette di negoziare e costruire le categorie che danno un significato alle azioni e agli eventi narrati. La narrazione è la forma più adatta per cogliere le competenze; essa ci permette di approssimarci, oltre che ai fatti, ai significati che le azioni hanno in determinati contesti. Essa è quindi la via per ricostruire la frammentazione dell’esperienza […]. Il raccontare delle storie è forse la principale modalità attraverso la quale possiamo riflettere sull’esperienza. Attraverso la ricostruzione del flusso dell’azione, dello svolgimento degli eventi, attribuiamo significati in modo retrospettivo mediante la riflessione su ciò che abbiamo fatto (ivi, pp. 93-94).

Lo sforzo di riflessione richiesto al lavoratore arricchisce inoltre la sua stessa competenza attraverso una maggiore consapevolezza che egli acquisisce: «si tratta di una consapevolezza compatibile con il permanere di una dimensione tacita che non permette di descrivere ciò che rende competenti mentre qualcuno ci riconosce come tali» (ivi, p. 98).

La relazione tra osservato e osservatore, il dialogo tra i due, la riflessione e la convergenza verso la stessa visione sono alla base di un percorso di costruzione di un significato comune. La partecipazione ad una conversazione, non la mera trasmissione di informazioni rende possibile evidenziare una competenza. Il dialogo e l’accordo, ovvero la negoziazione, sono i momenti fondamentali e costitutivi di un procedimento che porta a riconoscere una competenza.

La descrizione […] può avvenire attraverso la negoziazione tra un osservatore, un soggetto agente e gli appartenenti a una comunità di lavoro che si impegnano a comprendere e a condividere quali sono le competenze in uso. Per osservatore si intende colui che possiede un punto di vista e una capacità tali da potergli permettere di riconoscere e descrivere una competenza: può essere un ricercatore impegnato nell’analisi e nell’intervento in un’organizzazione attraverso l’approccio per competenze, ma in senso ampio anche un capo del personale o un capo gerarchico con una responsabilità diretta verso i collaboratori (ivi, p. 82).

Assume quindi un ruolo fondamentale colui al quale è demandato il compito di riconoscere la competenza; questi dà vita (partecipandovi) ad una relazione dalla quale, attraverso la negoziazione, la competenza emergerà. La stessa verrà restituita attraverso la descrizione. Costui dovrà avere l’esperienza necessaria che gli permetterà da un lato di riconoscere la competenza, dall’altro di descriverla e restituirla al soggetto attraverso la riflessione:

l’individuazione delle competenze avviene attraverso la negoziazione tra un osservatore, che presenta le sue evidenze osservate e ascoltate, un soggetto e una comunità di lavoro che può riconoscersi o meno nella rappresentazione fatta. La restituzione riguarda una descrizione che è assolutamente parziale, che si presta ad essere negoziata e soprattutto integrata attraverso elementi che emergono dallo scambio. Attraverso la restituzione è possibile che il soggetto, mentre riconosce le competenze agite, integri le descrizioni fatte mediante un’attività di riflessione con l’osservatore. Da questa negoziazione emerge ciò che la competenza è, e che continua a divenire (ivi, p. 96).

Da quanto appena detto emerge l’enorme responsabilità del capo (o chi per lui) in tale processo di riconoscimento; è grazie a costui e alla relazione che questi instaura con il lavoratore osservato che la competenza acquisisce visibilità e valore. «Il riconoscimento è […] connesso a una responsabilità reciproca. Colui che riconosce, media una responsabilità organizzativa: senza la sua azione la competenza non avrebbe nessuna attribuzione di valore» (ivi, p. 97).

La relazione proficua tra lavoratore e superiore (o altro soggetto incaricato) è ineludibile e si pone alla base di tutto il metodo di gestione per competenze proposto; senza tale relazione

120

fiduciaria questo non avrebbe possibilità di essere sviluppato: «il riconoscimento da parte dell’organizzazione passa attraverso un atto individuale senza il quale non ci sarebbe nessuna ricaduta in termini di condivisione organizzativa» (ibid).

Le applicazioni alle quali tale impostazione promette di dare seguito non possono prescindere da tale relazione, né da un continuo sforzo di riflessione sull’esperienza e comunicazione volti a far emergere le competenze:

la competenza emerge in una relazione di reciprocità nella quale modalità eterovalutative e autovalutative si rafforzano in una continua ricorsività. Riconoscere la matrice relazionale delle competenze […] comporta scelte capaci di sostenere il riconoscimento, ossia capaci di permettere un’elaborazione riflessiva delle esperienze. Tale elaborazione implica il sostegno di una dimensione autoriferita, attraverso la quale il soggetto è aiutato nella pratica riflessiva, e allo stesso tempo di una dimensione eteroriferita, che si concentra sulla cura dello scambio negoziale, cercando di giungere a consensi provvisori sul valore della competenza. […] Le competenze non sono oggetti posseduti da qualche individuo, in attesa di essere descritte e riconosciute: esse esistono nella relazione tra osservatore e osservato. […] La descrizione delle competenze non ha una sua consistenza autonoma ma vive del legame riflessivo con le pratiche da cui non può essere slegata, pena la perdita di significato (ivi, pp. 98-100). In tutto il percorso di costruzione delle competenze, la descrizione assume un valore fondamentale. «La descrizione svolge una funzione di mediazione tra osservatore e comunità di lavoro» (ivi, p. 100), orientando una più efficace gestione e sviluppo del personale. Tuttavia, per l’impostazione proposta, alla descrizione di una competenza non possono far seguito azioni prescrittive di gestione e sviluppo: come già ribadito, la descrizione non può coincidere con la competenza e per questo non può essere il principio di azioni rigorosamente pianificate di codifica e proceduralizzazione, ma piuttosto «di sostegno alla loro evoluzione, nella consapevolezza che l’esito non è decidibile o programmabile» (ivi, p. 101).

Nella prospettiva presentata, il lavoro con le competenze è caratterizzato dalla ricorsività tra descrizione, riconoscimento e formulazione di ipotesi progettuali: esso si propone come una sorta di piattaforma per la progettazione di azioni di gestione del personale quali la selezione, la formazione, lo sviluppo organizzativo, la valutazione (ivi, p. 104).