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Per quanto riguarda la composizione vera e propria di un ishigaki, erano molti gli elementi specifici che lo andavano a definire. La prima cosa da considerare erano i lavori di fondazione, e in base alla tipologia di terreno venivano adottate strategie

muro41; a Kanazawajō oltre ai kaiishi, per effettuare

degli aggiustamenti nella curvatura furono utilizzati anche dei morsetti in acciaio42. Alle spalle di neishi e

tsumiishi, a diretto contatto con il terrapieno, veniva

collocato uno strato spesso e compatto di piccole pietre, kuriishi o uragome 裏込, che servivano per sostenere l’ishigaki e per smaltire più facilmente l’acqua piovana. Per colmare invece i vuoti che si formavano tra una pietra e l’altra lungo il lato esposto delle mura venivano usati dei piccoli sassi chiamati

aiishi 間石43.

Un’attenzione particolare veniva sempre posta alla realizzazione degli angoli: anche quando le mura venivano realizzate con la tecnica ranseki-zumi, il metodo di assemblaggio più semplice, utilizzato fin dalle prime fortificazioni, la parte dell’angolo andava comunque ad assumere un ruolo molto importante44;

questa attenzione particolare si poteva notare dal fatto che nonostante tutte le altre pietre fossero grezze e completamente non lavorate, quelle utilizzate per gli angoli erano più grandi e rifinite e disposte in modo differente; questo serviva a garantire una maggiore stabilità all’intera struttura dell’ishigaki. A partire dal periodo Edo, insieme alla tecnica kirikomi-hagi si diffonde anche la tecnica definita sangi-zumi 算 木積; questa prevedeva l’utilizzo di pietre regolari, a forma di parallelepipedo, le cui facce risultavano perfettamente piatte e levigate e la cui lunghezza era

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39. MIURA, Samurai Castle, cit. pp. 18-19

40. YAMADA, The anatomy of castles, cit. pp. 273-275 41. MIURA, Samurai Castle, cit. pp. 18-19 42. HIRAI, The castles and castle towns, cit. p. 46 43. YAMADA, The anatomy of castles, cit. pp. 273-275 44. MOTOO, Japanese Castles, cit. p. 88

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diverse: solitamente nella costruzione di yamashiro e hirayamajiro il terreno risultava abbastanza compatto, per questo era sufficiente scavare una linea di trincea lungo la base delle mura, in cui posizionare le pietre di fondazione, neishi 根石, sopra le quali venivano poi impilate tutte le altre39;

nel caso di hirajiro invece, per prima cosa venivano posizionate, parallelamente alla base delle mura, delle grandi travi di pino, dougi 胴木, appoggiate sopra ad un’altra serie di travi in legno poste perpendicolarmente e tenute in posizione tramite dei pali, sempre di pino, conficcati nel terreno e chiamati

kui 杭40; anche in questo secondo caso la prime pietre

ad essere posizionate erano le neishi. La fondazione che utilizza il sistema di travi e pali in pino risultava in generale preferibile, perché aveva meno probabilità di collassare e garantiva un tasso di affossamento costante lungo tutta la lunghezza del muro, in modo da evitare problemi di sedimentazione. Al di sopra della fondazione venivano poi impilati strati di pietre dette tsumiishi 積石, che erano tenute in posizione tramite il contatto di una con l’altra; la sezione più interna di queste pietre risultava leggermente rastremata e permetteva di regolare il grado di curvatura delle mura, anche grazie all’utilizzo di piccoli sassi di varie dimensioni, kaiishi 飼石, che servivano a mantenere ben salde le tsumiishi e anche a riempire i vuoti presenti sul lato interno del

Le tre foto, che raffigurano rispettivamente i castelli di

Fukuoka, Marugame e Himeji,

pongono l'attenzione sulla tecnica utilizzata per realizzare l'angolo, sangi-zumi. Oltre alla disposizione delle pietre, a due a due perpendicolari tra loro, è interessante notare come l'angolo risulti risolto in modo preciso e ordinato anche in presenza della tecnica di posa

ranseki-zumi.

ISHIGAKI: LA

SOLUZIONE

DELL'ANGOLO

36 17-18-19

ISHIGAKI:

ŌGI NO KŌBAI

Le foto qui riportate mostrano degli ishigaki realizzati con metodologie completamente differenti l'una dall'altra.

Nella prima foto, in alto, è raffigurato il castello di

Marugame, in cui l'inclinazione

raggiunge gli 80°, per poi terminare con l'ultima porzione completamente in verticale. Nella seconda invece, a sinistra, è raffigurato il tenshudai del castello di Takashima, realizzato con un'inclinazione di 45° e con solo l'ultima pietra posta in verticale.

37 20-21

45. YAMADA, The anatomy of castles, cit. pp. 273-275 46. Ibidem, pp. 273-275

47. HIRAI, The castles and castle towns, cit. p. 50 48. Ibidem, p. 50

49. JAANUS <http://www.aisf.or.jp/~jaanus/deta/k/kirikomihagi.htm>

50. MIURA, Samurai Castle, cit. pp. 20-21 38

due o tre volte la dimensione del lato minore. Per formare l’angolo veniva posizionata la prima pietra,

sumiishi 隅石, e a fianco di quest’ultima, adiacente

al lato maggiore, era posta una seconda pietra di uguali dimensioni, chiamata sumiwakiishi 隅脇石

45. Successivamente venivano poi posizionate sopra

a queste ultime un’altra coppia di pietre adiacenti, perpendicolari però alle precedenti; in questo modo si procedeva fino alla cima dell’ishigaki, con pietre incuneate alternativamente da lati opposti, in modo da creare un incastro perfetto, come una cerniera lampo. È interessante notare che il nome attribuito a questa tecnica deriva da sangi 算木, il metodo di calcolo per mezzo di aste introdotto dalla Cina e utilizzato in Giappone a partire dal periodo Edo46.

Un’ultima caratteristica degli angoli è che a volte, quando facevano parte delle fondamenta di una struttura come il tenshu o una torretta, potevano risultare leggermente sporgenti rispetto alla linea delle mura nelle loro parte centrale, andando così a creare una curvatura ben visibile anche in pianta, che andava ad aggiungersi alla ben più visibile curvatura del profilo in sezione47.

Un aspetto particolare e caratterizzante degli ishigaki, che li distingue in modo netto dalle mura difensive occidentali, è sicuramente l’inclinazione. Si tratta di una peculiarità, presente sin dalle prima murature in pietra, che si presentava in diversi aspetti a

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seconda del sito e della struttura stessa del castello; le prime tecniche di costruzione infatti prevedevano un’inclinazione di 45° alla base, con solamente l’ultima pietra posizionata completamente in verticale; si trattava di una soluzione che poteva funzionare bene per altezze ridotte, e anche quando il terreno non era particolarmente stabile ed occorreva quindi allargare la base delle mura per ingrandire l’area di supporto48. Tecniche successive

prevedevano un’inclinazione di 50° alla base con solo il 20% superiore del muro disposto completamente in verticale, ed era la soluzione usuale per la tecnica

uchikomi-hagi, o anche un’inclinazione di 80° alla

base con il 25% superiore del muro completamente verticale, utilizzata per la tecnica kirikomi-hagi49.

Come regola generale possiamo notare che maggiore era l’altezza del muro, minore risultava il grado dell’inclinazione.

La necessità di creare queste curvature paraboliche, e in generale di progettare degli ishigaki dal profilo inclinato, deriva sicuramente dall’esigenza di garantire la resistenza delle mura stesse ai numerosi terremoti di varia intensità a cui sicuramente sarebbero stati sottoposti nel corso dei decenni50.

Grazie a questa tipologia di costruzione si potevano raggiungere altezze maggiori e in aggiunta risultavano impossibili da scalare per gli invasori, e per questo venivano definiti anche mushagaeshi 武者返 o

realizzati iniziarono ad essere principalmente

hirayamajiro e hirajiro. Da qui in avanti infatti, non

potendo più fare affidamento sulla protezione garantita dall’ambiente circostante, caratterizzato dall’inaccessibilità naturale delle montagne, diventava invece fondamentale il ruolo delle strutture difensive artificiali, come i fossati e gli ishigaki; questi ultimi in particolare cominciavano ad assumere delle dimensioni ragguardevoli, sempre più difficili da gestire, e un caso su tutti era sicuramente quello di Himejijō: il fossato che circondava l’honmaru raggiungeva da solo i 5 chilometri, con una superficie muraria di decine di migliaia di metri quadrati, ma comprendendo anche le mura che circondavano

ninomaru e sannomaru la superficie arrivava a

superare anche il centinaio di migliaia di metri quadrati53. Quando la scala delle mura raggiungeva

dei numeri così elevati era fondamentale pianificare con cura anche il trasporto del materiale, senza dimenticare l’ancora più importante ricerca di fonti da cui ricavare le risorse stesse.

Il trasporto fino al sito di costruzione delle varie pietre avveniva in modi diversi, a seconda delle loro dimensioni. Quelle più piccole venivano portate appese ad un palo appoggiato sulle spalle del lavoratore; quelle di dimensioni medie invece venivano posizionate su una carretta che solitamente veniva tirata da uno o due uomini, e nel caso di

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51. Ibidem, pp. 20-21

52. JAANUS <http://www.aisf.or.jp/~jaanus/deta/i/ishigaki.htm> 53. MOTOO, Japanese Castles, cit. p. 86

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IL REPERIMENTO E IL TRASPORTO