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Comprensione ed elaborazione degli obiettivi della proprietà

2.2 Aspetti relazionali, duciari ed obbligativi nel contesto italiano

2.2.2 Comprensione ed elaborazione degli obiettivi della proprietà

Un aspetto importante, spesso trascurato nella letteratura di corporate governance riguarda i reali propositi della compagine azionaria. Anche l'analisi n qui seguita,

improntata alla teoria dell'agenzia presuppone una condotta omogenea e economica- mente razionale della proprietà. La realtà ci parla invece di obiettivi diversicati tra gli stakeholders, non sempre concordati e da tutti conosciuti e condivisi. Risulta al- lora complesso per lo stesso amministratore delegato districarsi tra i diversi indirizzi e organizzare la propria strategia di gestione. L'entità n qui denita principale potrebbe essere in realtà, non un singolo soggetto, ma un insieme eterogeneo di azionisti. Diversi potrebbero essere anche gli obiettivi che li hanno spinti a investire in quell'organizzazione e le attese di ritorno economico, dato che alcuni mirano alla mera speculazione di breve termine, altri alla sostenibilità dell'azienda nel medio- lungo orizzonte. Ai ni del tema trattato, si rende necessaria un ulteriore distinzione tra società controllate da una famiglia rispetto a imprese con azionisti di blocco non familiari. Anche se non vengono mai meno problemi di arroccamento ed opportuni- smo, possono aversi atteggiamenti diversi nelle scelte di turnover se aggiungiamo la complessità delle relazioni personali.

La proprietà familiare tende ad avere scopi di natura non solo economica, in particolare presta attenzione ad aspetti socio emozionale legati all'attività, anche a discapito della dimensione economico-nanziaria. Si intono priorità quali la qualità del prodotto, l'immagine aziendale, il mantenimento dell'attività sotto il control- lo familiare, la stabilità economica e la possibilità di inserire collaboratori per via parentale. Ove si privilegino questi aspetti non può che instaurarsi una relazio- ne proprietà-manager fatta di lealtà reciproca e continuità direzionale. Il tessuto industriale italiano fatto di realtà medio-piccole non può che nire per slegare la retribuzione e la stabilità del ruolo manageriale dalla sua performance. La proprie- tà diusa ed ancor più l'azionariato istituzionale sollecita invece risultati di ordine economico-nanziario con orizzonte di breve periodo, se non quasi speculativi. Azio- nisti non familiari come banche ed assicurazioni, avendo nalità meno rischiose, non traggono di certo godimento dal carattere socio emozionale del possesso. Questo è un tipo di ricompensa attinente alla sfera personale ma dato che il possesso si ma- nifesta generalmente come coalizione di un gruppo eterogeneo di soggetti (ciascuno con il proprio scopo e proprio livello di competenze) gli indicatori su cui il manager organizza il proprio operato sono economico nanziari. Dunque il singolo azioni- sta può essere portatore di aspettative istintive ma la valutazione del CEO fatta dalla complesso sarà necessariamente economica. E' lo stesso principio che spinge l'azionariato diuso al monitoraggio passivo, di cui sopra. All'opposto i blockholders familiari sono controllori attivi che raccolgono informazioni, riducono le asimmetrie e promuovono valutazione nanche soggettive del dipendente. Controllo familiare che si compone di diversi gradi di inuenza, massima con la partecipazione dei membri

di famiglia nei ruoli attivi della gestione, dagli organi di governo a quelli di controllo. Altro fattore rilevante nel determinare il livello di ingerenza della proprietà sulla condotta manageriale, e in tal modo sulla capacità di rispettare gli obiettivi concordati, è la dispersione dell'azionariato. L'evidenza mostra come con il procede- re delle generazioni e del numero di parenti coinvolti nell'attività, si corra via via il rischio di vedere sorgere fazioni e conittualità. Ogni soggetto esprime una diversa propensione al rischio ed all'investimento e l'eterogeneità degli atteggiamenti impat- ta con la rapidità delle decisioni. Il manager, quand'anche retribuito con compensi di produttività e quindi allineato agli interessi della proprietà, si vede costretto a mediare tra obiettivi di business di lungo termine ed altri attenti al dividendo di breve termine. Dal lato della proprietà si riduce l'ecacia del monitoraggio che non poggia su basi condivise e potrebbe dare spazio a comportamenti opportunistici dei manager meno attenti alla sana e prudente gestione. Vengono meno lealtà, identi- cazione ed attaccamento all'impresa. Si abbandonano meccanismi di controllo attivi per abbracciare forme di tutela passive, utilizzando la minaccia di sostituzione del top management per disciplinarlo. Con la deriva generazionale l'azienda si avvicina ai capitali frazionati nelle quali l'avvicendamento dell'a.d. in seguito a performance negative è più diuso.

Ultimo aspetto che motiva il management e aevolisce il rischio di comporta- menti quali l'earnings management è la partecipazione della famiglia al consiglio di amministrazione. Il loro lavoro in prima persona stimola gli amministratori sia in termini di tempo dedicato all'attività, sia in termini di snellezza delle decisioni. I consiglieri familiari sono spinti a contribuire ecacemente all'attività consiliare sia perché sono proprietari della società ed hanno forti incentivi economici, sia perché sperimentato un ottica di lungo periodo. Dipendenti legati all'azienda da rapporti parentali, seppur spesso privi di un'adeguata preparazione scolastica, godono di una profonda conoscenza del business e ciò gli consente di giudicare in profondità l'a.d. Si creano inoltre una serie di regole comportamentali, non scritte, di buon senso ed orientamento all'impegno. Si può concludere allora che all'aumentare dei consiglieri familiari diminuisce drasticamente la probabilità di licenziare il management a segui- to di performance negative, creandosi i presupposti per un monitoraggio attivo del loro operato. Questo tanto nella public company, quanto nella società per azioni con assetto proprietario concentrato, soprattutto ove i soci attivisti vengano meno allo stato di passività che solitamente caratterizza l'investimento, ossia lo stato di c.d. apatia razionale indotto dal non avere a disposizione delle informazioni adeguate ad evitare che la gestione manageriale sia indirizzata verso il perseguimento di interessi diversi da quelli riconducibili alla collettività dei soci. Ed ancora ove di vi siano le

risorse o gli incentivi adeguati a porre rimedio alla situazione di cosiddetta asimme- tria informativa, dal momento che tale rimedio nirebbe per premiare anche i soci che non vi abbiano appunto contribuito (c.d. collective action problem). In questo senso, l'attivismo porta al superamento dell'apatia razionale dei soci sulla base di una valutazione di convenienza, anch'essa perfettamente razionale, secondo cui il sacricio sostenuto per disciplinare gli amministratori risulti più che compensato dal benecio generalizzato dalla minimizzazione dei c.d. costi di agenzia32.

32Il tema si può approfondire tra gli altri in M. EREDE e G. SANDRELLE (2013), Attivismo

Capitolo 3

I piani di stock option

3.1 Le forme della retribuzione incentivante