1.4 Il modello partecipativo tedesco
2.1.2 I costi di agenzia Le teorie del Managerial power e dell'Opti-
Il Total Reward ed i piani di retribuzione della produttività costituiscono, si è già det- to, una essenziale leva motivazionale propizia a costruire una organizzazione orien- tata alla creazione di valore e allo sviluppo sostenibile nel lungo periodo. Una loro errata progettazione può dare risultati lontani dalle attese sia in termini di ecacia (bassa leva motivazionale per il management), sia in termini di ecienza (spreco di risorse monetarie) ed, ancora, accentuare il prolo di rischio aziendale. Per scongiu- rare tali errori si devono cogliere le logiche sottostanti al loro utilizzo e le storture indotte dal loro impiego.
Una delle questioni più lampanti è il livello raggiunto dalle retribuzioni del top management di grandi imprese, in alcuni casi nazionali, spesso pubbliche, agli occhi dell'opinione pubblica eccessivo. Appare così lontano dalla realtà odierna il pensie- ro di Adriano Olivetti, imprenditore illuminato che ha fatto la storia dell'industria italiana, secondo il quale nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve gua- dagnare più di dieci volte l'ammontare del salario minino. Un pensiero nobile, così come il suo personalissimo concetto di fabbrica-comunità, di cui non si può non tenere conto perché utopistico o irrealizzabile. L'applicazione pratica di una simile regola morale avrebbe potuto segnare, per alcuni, la ne di larga parte delle ingiustizie socio economiche che marcano la nostra società. Sulla piena bontà del sogno ideologico di Olivetti sorgono comunque dei dubbi. Vivere in una società nel- la quale non si possa guadagnare più di 10 volte il salario minimo sarebbe davvero auspicabile? Riettendo, forse si porrebbero le basi per una società di eguali, senza ingiustizie e con maggiore dignità ma si toglierebbe inevitabilmente spazio al sogno, all'inventiva, alla genialità straordinaria che contraddistingue il nostro paese e che per tale via abiterebbe, ancor meno, nella meritocrazia. Detto questo è palese che alcuni manager guadagnino decisamente troppo, soprattutto alla luce dei risulta- ti conseguiti nelle loro gestioni e se ne sono resi conto anche gli imprenditori che chiedono maggiore trasparenza, condivisione e austerità. Il 90% dei proprietari di piccole e medie imprese italiane intervistati nel 2012 nell'ambito del Grant Thornton International Business Report riteneva eccessivamente elevato il compenso del ma- nagement delle grandi società quotate. La crisi nanziaria ha acuito le perplessità verso sistemi premianti che, trascurando il criterio della qualità dei risultati, hanno spinto alcuni ad estremizzare che fossero un danno potenziale per l'economia reale.
gestione teorizzato negli anni '30 da A.A. Berle e G.C. Means6, e sono stati criticati
tutti quegli strumenti di controllo che avrebbero dovuto allineare gli interessi dei dipendenti a quello degli azionisti. La retribuzione media dell'amministratore dele- gato delle prime 500 società americane oggi supera di 400 volte il compenso medio percepito da un salariato della stessa azienda. Volendo fare un esempio eclatante, Charif Souki, Chairman, Presidente e CEO di Cheniere Energy ha percepito nel corso del 2015 la cifra record di 141.949.280 dollari. Il suo stipendio base, tuttavia, è inferiore al milione di dollari e il dato è stato raggiunto tra bonus in denaro e azioni dell'azienda in suo possesso che sono aumentate vertiginosamente grazie alla leadership del suo dirigente. Al cospetto di questi valori viene da domandarci se non vi debba essere spazio per la moralità nell'attribuzione del compenso. A mio avviso no. Il valore assoluto, per quanto impressionante possa essere, deve essere determinato dal mercato e la regola morale deve semmai esserci nelle modalità con cui i risultati sono raggiunti e, soprattutto, in favore di chi si riverberano.
Da quanto emerso dal Grant Thornton International Business Report nel nostro Paese la percentuale degli scontenti è maggiore della media mondiale, con oltre il 60% dei 12mila intervistati a livello globale. In Italia il ragionamento dovrebbe essere però improntato in modo diverso. Se il rapporto stipendio manager-salariato resta comunque elevatissimo, con i primi 50 stipendi dei top manager di Piazza Aari che complessivamente sfondano la soglia dei 150 milioni di euro, ciò che deve far riettere è il fatto che la metà, o quasi, di essi sono azionisti di controllo delle società che amministrano, o loro familiari. Si spiega così che l'84% degli interrogati sostenga che i ruoli di amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione dovrebbero essere destinati a persone diverse per accordare un controllo maggiore e quasi l'80% vorrebbe essere maggiormente coinvolto nella determinazione delle politiche di remunerazione di dirigenti di alto livello. Scontato dunque che il valore meritocratico della ricerca sia invece sensibilmente inferiore nel nostro Paese rispetto al dato globale, con solamente il 68% delle attività italiane (90% è la media globale) che propende per compensi del management legati al raggiungimento di prestabilite performance.
Sia che il rapporto si instauri tra proprietario azionista di controllo ed azioni- sti o tra management ed azionisti si presuppone l'esistenza di un accordo che per l'economia dei contratti è di natura incompleta e può dare origine a comportamen- ti opportunistici dei rappresentanti. Come si è detto in precedenza sono condotte spiegabili con la teoria dell'agenzia nella quali il principale cerca di indurre l'agente
6A.A. BERLE e G.C. MEANS (1932), The Modern Corporation and Priate Property,
a comportamenti ecienti elargendo determinati incentivi. Gli incentivi sono tanto maggiori quanto più la remunerazione dell'agente è correlata al raggiungimento degli obiettivi, ma se essi sono inuenzati da variabili aleatorie si ha che il principale sop- porti gran parte del rischio del contratto. Quanto più alta è l'avversione al rischio dell'agente e la dipendenza da fattori aleatori, tanto meno il compenso dovrebbe essere legato alla performance. Le azioni della governance inuenzano i risultati societari e quindi il tornaconto degli azionisti, ma la relazione non è deterministica, ha natura casuale o stocastica. Se così non fosse i problemi di agenzia sarebbero fa- cilmente risolvibili. La soggezione all'andamento della domanda, al comportamento dei concorrenti etc. garantiscono un vantaggio informativo all'agente che generano selezione avversa e moral hazard.
Di particolare interesse sul punto è lo studio di Jensen, Murphy e Wruck 7 che
hanno dato il via alla ranata teoria nota come managerial power approach. Essa fornisce una nuova visione del collegamento intercorrente tra problemi di agenzia e modelli incentivanti, in netta contrapposizione all' optimal contracting approach. Senza la pretesa di essere esaustivi sul confronto esistente in dottrina, le caratteristi- che fondamentali delle due teorie sono le seguenti. Secondo la teoria più tradizionale, l'optimal contracting approach, si attribuisce al compenso di produttività dei mana- ger il ruolo di soluzione, quantunque parziale, ai problemi di selezione avversa ed azzardo morale. In questi termini spetta al compensation consultant gestire tale leva in modo che l'obiettivo del management diventi la massimizzazione del valore per gli azionisti. X. Gabaix e A. Landier sostengono che l'esperienza empirica dimostre- rebbe che l'aumento del livello retributivo è dovuto all'incremento del valore delle società gestite e non ulteriore fonte di costi di agenzia8. Unica pecca del sistema
sarebbe rappresentata dal fatto che, a causa delle implicazioni etiche connesse alla elargizione di compensi eccessivamente elevati, i sistemi di remunerazione e incenti- vazione non sarebbe sucientemente ecaci. Gli stessi Jensen e Murphy, tuttavia, ammettono che le evidenze hanno modicato la loro convinzione originaria secon- do la quale un livello di remunerazione dei CEO abbastanza elevata non avrebbe comunque attratto gli individui più brillanti9.
Totalmente opposta la visione del managerial power approach secondo la quale il compenso monetario variabile dell'agente non è da considerarsi come tutela al
7M.C. JENSEN, K.J. MURPHY, E. WRUCK (2004), Remuneration: Where We've Been, How
We Got to Here. What are the Problems, and How to Fix Them, in ECGI - Finance Working Paper, n. 44.
8X. GABAIX e A. LANDIER (2006), Why has CEO Pay Icreased So Much?, consultabile al
sito htttp://ssrn.com/abstract=901826,2.
9M.C. JENSEN e K.J. MURPHY (1990),CEO Incentives: It's not How Much You Pay, but
problema di agenzia, ma semmai come parte del problema stesso10. Secondo questa
teoria i modelli premianti la produttività sono plasmati sia dal mercato che tende ad ottimizzarli, sia da ingerenze manageriali, volte all'ottenimento di beneci anche a discapito delle aspettative degli azionisti. L'inecienza che accomuna i mercati del capitale e del lavoro circa l'eettiva possibilità di imporre vincoli e restrizioni (in particolare a livello dirigenziale) costituisce una ragione di opportunismo per la governace aziendale. I manager sarebbero indotti dal ricorso a stock option e mec- canismi similari a condizionare l'operato dell'intero consiglio di amministrazione, dei membri dei comitati e degli azionisti in genere ottenendo elargizioni sempre meno trasparenti e più svincolate dalla performance eettiva. Maggiore è il potere mana- geriale, maggiore sarà la capacità di attuare comportamenti di rent-seeking. Questo uso improprio, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha condotto a valori limite ove la quota ssa dello stipendio dei boss aziendali rappresenta spesso solamente una frazione minoritaria della Total Compensation11.