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La comunicazione, lo spazio e il senso: esperienze dal laboratorio Le stanze

Etnografia dietro le quinte: l'analisi dei case studies

4.1 Il Teatro del Lemming

4.1.2 La comunicazione, lo spazio e il senso: esperienze dal laboratorio Le stanze

di Amleto

Quando inoltrai la richiesta di partecipazione al primo laboratorio di Munaro nell'Aprile 2010 presso la direzione artistica del Piccolo Teatro Unical che ne costituiva la struttura ospitante, inviai il mio curriculum artistico e non il curriculum studiorum certa che questo avrebbe facilitato il mio accesso al campo, avendo già io numerose esperienze teatrali alle spalle, optai quindi per una osservazione coperta. Successivamente, ad un giorno e mezzo di intensa attività laboratoriale quando mi capitò finalmente l'occasione di rimanere da sola con lui per una ventina di minuti durante la pausa pranzo, svelai solo al regista del Lemming di essere lì per voler

168 andare oltre il training di introduzione al suo metodo di lavoro come semplice praticante e appassionata di recitazione e di essermi posta l'obiettivo di vivere e osservare ciò che mi accadeva intorno, ai fini della mia ricerca di dottorato in Sociologia. Gli parlai in modo molto generale, che ero interessata al legame tra la mia disciplina di studio e le pratiche del teatro messe in forma attraverso le opere di giovani e sperimentali compagnie. A quel tempo non avevo ancora contezza del percorso che avrebbe preso il mio lavoro. Lui rimase piacevolmente incuriosito e in quella occasione parlammo delle nostre esperienze di lettura di Goffman, parlammo di ruoli, di senso comune e, ovviamente, di teatro.

Al laboratorio erano ammessi studenti del DAMS, poiché a loro era principalmente rivolta l'adesione, ragazzi provenienti dalle varie compagnie teatrali che insistono sul territorio calabrese ma anche a persone, quattro per l'esattezza, alla loro prima "prova" drammatica purché fortemente motivate a lanciarsi in questa esperienza; per un totale di 30 persone in tutto.

Il laboratorio aveva una durata di 25 ore distribuite in quattro intensi giorni di lavoro e aveva per titolo Le stanze di Amleto: i cinque sensi dell'attore il che lo descriveva come un tipo di training teatrale dal carattere fortemente simbolico e lo si poteva inoltre dedurre dalle premesse che precedevano gli esercizi e ogni improvvisazione. L'intima atmosfera di un cerchio iniziale con tutti i partecipanti sul palcoscenico alla luce soffusa dei pc-theatre21 e a platea in buio ci ha lentamente introdotti nel mondo

del mito di Amleto, un mondo relativamente lontano dal suo ruolo pubblico di principe di Danimarca, concentrato in primis sul privato delle sue relazioni sociali ed affettive, sulle forti discrasie tra il suo bisogno di solitudine e il suo bisogno di relazione.

La comunicazione che si realizza all'interno degli esercizi del Lemming si basano su un forte utilizzo del linguaggio mitico per facilitare l'incontro con l'altro, all'interno di una cornice extraquotidiana quale può essere quella di un teatro o quella di una stanza buia illuminata solo da candele. Questo ricorso rimanda all'importanza che il mito ha per la società, sin dai tempi dei culti primitivi e per la funzione comunicativa ad esso attribuita dalla tragedia. Da un lato la forza che il mito possiede nel mantenimento dell'ordine sociale come espressione dei dettami della tradizione ne fa il "modello retrospettivo di valori sociali" ma dall'altro il cambiamento dei contenuti

169 di ciascun mito varia in dipendenza della collocazione sociale del suo narratore e del suo contesto, per cui svolge la propria funzione lì dove si determinano forti tensioni e mutamenti profondi dell'ordine sociale (cfr. Malinowski 1922).

Dai tempi della sua nascita la tragedia ha fatto del materiale mitico occasione di riflessione sui conflitti di carattere etico e morale affrontando attraverso di esso le più annose questioni che riguardavano la società cui si riferiva, un po' come fosse metafora del presente in quanto patrimonio comune di tutta la grecità e quindi costituivo di una memoria collettiva per tutti, in altre parole, ha attribuito ad esso una funzione sociale.

L'importanza del mito non risiede unicamente in ciò che esso racconta ma in ciò che intende comunicare mediante ciò che esso racconta. Con la tragedia greca, e tutte le sue successive rivisitazioni, alla funzione comunicativa del mezzo teatrale si aggiunge quella del mito che si occupa del sociale, della politica, della religione, delle relazioni, dell'etica e in essa non ha mai una assunto una funzione ludica ma sempre comunicativa trasmettendo valori reali e problematizzando la società affrontando i profondi dilemmi che attraversavano il concetto di giustizia (Jellamo, 2011) e, sopratutto, comunicando al pubblico non la narrazione ma piuttosto servendosi di essa per comunicare. Il teatro della tragedia greca parlava attraverso il mito ma non lo raccontava, lo rivestiva di significato, lo rielaborava, lo arricchiva di nuovi significati. L'opera di Munaro, proprio perché provocatoria nel senso del voler suscitare di proposito delle reazioni fuori dagli spettri di quelle quotidiane, attraversa le tre dimensioni dell'interazione, ovvero la comunicazione, lo spazio e il senso dell'azione, con il coinvolgimento dello spettatore e dell'attore in un intenso riferimento al mito proprio della sua concezione ritualistica dell'incontro teatrale. Questa matrice socio-antropologica unita alla visione di un teatro politico, nell'accezione artaudiana di un teatro capace di mostrare i conflitti e di parlare alla coscienza dello spettatore, fa vivere nel rito teatrale riproposto dal Lemming, che in alcuni esercizi e spettacoli per la loro efficacia è del tutto paragonabile ad un vero e proprio rito religioso, quella comunione profonda tra celebranti e adepti. È questa comunione che lascia emergere chiara la natura sociale dell'uomo e al contempo la sua più intima individualità:

l’uomo è duplice. In lui vi sono due esseri: un essere individuale che ha la sua base nell’organismo, e il cui ambito d’azione risulta quindi strettamente

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limitato, e un essere sociale che rappresenta in noi, nell’ordine intellettuale e morale, la realtà più alta che possiamo conoscere mediante l’osservazione, cioè la società (Durkheim, 1912, trad. it. 1963, p.18).

Come teorizzato da Schechner lo studio delle performance (teatro, danza, e altre forme d'arte) come un genere di interazione personale e sociale presuppone il concetto di actual, un recupero delle esperienze passate che le società post-moderne attuano nelle loro pratiche sociali tra cui le forme artistiche della performance e in cui l'archetipo del mito si fa mezzo comunicativo di un rito quasi religioso. Nota lo studioso Fabrizio Deriu che, infatti, l'actual è una nozione chiave perché si specifica come quella forma di attività performativa che «attualizza alcune proprietà del rito rimanendo però concretamente manifestazione della società postindustriale» (F. Deriu, 1988). Ne Le stanze di Amleto e in generale in tutta la produzione del Lemming, il mito e il teatro si propongono insieme come linguaggio e modalità dell'esperienza che si lascia fruire in uno spazio spoglio, che accoglie l'incontro e che si fa luogo di neutralità perché privato di ogni orpello scenografico e di ogni connotazione politica: soddisfatto solo dalla ridondanza dell'informazione contenuta nella struttura mitica stessa restituisce l'essenzialità della relazione con l'altro.

Dopo sussurrate, timide presentazioni individuali in cui ciascuno diceva il proprio nome, quello dei propri genitori e raccontava brevemente la storia della scelta del nome che gli era stato donato alla nascita, qualora ne fosse a conoscenza, siamo stati divisi in coppie e invitati ad esplorare una dimensione fisica della relazione con l'altro nella mitica diade Ofelia-Amleto. Un attore impersonava il principe e l'altro la bella figlia di Polonio, non importava che l'uno sapesse esplicitamente del ruolo scelto dall'altro né se entrambi gli attori appartenessero allo stesso sesso - il mito ha sempre una dimensione transpersonale -. Senza scambiarsi una parola, dopo l'introduzione di Massimo Munaro all'attività, la magia aveva preso inizio nel silenzio del teatro vuoto al solo suono di una canzone dal ritmo lento, una ballata. Il tema dell'esercizio vedeva Ofelia risvegliare il corpo dell'amato dal torpore di un lungo sonno in un tempo assai precedente ai funesti eventi che li avrebbero coinvolti. Amleto in piedi ad occhi chiusi riceveva il dolce massaggio di lei. Il risveglio partiva dalle dita dei piedi e proseguiva dalle caviglie lungo le gambe fino ai fianchi e al tronco e poi dalle dita delle mani alle braccia, alle spalle fin su la testa attraverso un lieve massaggio volto a sciogliere ogni tensione muscolare, nel

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gesto d'amore di prendersi cura del corpo altrui e delle sue fatiche e fragilità. Quando il primo attore aveva terminato la propria azione sul compagno poteva dargli il cambio e porsi nella condizione di ricevere a sua volta le attenzioni altrui. L'esercizio in sé, nella sua pratica, fa parte delle tecniche di warm-up.22

Verso la fine, io e la mia Ofelia abbiamo iniziato a muoverci insieme nello spazio, ad esplorarlo stretti come in una danza che diventava sempre più vivace. Quando ho riaperto le palpebre e mi sono risvegliata anche le altre coppie ballavano a ritmo di musica, chi ad occhi aperti e chi trasportato dalle mani del partner. Due perfetti sconosciuti stavano comunicando, stavano interagendo senza bisogno di alcun convenevole per avviare la conversazione, erano i corpi che dialogavano tra loro.

Al contrario delle altre volte che ho eseguito e visto eseguire questa tecnica ho notato che l'inserimento dell'azione all'interno del tema drammaturgico del mito di Amleto ha contribuito a diminuire l'imbarazzo dell'incontro con l'altro nell'approccio intimo e tattile al suo corpo, in una relazione di prossimità quasi terapeutica per entrambi. A questo proposito mi è venuto in mente il metodo Resseguier23 (Rende 27 aprile, 2010, laboratorio Le Stanze di Almleto a cura di

Massimo Munaro, note dal diario etnografico).

Nell'interazione faccia a faccia la comunicazione è resa fluida dai ruoli ricoperti dai soggetti che la realizzano e ogni azione è collocata all'interno del contesto di senso che la connota come situazione definita dal gioco delle parti. Il cliente di una banca, ad esempio, consegnerà il proprio danaro all'impiegato di turno allo sportello certo che questi non fuggirà via con i soldi per la funzione e la responsabilità che esso ha nei confronti dell'istituzione bancaria di cui è dipendente. Nel caso specifico

22 Esercizi di riscaldamento fisico che precedono ogni tipo attività che prevede il movimento e

l'uso del corpo e servono a prevenire strappi muscolari e a sciogliere eventuali contrazioni.

23 Il Metodo Resseguier, teorizzato dal fisioterapista francese Jean Paul Resseguier nel 1986, è una nuova tecnica di umanizzazione, un insieme strutturato di pratiche che, attingendo da varie discipline come la psicologia, pedagogia, filosofia, specialità mediche e pratiche della medicina orientale, si prefigge il ripristino "dell'integrità funzionale" della situazione o della persona. Esso si occupa dell'attitudine che un individuo assume durante lo svolgimento delle proprie attività anche in funzione della relazione con l’altro, chiamata anche “postura d’accompagnamento”. «Essa è il tono silenzioso e preciso del nostro posizionamento, uno stato d’essere chiaro e distinto,di vera disponibilità ad agire acquisendo un contatto diretto e attento con la situazione nella quale ci si trova» (Resseguier, 1986). Questo tipo di attitudine implica uno stato attivo dell’attenzione per la quale la presenza-partecipazione di chi accompagna diventa costante, assoluta e diffusa per permettere sia all'incontro che all'altro di vivere pienamente il momento. In questo modo si possono dinamizzare gli innati meccanismi omeostatici che generano una spontaneo sensazione di maggior autonomia dell'individuo e la possibilità di vivere il contesto relazionale in maniera più partecipativa.

172 dell'allenamento teatrale il soggetto sa che il partner gli sta prendendo la mano non perché innamorato ma perché al suo pari è un attore chiamato a svolgere il proprio lavoro. Tuttavia, in questa situazione il ruolo viene rafforzato dalla figura del mito che assolve al compito di una sollecitazione liberatoria, come ha più volte detto Barthes, il mito come metalinguaggio lascia che sia il significante a veicolare un altro significato.

La figura di Amleto si riflette, quindi, su due livelli dell'interazione che si compenetrano sostenendosi reciprocamente: un primo livello in cui esso costituisce la parte dell'attore che pone in essere l'azione nell'interpretazione del suo personaggio e un secondo livello in cui in virtù della forza mitica che porta con sé rende ancora più naturale l'interazione tra l'attore e il suo partner. I riti teatrali, come i riti religiosi, di fatti «costituiscono modi di agire che sorgono in mezzo a gruppi costituiti e sono destinati a suscitare, a mantenere o a riprodurre certi stati mentali di questi gruppi» (Durkheim, 1912, trad. it. 1963, p.11).

Seppure con le dovute precauzioni mi sembra si possa proporre un paragone con la comunicazione mediata dal computer (Cmc). Guardando agli effetti, e non al modus comunicandi o tanto meno al mezzo utilizzato, è come se la comunicazione mediata dal linguaggio mitico all'interno del contesto teatrale favorisca un ulteriore allentamento dei freni inibitori che consente un contatto profondo con l'altro, sconosciuto, e che permette di compiere azioni che nel quotidiano si realizzerebbero soltanto ad un certo grado di conoscenza reciproca dei soggetti, come l'accarezzarsi, l'abbracciarsi, il prendersi la mano e danzare insieme.

Nessuno, se ci si pensa, accetterebbe mai di trovarsi solo, bendato, sdraiato su un materasso e di venire accarezzato da numerose persone sconosciute e di sessualità incerta senza provare sgomento di fronte all'abbattimento di un ancestrale tabù. La distanza che caratterizza, nella nostra cultura, il rapporto fra attori e spettatori, e più in generale il rapporto fra persone estranee, viene fatalmente abolita. (Munaro, 2010, p.29).

Come nel caso della banca così in quello tra i due attori coinvolti in una improvvisazione teatrale, gli individui si aspettano dall'altro azioni coerenti con il loro ruolo e coerenti rispetto alla circostanza, in una reciprocità di prospettive che è un atteggiamento naturale della vita quotidiana: entrambi hanno fiducia che l'altro porterà a termine il suo compito "normalmente". È per questo che ogni gruppo,

173 comunità o compagnia di teatro costruisce sé stessa a partire da una serie di esercizi volti a creare un forte legame di fiducia tra membri che la compongono. Proprio come quando un cliente lascia il proprio denaro all'impiegato di banca così un attore deve fidarsi del fatto che uno spettatore non salirà sul palco per recitare un pezzo del copione di un altro spettacolo o che sulla scena il proprio compagno non dirà battute che non spettano al proprio personaggio: egli dovrà fidarsi e lasciarsi cadere di spalle dall'alto di un tavolo verso terra sicuro che verrà afferrato dai suoi compagni.

Le regolarità comportamentali dei detentori di ruolo fanno sì che il senso attribuito dagli altri alle loro azioni sia inserito in una "percepita normalità"24 insita negli eventi standardizzati, tipici, continui, riproducibili delle strutture sociali e delle istituzioni. L'etnometodologia si concentra sugli eventi percepiti come "privi di senso", atipici, arbitrari quelli che generano smarrimento, incertezza, ansia, incongruenza.

Nella società così come avviene in un gruppo i ruoli vengono ricoperti all'interno di sistemi normativi e di regole che li organizzano e disciplinano, governati da codici di riferimento fissi (frames) i quali determinano attese sul comportamento altrui. Le regole di qual si voglia gioco a determinare i comportamenti di gioco. Così come in varie situazioni di gioco o nel sognare, o addirittura nel teorizzare scientifico, così anche nel gioco teatrale e nella rappresentazione di una scena sul palcoscenico (cfr. Garfinkel, 1963) regole troppo ambigue, set di ruoli in conflitto o conflitti tra persone che ricoprono lo stesso ruolo (cfr. Merton, 1968) interrompono il flusso continuo della comunicazione normale. Quando questo avviene subito i giocatori tentano di accordarsi tentando di ripristinare la "normalità" e di superare l'impasse (cfr. Goffman, 1974). Se l'ambiguità consente però al giocatore di trovare ugualmente un senso da attribuire alle azioni, come nel caso in cui egli considera tutto uno scherzo, e di attingere ad una gamma di possibilità per far fronte alla circostanza, diverso è il caso, invece, di una condizione priva di senso nel campo degli eventi perché nonostante la tendenza a dare una spiegazione logica a ciò che appare fuori luogo o addirittura incomprensibile, il soggetto è incapace di vedere alternative di comportamento tra cui scegliere. Quando non è la regola ma l'intero set di gioco che

24 Con percepita normalità degli eventi Harold Garfinkel si riferisce «ai caratteri percepiti come for- mali che gli eventi dell'ambiente assumono per il soggetto in quanto: istanze di una classe di even- ti, la tipicità, “possibilità” di realizzazione, la probabilità, la comparabilità con eventi passati e fu- turi; condizioni del loro accadere, le relazioni causali; collocazione di un insieme di relazioni mezz-fini, l'efficacia strumentale, necessità rispetto ad un ordine naturale o morale, la necessità morale» (Garfinkel, 1963, p.45)

174 viene disatteso quando, in altre parole, l'intero codice muta, ci si trova dinanzi alla incapacità di afferrare il senso delle cose e le reazioni possono essere tra le più critiche e disparate. C'è chi persevera nell'utilizzo del vecchio codice ostentandone le regole, chi abbandona il vecchio senza decidere di optare per uno alternativo e chi lascia l'ordine precedente in favore di uno nuovo. Garfinkel e i suoi allievi, sperimentatori, condussero questa indagine sui giocatori di tris giungendo alla conclusione che il rifiuto di regole alternative si esprime con un disturbo maggiore rispetto a quello di chi decide di aderire ad un cambio di paradigma. Questa asserzione può essere applicata anche alle reazioni degli spettatori agli stimoli proposti dagli attori del Lemming, con una fondamentale distinzione tra le reazioni di un attore nel gruppo degli attori all'interno del laboratorio (attore/spettatore) e quelle dello spettatore membro esterno al gruppo già costituito rappresentato dalla compagnia degli attori come avviene nell'Edipo. In questo caso essi agiscono su di lui e lo guidano verso il nuovo ordine di distribuzione delle parti che lo vede partecipe dell'azione scenica (spettatore/attore) e non passivo osservatore come nel vecchio codice. Sia nel caso in cui l'attore teatrale si trovi a subire l'azione da parte dei suoi colleghi e compagni all'interno di una prova sia nel caso in cui essa provenga da uno spettatore chiamato ad interagire, per lui il codice di gioco resterà lo stesso: lo spettacolo, anche se interattivo, ha un tema, dei quadri da sviluppare e lui ha la sua parte in quanto interprete; una parte che affronta preparato qual è, in quanto professionista dell'improvvisazione teatrale, anche dinanzi all'imprevisto generato da chi ha reagito male al capovolgimento dei ruoli. Per lo spettatore, nonché per l'attore poco esperto, impreparato, alle sue prime esperienze di interazione, il discorso cambia. Mutando la regolarità prevista dal comportamento dello spettatore e mutato l'ambiente in cui avviene la relazione (non solo perché la location non è quella teatrale ma uno spazio teatralizzato ma anche perché nella circostanza dell'essere bendato, come nel caso di Edipo, l'ambiente è privato di quella parte osservabile delle sue connotazioni fisiche), lo spettatore “perde di vista” il set di regole fisse del gioco proposto storicamente dalla quarta parete. In altre parole lo sperimentatore o sollecitatore sa che le regole del gioco cambieranno perché è egli stesso a cambiarle, mentre lo spettatore o l'attore profano vive il venir meno delle aspettative sul comportamento altrui: un tradimento della fiducia.

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I lavori del terzo giorno sono iniziati, come sempre, dal warm-up. Questa volta né Amleto né Ofelia, ma Dante e Beatrice emblema di un amore più che platonico, trasposto nella dimensione del culto: un amore sacro e colmo di devozione. Il tema drammaturgico suggeriva, quindi, un risveglio tattile del corpo del partner che come un soffio leggero, si risolvesse, benché non ci siano regole scritte o sceneggiature da seguire, più in lievi carezze che in una sorta di