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I resoconti dell'esperienza: elementi per una comparazione

Etnografia dietro le quinte: l'analisi dei case studies

4.1 Metodo etnografico e contesti osservati 1 Sull’etnografia: una premessa

4.1.3 I resoconti dell'esperienza: elementi per una comparazione

Da quanto emerso dalle note etnografiche dei laboratori e delle performance cui ho assistito, dalle interviste semistrutturate e dai documenti di cui mi sono avvalsa ho scelto di soffermare il mio sguardo socologico su tre "dimensioni” emerse dalle azioni drammatica del Teatro del Lemming e del Playback South.

Queste tre dimensioni rappresentano tre elementi essenziali del processo di interazione sociale: la comunicazione (verbale e non verbale) tra ego e alter, lo spazio (inteso come ciò che Goffman chiama "ambiente") e il senso attribuito alla comunicazione dagli attori sociali grazie alla comprensione del ruolo assunto dall'altro e dalla fiducia riposta nella coerenza dell'interpretazione altrui.

La comunicazione sta alla base di qualsivoglia relazione tra individui, è ciò che rende possibile la relazione stessa perché connota le azioni dando loro significato. Essa è inoltre il mezzo attraverso il quale questi individui interagiscono con e nell'ambiente che li circonda, esperendo lo spazio con il proprio corpo e i contesti situazionali con il proprio apparato cognitivo.

Ogni forma di esperienza teatrale assolve alla propria funzione comunicativa e sociale determinando il compito che il teatro svolge nella società attraverso la sua capacità di raccontare storie, di motivare azioni, di ordinare l'esperienza attraverso la narrazione. Il teatro, infatti, comunica grazie alla narrazione la quale però «non è solo veicolo della socialità - ma - strumento di sviluppo cognitivo e morale» (Longo 2012), perché contribuisce a costruire essa stessa significati socialmente disponibili. Certo, il teatro deve sopravvivere, e fatica a farlo, all'esistenza dei suoi equivalenti funzionali (Luhmann, 1984), all'attrattiva costituita da competitor come il cinema e la televisione e sta tentando di farlo, specialmente a partire dalla seconda metà del secolo scorso, puntando a ciò che rispetto ad essi lo distingue: la presenza viva, fisica nello stesso momento dei narratori e degli ascoltatori, all'interazione faccia a faccia. Pertanto, alcune compagnie e performer hanno indirizzato la propria azione all'esplorazione di questo aspetto a partire, come si è visto proprio dall'opera di Grotowski.

Pur attingendo a tradizioni diverse e a differenti modalità di intervento artistico, i casi studio del Lemming e del Playback condividono proprio l'obiettivo primario di coinvolgere lo spettatore in prima persona. Questi si trova impreparato all'evento, spiazzato dal ribaltamento dei ruoli perché da sempre relegato, nella storia del teatro,

155 ad un compito passivo e diviene improvvisamente l'elemento di incontro, l'anello di congiunzione tra due realtà parallele e distinte, quella del palcoscenico percepita comunemente come "finzione" e quella della platea, del mondo delle cose reali. Questo incontro realizza, quindi, una particolare situazione in cui i significati e il senso attribuito alle azioni si scontrano, si confondono dando origine ad un terzo regno di comprensione possibile dove lo spettatore non è più colui che osserva e basta ma al contempo non può neanche definirsi attore in quanto non professionista né membro della compagnia. Dall'altro canto ciò avviene anche per l'attore che in questa circostanza non si trova più ad essere il protagonista indiscusso dello spazio scenico, ma deve mettersi a servizio delle richieste esplicite ed implicite che provengono dal suo pubblico.

Ad una azione dello spettatore, sia anche raccontata verbalmente e non fisica come avviene nel Playback, corrisponde una reazione dell'attore all'interno di una cornice situazionale non ben definita, nella quale la codifica del frame è resa difficoltosa dallo spaesamento generato dalle disattese aspettative (fiducia) dello spettatore, che non sa bene cosa fare o cosa dire, e dalle inattese conseguenze dell'interazione.

Ho risposto all'invito degli attori di mettersi al centro della scena e raccontare un episodio della mia vita, quindi mi sono alzata, ma una volta lì non sapevo cosa dire. Mi sono ritrovata davanti al pubblico per mia scelta eppure ogni parola prima di essere pronunciata si fermava a lungo nella mia mente: ho avvertito un momento di disagio. Alla fine mi sono lentamente abituata e mi sono lasciata andare e le parole non si sono più fermate. Rivederle eseguite sulla scena mi ha scioccata nuovamente. Io sapevo come erano andate le cose perché, sai, ero stata io a raccontarle prima, ma non so (0,2) mentre le vedevo davanti ai miei occhi mi sembrava che fossero autonome. Ho visto tutto più chiaramente. (Playback South Performance, Candid Cafè 8 Maggio 2012 Londra, da un'intervista ad una spettatrice/attrice)

Uno spettacolo o una performance si costituiscono già a priori come eventi extra quotidiani che interrompono la routine, tuttavia restano situazioni pubbliche standardizzate in cui un certo modo di comportarsi, di parlare, di vestire è dato per scontato. La gente che va a teatro o si prepara in qualunque altro luogo a vedere uno

156 spettacolo di cui cui non conosce i contenuti o l'adattamento drammaturgico, si aspetta di trovare una sedia o una poltrona dove sedersi una volta valicato l'ingresso e valicato il biglietto precedentemente pagato, di certo non si aspetta di trovarsi ad occupare la scena insieme agli attori.

Il teatro di improvvisazione prepara gli artisti alla gestione dell'elemento casuale e non organizzato secondo esercizi precisi quali l'internalizzazione dell'imprevisto nell'azione da svolgere o l'assecondare una reazione spontanea purché coerente con la rappresentazione, tuttavia tanto nel caso del Lemming quanto in quello del Playback l'improvvisazione non è mai assoluta, vale a dire che non può eccedere rispetto alla costruzione narrativa della storia da portare a termine.

Cosa distinguerebbe, altrimenti, l'interazione teatrale da quella quotidiana? Se fossero uguali non si sarebbe bisogno di andare a teatro per "vedere qualcosa di diverso" e il teatro non potrebbe in alcun modo assolvere ad un compito esplicativo o dimostrativo dei processi consci e inconsci che strutturano le nostre vite; non riuscirebbe a mostrare il reale per quello che è: una costruzione sociale al pari di tante altre. Per fare ciò l'arte ha bisogno di raccontare storie, di mostrare finali alternativi, di far vedere l'invisibile, di sovvertire le regole della "normalità", di comunicare attraverso un linguaggio totale: visivo, uditivo, ma specialmente tattile. Ciò che lega gli esempi che ho introdotto in questo studio, oltre l'esclusivo rapporto con l'uditorio partecipante, è l'impiego del "non verbale", della fisicità come medium per l'incontro con l'altro, come minimo comune denominatore dell'esistenza umana, ma sopratutto come mezzo per attraversare l'esperienza sociale. Il corpo ci permette di fare conoscenza empirica del mondo, di fatti e artefatti, attraverso i sensi e, contemporaneamente, il nostro psichismo sul quale inevitabilmente incidono le convenzioni sociali. Lo si è visto con gli esercizi di Stanislawskij, quanto il corpo che ha immagazzinato esperienze di spazialità e fisicità dei corpi altrui possa sollecitare la mente a sgomberare il campo dai preconcetti e viceversa quanto "l'allenamento emotivo" possa liberare il soggetto dalle repressioni fisiche esercitate dal sociale su di lui. In questo caso il corpo è importante ai fini sociologici perché è il tema della comunicazione sociale in quanto corpo dell'altro avvertito percettibilmente per cui mediante percezioni, bisogni, sessualità il corpo gioca un ruolo importantissimo nella comunicazione sociale. (Luhmann, 1988).

La comunicazione di tipo intenzionale si basa sull'esistenza di almeno due soggetti "ego" e "alter" che sono entrambi percettibili l'uno all'altro per un atto di

157 comunicazione che contiene il presupposto di reciproche aspettative da parte dei due attori coinvolti. Vi è anche una funzione della comunicazione in cui essa è chiamata dalla persona, intesa come nella sua fisicità biologica come interfaccia tra sistema psichico e sistema sociale, a concretizzazione delle esperienze simboliche fuori dal singolo corpo, cervello individuale. Il corpo è responsabile anche di un secondo tipo di comunicazione, quella non intenzionale e deducibile, per l'appunto, dal linguaggio non verbale.

Un altro elemento da inserire tra i caratteri di somiglianza che contraddistinguono le realtà teatrali scelte, a rappresentanza e sostegno delle mie ipotesi di ricerca, è il luogo nel quale l'evento viene realizzato: lo spazio che in quanto elemento "socialmente costruito" può essere costantemente ridefinito dalla "comunità" che lo occupa e che su di esso insiste con le proprie relazioni. Ne ho parlato a proposito del manifesto del Terzo Teatro (cfr. par. 3.3) della tendenza di alcuni gruppi contemporanei, proprio per via delle mutate esigenze di diffusione del pensiero e della cultura, di appropriarsi momentaneamente, ovvero per il tempo della messinscena, di spazi pubblici quali piazze, café, capannoni dismessi, edifici occupati da movimenti sociali e autogestiti: luoghi non convenzionali e non istituzionalmente predisposti allo svolgimento dell'azione scenica. Questa progressiva teatralizzazione degli spazi urbani sottolinea un mutamento di fine e di sostanza per cui la relazione attore-spettatore, in quanto relazione sociale ego-alter al pari delle altre, non ha più bisogno necessariamente della struttura fisica di un teatro perché questo ha mutato la propria funzione nel tempo non configurandosi e non volendosi configurare oggi come sterile occasione di svago identificata da un luogo adibito formalmente allo scopo dell'intrattenimento, ma al contrario con lo specifico intento di collocarsi come esperienza di vita dell'individuo.