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Lo spettacolo come rottura del senso comune

1.3 Il teatro e la teoria di Alfred Schutz

1.3.1 Lo spettacolo come rottura del senso comune

Il pensiero goffmaniano e gli esperimenti etnometodologici di Garfinkel hanno stimolato il mio interesse scientifico indirizzandolo nel verso di una osservazione dei comportamenti degli attori teatrali e degli spettatori in situazioni che creano l'imbarazzo dovuto ad errori di keying e ad una rottura di quel senso che consente di dare per scontati i comportamenti in certe circostanze nelle interazioni di ogni giorno, il senso comune.

Quando l'inventore del frame afferma che la realtà è determinata da attribuzioni di senso che ne mettono in discussione l'unicità, si rifà alle parole di Alfred Schutz sul quale intendo soffermarmi, entrando nel merito della sua fenomenologia, per l’importanza che i suoi scritti hanno assunto, come annunciato, nei lavori tanto di Goffman quanto di Garfinkel. Nel saggio sociologico Sulle realtà multiple scrive che «è il senso delle nostre esperienze e non la struttura ontologica degli oggetti a costruire la realtà» (Schutz 1945a, trad.it. p. 149), in altre parole afferma che le cose esistono se abbiamo un legame con esse. Questo legame è condizionato dal flusso della vita quotidiana in cui gli individui sono immersi e che porta a dare per scontato il mondo e i suoi oggetti finché non vi si impone una prova contraria che sospenda questa scontatezza facendo posto al dubbio.

Schutz aggiunse la nozione, interessante ma non interamente convincente, che noi proviamo uno speciale tipo di “shock” o trauma quando siamo improvvisamente spinti da un “mondo”, per esempio quello dei sogni, a un altro, come quello del teatro.(Goffman 1974, trad.it. p. 49).

Le conclusioni di Schutz rimangono ambigue circa quanti e quali siano i mondi di cui parla, le regole che li contraddistinguono e i criteri secondo i quali categorizzare i vari tipi di shock subiti nel passaggio da una circostanza all’altra. È per questo che Goffman da un lato con lo studio delle trasformazioni di significato o keying che

38 rendono possibile l’esistenza di questi mondi e Garfinkel dall’altro, attraverso l’etnometodologia, ha indagato le cesure che, tra un confine e l’altro, possono generare i traumi di cui parla Schutz. Prendendo spunto da entrambi io ho scelto di occuparmi del teatro (come situazione a cavallo tra il key della finzione e la fabbricazione) in quegli esempi di frame teatrale in cui il sociologo può effettuare la registrazione delle reazioni comportamentali di soggetti sottoposti allo shock di una interruzione del senso attribuito alla circostanza stessa. Questi casi sono caratterizzati da un inatteso ribaltamento dei ruoli definiti dal frame teatrale, ovvero dal capovolgimento delle parti tra attori e spettatori. Attraverso l’osservazione di queste peculiari condizioni si assiste, infatti, ad una rottura dei meccanismi di sospensione del dubbio schutziano9, ovvero di quel dubbio che sorprende coloro i quali aderiscono ad una situazione nella quale il suo “normale” proseguimento è disturbato da un elemento di rottura della comune definizione della circostanza stessa. La sospensione del dubbio è la capacità propria degli individui, immersi nel pensiero di senso comune, di non porsi più l'interrogativo che le cose possano essere diverse da come sembrano per il senso che è stato loro attribuito dalla società e da essa condiviso, in relazione ai loro bisogni e ai compiti che svolgono nella loro vita quotidiana, o meglio, in quella che danno per scontata come la realtà della loro vita quotidiana. Che si tratti di una fabbricazione come nel metateatro pirandelliano o di un errore di keying come nel caso dello smarrito spettatore del Teatro del Lemming che si ritrova sul palcoscenico, gli shock e i traumi di cui parla Schutz permettono di scorgere quali processi cognitivi intervengano nel quotidiano e come le persone rispondano al loro inatteso verificarsi. Alcuni frames teatrali si mostrano particolarmente adatti a mostrare questi processi poiché dati per scontati i presupposti assunti nell’atteggiamento quotidiano basta «indurre in via sperimentale la violazione di tali presupposti modificando deliberatamente gli eventi scenici in modo tale da deludere sistematicamente gli attributi assegnati» (Garfinkel 1963, trad.it. p. 132).

In Ciascuno a suo modo, per esempio, gli spettatori vivono un momento di forte incertezza per poi scoprire di essere stati tratti in inganno, coinvolti in una

9 sospensione che Schutz, rovesciando il concetto husserliano di epochè, che esprime la sospensione della fede nell’esistenza della realtà, chiama anche epochè dell’atteggiamento naturale riferendosi alla sospensione del dubbio sull’esistenza del “mondo esterno” alla routine quotidiana e alle tipiz- zazioni. In altre parole l’immersione in una provincia di significato porta l’individuo a dimenticare che ne esistano delle altre.

39 fabbricazione. Prima dell’inizio dello spettacolo il pubblico assiste ad un'accesa discussione tra due uomini al botteghino: non è certo comportamento da galantuomini in un luogo pubblico e raffinato quanto il teatro ad una prima importante. Solo guardandoli comparire, successivamente, in proscenio gli indignati spettatori capiranno di esser stati ingannati da due attori che ricoprivano i loro ruoli fuori del palcoscenico: è il ripristino della “normalità”. Ma cos'è la “normalità” per gli attori sociali?

Alfred Schutz, riprendendo alcuni concetti weberiani come quello di tipo ideale, di “azione”, di “senso” e “comprensione”, la ha definita un processo di tipizzazione, per il quale comprendere è sempre, in realtà, collocare quello che si comprende entro un tipo (cfr. Schutz 1932, 1945a, 1954,). La comprensione del mondo circostante include anche la comprensione del senso attribuito dagli altri alle proprie e alle loro stesse azioni, infatti, è attraverso l’interazione sociale che i tipi diventano rappresentazioni condivise della realtà. La costruzione dei tipi ideali facilita, ed al tempo stesso permette, l’interazione sociale tra gli individui. Infatti, l’utilità stessa del processo di tipizzazione non è solo quella di semplificare la realtà circostante, attraverso la costruzione continua di categorie, ma quella stessa di garantire l’interazione sociale, facendo ricorso alla condivisione comune del senso e del significato attribuito a queste categorie. La costruzione sociale di tipi ideali permette all’individuo di gestire al meglio le proprie routine sospendendo la dimensione interrogativa del dubbio e dando per scontato il senso attribuito a certe situazioni, a certe azioni, agli oggetti che lo circondano e per giunta anche ai fini ed ai mezzi per i quali e con i quali agisce all’interno della società: in altri termini, a vivere normalmente. Una comune attribuzione di senso alla medesima circostanza da parte dei membri appartenenti ad una stessa società, o che condividono alcuni tratti socio- culturali, Schutz lo chiama senso comune:

una specie di meccanismo finalizzato […] a dare per scontate le tipizzazioni di cui facciamo uso. […] Il senso comune è dunque un insieme di ricette per vivere: fini, mezzi e situazioni ricorrenti della vita quotidiana vengono compresi in un modo che li ritrae come ovvi. (Jedlowski 1998, p. 23).

Il senso comune funziona come un sistema condiviso di credenze; esso è per definizione ciò che ciascuno crede che tutti gli altri credono, credendovi per questa ragione egli stesso. Chi non partecipa a queste definizioni collettive è spesso tacciato

40 di essere un folle, un deviante, un ribelle, ecc.; la storia dimostra che le grandi rivoluzioni del pensiero sono avvenute proprio grazie a chi precorrendo i tempi o semplicemente manifestando idee diverse da quelle dominanti ha contribuito a generare e diffondere il dubbio che gli eventi potessero avere anche un altro corso e che le cose potessero mutare con un cambio di prospettiva. Schutz spiega i contrasti tra mondi di interpretazione differenti avvalendosi, nel saggio Don Chisciotte e il problema della realtà, dell’esempio del romanzo di Cervantes e dei suoi personaggi come mezzo per spiegare la costituzione intersoggettiva della realtà. Al contrario di Sancho Panza, dei mercanti, dei contadini, del barbiere, della nipote e della governante, assorbiti dall’atteggiamento naturale che da ovvietà del circostante,

Alonso Quijano è un appassionato di romanzi cavallereschi nei quali ha deciso di immergere tutto sé stesso fino al punto di assumere quel mondo lontano e fantastico, con le sue regole, come proprio dando esso valore di realtà. Coerentemente con questa attribuzione di significato egli cambia il proprio nome in Don Chisciotte della Mancia e si proclama un cavaliere errante pronto a salvare chiunque abbia subito un torto in virtù degli ideali della cavalleria cui ha scelto di obbedire, scambiando greggi di pecore per un esercito nemico e i mulini a vento per giganti dalle lunghe braccia rotanti.

Queste sono le caratteristiche principali del sotto-universo chiuso di Don Chisciotte, quello su cui egli ha posto l’accento di realtà: la sua casa-madre, da cui si muove per interpretare tutte le altre provincie della realtà. Ma questo suo mondo privato entra in contatto con il mondo dei suoi compagni, ed entrambi, Don Chisciotte e gli altri, devono confrontarsi con i conflitti che sorgono dalla differenza degli schemi di interpretazione che prevalgono nei due mondi. (Schutz 1954, trad.it.p. 33).

L’eroe di Cervantes non vive nel senso comune per cui «per lui sono plausibili e “reali” cose che per Sancho Panza – il rappresentante per eccellenza del senso comune – sono solo fantasie» (Jedlowski 1995, p. 17). Tra gli individui appartenenti al medesimo gruppo sociale, o alla medesima società si diffondono modi di fare, di dire e di pensare che finiscono col sedimentarsi e costituire la base di quella cultura, quell’insieme di regole interpretative che consentono, nei termini goffmaniani, di decifrare tutti lo stesso frame.

41 del suo protagonista che da altri significati a ciò che lo circonda attraverso giustificazioni e procedimenti cognitivi che in nessun modo si contraddicono l’uno con l’altro. Nella follia del Don della Mancia ogni elemento è posto in modo coerente ed armonico con gli altri:

«per resistere alla pressione dovuta alla mancata conferma intersoggettiva della propria esperienza, Don Chisciotte è costretto a elaborare una serie complessa di strategie: per converso, queste ci mostrano come funzioni, per ciascuno di noi, il modo in cui attribuiamo un senso di “realtà” alle cose in cui ci imbattiamo e alle forme con cui ce le rappresentiamo» (ivi, pp. 17-18).

Sono gli uomini a costruire socialmente la realtà attraverso implicite adesioni a certi modi di intenderla e di interpretarla, sia che assuma nella teoria sociologica, la forma di campi, regni, universi, province di significato, essa resta sempre qualcosa di costruito ma non per questo di meno oggettivo. Sui meccanismi di questa costruzione Peter Berger e Thomas Luckmann hanno impostato il loro impianto teorico, servendosi del concetto di tipizzazione schutziano, per unire la visione durkheimiana dell’apparente oggettività dei fatti sociali, con quella weberiana dell’agire soggettivamente dotato di senso. In questa prospettiva la realtà, prodotto degli individui, in continua interazione tra loro, diventa per essi stessi realtà oggettiva, interiorizzata soggettivamente attraverso i processi di socializzazione. Per comprendere quanto siamo immersi in un comune modo di “sentire”, con il quale sedimentando le nostre conoscenze abbiamo costruito realtà, è necessario compiere, scrivono gli autori, un esperimento mentale, ipotizzando una situazione originaria nella quale vi sia un primo uomo sulla terra che vive solo nel suo ambiente. Costui dovrà risolvere una serie di problematiche fondamentali che l’interazione con quello che lo circonda gli porrà innanzi per la sua sopravvivenza e dovrà imparare a trovare delle soluzioni valide per il superamento di questi ostacoli. Le soluzioni che si saranno mostrate efficaci in una data situazione, verranno riadattate ogni qual volta quella situazione specifica o un’altra simile situazione avranno luogo divenendo, dunque, abitudini. Se, a questo punto della storia, si aggiungesse la presenza di un secondo uomo, accadrebbe che entrambi dovrebbero imparare cosa aspettarsi vicendevolmente dall’azione altrui. Il secondo imparerebbe le soluzioni già acquisite dal primo e ne troverebbe anche di nuove esperendo anch’egli il proprio ambiente. Si tratta di un processo di tipizzazione reciproca, di condivisione di routine e di un

42 senso dato per scontato, in altre parole di una progressiva oggettivazione della realtà. Ma quest’ultima potrà dirsi davvero compiuta se, ai due, si unisse un terzo individuo il quale, seppure con qualche difficoltà poiché tutto gli apparirebbe inizialmente come nuovo, potrebbe basare le proprie conoscenze su quelle degli altri e sulla struttura di interazione stabilita dai primi due individui che è già data per scontata. Un esempio può facilitare la comprensione di questo passaggio: se facessimo un viaggio in Scozia e vedessimo degli uomini in kilt all’inizio proveremmo stupore, perché la visione di un uomo che indossa la gonna non fa parte della nostra routine. Maggiore è la permanenza in quel luogo specifico, più uomini in kilt vedremo, inizierà ad apparire come una cosa normale. Una volta tornati a casa però, saremo di nuovo immersi nel nostro senso comune, nelle nostre tradizioni e non ci aspetteremo più di vedere altri individui in abbigliamento scozzese.

Il processo di oggettivazione della realtà, basato sulla costruzione del senso comune, ha bisogno però di forme specifiche di legittimazione come la fissazione di valori e norme comuni. Ma cosa accade quando sensi comuni diversi vengono in contatto tra loro? Quando il soggetto, nelle molteplici socializzazioni secondarie cui è sottoposto, si trova di fronte a costruzioni diverse della realtà? Il fatto stesso di riconoscere delle diversità di significato fa sorgere in lui ciò che prima era rimasto sopito, poiché dato ormai per scontato: il dubbio.

La socializzazione secondaria è l’acquisizione della conoscenza legata a un ruolo […] richiede l’acquisizione di vocabolari legati ai ruoli, il che significa, tanto per cominciare, l’interiorizzazione di campi semantici che strutturano le interpretazioni e la condotta di routine all’interno di un’area istituzionale. Allo stesso tempo si acquisiscono “tacite intese”, i valori e colorazioni effettive di questi campi semantici. I “sottomondi” interiorizzati nella socializzazione secondaria sono in genere realtà parziali in contrasto con il “mondo-base” acquisito nella socializzazione primaria. Eppure anch’essi sono realtà più o meno dotate di coesione, caratterizzate da componenti normative ed affettive oltre che cognitive. (Berger, Luckmann 1966., trad.it.p. 191).

Il testo di Berger e Luckmann, scritto sulla scia dell’influenza esercitata dal pensiero di Alfred Schutz, e la sua impostazione costruzionista nei confronti della realtà sociale e degli attori che la interpretano, ha portato, tra le scienze della società, ad una problematizzazione del tema, determinanso il focus di un filone di studi che ha

43 messo in discussione l'assolutezza dei due termini chiave di realtà e di conoscenza. Giacché ogni forma di conoscenza nata, viene tramandata e custodita finché una nuova conoscenza non la soppianti all'interno del suo quadro sociale di riferimento, che ne ha visto il processo di creazione e diffusione, spetta alla sociologia della conoscenza comprendere l'andamento di questo processo che fa sì che esistano tante realtà per quanti siano i contesti sociali che le pongono in essere.

Pur non entrando specificatamente nel merito di questo dibattito scientifico in questa sede, mi preme sottolineare che adottare la prospettiva costruzionista non vuol dire rinunciare ad una definizione univoca del reale. Lo stesso Schutz ha attribuito, come si è visto, preminenza al mondo della vita quotidiana rispetto agli altri mondi e lo stesso Goffman, che ha negato questo primato, ha comunque sostenuto che dietro ogni ruolo aleggia un senso della persona che ne trascende il localismo. Utilizzare il pensiero costruzionista significa attribuire alla conoscenza del reale la posizione determinata dal suo osservatore. Sono le diverse prospettive dello sguardo che permettono allo scienziato sociale di prendere porzioni di realtà costruite, la cui costruzione è parte integrante della socialità dello stesso soggetto osservante, in una sorta di relazionismo (cfr. Mannheim 1940, 1952).

Affermare che tutto quello che ci circonda è frutto di un processo di conoscenza come azione, interpretazione, nominazione, interiorizzazione non significa affermare che il reale non esista, perché è proprio in virtù dell'introiettamento di questo processo che la sua forza coercitiva sull'attore sociale si impone ad esso originando conseguenze reali: la conoscenza umana della realtà è profondamente legata ai nostri modi di percepirla e intenderla entro i limiti stessi, sociali e culturali, posti da questa operazione: «ciò che noi possiamo sapere è cosa la realtà non è, laddove i nostri criteri di conoscenza si mostrino inadeguati» (Jedlowski 2007, p. 56).

Il carattere situato della conoscenza apre, quindi, le porte al difficile compito, per il sociologo, di lavorare sui propri confini attraverso la capacità di saper mettere in discussione, schutzianamente, ogni cosa data per scontata e di saper costruire nuove cornici di senso, nuovi frames, con gli strumenti tecnici della metodologia e della ricerca sociale. É a questo punto del dibattito che si suggerisce la possibilità di aggiungere, a queste tecniche, quella dell'esperienza drammaturgica come mezzo per la ricerca etnometodologica e sociologica in generale, per la sua possibilità di interrompere i processi di attribuzione scontata del senso.

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1.3.2 Esempi di riemersione del dubbio schutziano: da Shakespeare e Calderon