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Nel mondo dei metodi e delle tecniche teatrali: il teatro come laboratorio sociale

3.1 Una premessa

Presi in considerazione i case studies, scelti per argomentare le ipotesi di questa tesi, in questo capitolo porterò all'attenzione del lettore quelle teorie e quelle tecniche del teatro che ne hanno ispirato i contenuti e le attività. In altre parole discuterò degli esercizi e dei metodi di cui i gruppi che ho osservato si sono avvalsi nel loro cammino di ricerca artistica.

A supporto di alcuni concetti chiave del discorso ho ritenuto opportuno introdurre, anche, estratti dai diari di lavoro personali redatti durante il corso di tutta la mia esperienza teatrale, sia antecedente che contemporanea a questo studio, come attrice e come osservatrice e che esulano dai casi scelti per l'analisi di cui parlerò,in dettaglio, nel prossimo capitolo.

Le teorie cui farò riferimento sono considerate i cardini della nascita del teatro contemporaneo in occidente. Per cui, non essendo questa, per altro, la sede per l'esposizione di una storia del teatro né della metodologia teatrale, non farò riferimento al complesso mondo della produzione artistica orientale né a quegli autori minori della letteratura drammatica che non siano strettamente necessari a questo percorso. A questo riguardo mi limiterò ad affermare, come ha sottolineato Savarese, che l'Oriente sia servito ai teorici del teatro europeo del novecento come spunto per decostruire le categorie proprie della cultura teatrale occidentale ripartendo dalla costruzione di nuovi sensi e significati affidati alla scena e agli attori. Ciò che è stato preso in prestito, e ciò che della drammaturgia asiatica ha nutrito le principali esperienze dell'avanguardia contemporanea, è stata la fusione di linguaggi diversi quali la musica, la danza e il teatro (ka, canto; bu, ballo; ki, arte recitativa) come modalità di rappresentazione delle storie attraverso, come ha scritto Grotowski,

90 un'arte contraria alla restituzione della realtà (Grotowski 1968). Proprio per questa sua funzione socialmente pregnante del narrare, al pubblico di kathakali è permesso, ad esempio, di assistere al trucco e alla vestizione degli attori nei ricchi e simbolici abiti di scena che mirano a raccontare vicende in grado di mostrare, spesso, anche realtà culturali sconosciute come nel caso del teatro balinese (Artaud 1938).

Prima di addentrarci nelle teorie dell'interpretazione dei ruoli, però, è necessario specificare che ad eccezione dei grandi metodi e delle grandi tecniche conosciute, perché se ne rintraccia la documentazione e la pubblicazione, molta della pratica teatrale è prassi tramandata ad esclusivo uso e "consumo" della compagnia che la pone in essere e che mette a punto e sperimenta proprie tecniche inedite oppure che, nella maggior parte dei casi, realizza aggiustamenti e completamenti, in generale modifiche, di metodi ed esercizi noti. Questa tendenza del campo dell'arte, per dirla alla Bourdieu, è espressione della propria manifesta fatica nell'immettersi sulla via dell'autonomia e liberarsi dal suo intreccio con il campo politico nel mentre, intanto, i microcosmi dei quali è costituito sono abitati da conflitti che, inevitabilmente, tendono al dominio di uno sull'altro. Già nel 1922 lo stesso Stanislavskij, in soggiorno a Berlino, rimase stupito dal fatto che molte persone, le quali in qualche modo avevano avuto a che fare con le sue produzioni e il suo Teatro d'Arte anche soltanto come mere comparse sulla scena, si autoproclamassero suoi allievi diffondendo, nell'ambiente artistico, modi e tecniche che spacciavano per veri e propri elementi originali del metodo da lui ideato. Gli stessi collaboratori più stretti, inoltre, facevano esperienza di mille varianti, ognuna delle quali, seppure orientata alla medesima comune prospettiva metodologica, esplicata negli scritti del Maestro, metteva in luce aspetti diversi della recitazione.

Moreno con lo psico e il socio dramma, Stanislavskij con le regole del sistema, poi modificato dal suo allievo Strasberg, Grotowski e il teatro laboratorio e Barba, suo allievo, con la formulazione del Teatro Antropologico e i suoi esercizi di training, Boal e i suoi collaboratori con il forum e il teatro dell'oppresso, Brecht con lo straniamento, Beck e Malina e il Living Theatre, Brook con le sue teorie sullo spazio scenico e l’americano Fox con la tecnica del Playback, sono solo alcuni dei pochi autori che hanno inteso divulgare i loro approcci.

L'elemento che accomuna questi autori, come vedremo molto diversi tra loro, è l'aver abbandonato una concezione meramente teorica della recitazione e di aver vissuto il teatro come un grande laboratorio dove poter sperimentare e fare ricerca artistica e

91 sociale, a partire dalle condizioni sociali, psicologiche, antropologiche dell'esperienza umana per giungere ad una comprensione empirica dell'arte recitativa. Come si vedrà nel corso della lettura di questi paragrafi ciascuno di questi grandi intellettuali del novecento ha attribuito un nome specifico alla propria produzione artistica, un battesimo necessario per esprimere un modo soggettivo di intendere e praticare il teatro. Numerosi sono stati gli sforzi, nel corso degli anni, di raggruppare questi diversi filoni sotto il nome di categorie più generali al fine di trarne una sistematizzazione analitica e un elenco degli stili. Ma, trattandosi sempre tipi ideali e non perché costituiscano dei modelli bensì per le caratteristiche che consentono di distinguerli in specie, io ho scelto di raggrupparli sotto il nome di laboratorio, mutuato da Grotowski, intendendo con esso quel mondo del teatro utile alla sperimentazione sociologica che ha, più volte, preso spunto dalle stesse scienze umane e sociali per modificare sé stesso. Il teatro laboratorio, è il mezzo per la sperimentazione sociologica, un teatro che diviene l’officina di lavoro dove risiedono i macchinari della sociologia teatrale.