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Il concetto di parte in senso formale e sostanziale del minore

I procedimenti che hanno ad oggetto le controversie sulle relazioni familiari implicano il coinvolgimento di numerose parti

processuali: i coniugi/genitori, il minore e, eventualmente, il pubblico ministero.

Nel linguaggio comune, “parte” di una vicenda è colui che, nella stessa, assume un ruolo rilevante. Nel linguaggio giuridico, il concetto di parte non ha un significato univoco ed è oggetto di una vivace elaborazione dogmatica162: in alcuni casi il termine allude ai soggetti titolari del

rapporto sostanziale dedotto in giudizio, in altri si riferisce ai soggetti del processo.

Dal punto di vista formale, invece, il concetto di “parte” fa riferimento al soggetto che può validamente compiere atti nel processo, si tratta di colui che è destinatario degli atti dello stesso.

Dal punto di vista sostanziale, “parte” è quel soggetto che si individua in relazione al diritto affermato, colui che è titolare della situazione giuridica soggettiva che intende far valere in giudizio e nei cui confronti si determina il giudicato.

Al minore, a seguito del superamento del modello patriarcale e grazie all’intervento di numerose leggi di riforma del diritto di famiglia, sono stati riconosciuti diritti e situazioni nuove: il diritto dei figli ad essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente dai genitori (articolo 147 c.c.), il diritto a ricevere un mantenimento economico nel caso di crisi familiare (articolo 316-bis c.c.), il diritto di mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori e con gli ascendenti ( articolo 317-

bis e 337-ter c.c.). Il riconoscimento di situazioni giuridiche nuove e di

diritti indisponibili porta a considerare il minore non più come un soggetto debole e fragile163, estraneo rispetto alle controversie dei

genitori, bensì come parte attiva del processo, legittimata a far valere

162 F.CORSINI, Parti, in Comm. cod. proc. Civ., a cura di S. Chiarloni, Torino, 2016, p.

3 ss.; G.CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Jovene editore, Napoli,

1936-1940, p. 199 ss.; C.MANDRIOLI, Delle parti, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, t. II, Torino, 1973, p. 885; A.PROTO PISANi,

Parte nel processo (dir. Proc. Civ.), in Enc. Dir., XXXI, Milano, 1981, p. 917 ss. 163D.POLETTI, Soggetti deboli, in Enc. Dir., Annali, VII, Milano, 2014, p. 962 ss.

autonomamente le proprie ragioni. Viene, in questo modo, abbandonata e superata quella visione paternalistica che voleva escluderlo dalle sedi giurisdizionali in cui si discutevano questioni importanti, quali la responsabilità genitoriale o l’affidamento, che avrebbero avuto conseguenze anche nei suoi confronti, per approdare ad una concezione più moderna in cui viene riconosciuto al minore un ruolo preminente. Nelle situazioni sopradette, senza alcun dubbio, il minore è parte sostanziale del processo per cui egli subirà gli effetti del provvedimento giurisdizionale finale. Il legislatore, però, ha qualificato questi casi quali veri e propri diritti soggettivi, tali per cui il soggetto che ne è titolare dovrebbe beneficiare di tutte le prerogative e facoltà connesse all’esercizio degli stessi.

Le problematiche sorgono allorquando si rammenta che il soggetto di cui stiamo parlando è un minore, un soggetto legalmente incapace di agire per tutelare i propri interessi164: in queste ipotesi il ruolo di parte

formale nel processo dovrà essere esercitato da chi ne ha la rappresentanza legale, ossia i genitori che, in virtù dell’esercizio della responsabilità genitoriale, esercitano i diritti del figlio all’interno del processo attraverso l’ausilio di un difensore tecnico. Nel caso in cui sorga un conflitto di interessi tra il minore e le figure genitoriali, quest’ultime non possono più rappresentarlo e dunque questo compito spetterà ad un curatore speciale, ex articolo 78 c.p.c., il quale svolgerà lui stesso il ruolo di parte formale del minore nel processo.

Si deve, dunque, dedurre che le due qualifiche (parte in senso sostanziale e parte in senso formale) non sempre coincidono: può assistersi ad una scissione tra le due qualità, in particolare quando la parte in senso sostanziale può non essere né soggetto degli atti né degli effetti del processo ma solo degli effetti della sentenza finale165.

164P.RESCIGNO, Capacità di agire, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ. II, Torino, 1988, p.

209.

Si passerà ad una disamina delle tipologie di controversie nelle quali il minore è, in qualche misura, coinvolto per verificarne il ruolo e i poteri che gli sono attribuiti.

Dobbiamo, infatti, distinguere tre macro categorie di procedimenti: le controversie in materia di diritti patrimoniali del minore nei confronti di terzi, i procedimenti diretti ad accertare o negare l’esistenza di veri e propri status del minore, i procedimenti sulla crisi della famiglia incidenti su diritti (personali e/o patrimoniali) di cui il minore è titolare, ovvero sul mero esercizio degli stessi.

Mentre la prima categoria attiene ai rapporti che il minore può instaurare con soggetti terzi, estranei al nucleo familiare, le restanti tipologie di controversie attengono ai processi in materia familiare. Passando velocemente in rassegna questa prima ipotesi per poi analizzare meglio le altre, dobbiamo riconoscere come il minore sia, in questi casi, parte in senso sostanziale in quanto titolare del diritto dedotto in giudizio e nei cui confronti può consolidarsi la sentenza finale. Come già sottolineato, il minore, essendo privo della capacità processuale di stare in giudizio personalmente (legittimatio ad processum), non può essere considerato parte in senso formale, tuttavia, egli potrà accedere allo stesso per mezzo della rappresentanza legale che spetterà ai genitori congiuntamente o ad uno di essi nel caso di esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale, al tutore o al curatore speciale in caso di conflitto di interessi tra minore e genitori. I rappresentanti legali detengono il potere di azione e di difesa del minore quali soggetti degli atti del processo e, dunque, saranno loro che agiranno in nome e per conto dell’incapace166. Quest’ultimi, infine, hanno l’obbligo di

Civ.), in Enc. Giur. Treccani, XII, Roma, 1990, p. 2.

166 F.TOMMASEO, Osservazioni sulle forme di partecipazione del minore al processo civile, cit.; F.BOCCHINI, L’interesse del minore, nei rapporti patrimoniali, in Riv. Dir.

nominare un difensore tecnico che provveda all’assistenza legale del minore nel processo.

Veniamo ora ai procedimenti in materia familiare: le controversie, in tale ambito, possono avere ad oggetto sia veri e propri status del minore sia la titolarità o l’esercizio di alcuni diritti da parte dello stesso.

I procedimenti diretti ad accertare o negare l’esistenza di veri e propri status del minore sono giudizi in cui il minore è riconosciuto come parte necessaria ex lege167: il legislatore, infatti, qualifica, come indispensabile, la partecipazione del minore al processo, pena l’inefficacia del provvedimento reso (anche) nei suoi confronti.

All’interno di questa categoria si possono riscontrare varie tipologie di controversie di cui occorre parlare. In primis, esistono procedimenti che sono diretti a dirimere conflitti sullo status, quali ad esempio l’azione giudiziaria volta al disconoscimento della paternità ex articolo 243-bis c.c. o quella relativa alla contestazione dello stato di figlio ex articolo 248 c.c. Per queste ipotesi, si prevede espressamente la partecipazione del minore al processo: egli deve poter agire in giudizio o essere convenuto nello stesso qualora intenda far valere, attraverso un rappresentante legale, le proprie ragioni. Difatti, qualora egli sia pretermesso dalla sede giudiziaria, si rende necessaria, da parte del giudice, l’integrazione del contraddittorio, altrimenti, la sentenza precedentemente emessa senza tener conto della posizione del minore è considerata inutiliter data: il giudice riconoscerà all’incapace escluso tutte le facoltà che gli spettano e la possibilità di compiere tutti quegli atti che avrebbe potuto compiere qualora avesse partecipato al processo sin dall’inizio. In questo modo, si riconosce al minore un ampio ed

167 B.POLISENO, Profili di tutela del minore, cit., p. 64 ss; M.DOGLIOTTI E A.FIGONE, Le azioni di stato. Diritti e procedimenti dopo la riforma della filiazione, Giuffrè, Milano, 2015, passim; M.SESTA, L’accertamento dello stato di figlio dopo il d. lg. n. 154/2013, in Fam. dir., 2014, p. 454; G.CHIOVENDA, Sul litisconsorte necessario, in

Saggi di dir. Proc. Civ., II, Roma, 1931, p. 427; A.PROTO PISANI, Litisconsorte

efficace intervento nel procedimento, garantendo a quest’ultimo il rispetto del principio del contraddittorio. Difatti, qualora tale valore non sia osservato nel giudizio di primo grado e venga rilevato durante la fase di gravame, la causa dovrà essere rimessa al primo giudice, in modo da assicurarne il rispetto per tutto il corso del giudizio168.

In secondo luogo, vi sono altri procedimenti in cui la situazione sostanziale della quale si discute non è plurisoggettiva, come negli altri casi, ma coinvolge solamente due parti, come ad esempio il procedimento diretto alla costituzione dello stato di figlio nato fuori dal matrimonio ex articolo 250-268 c.c., in particolare il procedimento d’impugnazione del riconoscimento del figlio minore in difetto di veridicità ex articolo 263 c.c. o il procedimento di opposizione promosso dal genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento del minore nato fuori dal matrimonio nei confronti dell’altro genitore ex articolo 250 c.c. Per questi giudizi, manca una previsione espressa da parte del legislatore che possa qualificare il minore come litisconsorte necessario169: nonostante il provvedimento finale possa avere efficacia

nella sua sfera giuridica, il legislatore non ha qualificato la posizione del minore in questa casistica. Tuttavia, la necessità di garantire il rispetto del principio del giusto processo e della legittimazione ad agire e contraddire dell’incapace, fa si che si debbano individuare i modi e le forme mediante le quali il minore possa effettivamente partecipare al processo. Sul punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione170, la

quale ha specificatamente affermato come imprescindibile la presenza del minore in questi tipi di controversie. Nello specifico, la Corte,

168 G.COSTANTINO, Contributo allo studio del litisconsorte necessario, Jovene editore,

Napoli, 1979, p. 400 ss.

169 M.DOGLIOTTI E A.FIGONE, Le azioni di stato, cit., p 174; C.M.BIANCA, La filiazione, Giuffrè, Milano, 2013, p. 365; B.POLISENO, Profili di tutela del minore,

cit., p. 70 ss.

170 Cass. 2 febbraio 2016, n. 1957, in Foro it., 2016, I, c. 1271, con osservazioni di C.

BONA. In termini, Cass. 7 febbraio 1972, n. 286, in Foro it., 1972, I, c. 2074, con nota

attraverso una interpretazione analogica, ha equiparato il procedimento avente ad oggetto il disconoscimento della paternità ex articolo 243-bis c.c. (dove è prevista espressamente la necessaria partecipazione del minore) al procedimento avente ad oggetto l’impugnazione del riconoscimento del figlio in difetto di veridicità ex articolo 263 c.c. in funzione della piena equiparazione tra figli nati nel matrimonio e fuori da esso. In questo modo, grazie ad una interpretazione costituzionalmente orientata e alla applicazione analogica dell’articolo 247 c.c., è stata prevista la nomina di un curatore speciale ex articolo 78 c.p.c. anche in queste ipotesi, sul presupposto che il minore debba partecipare al relativo processo.

Anche per quanto riguarda il procedimento ex articolo 250, comma 4, del c.c. l’orientamento della Corte di Cassazione è stato ondivago: in un primo momento171, il giudice di legittimità aveva escluso che il minore

fosse titolare di una situazione giuridica autonoma da poter tutelare nel processo. La Corte Costituzionale, sollecitata sulla costituzionalità dell’articolo 250 c.c. in quanto sembrerebbe contrastare con gli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Carta fondamentale per l’omessa previsione della necessità, anche in questo caso, della nomina di un curatore speciale, ha colto l’occasione per esprimere la propria opinione in merito. Il giudice delle leggi ha ribadito la qualità di parte necessaria del minore in questi procedimenti, sebbene egli debba essere rappresentato dal genitore che abbia effettuato il riconoscimento, dal tutore o dal curatore nominato in caso di conflitto di interessi. In questo modo, dopo una presa di posizione della Corte Costituzionale in merito, il giudice di legittimità nelle successive pronunce172 ha fatto intendere di aver mutato

171 Cass. 5 giugno 2009, n. 12984, in Giust. Civ., 2010, I, p. 1442; Cass. 11 gennaio

2006, n. 395, in Foro it., 2006, I, c. 2356; Cass. 10 maggio 2001, n. 6470, in Nuova giur. Civ. comm., 2002, I, p. 294; Cass. 24 maggio 2000, n. 6784, in Foro it., Rep. 2000, voce Filiazione, n.72.

172 Cass. 30 luglio 2014, n. 17277, in Foro it., 2015, I, c. 2126; Cass. 31 ottobre 2013,

orientamento, adottando una posizione più garantista rispetto alla precedente. Ciò nonostante, la dottrina173 ha sottolineato come tali

pronunce non abbiano indotto il legislatore della riforma del 2012-2013 a definire in modo certo il ruolo del minore in questo genere di controversie: sebbene sia stata prevista l’audizione di questi da parte di un esperto, non sono state predisposte ulteriori garanzie processuali, irrinunciabili per una tutela effettiva dell’incapace.

Un altro genere di procedimenti, rientrante nella categoria riguardante gli status, è quello volto all’accertamento di situazioni sostanziali particolarmente complesse come ad esempio la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità ex articolo 269-279 c.c. Attraverso la ricognizione di specifici requisiti, si arriva alla costituzione dello status di figlio fino ad allora inesistente: in questi giudizi, il minore deve essere considerato parte del processo in quanto destinatario degli effetti dello stesso e titolare della legittimazione ad agire, anche se l’azione giudiziale deve necessariamente essere promossa da coloro che detengono la rappresentanza legale.

Nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità di minori orfani o abbandonati manca una espressa previsione normativa diretta ad attribuire al minore la qualità di parte nel processo: esistono, però, dei segnali normativi che propendono in questa direzione, come l’articolo 3 della Legge 4 maggio 1983, n. 184, il quale stabilisce, nel caso in cui la responsabilità genitoriale o la tutela venga di fatto impedita, l’obbligo della comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza (pubblici o privati) che detengono la responsabilità sul minore affidato, di proporre istanza per la nomina di un tutore ad hoc che svolga funzioni di rappresentante legale del minore. Inoltre, l’articolo 8 della medesima legge prevede, prima dell’apertura della fase

173 F.DANOVI, La nuova disciplina dei procedimenti per il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, in Riv. Dir. Proc., 2014, p. 137; M.FINOCCHIARO, Il nuovo

giurisdizionale del procedimento, l’obbligo della nomina di un difensore tecnico al minore (cosi come ai genitori o agli altri parenti aventi un rapporto significativo con lo stesso) sin dall’inizio del processo, supplendo la nomina d’ufficio nel caso in cui non si provveda in tal senso174. La mancata assistenza di un rappresentante tecnico

comporterebbe, secondo il giudice di legittimità175, la nullità dell’intero

procedimento.

Da questi indici normativi sembrerebbe emergere la volontà del legislatore di considerare il minore quale parte del procedimento perché titolare della situazione dedotta in giudizio e destinataria degli effetti del provvedimento, ma non soggetto degli atti in quanto egli difetta di una legittimazione processuale che lo renda capace di proporre e ricevere validamente domande all’interno di un processo.

Infine, vi sono le controversie in materia di status di rifugiato del minore straniero non accompagnato: si tratta di una materia in continua espansione in virtù dell’aumento di stranieri minorenni che giungono nel nostro Paese senza genitori. È intervenuta, in materia, la Legge 7 aprile 2017, n. 47 recante “Disposizioni in materia di misure di

protezione dei minori stranieri non accompagnati”, la quale ha

qualificato come peculiare tale situazioni giuridica soggettiva del minore in quanto «prescinde dall’inadeguatezza dei propri familiari e

si fonda su altre ragioni afferenti al contesto geografico culturale e socio-politico del paese di origine176».

Al minore che si trova in questa particolare condizione, sono stati riconosciuti una serie di presidi volti a valorizzare l’interesse

174 F.DANOVI, Aspetti processuali della nuova legge sull’adozione, in Riv. Dir. Proc.,

2002, p. 158 ss; F.TOMMASEO, La disciplina processuale dell’adozione di minori, in

Fam. dir., 2008, p. 197 ss; A.CARRATTA, I procedimenti sullo stato di adottabilità e de

potestate dopo l’entrata in vigore della l. n. 149 del 2001: verso un giusto processo civile minorile, in Dir. Fam e pers., 2010, II, P. 268 ss.

175 Cass. 8 giugno 2016, n. 11782; Cass. 23 marzo 2010, n. 7281. 176 B.POLISENO, Profili di tutela del minore, cit., p. 89.

preminente dello stesso, quali il divieto di respingimento alla frontiera e l’espulsione (nel caso in cui questi comportino un grave danno per lo stesso), l’immediata assistenza umanitaria, il diritto all’istruzione e, soprattutto, la rappresentanza legale attraverso la nomina di un tutore177.

Quest’ultima, infatti, permette al minore di partecipare a tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che lo riguardano: in aggiunta, la predisposizione di un mediatore culturale che ascolti ciò che ha da dire, le sue opinioni, rende concreto ed effettivo il coinvolgimento dello stesso nelle controversie che lo riguardano. Egli ha diritto di nominare un legale di fiducia e di avvalersi, qualora non disponga di risorse economiche sufficienti, del gratuito patrocinio a spese dello Stato.

Si può, dunque, affermare la qualifica di parte in senso sostanziale del minore in virtù dell’efficacia diretta dei provvedimenti nella sua sfera giuridica.

L’altra macro-categoria di cui occorre parlare è quella concernente i procedimenti sulla crisi della famiglia incidenti su diritti (personali o patrimoniali) di cui il minore è titolare ovvero sul mero esercizio degli stessi.

Si tratta di una categoria di controversie in cui la partecipazione del minore non è predeterminata ex lege ma dipende da elementi legati alla tipologia del conflitto, alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, e alla gestione dello stesso. In alcuni casi il figlio minore subisce direttamente gli effetti del provvedimento finale concernente il conflitto tra i genitori, in altri l’efficacia del provvedimento è indiretta: in

177 Il tutore deve essere nominato dal giudice tutelare presso il Tribunale ordinario

secondo le forme previste dagli articoli 343 e ss. c.c. Sul punto vedi, B.POLISENO, La protezione internazionale del minore straniero non accompagnato e il farraginoso regime di competenza in nota a Cass. 12 gennaio 2017, n. 685, in Foro it., 2017, I, p. 525.

entrambi i casi si deve tener conto, al momento dell’emanazione della sentenza, della presenza della prole all’interno del nucleo familiare. Lo stato di soggezione del minore rispetto alle figure genitoriali non sempre corrisponde alla predisposizione, all’interno dell’ordinamento, di adeguati rimedi processuali: egli diviene parte del processo e viene dotato di strumenti di controllo sull’attività giurisdizionale solo quando il suo diritto è collegato giuridicamente con quello oggetto del processo, sebbene egli possa subire comunque un pregiudizio grave, anche qualora tale collegamento sia mediato.

Diviene, dunque, necessario riconoscere al minore garanzie processuali che rendano concreta la tutela giurisdizionale dei suoi interessi: la Corte europea dei diritti dell’uomo, in alcune pronunce178, ha proclamato il

diritto di questi ad una effettiva partecipazione nel processo (the right to

effective participation) in modo tale che egli possa esprimere, senza

pressioni e con l’aiuto di esperti, i propri intendimenti.

Inoltre, uno studio comparatistico179 con altri Paesi europei (Francia,

Inghilterra e Germania), dimostra come, solo in Italia, si sia rimasti ancorati ad una concezione del minore quale soggetto debole del processo e perciò, il più delle volte, escluso dalla sede giurisdizionale. Negli altri Stati, infatti, o possono rivolgersi autonomamente dinanzi al giudice degli affari familiari per mezzo di un curatore speciale o, comunque, sono riconosciuti come autonomi centri di interessi e diritti. Il nostro sistema giuridico-processuale, invece, prevede espressamente, all’articolo 75, commi 1 e 2, del c.p.c., l’insussistenza della legittimatio

ad processum in capo al minore di età poiché privo della capacità di

agire e, quindi, del libero esercizio dei propri diritti. Tuttavia, tale norma

178 Corte eur. diritti dell’uomo 15 giugno 2004, Sc. c. United Kingdom, Eur. in Human rights rep., 2005, p.226 ss.; Corte eur. diritti dell’uomo 23 settembre 2003, H. c. Turkey, id., 2004, p. 394 ss.

179L.QUERZOLA, Il processo minorile in dimensione europea, Bononia University

non costituisce un limite invalicabile all’identificazione di questo come parte nel processo in quanto si è rilevato180 che la norma potrebbe essere

letta “a contrario” per far intendere come necessaria e persistente la rappresentanza legale del minore da parte dei genitori, di un tutore o curatore (sebbene con alcune precisazioni in quanto solo i genitori possono essere anche parti essi stessi nel procedimento) per il coinvolgimento di quest’ultimo nella controversia.

Il raggiungimento della maggiore età come conditio sine qua non dell’acquisto della capacità di agire costituisce un forte ostacolo al