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Nel caso precedentemente descritto non è ancora prevista una conclusione, essendo un affido sine die. È difficile stabilire, al momento, se rimarrà in affido presso quella famiglia o se andrà in adozione. Le operatrici dell’équipe, che hanno seguito il caso, sono, tuttavia, concordi nel ritenere che non è possibile un rientro della ragazza in famiglia, in quanto la mamma, essendo paziente psichiatrica, non è riuscita a recuperare le sue capacità genitoriali e si ritiene che, anche in un futuro prossimo, non sarà in grado di prendersi adeguatamente cura della figlia anche e soprattutto per lo stile di vita che attualmente conduce. Questo è un esempio dei possibili esiti di un progetto di affido.

Come già precedentemente sottolineato, in questi ultimi anni, è cresciuto l’interesse e la sensibilizzazione verso il fenomeno dell’abuso, premettendo di effettuare interventi tempestivi attraverso adeguate misure di tutela, lo stesso, però, non si può dire riguardo alla conclusione dell’affido. Nonostante l’istituto dell’affidamento familiare è sempre più utilizzato come misura di protezione nell’interesse del minore, “manca ancora, ad

105 oggi, una specifica attenzione sul come gestire e affrontare la conclusione; una riflessione sugli aspetti emotivi sia del minore sia della famiglia affidataria e manca una progettualità sul post-affido. Ciò può dipendere da una difficoltà pratica nel gestire questa delicata fase. Spesso la chiusura dell’affido avviene in modo frettoloso, soprattutto perché il più delle volte non vi è confronto tra le diverse figure professionali”286

.

La conclusione dell’affido, al contrario, dovrebbe essere una fase degna di attenzione al pari di quella dell’inizio. “Non è possibile, infatti, concludere un caso di affidamento familiare se non si riesce ad ipotizzare, ad impostare e a costruire questa possibilità fin dal primo momento in cui ha inizio il percorso, cioè prima ancora che il bambino venga accolto dalla famiglia affidataria. Si tratta di uno degli elementi di tipo prognostico che fa parte di tutte le fasi del processo di affido”287

.

Tenendo conto delle diverse tipologie di affido, la conclusione, può avvenire in modi e tempi molti diversi e sfociare nella proroga del provvedimento o nel rientro a casa o nella trasformazione in altre forme di accoglienza.288

Analizzando i possibili esiti di un percorso di affido, ci si rende conto che la maggior parte dei bambini non rientra in famiglia, e che solo una piccola parte di essi ritorna a casa. Può accadere, infatti, che la famiglia di origine non sia riuscita a superare le criticità iniziali; o che, a causa del prolungamento dell’affido, il minore resti nella famiglia di accoglienza; o ancora, che, con il raggiungimento della maggiore età decida di trovare una sistemazione autonoma.289

Secondo quanto disposto della legge 184/1983290,“per far cessare un affido occorre che la stessa Autorità che lo ha disposto emani un provvedimento in cui si dichiari che è cessata la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine che aveva reso necessario l’allontanamento del minore, oppure evidenzi che la prosecuzione dell’affido danneggerebbe il minore. La prassi però, si allontana dal dettato di legge perché la

286

CAM (a cura di), op. cit. pag. 160.

287

Sanicola L., Il dono della famiglia. L’affido, oltre l’educazione << assistita >>, Paoline, Milano, 2002, pag. 218.

288 Associazione Progetto Famiglia, Fondazione Affido, Gesco, op. cit. pag. 126. 289 Sanicola L., op. cit. pag. 220.

290

Legge 184/1983 art. 11 conclusione dell’affidamento : “l’affidamento familiare si conclude con un provvedimento dell’Autorità che lo ha disposto, quando: la famiglia di origine ha superato le difficoltà che lo hanno determinato; la sua prosecuzione non è più nell’interesse del minore; il minore affidato raggiunge la maggiore età o al termine del prosieguo amministrativo”.

106 rapidità con cui cambiano gli avvenimenti e l’urgenza, a volte, di sanare delle situazioni di pericolo per i minori, che si possono verificare sia nella famiglia di origine, che in quella affidataria, fa sì che quasi sempre il documento ufficiale venga emanato con ritardo”291

.

Inoltre nel caso in cui vengano messi in atto dei provvedimenti-tampone per situazioni di emergenza, il fallimento dell’affido è quasi sempre assicurato. L’affido può risultare fallimentare qualora si verifichi una brusca interruzione dell’affido, oppure, quando, trasformandosi in una adozione vera e propria, si vada in contro ad uno snaturamento, o quando, infine, venga concluso con il rientro del bambino in una famiglia in cui la situazione di difficoltà è sostanzialmente immodificata292.

Occorre, dunque, che il Centro Affidi predisponga un progetto di rientro e di accompagnamento al minore e alla sua famiglia, che tenga, soprattutto, conto del riadattamento del minore al nuovo contesto familiare. Sarà compito dell’operatore preparare sia la famiglia affidataria, sia la famiglia naturale alla realizzazione del rientro definitivo, tenendo presente che, ciò comporta, da un lato la separazione del minore con la famiglia affidataria, la quale smuove delle potenti emozioni e genera timori per il futuro, dall’altro ri-accoglienza nella famiglia di origine293

.

Nel caso venga predisposto il rientro del minore, “gli operatori dovranno esercitare un’attenta vigilanza sulla nuova situazione oggettiva e relazionale nella quale il minore verrà a trovarsi. Bisogna considerare che la temporanea separazione ha prodotto la reciproca percezione di diversità tra minore e famiglia che lo riaccoglie; che il minore dovrà riconquistarsi spazi e relazioni; che, infine, considerata la precarietà degli assetti della media delle famiglie, non è infrequente che il minore rientri trovando una situazione molto mutata”294

.

Oltre che dagli operatori, “il bambino dovrà essere preparato anche dalla famiglia affidataria, dovrà essere guidato e accompagnato ad affrontare la nuova situazione con la certezza di poter contare su punti di riferimento precisi. È inevitabile che il bambino abbia paura, infatti, il rientro è tanto desiderato quanto temuto. Il minore va rassicurato e messo dinanzi al fatto che non sta tornando in famiglia così come ne è uscito, dato

291

Ichino F., Zevola M., op. cit. pag. 33.

292 Cirillo S., Famiglie in crisi e affido familiare, op. cit. pag. 20. 293 Sanicola L., op. cit. pag. 225.

107 che, nel frattempo, qualcosa è cambiato tanto in lui quanto nella sua famiglia: entrambi, sono più solidi e strumentati rispetto a prima”295.

Durante il rientro in famiglia “è necessario ed urgente mettere in atto strumenti di appoggio alla famiglia naturale alla quale si riconsegna il minore, se non si vuole che in breve tempo essa si ritrovi nella situazione di emergenza che ha reso necessario l’affido. Gli stessi strumenti possono rivelarsi preziosi anche per la famiglia affidataria, nel corso del suo servizio”296

.

Tenendo adeguatamente conto di tutti gli attori coinvolti nel progetto di affido, “è importante predisporre, inoltre, un piano di accompagnamento alla famiglia affidataria, in quanto anch’essa ha bisogno di elaborare il lutto che la conclusione dell’affido produce. Quest’ultima va supportata soprattutto quando il minore rientra in una situazione ancora di disagio o quando l’affido si è interrotto in maniera brusca e inaspettata, poiché gli affidatari si trovano nel dover fare i conti con i sentimenti di fallimento, rabbia, delusione e preoccupazione nei riguardi del futuro del minore”297

. A conclusione dell’affido, nell’interesse del minore, è importante individuare le modalità di mantenimento dei rapporti con la famiglia che lo ha accolto, qualsiasi essa sia. Bisogna, altresì, salvaguardare la continuità dei rapporti affettivi al fine di evitare delle interruzioni traumatiche.

Come sostengono gli operatori del CAM, anche “nella fase di chiusura, come in quella di avvio, è fondamentale un lavoro di rete, che tenga conto dei diversi punti di vista, per raggiungere una visione sistemica della situazione, che contempli le posizioni di tutti, ma che mantenga sempre al centro il benessere del minore”298

.

295

Sanicola L., op. cit. pag. 226.

296 Ichino P. F. (a cura di), op. cit. pag. 152.

297 Associazione Progetto Famiglia, Fondazione Affido, Gesco, op. cit. pag. 217. 298 CAM ( a cura di ), op. cit. pag. 174.

108

CONCLUSIONI

L’affido familiare, in trattamento coatto, attuato nei casi di abuso intrafamiliare, non è di facile risoluzione. Gli interventi messi in atto, infatti, non sempre giungono ad un esito positivo, evenienza dovuta anche alle scarse risorse economiche, alla frammentazione presente sia all’interno che fra i servizi e al debole investimento sul recupero delle famiglie in difficoltà. Si propende ad attivare processi di allontanamento del minore dalla famiglia piuttosto che favorire il ricongiungimento familiare, pertanto, molto spesso, ci si trova di fronte a casi di affido sine die perdendo di vista ciò che la legge 149/2001 sancisce nel primo articolo.

In relazione a tale punto, durante la mia esperienza di tirocinio, dal confronto con le diverse figure professionali e i diversi casi esaminati, è emersa la necessità di un’ulteriore revisione della legge 184/1983 in relazione ai tempi di durata dell’affido. Al fine di tutelare realmente il minore sarebbe opportuno fissare un tempo limite massimo oltrepassato il quale, procedere con “l’adozione in casi particolari” come previsto dalla legge nell’ ex art. 44299

.

Ci sono dei casi di abuso particolarmente complessi in cui ciò che risulta sbagliato è la ratio. Si tratta delle situazioni in cui, già dall’inizio dell’intervento, non si prospetta una recuperabilità genitoriale. In questo caso, quindi, non si dovrebbe procedere con l’attivazione dell’affidamento familiare e inoltre, l’espressione stessa di “affidamento

299L’articolo 44, adozione in casi particolari, della legge n. 184/93 è sostituito dall’art. 25 della legge n.

149/2001: “Art. 44. – 1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; soppressa d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. 2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi. 3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. 4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”. Riferimento: http://www.camera.it, 05.06.2015.

109 familiare” diventa inappropriata, soprattutto qualora non si preveda il reinserimento del minore presso il proprio nucleo di origine.

Bisognerebbe evitare di strumentalizzare ulteriormente l’istituto dell’affido, affinché non degeneri in un affido sine die il quale risulterebbe essere controproducente per il minore per la famiglia naturale, in quanto costretti a vivere in una situazione di continua incertezza e anche per i genitori affidatari. Questi ultimi, infatti, non potrebbero esercitare una responsabilità esclusiva sul minore in quanto i tutori rimarrebbero comunque i genitori biologici.

Il prolungarsi dell’affido non solo crea disagi ma non consente né al minore né alla famiglia affidataria di godere dei veri e propri diritti oltre che dei doveri. Ciò viene dimostrato, ad esempio, nel caso di un intervento chirurgico per il quale è necessario l’autorizzazione da parte della famiglia naturale, e quando entrambi i genitori non sono reperibili non agevola il compito degli affidatari.

A conclusione del mio elaborato ritengo opportuno sollevare un’ulteriore attenzione in relazione al sostegno dei genitori biologici. Un’importante novità e iniziativa potrebbe essere quella, come suggerisce Francesca Ichino, di “creare gruppi di appoggio alle famiglie di origine come già viene fatto per le famiglie affidatarie. Ciò sarebbe possibile solo se i gruppi di famiglie naturali fossero suddivisi per categorie omogene di problemi”300.

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