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Per cercare di delineare un intervento tecnico preventivo che riguardante le diverse figure professionali per costruire quella “rete” di servizi, di cui parla la legislazione sanitaria, e che possa dare una risposta non sintomatica al problema dell’abuso nell’infanzia, bisogna partire dalla conoscenza dei fattori di rischio denominati “indicatori di rischio”, in quanto costituenti le condotte abusanti e maltrattanti, per poter stabilire un equilibrio tra quello che si potrebbe fare e quello che si può fare.157

Il problema dell’abuso, infatti, va affrontato non solo come un problema clinico, giuridico e di ordine pubblico, ma anche da un punto di vista di informazione- formazione della popolazione e degli operatori che, a diverso titolo, se ne occupano158.

Da diversi anni sono state attivate strategie di intervento per dare una soluzione ai casi di abuso; si riscontra, in particolar modo, un maggior impegno di strutture mediche, psicologiche, sociali e legali, le quali, da una parte hanno certamente migliorato la protezione dei bambini, spostando l’asse dell’intervento dalla punizione alla cura, dall’altro hanno permesso di scoprire che ciò che veniva alla luce era solo una piccola parte del problema molto più vasto. Occorre trovare strategie diverse per andare incontro ai bisogni e alle richieste che sottendono la violenza e poter dare risposte prima che si verifichi l’evento in tutta sua drammaticità.

Per una maggiore prevenzione sarebbe, dunque, necessario preparare studenti di medicina e di legge, assistenti sociali, psicologi, inseganti, durante i loro training fornendo loro il bagaglio teorico e gli strumenti operativi necessari per affrontare questo fenomeno sociale. Affinché ciò si realizzi in concreto è necessario che la prevenzione

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Giamundo V., Abuso e maltrattamento all’infanzia. Modelli di intervento e terapia congiunto- comportamentale, Franco Angeli, 2013, pag. 333.

157 Montecchi F. (a cura di), op. cit., pag. 133. 158Http://www.sinpia.eu, op. cit. pag. 54, 08.05.2015.

60 della violenza ai minori diventi, a tutti gli effetti, uno degli obiettivi primari delle strutture ed istituzioni pubbliche e private che si occupano dell’infanzia.159

Il processo d’intervento, che oggi sembra essere consolidato nell’apparato teorico dei servizi che si occupano di tutela, si snoda in una prima tappa che prevede la rilevazione da parte degli operatori del livello di gravità del rischio o pregiudizio per il minore. Quando viene riscontata un'elevata gravità del danno e negazione dello stesso, si procede con una segnalazione tempestiva, che rappresenta il punto cardine, in forma rigorosamente riservata alla Procura presso il Tribunale per i minorenni, dalla quale viene emesso un decreto contenente una misura di protezione tesa ad interrompere il danno o ad annullare il fattore di rischio. L’operatore ha l’obbligo della riservatezza, in quanto, con il coinvolgimento della famiglia, dopo avere rilevato un fatto grave da costituire reato, si rischia di andare incontro ad una ripercussione, un inquinamento di prove, ritrattazione del bambino, minacce o ad una trasformazione della lettura della realtà. 160

Successivamente alla segnalazione, l’assistente sociale è dunque chiamata ad effettuare un’indagine per l’accertamento del danno, il quale può essere: sanitario, sociale o psicologico.

Altro passo importante, che nasce dalla ricerca sistemica, è legato al rapporto tra misure protettive e danno. Quando le competenze genitoriali risultano essere insufficienti, possono essere messe in atto diverse misure di protezione che devono sempre essere commisurate all’entità del danno subito dal minore. In ciò risiede la capacità dell’operatore e la capacità del pensare in gruppo nel fare scelte ponderate. Quando vi è un sospetto di abuso si procede con l’allontanamento del minore, attraverso un affido a parenti, o a terzi oppure ad un collocamento in comunità; nelle situazioni meno gravi si procede con un controllo dei servizi attraverso l’assistenza domiciliare da parte di un educatore o personale ausiliario e, infine, nel caso di misure più forti, vengono impartire delle prescrizioni ai genitori.

Nel mettere in atto una misura di protezione, bisogna tener presente che essa deve agevolare il recupero del genitore, quindi sarebbe meglio evitare collocamenti che

159 Montecchi F. (a cura di), op. cit. pag. 134 e ss. 160 Cirillo S., Cattivi genitori, op. cit. pag. 22.

61 possono deprimere il genitore demotivandolo. Nella fase di misure di protezione d’urgenza i collocamenti che andrebbero evitati riguardano: l’affido eterofamiliare, ad accezione che non si tratti di neonati o affido a rischio giuridico e affido a parenti con l’eccezione di voler aiutare il proprio figlio/a a curarsi e a recuperare la competenza parentale, e quindi a riprendersi il bambino. Ciò è ancora più chiaro riprendendo il pensiero di Cirillo: “l’affido è sì una risorsa preziosa; permette di crescere e di vivere, a volte anche di vivere serenamente e di essere felici, però non è un bene, resta un male, anche se il male minore”.161

Si arriva così alla fase cruciale dell’intervento centrato non più solamente sulla cura del bambino ma che si estende alla cura e al trattamento dei genitori e delle dinamiche familiari di cui anche il minore è parte. Questa è la fase della valutazione di recuperabilità dei genitori che si contraddistingue per l’intervento coatto, rivolta quindi ad utenti che, come li definisce Cirillo, “ non sanno chiedere aiuto ma non per questo non lo meritano”162

; la possibilità di poter intervenire in modo coatto ha trasformato la realtà dei servizi. In questa fase si cerca di promuovere, ove possibile, un processo di cambiamento nei genitori e quindi una valorizzazione delle loro potenzialità.

La valutazione di recuperabilità permette di giungere ad una prognosi di recuperabilità che deve essere fondata su due presupposti essenziali: l’interruzione del comportamento inadeguato e la previsione di trattabilità formulata dagli operatori, quest’ultima commisurata alla capacità del genitore di riconoscere il danno e di produrre ipotesi eziopatogenetiche, per comprendere le ragioni del proprio comportamento.

Il processo d’intervento si conclude con la settima fase di trattamento; se la prognosi risulterà negativa, e quindi dalla valutazione di recuperabilità si desume che i genitori non saranno in grado di cambiare, si dovrà pensare in modo prioritario al bene del bambino e di conseguenza ad un suo inserimento in un contesto familiare alternativo.

161 Ivi pag. 75.

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4. Dalla valutazione delle competenze genitoriali agli interventi di