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Il progetto di affido: risorse e difficoltà

Uno degli interventi più complessi e difficili della tutela minorile è rappresentato dell’affidamento familiare, in quanto, costituisce una vera e propria sfida operativa e intellettuale per tutte le agenzie. “Esso non ha solo il compito di organizzare e portare a termine con successo l’allontanamento e l’affidamento, ma anche di costruire e di mantenere, per tutta la durata dell’affido, un’organizzazione con una strategia coerente di scelte e d’intervento intorno alle valutazioni di volta in volta consolidate”236

.

Con tale istituto si crea un interessante “intreccio tra responsabilità private e pubbliche. È un terreno di incontro tra istituzione e società civile, dove si sperimentano modelli integranti d’intervento della politica sociale, probabilmente più adeguati, e rispondere ai bisogni sociali di una società post-industriale e complessa”237.

L’affidamento familiare è un provvedimento assistenziale messo a punto in vista della prevenzione dei disturbi psichici e comportamentali che possono derivare dalla carenza di cure genitoriali e di un contesto familiare adeguatamente funzionale durante l’infanzia e l’adolescenza. Tuttavia il suo utilizzo, all’interno di un’ottica che pone al centro dell’attenzione i bisogni dell’infanzia e la tutela dei diritti dei minori, è recente ed ciò è coinciso con la crescente preoccupazione della Comunità internazionale nei confronti dei problemi all’infanzia deprivata.238

235 Ivi pag. 216-217. 236

CAM (a cura di), op. cit. pag. 28.

237 Ichino P. F. (a cura di), op. cit. pag. 19.

238 Zurlo M. C., Il bambino le due famiglie i servizi sociali. Il tetraedro dell’affido, Edizioni Scientifiche

83 Con il tempo anche la legislazione, adeguandosi alla nuova sensibilità al problema dell’abuso ha iniziato a porsi diversamente nei confronti dei bisogni e dei diritti del bambino. Cultura giuridica e cultura psicologica hanno, dunque, teso sempre più alla valorizzazione dell’infanzia e alla difesa dei diritti e degli interessi dei minori.

In relazione al concetto di “interesse del minore” difficile da definire e tutelare, sono sorti dei problemi che oltre a sottolineare, come già affermato, sempre più la necessità che i giudici si avvalessero della collaborazione di psicologi per l’applicazione di norme giuridiche di assistenza all’infanzia, hanno dato origine ad un intenso dibattito da cui è scaturita la successiva Legge n. 184 del 4 maggio 1983, che ha rinnovato la regolamentazione degli interventi di assistenza all’infanzia”239

.

La portata innovativa della legge intitolata “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento”, successivamente modificata dalla legge 149 del 2001, è stata quella di privilegiare fin dall’inizio la famiglia naturale del bambino e nel porre l’intervento a sostegno di quest’ultima quale forma preliminare di aiuto all’infanzia. La legge 184/1983 sottolinea, infatti, già nel primo articolo, il primario diritto del minore ad “essere educato nella propria famiglia” e propone, in seconda istanza, nei casi in cui la famiglia si trovi in temporanee condizioni di difficoltà, il ricorso all’affido familiare240.

Chi si occupa di tutela sostiene che forse sarebbe opportuno riscrivere l’art. 1 in un modo meno ambiguo e lontano da quanto avviene nella realtà. La frase: “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”, si potrebbe sostituire con la più precisa frase “il minore ha diritto di crescere ed essere educato dai suoi genitori, nell’ambito della propria famiglia”241

.

“Ci troviamo di fronte ad un istituto giuridico particolarmente controverso sia in rapporto agli ambiti di applicabilità che relativamente ai livelli di positiva correlazione tra intenzione del legislatore e risultati della prassi operativa”242.

La legge non distingue tra le possibili forme di affido, ma la pratica dimostra che esistono varie tipologie, essendo l’affidamento uno strumento flessibile, che deve

239

Zurlo M. C., op. cit. pag. 12.

240 Ichino F., Zevola M., op. cit. pag. 3. 241 CAM (a cura di), op. cit. 2012, pag 26. 242 Ichino P. F. (a cura di), op. cit. pag. 15.

84 adattarsi alla molteplicità di situazioni e bisogni. La prima distinzione fondamentale, riguarda la manifestazione di consenso. È definito consensuale l’affidamento disposto dal servizio sociale locale con il consenso dei genitori o dei tutori del minore. Si parla, invece, di affidamento giudiziale, quando avviene su proposta del servizio titolare e con provvedimento243 del Tribunale dei Minori, senza il consenso dei genitori ed è disposto per motivi di protezione e di difesa del minore che si trova in una situazione di pericolo244. Nel caso specifico dell’abuso, lavorando in un contesto coatto, vi è una netta prevalenza di affidi giudiziari.

L’affido familiare ha come obiettivo principale quello di favorire il rientro del minore o adolescente affidato nel suo nucleo familiare di origine, in quanto dovrebbe essere un provvedimento temporaneo con cui risolvere una difficoltà transitoria della famiglia d’origine; in questo differisce dall’adozione che è, invece, un provvedimento definitivo in quanto presuppone che l’autorità giudiziaria abbia accertato l’irrecuperabilità della famiglia d’origine del minore e abbia dichiarato il minore adottabile245.

Per rendere ancora più chiaro il concetto volevo citare un articolo di Bal Filoramo246 nel quale sostiene che: “l’affido familiare non dovrebbe essere considerato un’alternativa all’adozione, ma un provvedimento temporaneo a fondamento del quale esista un’accertata, nei limiti del possibile, validità di base della famiglia di origine del bambino, validità che costituisca una garanzia di un suo ritorno nel nucleo originario, una volta risolto il problema che ne ha determinato l’allontanamento”247

.

A seconda dei tempi e del legame o meno di consanguineità l’affido si distingue in: affido temporaneo etero-familiare il quale comporta “l’accoglienza di un minore da parte di una famiglia senza vincoli di parentela con il nucleo familiare di origine

243

Nel provvedimento di affido familiare devono essere specificati i motivi per cui si colloca il minore in affido, per quanto tempo si prevede esso debba durare e con che scadenze debba essere mandata una relazione al giudice.

244 Feder S., Polgatti A., Re-incontrarsi. Esperienze di riavvicinamento e condivisione tra i genitori e

figli: il soggiorno assistito, Franco Angeli, Milano, 2012, pag 42.

245 Ichino F., Zevola M., op. cit. pag. 8.

246 Articolo intitolato “Lo psicologo e l’affidamento familiare”. 247 Ichino P. F. (a cura di), op. cit. pag. 27-28.

85 temporaneamente in difficoltà”248

; e affido temporaneo intra-familiare il quale, invece, fa riferimento ai casi in cui il minore viene accolto presso i parenti entro il quarto grado, qualora tra loro si verifichi l’esistenza di un legame affettivamente significativo. Troppo spesso, però, l’affido si prolunga diventando così un affido sine die, che è la terza tipologia non prevista dalla legge n.184/93 e ss., disposto dal Tribunale per i minorenni ai sensi delle ex art. 330 e ss. del Codice Civile. Questa tipologia consiste nell’affidare un minore “per un periodo di tempo indefinito, ad una famiglia senza vincoli di parentela con il nucleo familiare di origine”249.

Quest’ultima opzione è quella che, di fatto, snatura il senso dell’affido, vista come la modalità più problematica, in quanto il più delle volte viene usata come una’alternativa all’adozione. La funzione dell’affido viene così rinnegata, vanificata e l’affido viene stravolto, piegato e strumentalizzato ai fini adottivi, diventando illegittimo, perché emesso in assenza di legge. Il protrarsi a lungo dell’affido, oltra a dimostrare obiettivamente che le difficoltà non erano transitorie, rischia di deresponsabilizzare i genitori biologici, che arrivano ad accettare passivamente, gradualmente, quasi senza accorgersene, la definitiva perdita dei figli, ossia proprio ciò che l’affido familiare si propone di evitare250.

Nel caso di affido sine die è più idoneo affermare che: “l’elemento che caratterizza l’affido non è tanto la temporaneità, quanto piuttosto il mantenimento dei rapporti del minore con la famiglia di origine”251.

Riprendendo una definizione data dagli operatori del CAM252 è possibile affermare in definitiva che: “ l’affido familiare è una risposta ai problemi del minore il cui nucleo familiare sia, temporaneamente (affido temporaneo) o indefinitamente (affido sine die),

248

Associazione progetto famiglia, fondazione affido ONLUS, op. cit. pag. 32.

249 Ivi pag. 32.

250 Manera G., L’adozione e l’affidamento familiare nella dottrina e nella giurisprudenza, Franco Angeli,

Milano, 2004, pag. 53.

251

Ichino F., Zevola M., op. cit. pag. 35.

252 Il CAM (centro ausiliario per i problemi minorili) è una libera associazione di volontari, presso il

Tribunale per i minorenni di Milano, tutti professionalmente qualificati, nata nel gennaio del 1969, nel pieno lavoro che si era riversato sui tribunali minorili a seguito della promulgazione della legge 5 giugno 1967, n. 431, sulla adozione speciale e ordinaria. Nel suo statuto si legge che “ l’associazione ha per scopo l’attività di ricerca, d’informazione e di collaborazione relativamente ai problemi dei minorenni e della famiglia, con particolare riguardo agli affidamenti familiari e alle adozioni ordinarie, esclusa ogni finalità di lucro”.

86 non in grado di provvedere all’allevamento, educazione o terapia, e d’altra parte la situazione di disagio familiare non sia risolvibile con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia naturale, oppure con l’adozione, per l’assenza di requisiti giuridici necessari”253

.

L’affido familiare può essere visto come la “panacea capace di risolvere tutti i mali”254

, in quanto è uno strumento prezioso che permette a questi bambini di crescere bene nella famiglia affidataria, e di mantenere contatti significativi con i propri genitori naturali, “sprovveduti sì ma non inesistenti”255

; anche se non può avere una generalità di applicazione. Si ritiene inopportuno, ad esempio, disporre l’affidamento dei minori a coppie senza figli, cosa che potrebbe creare maggiori problemi nel momento della restituzione. Provvedimento, ugualmente, sconsigliato quando si tratta di neonati, perché tale processo può portare ad identificare gli affidatari come loro genitori.

In base alla gravità della situazione, e soprattutto nei casi di bambini che hanno subito abuso sessuale o maltrattamento, l’intervento messo in atto è l’affido terapeutico- riparativo, in quanto i minori necessitano di un aiuto qualificato che permetta loro di riorganizzarsi interiormente, comprendendo quanto loro accaduto ed elaborando il danno subito. In questo caso gli affidatari hanno la funzione di riparare gli scompensi provocati sulla personalità dei minori e diventano figure in grado di mediare con quelle genitoriali.

Il collocamento fuori dalla famiglia ha senso all’interno di un progetto che tenga conto delle esigenze dei bambini, dei loro bisogni evolutivi, della cura delle parti danneggiate e della cura dei legami. Pertanto è indispensabile partire dalla creazione del progetto di affido che “consiste nella collocazione di un minore in una famiglia affidataria e nella presa in carico della sua famiglia per l’assistenza e la cura del disagio che ha portato il Tribunale alla decisione di allontanare il minore. I due aspetti sono strettamente correlati e la mancanza della presa in carico della famiglia del minore può diventare un rischio di fallimento dell’intero progetto stesso di affido”256

.

253

Ichino P. F. (a cura di), op. cit. pag. 29-30.

254 Manera G., op. cit. pag. 61.

255 Ichino F., Zevola M., op. cit. pag. 9.

87 Le tempistiche sono di rilevante importanza, soprattutto per il lavoro con la famiglia di origine, in quanto l’assistente sociale, per elaborare il progetto, deve valutare la possibilità e i tempi di recupero. A volte può essere difficile sincronizzare i tempi di recupero e il bisogno del piccolo di una famiglia.

“Il processo di affido non governato rischia di perdere il suo significato di fertilità e diventare sterile se non addirittura dannoso”257. La Zurlo ricorda che l’affido è un sistema relazionale complesso in cui ad ogni cambiamento corrisponde la trasformazione di tutto il sistema. Essa sostiene che: “il sistema di affido può essere visualizzato come una piramide a base triangolare al cui vertice è collocato il bambino ed alla cui base sono collocati gli altri principali partner relazionali (famiglia di origine, famiglia affidataria e servizi). Tra i membri del sistema intercorre una relazione, e ogni relazione esercita la propria influenza anche su tutti gli altri membri”258

.

In assenza di gestione, il sistema-affido tenderà ad autodeterminarsi, “con il rischio di sfociare in triangoli perversi, ovvero nella coalizione tra due dei membri della relazione triadica a discapito del terzo”259

.

Bisogna, quindi, tener bene in mente che “l’affido in sé non rappresenta una soluzione alle difficoltà che l’hanno originato, se non è affiancato da un progetto parallelo di intervento e recupero del nucleo familiare naturale. Emerge, dunque, la necessità di effettuare, prima di collocare un bambino in affidamento, una valutazione psicologica della famiglia d’origine che permetta di comprendere, insieme alle cause del disagio, anche gli eventuali spazi di recuperabilità delle funzioni parentali compromesse e quindi le possibilità di reinserimento finale del minore nella famiglia naturale”260. Dovrebbe, infatti, “basarsi su una prognosi di possibile recupero della situazione e quindi fondarsi su un progetto di recupero della famiglia d’origine e del suo rapporto con il figlio; tale progetto dovrebbe essere a sua volta frutto di una sperimentazione di possibili interventi preventivi e alternativi all’allontanamento o, almeno, prevedere un

257

Associazione Progetto Famiglia, Fondazione Affido, Gesco, op. cit. pag. 21.

258 Zurlo M. C., op. cit. pag. 14-15.

259 Associazione Progetto Famiglia, Fondazione Affido, Gesco, op. cit. pag. 21. 260 Feder S., Polgatti A., op. cit. pag. 45.

88 efficiente programma di interventi contemporanei, atti a favorire, o a rendere possibile, una svolta positiva della situazione”261.

L’affido diventa, realmente, una risorsa per il bambino e per i suoi legami familiari se gli operatori progettano ed effettuano un buon affidamento familiare attraverso la previsione di interventi specifici volti al sostegno, al recupero della famiglia di origine e alla modifica del suo modo di funzionare che sta alla base dell’allontanamento del minore.

Prima di intervenire bisogna riuscire ad inquadrare la natura della crisi che la famiglia sta attraversando e le regole che strutturano il sistema familiare. È importante, dunque, cercare di prevedere se si è in grado di sciogliere, ciò che Cirillo definisce “gioco familiare” e se l’affido può essere utilizzato come strategia di intervento262

. Succede spesso, tuttavia, che le istituzioni siano costrette a cercare soluzioni immediate e con rapidità, e di conseguenza rimanga poco tempo e spazio da dedicare alla valutazione dinamica, al lavoro di coinvolgimento della famiglia nella costruzione del progetto, oltre che alla considerazione del destino degli affetti.

Nell’affido sono in gioco principalmente due dinamiche: separazione e attaccamento. La separazione assume una dimensione centrale, mentre il processo di attaccamento, inteso come nuovo attaccamento alla famiglia affidataria e quello nei confronti della famiglia naturale, rimane sullo sfondo. Il bambino in affido ha la necessità inviolabile di vedere rispettati i legami con la sua famiglia, anche quando questi sono negativi o scarsi. Il bisogno di mantenere i legami naturali, e contemporaneamente la necessità di accettare l’allontanamento dalla famiglia di origine, riconoscendone motivazioni legate a difficoltà della stessa, pone il minore in un conflitto molto forte, e dal modo in cui viene affrontato questo conflitto dipende in larga misura la possibilità del bambino di utilizzare positivamente le risorse offerte dall’affido263

.

Il buon andamento dell’affido non dipende solo dalla relazione tra bambino e famiglia affidataria, ma, soprattutto, dalla relazione con la famiglia d’origine che

261

Mazzucchelli F. (a cura di), Percorsi assistenziali e affido familiare, Franco Angeli, Milano, 1993, pag. 35.

262 Cirillo S., Famiglie in crisi e affido familiare, op. cit. pag. 15-19. 263 CAM (a cura di), op. cit. pag. 45 e ss.

89 influenza il progetto, in quanto, l’affido è sempre una scelta legata al recupero dei genitori.

I rapporti con la famiglia di origine sono un aspetto importantissimo, tipico dell’affido, e la loro regolamentazione deve essere progettata con particolare cura, soprattutto nei casi di abuso. In una elevata percentuale di casi si ritiene meglio troncare, sia pure per un certo periodo, o mantenere molto allentate le relazioni del minore con i genitori, tanto più quanto più precarie sono le condizioni del minore stesso e più gravi la situazione familiare264.

Bisogna quindi dare la giusta importanza al mantenimento dei rapporti; il primo passo da fare è proprio quello di favorire gli incontri tra genitori e figli, ma può accadere che in alcuni casi siano i genitori stessi ad avere un rifiuto nell’incontrare il proprio figlio, lo stesso rifiuto si può verificare nei casi in cui sia il giudice a impedire coattivamente gli incontri tra il minore e i genitori naturali durante il collocamento265. Una della motivazione, per cui ciò si verifica, può essere legato alla forte influenza psicologica, definita “emprise”266, esercitata da parte del genitore abusante su figlio, specialmente se piccolo.

Uno dei compiti fondamentali dell’operatore, durante l’affido, è quello di informare il bambino su quello che sta accadendo o che accadrà, attraverso lo strumento della narrazione267. Uno dei nodi problematici riguarda proprio questo aspetto, in quanto, molto spesso non viene spiegato al minore a cosa realmente stia andando incontro oppure ciò viene fatto parzialmente per paura di ferirlo ulteriormente. In questo modo, però, viene esacerbato il livello di ansia e di confusione, che porta il minore a moltiplicare le fantasie di abbandono e di tradimento.

Oltre ad informare è importante “ascoltare il minore, quando l’età lo permetta, per capire le sue esigenze, il suo vissuto riguardo alla sua famiglia e l’allontanamento, i suoi

264

Mazzucchelli F. (a cura di), op. cit. pag. 65.

265 Ichino P. F. (a cura di), op. cit. pag. 264. 266 Cirillo S., Cattivi genitori, op. cit. pag. 91. 267 CAM (a cura di), op. cit. pag. 58.

90 problemi, le sue speranze e aspettative. Questo in favore di un progetto concreto tale da avere con più probabilità una riuscita”268.

Bisogna tener conto che i bambini in affido, per le esperienze traumatiche vissute, mettono in atto dei meccanismi di scissione e idealizzazione, per cui, per quanto la famiglia naturale possa essere odiata e amata allo stesso tempo, il bambino può sentire l’esigenza di idealizzarla o può imbattersi in un vero e proprio “conflitto di lealtà”269

tra la famiglia naturale la famiglia affidataria. Ciò può essere talmente forte, che la difesa della propria storia personale diventa spesso l’unica strategia, per elaborare il lutto della propria storia e il fallimento dei propri genitori in difficoltà, non avendo egli gli strumenti e le risorse.

Gli obiettivi dell’affido variano in relazione ai problemi della famiglia di origine e del minore e alle esperienze subite dal minore stesso prima dell’affido. Anche se reduci da abusi, molti minori riescono a trarre vantaggio da un affido programmato semplicemente come sana esperienza di vita oltre che da affidi con obiettivi più specifici di cura, recupero o altro270.

Affinché l’affido sia realmente una risorsa effettiva per il bambino in difficoltà, “la famiglia affidataria deve essere solidale rispetto al progetto di aiutare a recuperare e sviluppare, nella famiglia d’origine le risorse e le capacità per riaccogliere il bambino, che a sua volta indubbiamente sentirà l’esigenza di mantenere e alimentare questo duplice legame di appartenenza.

È importante che la famiglia affidataria sia realmente disponibile ad accogliere e prendersi cura per un tempo limitato di un bambino in difficoltà, tenendo conto della sofferenza del futuro distacco, e pronta a sostenere contemporaneamente la sua famiglia di origine”271.

A tal proposito è importante il concetto introdotto da McHale di “co-genitorialità, il quale si riferisce alla coordinazione e al sostegno tra gli adulti responsabili della cura e dell’allevamento dei figli; ovvero deve essere costruita e mantenuta nel tempo

268

Fusi S. M. L., op. cit. pag. 34.

269 Cancrini L., La cura delle infanzie infelici, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012, pag. 13. 270 Mazzucchelli F. (a cura di), op. cit. pag. 58.

91 un’alleanza genitoriale reciproca. È molto importante riuscire a favorire l’integrazione del sé attraverso un buon livello di co-genitorialità, in quanto, le rappresentazioni di sé, che il bambino si forma, non possono essere disgiunte dalle percezioni che avranno del minore sia i genitori biologici che quelli affidatari. La finalità è quella di favorire una comunicazione costante e regolare in cui i diversi caregivers possono negoziare i conflitti, conoscere e condividere i reciproci punti di vista al fine di rendere il contesto dell’affido per i figli più stabile e prevedibile”272

.

Gli elementi e gli eventi che possono modificare o influenzare la riuscita del progetto, così come le decisioni giudiziarie o amministrative sono molteplici e difficili da sintetizzare. Si cerca sempre di studiare e prevedere i possibili rapporti tra la famiglia d’origine, minore e famiglia affidataria, alla luce delle reali necessità, dei problemi prevedibili e delle concrete possibilità di evoluzioni positive.

Non è, però, mai facile prevedere come si evolverà davvero la situazione, e come l’affidato e la famiglia affidataria reagiranno alla prova dell’inserimento e all’esperienza della vita in comune. Ogni caso è a sé273.

Progetti di affido così complessi, collegati al trattamento coatto della famiglia di