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Tecniche di intervento nel contesto coatto

La crescente domanda di interventi e trattamento, nei casi di abuso e maltrattamento, in ambito istituzionale richiede strategie operative e linee guida per l’empowerment delle risorse genitoriali e familiari e l’attivazione di sinergie istituzionali. Questo è un compito nuovo per la clinica e per la prevenzione del disagio psicosociale: in esso trovano crescente applicazione i principi del lavoro di rete a livello interistituzionale, la promozione delle risorse spontanee e, in particolare, il sostegno delle competenze genitoriali e la promozione delle vittime, creando opportuni spazi di mediazione situazionale178.

A dimostrazione di ciò, il 15 maggio del corrente anno, è stato raggiunto uno degli obiettivi più importanti da parte dell’associazione CISMAI, con l’approvazione dall’Assemblea Nazionale dei soci CISMAI, la revisione della “Dichiarazione di Consenso in tema di abuso sessuale”179, la quale fornisce le linee guida per gli operatori psico-socio-sanitari in relazione ai casi di abuso.

Nella maggior parte dei casi, i genitori maltrattanti o abusanti rivestono una sfiducia nei servizi sociosanitari il che comporta un’assenza di richiesta di aiuto, si assiste a negazioni di fatti inequivocabili, a giustificazioni presuntuosamente al limite dell’assurdo, a tentativi di scaricare la responsabilità del maltrattamento a terzi, pertanto si rende necessario intervenire con una terapia coatta che permetta agli operatori di intervenire nell’interesse del bambino180

. Questo è definito da Cirillo e dalla Di Blasio come la “terza via”181

, ovvero la possibilità per i professionisti, che si occupano di tutela minori, di lavorare in un contesto in cui, diversamente da quanto solitamente avviene in ambito terapeutico e di aiuto, viene a cadere un requisito fondamentale per promuovere processi di cambiamento, ossia la volontarietà della richiesta di aiuto.

Nella valutazione della recuperabilità ciò che fornisce la cornice contestuale dell’intervento è il decreto del Tribunale per i minorenni; una cornice regolamentata in

178 Arcidiacono C., Ferrari B. G., Legami resistenti. La clinica familiare nel contesto istituzionale, Franco

Angeli, Milano, 2009, pag. 35.

179

Http://www.cismai.it, 20.05.2015.

180 Biancardi P., Telavi, op. cit. pag. 34.

181 Cirillo S., Di Blasio P., La famiglia maltrattante. Diagnosi e terapia, Raffaello Cortina, Milano, 1989,

67 cui solo la libera adesione e partecipazione dei contenuti può rendere effettivo e significativo l’intervento.

L’intervento del tribunale per i minorenni può essere quindi concepito come un “principio ordinante”182

che definisce qualora e in che misura il bisogno del bambino deve essere considerato prioritario.

Nei casi di abuso o maltrattamento le decisioni sono delegate a carico del sistema giudiziario, cui ruolo di regia spetta al Tribunale per i Minorenni, mentre le diverse figure professionali rivestono il ruolo di consulente tecnico. In questo caso il consulente entra nel percorso istituzionale senza alcuna responsabilità se non, appunto, di consulenza al sistema giudiziario183.

Tenendo conto che, di fronte ai casi di reati di violenza in famiglia sui minori, il primo obiettivo è quello di tutelare i minori, gli operatori scolastici, sanitari e socioassistenziali non dovrebbero dimenticare che il proprio ruolo di pubblici ufficiali impone l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria. “La segnalazione al Tribunale per i minorenni costituisce, un canale accessibile, efficace e da privilegiare, proprio in quanto consente di avviare, parallelamente alla tutela dei minori, un lavoro psicologico con le famiglie”184

.

La complessità della violenza richiede una complessa risposta preventiva e di contrasto e a tale scopo il lavoro di rete è essenziale fin dalla prima fase. “La composizione dell’équipe multidisciplinare, non necessariamente complessa, che integra professionalità diverse, ed il suo collocarsi all’interno della rete istituzionale, consentono di intervenire su livelli diversi della multiproblematicità che spesso caratterizza le famiglie maltrattanti e abusanti”185

.

Riprendendo una definizione dell’OMS del 2006 è possibile affermare che: “ è quindi di vitale importanza che ci sia una stretta collaborazione tra una pluralità di settori e che si adotti un comune approccio per indagare e trattare il minore, la sua

182 Bertotti T., op. cit. 2012, pag. 159. 183

Arcidiacono C., Ferrari B. G., op. cit. pag. 37.

184 Cirillo S., Di Blasio P., op. cit. pag. 20.

185 Vigorelli M., Il lavoro di cura nelle istituzioni. Progetti, gruppi e contesti nell’intervento psicologico,

68 famiglia e il colpevole. I settori sanitari, sociali e legali hanno un ruolo importante in questo processo”186.

Pertanto il primo elemento da promuovere e sostenere, nella valutazione della recuperabilità, riguarda la “necessità di fondare l’intervento sulla presenza di una rete interistituzionale che agisca e sia organizzata come un’équipe di lavoro, la quale consente la reciproca comunicazione e la condivisione di obiettivi e strategie nel rispetto delle specifiche professionalità e differenti mandati”187

.

“Il lavoro di gruppo in équipe interdisciplinare consente l’attivazione di maggiori risorse nell’articolazione degli interventi di aiuto, offrendo la possibilità di pensare, valutare, condividere le preoccupazioni, gli orientamenti e le scelte, affrontando le situazioni conflittuali ma anche contrastando l’isolamento dell’operatore”188.

Per essere efficace, il lavoro di équipe, “deve riuscire a costruire un raccordo tra il servizio cui è temporaneamente affidata la gestione di una famiglia e i diversi attori implicati indicando, anche con precisione, le modalità di tale rapporto e stabilendo consensualmente a quale servizio attribuire un vertice di titolarità nel lavoro”189.

Uno dei problemi maggiormente riscontrato dall’emissione del decreto riguarda proprio la distribuzione dei compiti tra i servizi. Tant’è vero che “nella predisposizione di interventi, da una parte di sostegno e di valutazione e dall’altra di controllo, sia per i genitori che per i figli, la magistratura minorile può svolgere adeguatamente il proprio compito di tutela solamente con l’ausilio dei servizi sociali e di operatori con competenze psicologiche che individuino le difficoltà della famiglia e valutino la sua suscettibilità al cambiamento”190

. Per ovviare a queste difficoltà “sono necessari dei modelli che organizzino e gerarchizzino ruoli e funzioni e come afferma Cirillo, si possono individuare due modelli di integrazione.

Il più semplice è quello che contiene all’interno dello stesso servizio, sia le funzioni di tutela del minore affidato all’Ente, sia quelle di valutazione della recuperabilità dei

186 Biancardi P., Telavi, op. cit. pag. 38.

187 Arcidiacono C., Ferrari B. G., op. cit. pag. 41. 188

Mazza R., Pensare e lavorare in gruppo. La supervisione nelle relazioni di aiuto, Erecci edizioni, Anzi, 2013, pag. 13.

189 Arcidiacono C., Ferrari B. G., op. cit. pag. 41. 190 Cirillo S., Di Blasio P., op., cit. pag. 21.

69 genitori. Gli operatori degli altri servizi collaboreranno nel fornire ai colleghi del servizio materno-infantile le informazioni che questo utilizzerà nella propria valutazione.

Nel secondo modello, viceversa, al servizio mateno-infantile è attribuita solo la funzione del minore, garantita dagli operatori prima, durante, e dopo la fase della valutazione della recuperabilità, rappresentando l’elemento di continuità nella storia del caso. La funzione di valutare la recuperabilità dei genitori è assegnata, invece, ad un altro servizio, il quale si avvarrà d’informazioni trasmesse da altri servizi”191.

In letteratura vengono riscontrate delle visioni discordanti, rispetto alla necessità o meno di operare una divisione di ruoli tra operatori. C’è, infatti, chi ritiene che sia necessario avere referenti diversi per i diversi attori coinvolti (la famiglia naturale ed il minore e quelli per la famiglia affidataria), in modo che i compiti di controllo e quelli di sostegno siano separati. Uno dei vantaggi derivante dalla divisione dei compiti riguarda la conseguente facilitazione della dimensione di integrazione dei servizi. Altri professionisti temono, invece, che la divisione dei ruoli spettanti agli operatori, crei delle barriere, con il rischio di trascurare il prioritario interessa del bambino, perseguendo, invece solo l’interesse del proprio assistito. Per ovviare a queste problematiche, sarebbe opportuno, nella realizzazione del reale benessere del bambino, creare un’equipe di operatori che segua tutto il processo dell’affido, nel rispetto dei ruoli, i quali dovrebbero essere integrati tra di loro.

Gli operatori, anche nel lavoro coatto, possono offrire l’opportunità ai genitori di collaborare attivamente al percorso di valutazione per fornire loro delle spiegazioni alternative a quelle che sono all’origine del mandato del Tribunale e anche per ritrovare un significato e una prospettiva alla loro storia personale. In questo caso, “l’assistente sociale crea, con la famiglia, un rapporto atto a individuare i fattori di rischio e le risorse provando a far emergere le potenzialità in relazione alla decisione che il Tribunale prenderà e in un contesto caratterizzato dal controllo e dalla coazione, inoltre, con una scissione temporale potrà attivare gli interventi”192. Infine, essendo in contatto con le diverse agenzie del territorio, può aiutare i genitori nel recupero delle proprie

191 Cirillo S., Cattivi genitori, op. cit. pag. 100 e ss. 192 Biancardi P., Telavi, op. cit. pag. 36.

70 responsabilità, offrendo uno spazio di consulenza ed accompagnamento con lo scopo di facilitare i rapporti con gli altri soggetti193.

Un aspetto importante nella fase di valutazione di recuperabilità è la preparazione della prima seduta prestando molta attenzione alla costruzione di un contesto adeguato e nella raccolta delle informazioni fondamentali prima del primo colloquio. Cirillo sostiene che vi è “la necessità di un’assoluta flessibilità dei formati, la cui scelta viene fatta in base a ciò che riesce a mobilitare maggiormente le risorse del genitore nel produrre un cambiamento. Si possono, così, avere dei formati tipici dell’ordinamento familiare quali: seduta congiunta, sedute separate con ciascun genitore e i figli, sedute parallele con i sottosistemi; oppure dei formati atipici quali sedute di rete iniziali e sedute individuali”194.

I tempi rappresentano una criticità particolarmente significativa nella protezione dei bambini nel contesto coatto. Spesso, infatti, i tempi del bambino non coincidono né con quelli necessari per il cambiamento e cura dei genitori né con i tempi dei percorsi giudiziari che contemplano diverse esigenze.

Nel formulare un programma adeguato alle esigenze del minore, durante la valutazione diagnostica e prognostica, bisogna sempre tener conto che ogni situazione familiare è a sé, non solo per le caratteristiche ma anche, e soprattutto, per il tempo che impiega a produrre i cambiamenti.

Dopo aver effettuato le necessarie valutazioni e a conclusione del lavoro prognostico, viene inviata una relazione al Tribunale per i minorenni, contenente, non solo le radici della crisi e l’evoluzione delle relazioni familiari, ma, soprattutto, gli elementi di cambiamento che sostengono la prognosi e, su questa base, viene individuata una specifica proposta di programma adeguata alla situazione familiare.

Nei casi di prognosi positiva, il programma prevede il riavvicinamento graduale tra genitori e figlio, o il reinserimento di quest’ultimi in famiglia. Nei casi in cui si prevedono tempi lunghi per il recupero della famiglia, in condizioni di rischio, una soluzione che offre ottimi risultati, è quella di provvedere ad un affido familiare195.

193 Bertotti T., op. cit. pag. 182.

194 Cirillo S., Cattivi genitori, op. cit. pag. 151. 195 Cirillo S., Di Blasio P., op. cit. pag 54.

71 Qualora sia intrapresa la strada dell’affido è importante che, le diverse figure professionali, ognuno secondo le proprie competenze, preparino sia le famiglie che il bambino alla situazione decisa secondo il principio del preminente interesse del minore196.

196 Ichino P. F. (a cura di), L’affido familiare. Problematiche e risultati di una ricerca, Franco Angeli,

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CAPITOLO TERZO: DALL’ALLONTANAMENTO ALL’AFFIDO

COME MISURA DI PROTEZIONE NEI CASI DI ABUSO