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Conclusioni provvisorie sulle novità introdotte dalla Convenzione del 2000 in tema di assistenza giudiziaria penale tra

L’assistenza probatoria nel diritto internazionale e nel diritto dell’Unione europea

8. La Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea

8.11. Conclusioni provvisorie sulle novità introdotte dalla Convenzione del 2000 in tema di assistenza giudiziaria penale tra

gli Stati membri dell’Unione europea

La Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea introduce, dunque, significative novità in tema di acquisizione della prova all’estero.

La Convenzione prevede, in primis, in linea con gli obiettivi enunciati nel preambolo, un sistema di inoltro diretto delle richieste di rogatoria tra le autorità giudiziarie, in luogo del tradizionale regime di trasmissione delle domande previsto dall’art. 15 CEAG.

82

S. Ruggeri, 2015, p. 152.

83 A. Mangiaracina, 2004, p. 2196. 84 R. Belfiore, 2014, p. 168.

La norma depone, quindi, per una tendenziale depoliticizzazione dei rapporti di cooperazione giudiziaria, allo scopo di velocizzare le procedure di trasmissione, escludendo il vaglio dell’autorità ministeriale, sintomo di una ingerenza politica nell’amministrazione della giustizia che causa ritardi e inefficienze.

Ancora, per assicurare la rapidità e l’efficienza del sistema di assistenza giudiziaria, la Convenzione, ammette poi la possibilità, nei casi di motivata urgenza, che lo Stato richiedente e quello richiesto interloquiscano sui tempi di esecuzione della domanda, secondo il meccanismo delineato dall’art. 4 della Convenzione.

Si cerca in tal modo di fornire una pur parziale risposta a quello che da sempre viene considerato come uno dei principali fattori di ostacolo per la cooperazione giudiziaria85.

Nel tentativo di semplificare ulteriormente i rapporti di collaborazione tra Stati, e di prevedere strumenti alternativi alla rogatoria tradizionale – caratterizzata da tempi di esecuzione lunghi –, la Convenzione disciplina pure nuove forme di cooperazione86, che fanno propria l’esigenza «di svincolare l’aiuto prestato alle autorità giudiziarie straniere nella conduzione dei procedimenti penali alla presentazione da parte di queste ultime di un’apposita, formale richiesta»87

. È sul piano della legge applicabile che, però, si registrano le maggiori novità. La Convenzione88 prevede che, nell’espletamento dell’attività richiesta, lo Stato membro rogato osservi le formalità e le procedure espressamente indicate dallo Stato richiedente, salvo che la Convenzione disponga altrimenti o che tali formalità e procedure siano in conflitto con i principi fondamentali del diritto dello Stato membro richiesto.

La deroga al principio del locus regit actum, attuata con la previsione della possibilità di procedere all’espletamento dell’atto rogato secondo forme speciali, sposta il baricentro dell’assistenza giudiziaria, per far sì che questa sia fornita nel modo indicato dallo Stato membro richiedente, nel tentativo di assicurare l’utilizzabilità del materiale probatorio raccolto all’estero.

La disposizione risulta, dunque, profondamente innovativa rispetto alla Convenzione del Consiglio d’Europa, e risponde all’intento di garantire

85 L. Salazar, 2000, p. 1537.

86 Quali lo scambio spontaneo di informazioni. 87

E. Calvanese, 2003, p. 458; R. Belfiore, 2014, p.152.

88 Art. 4, paragrafo 1, Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati

l’efficienza del sistema di assistenza giudiziaria.

Sul versante delle garanzie partecipative, la Convenzione di mutua assistenza tra gli Stati membri dell’Unione europea contiene invece una disciplina carente e ambigua, malgrado l’obiettivo di assicurare – nella fase di assunzione della prova all’estero – il rispetto delle istanze di difesa e di formazione della prova nel contraddittorio delle parti.

La Convenzione non assicura, infatti, al compimento dell’atto rogato, la partecipazione della difesa, che non solo nei sistemi nazionali ma anche nel diritto UE assurge a garanzia irrinunciabile, e sembra rimettere all’autorità giudiziaria richiedente il compito di avvalersi di tutte le facoltà riconosciutegli dalla Convenzione medesima per ottenere il “consenso” dello Stato richiesto in ordine alla presenza delle parti interessate (e dei rispettivi difensori) al compimento dell’atto rogato.

Malgrado – allora – la deroga introdotta al principio del locus regit actum dall’art. 4 paragrafo 1, non sembra essere del tutto risolto il problema dell’utilizzabilità del materiale probatorio raccolto all’estero.

Spetta, infatti, sempre al giudice nazionale dello Stato rogante verificare, in piena indipendenza e secondo i principi fondamentali del proprio ordinamento, se le modalità con cui l’atto è stato assunto lo rendano utilizzabile come prova.

Il rischio è, cioè, che il giudice nazionale pervenga a una declaratoria di inutilizzabilità ove riscontri una violazione delle garanzie partecipative nella fase di assunzione della prova penale all’estero, e ciò, ad esempio, nel caso in cui l’autorità rogante non domandi la partecipazione del difensore al compimento dell’atto quando questa è prevista, nello Stato richiedente, a pena di inutilizzabilità.

Inoltre, l’applicazione della lex loci in luogo della lex fori – quando appunto le forme speciali richieste siano ritenute in contrasto con i principi fondamentali dello Stato rogato – rischia di vanificare l’impegno profuso in sede di cooperazione sovranazionale, ove l’attività compiuta nello Stato rogato non sia, per le modalità di esecuzione, utilizzabile nello Stato da cui promana la domanda di assistenza giudiziaria.

Non possono, allora, essere condivise quelle affermazioni secondo cui le prove assunte nel rispetto della Convenzione sono, per ciò stesso, pienamente utilizzabili, spettando al giudice nazionale la verifica sull’eventuale contrarietà –

ai principi fondamentali del proprio ordinamento – dell’atto assunto per rogatoria. Sono però altre disposizioni della Convenzione a prospettare la più avanzata ipotesi di cooperazione penale tra Stati, prevedendo forme di collaborazione che consentono anche la possibilità di acquisizione diretta di prove penali all’estero secondo le regole della lex fori: si allude, in particolare, alla videoconferenza transnazionale, all’audizione di testimoni e periti mediante conferenza telefonica e alle intercettazioni delle telecomunicazioni.

Anche, però, rispetto a queste innovative modalità di acquisizione della prova all’estero, la disciplina convenzionale risulta nuovamente carente sul versante delle garanzie partecipative.

Ad esempio, nel caso dell’esame tramite videoconferenza per la partecipazione a distanza dell’imputato, sebbene al soggetto da esaminare debba essere assicurato il diritto all’interprete (peraltro, solo se ritenuto necessario), non figura – in seno alla Convenzione – il diritto a essere affiancato da un difensore, garanzia essenziale invece in alcuni ordinamenti giuridici, specie in relazione a situazioni particolari.

Gli interessi in gioco avrebbero, al contrario, richiesto una disciplina più attenta sul tema delle garanzie partecipative dell’imputato; aspetto, quest’ultimo, che l’audizione «a distanza», sia pure supportata dalle opportune strumentazioni e dai più specifici accorgimenti procedurali, rischia in qualche misura di pregiudicare. La scelta di rimettere l’effettività dell’assistenza difensiva alle soluzioni operate dal diritto nazionale appare, allora, in contrasto con l’obiettivo di «migliorare» la collaborazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea; obiettivo che – premessa la fiducia «nella struttura e nel funzionamento dei rispettivi ordinamenti giuridici e nelle capacità di tutti gli Stati membri di garantire processi equi» – avrebbe richiesto, da parte della Convenzione stessa, proprio una più attenta regolamentazione delle garanzie partecipative.

Ne consegue, come giustamente è stato osservato, «che – a meno che l’autorità giudiziaria del Paese richiesto presente durante l’interrogatorio sia dell’avviso che un principio fondamentale del proprio ordinamento sia stato violato – la persona interrogata in videoconferenza nel corso di un’indagine transnazionale può essere privata dell’assistenza difensiva anche in casi che nel contesto di procedimenti nazionali ne garantirebbero la presenza secondo il diritto dello Stato richiesto»89.

Infine, la Convenzione prevede pure nuove modalità di cooperazione giudiziaria, nel tentativo di elaborare una strategia adeguata di contrasto al crimine transfrontaliero.

L’art. 13 della Convenzione ammette, infatti, la possibilità di costituire squadre investigative comuni per il compimento di attività d'indagine congiunte all'interno del territorio dell'Unione europea.

La previsione – in aderenza al principio della lex loci – che la squadra operi «in conformità al diritto dello Stato membro in cui interviene», rischia però di vanificare l’esito delle operazioni condotte dalle squadre, ove l’attività compiuta nel territorio di uno Stato non sia, per le modalità di esecuzione, utilizzabile nello Stato del procedimento.

La Convenzione non contiene altresì alcuna previsione volta ad assicurare la partecipazione della difesa alle attività delle squadre investigative comuni, «una partecipazione garantita – in base al riferimento alla lex loci – solo se e nella misura consentita dal diritto processuale dello Stato nel cui territorio la squadra opera»90. Malgrado, dunque, le significative novità apportate dalla Convenzione, non sembrano essere stati risolti, in via definitiva, i problemi che, da sempre, ostano al buon funzionamento della cooperazione penale tra autorità giudiziarie, specie quelli afferenti alle istanze di difesa e di partecipazione, e all’utilizzabilità del materiale probatorio.

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