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I soggetti esclusi L’attuazione del diritto di difesa e le indagini difensive all’estero

L’assunzione della prova all’estero nel diritto nazionale Un approccio di diritto comparato

6. Le rogatorie attive

6.3. I soggetti esclusi L’attuazione del diritto di difesa e le indagini difensive all’estero

Tra i soggetti legittimati ad avanzare una richiesta di rogatoria all’estero non

294 M. R. Marchetti, 2005, p. 123. 295

G. Melillo, 2003, p. 314.

296

A tal proposito si ricorda come all’interno dell’Unione europea la direzione nazionale antimafia faccia parte della Rete dei punti di contatto, istituita a seguito del Piano d’azione contro la criminalità organizzata del 1997. M. R. Marchetti, 2005, p. 124.

297 A differenza del meccanismo delle informazioni spontanee. 298

G. Melillo, 2003, p. 316.

Giova, però, evidenziare che non tutta la dottrina sul punto è concorde.

Si osserva infatti che l’attività rogatoriale è in stretta correlazione con il procedimento, nel senso che è necessario che questo sussista per potersi avere una richiesta di assistenza.

E, avuto riguardo alle funzioni del procuratore nazionale antimafia (a cui spetta, perlopiù, il compito di acquisire ed elaborare notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata), non sembra possibile, almeno allo stato attuale, annoverare il procuratore nazionale antimafia tra i soggetti legittimati ad avanzare richieste di cooperazione.

M. R. Marchetti, 2005, p. 124.

Le attività di raccolta ed elaborazione di dati, notizie e informazioni attinenti alla criminalità organizzata si svolgono, di norma, in relazione a materie conoscitive prive del grado di specificità necessario alla formazione di una vera e propria notizia di reato e sono, di regola, preliminari all’instaurazione di procedimenti penali. Sul punto, G. Melillo, 2003, p. 316; M. R. Marchetti, 2005, p. 125.

figurano imputato e difensore.

Si consideri infatti, come giustamente affermato dalla Suprema Corte, che l’istituto della rogatoria all’estero si presenta come una richiesta intercorrente tra autorità straniere.

Le domande di assistenza possono essere formulate dall’autorità giudiziaria, con un’attribuzione di legittimazione esclusiva.

Nessun’altra disposizione del codice menziona la possibilità che l’istanza di cooperazione «possa provenire da un qualunque cittadino che non sia identificabile, ai sensi dell’ordinamento interno dello Stato assistito, come autorità competente ad attivarsi sul piano dei rapporti interstatuali e nel contesto del procedimento penale»299.

La prevalente giurisprudenza esclude, inoltre, la facoltà del difensore di compiere indagini difensive all’estero, con evidenti ricadute negative sotto il profilo dell’acquisizione di elementi favorevoli all’imputato.

Il difensore ha, al più, la possibilità di formulare una istanza al pubblico ministero o al giudice, affinché attivino la procedura della rogatoria internazionale.

L’esito cui perviene detta giurisprudenza cozza, però, con le finalità sottese alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, che – come è noto – garantisce al difensore ampi poteri d’indagine, e dunque la facoltà (sebbene non espressamente prevista) di svolgere investigazioni difensive anche all’estero per ricercare elementi di prova a favore del proprio assistito.

Le ragioni tradizionalmente addotte dalla giurisprudenza a sostegno dell’idea secondo cui il difensore non sarebbe legittimato a compiere indagini difensive all’estero sono essenzialmente due.

La prima risiede nel silenzio serbato dalla legge circa la possibilità di svolgere indagini difensive all’estero; la seconda ragione addotta a sostegno dell’impossibilità per il difensore di compiere investigazioni all’estero, discenderebbe dai principi generali del codice, alla stregua dei quali occorrerebbe, per la raccolta di prove all’estero, la formulazione di apposita richiesta di “rogatoria”. Non essendo prevista la possibilità per il difensore di avanzare domanda di “rogatoria” all’estero, questi avrebbe l’obbligo di “passare” attraverso la richiesta del pubblico ministero o del giudice.

Le due argomentazioni non sono, però, condivisibili.

La dottrina ha, infatti, osservato come il silenzio serbato sul punto dalla legge non sia necessariamente indicativo del fatto di escludere la possibilità di svolgere investigazioni difensive all’estero.

Ancora, il disposto di cui al co. 1 dell’art. 327 bis, c.p.p., che enuncia – con riferimento agli atti d’indagine del difensore – il principio di tipicità, prescrivendo il compimento di tali atti nelle forme e per le finalità previste dal titolo VI bis (libro V) del codice di rito, non pare essere disatteso dalla possibilità, riconosciuta al difensore, di espletare atti d’indagine all’estero.

Si osservi, infatti, come la facoltà di svolgere indagini difensive all’estero concreti, più che un atto d’indagine atipico, una modalità diversa di svolgimento dell’atto stesso che, anziché avere luogo nel territorio italiano, si realizza all’estero300

.

Il giudice, allora, in dette ipotesi, sarà tenuto alla sola verifica circa il rispetto – da parte del difensore – delle modalità di svolgimento che la legge richiede per il compimento dell’atto, senza che il diverso luogo di assunzione della prova possa determinare di fatto l’inutilizzabilità della stessa.

In ogni caso, affermare che il difensore possa ottenere prove all’estero a favore del proprio assistito solo previo inoltro – da parte del giudice o del pubblico ministero – di una richiesta di “rogatoria” significa alterare l’equilibrio processuale tra le parti, in danno dei diritti di difesa dell’accusato.

Nessuna disposizione impone, infatti, al pubblico ministero, nella fase delle indagini preliminari, l’obbligo di inoltrare una richiesta di “rogatoria” all’estero per l’assunzione di elementi probatori favorevoli alla difesa.

La decisione del pubblico ministero è, pertanto, puramente discrezionale, sebbene l’art. 358 c.p.p. imponga all’organo inquirente di condurre accertamenti anche su fatti e circostanze favorevoli alla difesa.

Inoltre, un’intermediazione necessaria del pubblico ministero, quale unica risorsa processuale per l’acquisizione all’estero di un elemento favorevole alla difesa, produce ricadute negative sugli equilibri delle indagini e sulla libertà di gestione delle investigazioni difensive301.

Una soluzione alternativa per evitare la mediazione necessaria del pubblico ministero, potrebbe essere costituita dalla nomina di un difensore nello Stato

300

Questa, a ben vedere, non è una forma di richiesta ma un’attività investigativa direttamente svolta all’estero (il che presuppone che a ciò non osti la lex fori).

straniero per il compimento dell’attività difensiva necessaria, ma tale ipotesi, oltre a risolversi in un aggravio dei costi processuali in danno dell’imputato, determina problemi in punto di utilizzabilità del materiale probatorio estero, specie se assunto con modalità e forme differenti da quelle previste dal codice di rito. Stando così le cose, l’unica soluzione possibile per evitare un eccessivo sbilanciamento tra i poteri dell’accusa e quelli della difesa, sembra quella di riconoscere al difensore il potere di svolgere indagini all’estero con il medesimo regime di utilizzabilità di quelle effettuate in Italia.

D’altra parte, la possibilità di compiere investigazioni difensive all’estero pare assicurata, almeno all’interno dell’Unione europea, dove da anni si assiste al riconoscimento della libertà di circolazione e di prestazione dei servizi professionali.

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