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Come emerge dal capitolo precedente, nel quale sono stati analizzati i risultati del lavoro di ricerca effettuato nei due territori presi in esame, vi sono numerosi aspetti riguardanti il funzionamento dei servizi su cui è possibile riflettere. Di seguito vengono quindi riportati gli elementi principali rispetto alle peculiarità di ciascun paese, per andare poi a sintetizzare, in chiave comparativa, gli aspetti maggiormente significativi.

Dagli studi condotti in Norvegia emerge come, in un primo momento, l'unificazione dei tre servizi non sia stata facile da affrontare per i dipendenti, non per le diverse mansioni svolte dagli uffici, quanto piuttosto perché sono stati uniti in un'unica struttura dipendenti rispondenti a istituzioni diverse. Questa distinzione ha provocato iniziali perplessità anche da parte dei dipendenti che, seppur uniti e con mansioni simili, continuavano ad avere una disparità di retribuzioni. Dalle interviste condotte, si denota tuttavia come i dipendenti, seppur riconoscendo alcune delle iniziali incertezze riguardo alla prospettiva di un lavoro coordinato tra i servizi, risultano attualmente soddisfatti e sostengono che la riforma NAV abbia apportato significativi benefici. L'iniziale aggravio di burocrazia riportato da varie ricerche, inoltre, sembra essere in parte superato. Sono state inoltre apportate varie semplificazioni per l'accesso on-line, del quale hanno usufruito sopratutto i cittadini, indicati tra la tipologia di utenti come S1. Questo ha permesso a questi cittadini, i quali usufruiscono quasi esclusivamente dell'indennità di disoccupazione e sono ritenuti in gran parte autonomi nella ricerca di un nuovo impiego, di non gravare ulteriormente sul lavoro dei dipendenti. Si tratta di persone dotate di un'alta qualifica e che hanno perso il lavoro in seguito alla recente crisi petrolifera, costituito una buona parte della nuova utenza dei sevizi, e la presenza di servizi on line, ha inoltre permesso loro (in molti casi), di non doversi recare fisicamente presso i NAV, superando così anche l'eventuale paura di essere stigmatizzati143.

Nelle interviste somministrate in Italia agli operatori della SdS, emerge in modo chiaro come vi sia stato, in seguito alla crisi economica, un aumento delle persone che si rivolgono al servizio e che questo ha portato ad una conseguente difficoltà nel rispondere alla domanda di aiuto di tutti gli utenti. La nuova utenza, a differenza della Norvegia, è costituita per la maggior parte da persone che hanno perso il proprio impiego, ma presentano un basso grado di qualifica e sopratutto che si recano presso i servizi territoriali soltanto quando hanno già esaurito tutte le risorse presenti nella propria rete (familiare e sociale). Questo perché rivolgersi ai servizi sociali è ancora associato ad uno stigma (vengono considerati spesso come “l'ultima spiaggia”). Inoltre 143 La paura delle stigmatizzazione non sembra essere molto diffusa, ma in alcune aree del paese

tra la popolazione italiana vi è scarsa fiducia, sia nei CPI, che nei servizi. Questo probabilmente perché, salvo misure particolari per le quali sono previsti fondi a doc (ad esempio Garanzia giovani o Giovani sì) non vi sono percorsi formativi particolarmente efficaci per le persone difficilmente occupabili.

Per quanto riguarda l'utenza più “tradizionale” dei servizi norvegesi, e che quindi non è strettamente connessa alla crisi petrolifera ma è “costantemente presente”, sono previsti altri tipi di intervento. Queste persone, sono generalmente inquadrate nelle categorie definite S2 ed S3; si tratta di soggetti poco qualificati e che rischiano di non essere in grado di reinserirsi nel mercato del lavoro autonomamente. Per queste categorie sono previsti percorsi formativi strutturati e di inserimento lavorativo che permettano loro di trovare nel più breve tempo possibile un nuovo impiego. Le persone che vengono inserite nel terzo gruppo presentano generalmente, oltre ad una basso livello di qualifica, vari problemi di tipo socio-economico; per loro è stato strutturato un percorso particolare (QP) in grado di supportarli. Le due tipologie di persone adesso elencate, sono quelle per le quali sono previsti il maggior numero di interventi, ponendo particolare attenzione agli inserimenti lavorativi, poiché si tratta di persone che, se dotate delle risorse adeguate, possono tornare autonome al termine del percorso intrapreso con gli operatori del NAV. Le persone qualificate come categoria S4 usufruiscono soprattutto di misure di sostegno, poiché presentano significative difficoltà nel tornare autonome.

Gli uffici NAV presentano quindi un vasto numero di percorsi strutturati di cui i cittadini possono usufruire, al contrario gl i operatori italiani hanno la percezione che i servizi non offrano risposte sufficienti: talvolta sono limitati ad un contributo economico (spesso una tantum). Oltre alla “nuova utenza” nata in seguito alla crisi economica, in Italia, viene infatti identificata un'utenza “storica” all'interno dei servizi: si tratta di persone che sono ormai in carico ai servizi da molti anni e devono affrontare, in larga parte, problematiche intergenerazionali. Risulta quindi estremamente difficile per gli operatori lavorare con questo tipo di utenza senza poter disporre di percorsi di lunga durata e che riescano ad intervenire su più aspetti contemporaneamente. Una delle maggiori difficoltà che devono affrontare i lavoratori all'interno dei servizi, nel cercare di strutturare un percorso, è data dall'impossibilità di riuscire ad attivare progetti di inserimento lavorativo nelle aziende private. Per questo motivo, questa misura risulta priva di molti dei sui obiettivi; molte volte i progetti, per mancanza di aziende private disposte ad accoglierli, vengono strutturati all'interno dei servizi pubblici o nelle stesse amministrazioni. Si tratta per lo più di brevi tirocini che, in particolare se strutturati all'interno del settore pubblico, non consentono il proseguimento di un successivo percorso lavorativo, inoltre, questo tipo di inserimenti presentano scarse possibilità di apprendimento. Al termine del percorso, quindi, le persone raramente risultano essere realmente

formate, non possesso di nuove capacità che favoriscano la loro occupabilità e non hanno nessuna possibilità di un inserimento lavorativo successivo.

La sensazione degli operatori Italiani di non essere in grado di rispondere adeguatamente alle richieste degli utenti, sembra essere data quindi dalla mancanza di percorsi strutturati e dalla carenza di risorse (sopratutto di personale e insufficienza di tempo). Nonostante questa evidente criticità, vi è però una visione positiva riferita all'occasione di una sperimentazione dei nuovi strumenti da poco introdotti, quali il SIA (Sussidio di Inclusione Attiva ) ed il REI (Reddito di Inclusione). Vengono quindi date riposte significative e speranze di miglioramento del servizio da parte degli operatori, se legate allo stanziamento di fondi per percorsi specifici; tuttavia la gestione di queste nuove misure è stata attribuita ad unità operative separate, limitando così la cooperazione tra i diversi ambiti interni alla SdS.144 Purtroppo i risultati di questi provvedimenti

introdotti più recentemente sembrano tuttora limitati. Allo stesso tempo, anche in Norvegia sono state recentemente introdotte nuove misure, legate sopratutto ai giovani, le quali non sono quindi state oggetto di analisi.

Infine, in Italia, si è affermato negli ultimi decenni un Terzo Settore molto presente, ed estremamente necessario, che va a “tamponare” alcune richieste che vengono avanzate, sopratutto dalle fasce più povere della popolazione (come i pacchi alimentari, i servizi di ascolto, doposcuola e la presenza di un centro diurno). Vi sono poi cooperative di tipo B, le quali svolgono un compito estremamente importante nell'operare con la finalità di attuare inserimenti lavorativi per le categorie svantaggiate, purtroppo però anche queste riscontrano una difficoltà crescente nell'operare nel settore.

Nel paese scandinavo, vi è invece una vasta gamma di servizi ed associazioni locali che riescono a coordinarsi e cooperare per implementare i servizi pubblici offerti. Questi servizi non vanno però ad operare in “aree di intervento” rimaste scoperte dall'intervento dei servizi, ma riescono piuttosto ad integrare ed ampliare i servizi offerti dal NAV. Si tratta per la maggior parte di servizi per l'infanzia e l'integrazione, strutturati da associazioni come la Croce Rossa ed altri servizi pubblici.

Dall'analisi effettuata sui servizi territoriali presenti nelle aree studiate all'interno dei due paesi, emergono in modo abbastanza chiaro alcune differenze.

L'elemento di divergenza principale tra il funzionamento dei servizi dei due paesi è la struttura. É importante chiarire come la struttura “one-stop-shop” del sistema norvegese, piuttosto che la struttura di servizi “frammentati” presente in Italia, non comportano di per sé una diversa efficacia dei servizi, o un vantaggio (piuttosto che uno svantaggio) per i cittadini. Vi è poi una differenza tra i livelli di indipendenza ed autonomia degli operatori all'interno dei due paesi: in Italia vi sono mandati categoriali più rigidi e questo può portare gli operatori ad avere 144 Entrambi I contributi sono risultati scarsamente efficaci, se non affiancati da meccanismi virtuosi che

un'indipendenza limitata, all'interno delle strutturare “one-stop-shop” si tende invece ad avere un mandato più ampio che può consentire una maggiore flessibilità degli operatori. Ma nonostante le strutture estremamente diverse, ciò che permette realmente di essere incisivi sulle traiettorie di vita degli utenti, sono l'eterogeneità dei percorsi all'interno dei servizi e gli ammortizzatori sociali presenti in ciascun paese.

Entrambi i paesi, negli ultimi anni, hanno poi dovuto dare risposte ai bisogni di un gruppo crescente di cittadini che sono stati colpiti da una congiuntura economica negativa. Entrambi i servizi hanno visto così un cambiamento e un incremento nella fascia di utenza che si rivolge loro a partire dagli anni successivi alla crisi economica del 2008 (per quanto riguarda l'Italia) e dopo lo shock petrolifero del 2014 (in Norvegia). In entrambi i casi, la nuova utenza è costituita da lavoratori inseriti nel mercato da molto tempo. Se andiamo però ad analizzare questi tipi di fruitori, emerge come in Norvegia i nuovi disoccupati sono strettamente connessi al mercato petrolifero ed altamente qualificati, in Italia sono state invece colpite, sopratutto le fasce più deboli della popolazione e meno qualificate, che vanno incontro a livelli crescenti di povertà. Le politiche regolatrici applicate nel mercato del lavoro, hanno prodotto, infatti, inevitabili e importanti ripercussioni nel campo dell'assistenza. La Norvegia, ormai da molti anni, ha deciso di inseguire l'obiettivo della piena occupazione; questo l'ha portata a:

– incrementare significativamente la percentuale di donne nel mercato del lavoro già a partire dagli anni '70;

– prevedere percorsi strutturati e formativi per coloro che restano esclusi dal mercato del lavoro ;

– prevedere un sistema scolastico in stretta relazione con gli altri servizi in modo da accompagnare i giovani nel mercato del lavoro ;

– infine, recentemente, investire nuovamente in team specializzati nell'affiancamento dei giovani che hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo lavoro (riscontrabile a livello europeo anche nell'incremento di NEET)

L'Italia ha scelto di intervenire più volte attraverso politiche lavorative, inizialmente in modo più timido, introducendo un certo grado di flessibilità a partire dal pacchetto TREU del '97, ma non ha allo stesso tempo introdotto maggiori tutele per i lavori precari e temporanei, come è stato fatto a partire dal 2012 con la ASPI che iniziò ad estendere il sostegno al reddito. Tra queste misure si è inserita la crisi economica che ha influito in modo molto negativo sul mercato del lavoro Italiano.

Dalla ricerca effettuata tramite la somministrazione delle interviste, è possibile rilevare come il tardivo intervento nelle politiche lavorative possa in parte aver influito anche nello scoraggiamento da parte dei cittadini che giudicano i servizi poco efficaci e con limitata capacità di intervento. Il lavoro dei CPI appare, infatti, più efficiente soltanto all'interno di

percorsi strutturati. Non riescono ad intervenire però con le persone che presentano maggiori carenze (esattamente come i servizi sociali): per le fasce di popolazione più deboli non sono stati previsti percorsi adeguati. (Villa et al. 2017) In Italia, inoltre, in parte per la mancanza di interventi regolatori significativi, risultano esservi all'interno del territorio italiano aree estremamente diverse per quanto riguarda il mercato del lavoro. In particolare, la percentuale di occupazione femminile è estremamente diversa tra nord e sud, esattamente come il tasso di disoccupazione di entrambi i sessi che varia notevolmente. Infine, i giovani presentano su tutto il territorio difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro.145

Le politiche rivolte al mercato del lavoro (e gli altri elementi che hanno influenzato l'economia), hanno quindi portato ad una profonda differenziazione tra i disoccupati italiani e norvegesi e questo ha comportato, chiaramente, una complessità maggiore nello strutturare delle risposte adeguate nel caso italiano.

Oltre ai fattori appena citati che hanno “aggravato” la situazione (già critica) a cui i servizi sociali italiani avrebbero dovuto dare una risposta, è inevitabile sottolineare come vi sia una carenza di percorsi e progetti a lungo termine. Questo è un elemento che, probabilmente più degli altri, differenzia fortemente il sistema italiano da quello norvegese. Nelle interviste emerge chiaramente la centralità che hanno, per i NAV, i percorsi a lungo termine per la formazione e gli inserimenti lavorativi. Al contrario in Italia i servizi sociali hanno difficoltà ad effettuare inserimenti che abbiano realmente un'efficacia. Gli assistenti sociali della SdS lamentano una carenza di progettualità, oltre che di risorse sia umane che temporali.

Un grande limite per il sistema italiano sembra essere dovuto alla poca collaborazione e cooperazione tra i vari enti: i servizi sociali, così come i centri per l'impiego, sembrano avere strumenti limitati e difficilmente riescono a coordinare le proprie risorse per impiegarle nel supportare reciprocamente i propri interventi. Al contrario, in Norvegia, la sinergia tra gli enti è particolarmente evidente e rilevante per quanto riguarda la prevenzione per la fuoriuscita dei giovani dal sistema di istruzione norvegese. L'efficacia di questo tipo di intervento è visibile dai dati analizzati nel capitolo precedente, i quali evidenziano come la percentuale di NEET in età scolastica, veramente molto bassa, è pari circa al 2%.

Inoltre, le carenze del sistema italiano di previdenza sociale, invece di dare una spinta ulteriore verso una revisione o ristrutturazione dell'organizzazione, ha fatto sì che il Terzo Settore assumesse un ruolo sempre più importante ed andasse in qualche modo a coprire i bisogni sociali dei cittadini che non riuscivano ad avere una risposta dai servizi.

Da questa analisi sono quindi deducibili alcune riflessioni conclusive per quanto riguarda la struttura dei due sistemi: entrambi presentano, infatti, delle criticità nel loro funzionamento. In Norvegia quest'ultime si sono presentate in seguito all'accorpamento dei servizi, mentre in Italia 145 In questo caso però, sono state introdotte misure per incrementare l'occupazione giovanile sotto il 30

sono causate dalla mancata integrazione tra di essi. Le conseguenze di queste problematicità sono, tuttavia, maggiormente visibili in Italia a causa sia della scarsità di risorse che della frammentazione, che riguardano tutto il sistema e ne esasperano le criticità.

Per quanto concerne i processi è importante evidenziare come essi dipendano dalla policy, nella strutturazione della quale, all'interno dello studio della fase di implementazione, possono essere individuati due tipi di approccio: top-down e botton-up. Il primo prevede generalmente un approccio maggiormente rigido, nel quale le decisioni prese in fase di progettazione vengono considerate mandatorie. Si tratta di strategie ed interventi che vengono generalmente indicate da un'autorità centrale (stato o regioni) che definisce i processi di intervento ponendo scarsa, o nessuna, distinzione tra chi li riceverà. L'approccio bottom-up predilige la visione politica e descrittiva nella messa in opera. Si basa principalmente sull'attivazione di attori locali, i quali generalmente implementano le misure attuate sulla base dei finanziamenti provenienti generalmente dall'alto (ma che hanno la possibilità di personalizzare), adeguandole sulla base delle esigenze locali. Le azioni osservabili all'interno dei sistemi sono, in ogni caso, generalmente prodotte da un mix di questi due approcci. All'interno del sistema norvegese sembrano preponderanti i processi top-down che permettono la strutturazione di percorsi a lungo termine, ma rischiano, allo stesso tempo, di essere applicabili soltanto alle categorie di utenti maggiormente re-inseribili nel mondo del lavoro, intervenendo così soltanto in modo marginale sulle situazioni critiche che si cronicizzano e rischiano di diventare intergenerazionali. Dall'altro lato, le politiche bottom-up vengono attuate in Italia riducendo il rischio di esclusione di alcune fasce di popolazione, ma nell'attuarle vengono avvantaggiate le zone o le tipologie di interventi dotate di maggiori risorse.

Per quanto riguarda la capacità di intervenire, è emerso (ed è stato evidenziato più volte) come il welfare-system norvegese sembra essere in grado di supportare in modo adeguato (sopratutto economicamente) la popolazione che fuoriesce dal mercato del lavoro. Nonostante questo, mostra una carenza di reti che permettano alla persona di reinserirsi anche socialmente nelle varie “sfere” che lo circondano. Il sistema italiano, al contrario, risulta carente nell'offrire percorsi strutturati agli utenti che ne avrebbero bisogno, in modo da poterli reinserire al più presto all'interno del mercato del lavoro. Tuttavia, la vasta rete di servizi e relazioni (seppur gestite con difficoltà dagli operatori) sembrano poter offrire alle persone, che si trovano su una traiettoria che li conduce all'esclusione sociale, un maggior supporto a livello sociale e di relazioni. Il sistema italiano, sembra quindi aver maturato una compensazione delle numerose carenze organizzative e di risorse, attraverso l'implementazione del contesto sociale; tuttavia questo bilanciamento risulta essere del tutto inadeguato ed incapace di sopperire adeguatamente alle mancanze strutturali del sistema.

Tornando quindi agli obiettivi con cui è stata condotta questa ricerca, tra di essi vi era l'intento di comprendere come, ed in che misura, la fuoriuscita dal mercato del lavoro possa comportare per l'individuo una sorta di marginalizzazione, ed una conseguente difficoltà nel rientrare all'interno del sistema lavorativo. La perdita di un impiego, in molti casi, può essere il primo passaggio che innesca un lento processo in grado di condurre l'individuo all'esclusione sociale. Per molti anni il posto di lavoro ha avuto la “capacità di inquadrare” le persone in un determinato status, e questo permetteva loro di sentirsi sicure, oltre che parte di una solida rete. I crescenti cambiamenti nel mercato del lavoro hanno messo, però, in evidenza come esso non costituisca più un punto di riferimento. In particolare, è stato evidenziato come alcune categorie di persone siano maggiormente soggette al rischio di fuoriuscire dal mercato lavorativo, o, in particolari casi, esserne relegati costantemente ai margini senza essere in grado di entrarvi per farne parte a pieno titolo. Questa prolungata sensazione di incertezza può inoltre portare ad una sfiducia nel mercato del lavoro e delle proprie capacità, fino a scegliere di abbandonare la ricerca di un nuovo impiego.

L'analisi condotta in merito alle politiche sociali in Norvegia ed in Italia, ha appunto cercato di comprendere come questi paesi scelgano di intervenire con le persone che, una volta perso il lavoro, rischiano di isolarsi (o essere isolate) anche dalle altre reti sociali. Lo scopo finale della ricerca era appunto, quello di comprendere quale ruolo può avere il welfare-state in termini di prevenzione e rottura del legame tra “marginalità lavorativa”146 ed esclusione sociale.

Dai risultati dell'indagine portata avanti nei due paesi, tramite le interviste somministrate agli operatori, sembra emergere una maggiore capacità dei servizi norvegesi di rispondere in modo organico alla perdita del lavoro. Il loro obiettivo è quello di reinserire nel più breve tempo possibile le persone all'interno del mercato. Per perseguire la ricerca della piena occupazione, vi è un forte coordinamento tra i vari servizi, e questo è osservabile in molti ambiti di intervento (tra cui la prevenzione dell'abbandono scolastico di cui abbiamo parlato). Si tratta di prassi preesistenti all'unificazione dei servizi in un unico centro, avvenuta con l'istituzione dei NAV. Tuttavia, la nuova struttura sembra aver facilitato ed amplificato questa tipo di coordinamento. Si tratta di una metodologia di lavoro caratterizzata dalla cooperazione e dalla sinergia tra i servizi (seppur operanti in settori diversi e rispondenti a diversi enti), ed è probabilmente una delle chiavi dell'efficacia del sistema. Tra i servizi italiani è emersa, invece, una maggiore frammentazione nata da politiche discontinue che si sono susseguite nel corso degli anni ed accentuata più recentemente da frequenti riorganizzazioni interne e dalla carenza di risorse (soprattutto in termini di personale e di tempo che gli operatori possano dedicare agli utenti).

146 Intesa quindi, non soltanto come una conclamata esclusione dal mercato del lavoro, ma in