Università di Pisa
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di laurea in Sociologia e Politiche Sociali
Tesi di Laurea
IL WELFARE STATE TRA MERCATO DEL LAVORO ED
ESCLUSIONE SOCIALE
Un'analisi comparativa tra Norvegia e Italia
Relatore
Prof. Matteo Villa
Candidata
Jessica Bandinelli
INDICE
1. INTRODUZIONE...4
2. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO: IPOTESI TEORICHE E RISULTATI DI
RICERCA...9
2.1. WELFARE E LAVORO...9
2.2 LAVORO ED ESCLUSIONE SOCIALE...16
2.3 IPOTESI E METODOLOGIA DI RICERCA...24
3. NORVEGIA E ITALIA: DUE WELFARE A CONFRONTO...28
3.1. NORVEGIA...28
3.1.1 LE PRIME RIFORME...28
3.1.2 NAV: UN UFFICIO, MOLTI SERVIZI...33
3.1.3 ORGANIZZAZIONE E PROBLEMATICHE DELL'ASSISTENZA
SOCIALE ...39
3.2. ITALIA...43
3.2.1 DALLE PRIME RIFORME AD UN LENTO SVILUPPO DEL WELFARE
...43
3.2.2. RIFORME INCOMPLETE E UN'ASSISTENZA SOCIALE
FRAMMENTATA...49
3.3 COMMENTO COMPARATIVO...56
4. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO IN NORVEGIA ED IN ITALIA ...58
4.1 NORVEGIA...60
4.1.1 LA RICERCA DELLA PIENA OCCUPAZIONE ...60
4.1.2 QUALE CRISI E CHE TIPO DI DISOCCUPAZIONE?...64
4.1.3 GIOVANI E DISOCCUPAZIONE...69
4.2 ITALIA...72
4.2.1 QUALI INTERENTI PER LA TUTELA DEI LAVORATORI?...72
4.2.2 DISTRIBUZIONE DELLA DISOCCUPAZIONE PER GENERE E
TERRITORIO...78
4.2.3 ENTRARE NEL MERCATO DEL LAVORO...82
5. QUALI PERCORSI PER USCIRE DALL'ESCLUSIONE...91
5.1. NORVEGIA ...92
5.1.1 NAV-REFORM TRAGUARDI ED OBBIETTIVI...93
5.1.2 QUALE COOPERAZIONE TRA I NAV ED I SERVIZI TERRITORIALI?
...99
5.2 ITALIA...103
5.2.1 S.D.S. E CENTRO PER L'IMPIEGO: LIMITI E POSSIBILITA' ...104
5.2.2 QUANTA IMPORTANZA HA IL TERZO SETTORE?...109
6. CONCLUSIONI ...113
Bibliografia...121
1. INTRODUZIONE
Alla nascita del termine “stato di benessere” vi è la volontà di teorizzare “il ruolo interventista dello stato nel garantire il benessere dei suoi cittadini” (Kazepov 2007). Lo scopo principale, con il quale vengono introdotti gradualmente i sistemi di Welfare State, all'interno dei vari stati, è infatti quello di far fronte agli squilibri presenti nella società e affrontare le problematiche economico-sociali che colpiscono i cittadini. Nel tentare di raggiungere questo obbiettivo, possono essere attuate politiche che vanno ad intervenire, con un raggio più o meno ampio, in diversi ambiti. Per questo motivo, proprio in base all'ampiezza degli interventi attuati, possono essere identificate concezioni “allargate” o “ristrette” di Welfare State. Nella prima visione, lo stato dovrebbe intervenire nei meccanismi di redistribuzione economica e perseguire lo scopo di una più equa allocazione delle opportunità di vita degli individui (Vogliotti, Vattai, 2014). In altri ambiti di studio se ne può dare una definizione più “ristretta”, che si concentra su un insieme di specifiche politiche sociali (Vogliotti, Vattai, 2014).
In entrambe queste visioni, un posto di rilievo, viene dato alle politiche di contrasto all'esclusione sociale. La necessità di contrapporsi a questo fenomeno sociale è particolarmente rilevante, poiché essa palesa l'esistenza delle problematiche più latenti e radicate nella società. Spesso si tratta di difficoltà trasversali alla totalità della popolazione, ma se queste vengono a sommarsi o se gli individui colpiti non hanno i mezzi per reagire, possono portate il singolo, o intere famiglie, ad una situazione di marginalità. Le medesime problematiche possono quindi produrre risultati molto diversi sugli individui colpiti; questo perché ogni persona ha un diverso background, una diversa rete di relazioni che la circonda e diverse risorse sulle quali può fare affidamento. Allo stesso tempo, tuttavia, situazioni di esclusione sociale simili tra loro, possono avere origine da fattori estremamente diversi.
Come evidenzia Castel (2003): il disoccupato di lungo periodo che si rifugia “nella sfera domestica” e in una dimensione del tutto priva “di ogni senso e progetto”, può essere definito “escluso” tanto quanto il giovane di periferia che vive in totale esteriorità ma la cui attività non produce nessun risultato. Il termine esclusione, quindi, racchiude al suo interno una quantità davvero vasta di fattispecie.
In un “senso ampio” possiamo definire esclusi tutti coloro che “si trovano fuori dai circuiti vivi degli scambi sociali” (Castel 2003). Compito del welfare state dovrebbe essere quindi, quello di riuscire ad intervenire per impedire che le persone vadano a collocarsi in questa fascia, e allo stesso tempo riattivare coloro che sono già fuori da tali circuiti.
Il termine esclusione, tuttavia, proprio per la sua ampiezza e per l'utilizzo crescente (ancora da Castel 2003), deve essere utilizzato con una certa cautela. Vista l'ampiezza e la diversità delle
situazioni che possono essere indicate con il temine “esclusione” per intervenire in modo efficace su di essa, è essenziale individuare gli elementi che la producono.
Nei secoli scorsi l'obbiettivo in molte società non è stato quello di intervenire per eliminare il problema dell'esclusione sociale, quanto piuttosto quello di nasconderlo; spingendo ancora di più ai margini della società determinate categorie di persone1. In molti paesi i primi interventi,
con uno scopo prevalente assistenzialistico, furono messi in campo non dallo stato ma da altri tipi di enti, soprattutto religiosi2. Soltanto con il passare del tempo, i governi hanno iniziato a
mettere in campo politiche volte ad affrontare il problema con lo scopo di ridurre il numero di persone relegate ai margini dalla società. Per la prima volta nel 1601 in Inghilterra fu deciso di contrastare la povertà con una legge che istituì un sistema pubblico di assistenza ai poveri che fosse normato e finanziato dalla fiscalità.3 Tuttavia, nella maggior parte dei paesi europei, non si
avranno dei veri interventi di contrasto alla povertà da parte dello Stato, prima della seconda metà del 18004. Nel corso del '900 si è poi assistito in tutta Europa ad un lento processo di
introduzione di tutele crescenti, iniziate soprattutto con la necessità di fornire maggiori garanzie nel mercato del lavoro, che in seguito al processo di industrializzazione aveva profondamente mutato molti assetti societari.
Oggi possiamo dire che il contrasto all'esclusione riveste un ruolo centrale tra i compiti del welfare state, poiché nella maggior parte dei paesi europei, si è avuto un bisogno crescente di garantire maggiori tutele ai propri cittadini. Proprio per questo sviluppo del welfare e per il ruolo centrale che ricopre al giorno d'oggi, è molto difficile immaginare come si sarebbe potuto sviluppare un sistema diverso, ma comunque in grado di incidere in modo globale e con interventi coordinati e strutturati.
É anche vero però, come si è già evidenziato precedentemente, che esistono diversi tipi di welfare, i quali affrontano in modi diversi il fenomeno. Pensiamo ad esempio alla distinzione basilare che viene fatta tra i sistemi che si ispirano al modello Bismarckiano o Beveridgiano (Ferrera 2012). I primi legano la copertura all'occupazione, possiamo dire che hanno come obbiettivo il mantenimento del reddito e non prevedendo grandi aiuti per chi non possiede più determinati requisiti occupazionali. I modelli di stampo Beveridgiano offrono, invece, una 1 Tra il 1500 e il 1600 in Europa, trovarsi ai margini della società e non “conformarsi” era vista come una colpa e queste persone dovevano essere “rieducate”; a tale scopo furono istituite le “houses of correction” in Inghilterra e successivamente strutture simili in Svizzera ed in Francia. (Foucault M.: Sorvegliare e punire: 1976, in Morlicchio 2012)
2 Per esempio le Opere Pie in Italia. (Ferrera, 2012, pag 252)
3 I giudizi degli storici riguardo questa legge, denominata poi Old Poor Low (per distinguerla da quella che la sostituirà nel 1834), sono tuttavia contrastanti. Per la prima volta si può parlare infatti di un “welfare state in miniatura”, tuttavia la forte frammentazione del territorio provocò forti disparità tra gli aiuti percepiti dalle varie parrocchie, oltre che importanti vincoli legati alle leggi sulla residenza nelle parrocchie che limitavano la possibilità di mobilità. Infine, oltre alla possibilità di ricevere assistenza a domicilio, per alcune categorie, era anche previsto l'internamento in residenze riservate alle vedove o agli anziani. (Morlicchio 2012)
copertura più universale con lo scopo di prevenire o diminuire la povertà. Il “raggio di intervento” a cui tendono i due approcci è quindi profondamente diverso, anche se nel corso degli anni hanno subito un processo di ibridazione. Tra le più note differenziazioni dei sistemi di welfare state, troviamo quella individuata da Esping-Andersen, che individua tre diversi modelli: liberale, socialdemocratico e corporativo-conservatore (Esping-Andersen 1990). In seguito alle critiche mosse a questa tripartizione, molti studiosi hanno convenuto nell'aggiunta di un quarto modello, detto familista (Ferrera,1998). Questi modelli si sono poi polarizzati in alcuni momenti storici, portando i vari sistemi ad avere profonde differenze circa le politiche di contrasto all'esclusione sociale e, chiaramente, non solo riguardo ad esse. Negli ultimi decenni, tuttavia, secondo molti studiosi questi modelli stanno subendo numerose modifiche ed “ibridazioni”, le quali, pur non invalidando le classificazioni individuate, hanno creato molte similitudini e differenze tra di essi, sia interne che esterne ai vari modelli (Kazepov 2007). 5
Oltre a queste differenziazioni tra i sistemi di welfare, dobbiamo poi considerare il ruolo degli altri enti presenti nel welfare system. Possono infatti intervenire nella lotta all'esclusione sociale (in modo più o meno marginale), enti di varia natura, dal terzo settore alle organizzazioni no profit, i quali devono inevitabilmente interfacciarsi e coordinarsi con lo Stato.
Sono molte, quindi, le distinzioni che si possono fare tra i regimi di welfare per analizzare le politiche che essi mettono in atto. Tuttavia se pensiamo alla differenza più basilare, tra sistemi di stampo Bismarckiano o Beveridgiano, si può notare come ricopra un ruolo dirimente l'avere o meno un lavoro. Quindi se la mancanza di un impiego, oltre a provocare un impoverimento economico, è causa della perdita di adeguati supporti da parte del welfare state, quasi inevitabilmente ci sarà una correlazione tra questa e l'esclusione sociale. Inoltre, in un certo senso, è lo stesso sistema di welfare che, se non tutela adeguatamente le persone uscite dal mercato del lavoro, può favorirne la povertà e l'esclusione sociale. Si deve, infatti, considerare che l'assenza di un posto di lavoro porta con se molti problemi: oltre alla mancanza di un introito economico (e quindi al rischio di impoverimento), ne consegue anche la privazione di un luogo di attivazione e arricchimento delle proprie reti sociali, oltre che un'identità ed un ruolo sociale e la “sicurezza” che ne deriva.
Le criticità della perdita di un impiego devono poi essere collocate all'interno dell'attuale mercato del lavoro, dove la crescente flessibilizzazione, data dalle recenti riforme del mercato 5Al quale se ne potrebbe aggiungere un quinto: il sistema di welfare della transizione. Questo modello e tipico dei paesi dell'ex blocco sovietico che si sono aperti all'economia di mercato nell'ultimo decennio. Il welfare di questi paesi è caratterizzato da “processi di consolidamento differenziati e non delineati da caratteristiche univoche”. Questi paesi sono tuttavia accomunati da un cambiamento in corso nella struttura economica che ne impedisce la produzione di ricchezza, inoltre, al loro interno si sta consolidando una marcata stratificazione sociale. Le politiche attuate al loro interno negli ultimi anni sono quindi state volte al contrasto di questi elementi di criticità, ma gli effetti non sono ancora evidenti. Il maggiore rischio sociale che stanno affrontando questi paesi è quello di un incremento della povertà. (Kazepov 2007)
lavorativo e dall'introduzione di nuovi tipi di contratti, non è stata accompagnata da una sufficiente offerta di lavoro. Sono state introdotte molteplici nuove forme di contratti di lavoro con un numero sempre minore di garanzie (sia riguardo alla solidità del contratto, sia riguardo alle tempistiche e contributi previdenziali versati). Contemporaneamente non sono però stati fatti sufficienti interventi che incentivassero adeguatamente le imprese ad assumere, ed anche per questo motivo, i posti di lavoro che si sono venuti a creare sono principalmente contratti precari e da liberi professionisti. (Cirillo 2015) Non tutti i paesi europei, hanno tuttavia affrontato nello stesso modo questi cambiamenti che si sono verificati con sfaccettature più o meno diverse nei mercati dal 2008 in poi. Nella quasi totalità dei paesi europei, compresi quelli mediterranei, è attualmente presente un reddito minimo garantito6 o anche semplicemente dei
percorsi efficaci di reinserimento lavorativo (sono rimaste ai margini soltanto Italia e Grecia, che hanno misure limitate come il REI nel caso italiano e l'attuale sperimentazione in Grecia). Al contrario nei paesi del nord europa questo tipo di struttura per il supporto alle fragilità connesse alla fuoriuscita del mondo del lavoro o della scuola era presente da tempo.
Partendo da queste premesse, l'ipotesi di questa ricerca è che ci sia un legame particolarmente stretto tra la disoccupazione (o inoccupazione) ed esclusione sociale, riguardo al quale il welfare state ricopre un ruolo centrale.
Si rende quindi necessario studiare la relazione tra l'assenza di un lavoro e l'esclusione sociale, al fine comprendere come i due fenomeni siano legati e si influenzino a vicenda. Questo è essenziale per analizzare successivamente tutti i meccanismi messi in atto dai diversi sistemi di welfare. L'obiettivo è quello di riuscire a valutare come e quando il welfare state può intervenire, in modo positivo, nel processo di esclusione ed in particolare quale ruolo gioca l'assenza di un'occupazione.
Per esaminare le strategie di intervento ed il loro impatto su l'esclusione sociale, si è deciso inoltre di comparare gli effetti prodotti da due paesi con modelli di welfare estremamente diversi tra di loro: l'Italia, con un tipico modello familista, e la Norvegia, con un modello universalistico tipico dei paesi scandinavi (che possono semplificativamente essere inquadrati in questo modo secondo la classificazione di Esping-Andersen). Per questa differenza, ma anche per la volontà di cercare di analizzare il fenomeno in modo più completo possibile, è stato necessario sviluppare l'oggetto di indagine su più piani.
6 In Italia dal 1° gennaio 2018 è attivo il Reddito di Inclusione (REI), una misura di contrasto alla povertà. Così come gli interventi che lo hanno preceduto (Nuova Carta Acquisti e Sostegno all’Inclusione Attiva– SIA) il REI è composto da un beneficio economico e da una componente di servizi alla persona, I quali devono essere garantiti a livello locale. Il Decreto legislativo 147/2017 con il quale è stato introdotto il Reddito di Inclusione ha previsto servizi aggiuntivi rispetto a quelli erogati ordinariamente dai comuni finanziati da una quota del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Attraverso questo decreto sono state stabiliti I LEP, costituiti da: la valutazione multidimensionale del bisogno, il progetto personalizzato ed i servizi volti a garantire l’accesso al REI. (Agostini 2018)
All'interno del secondo capitolo verrà innanzitutto approfondito il ruolo del welfare-state e come esso si lega ai concetti di esclusione e del mercato del lavoro; due fenomeni che sono significativamente mutati nel tempo.
L'indagine riguardante la struttura ed il funzionamento dei due paesi si svilupperà poi all'interno dei tre capitoli comparativi che seguiranno. All'interno di ogni capitolo verranno distinte due sezioni, una per ciascun paese, strutturate in modo estremamente simile per facilitarne il confronto. Questi tre piani di studio sono stati elaborati attraverso delle fonti eterogenee: la prima parte (all'interno de terzo capitolo) è stata sviluppata tramite una vasta letteratura, la seconda (costituita dal quarto capitolo) si concentrerà sopratutto su dati quantitativi (raccolti attraverso banche dati, statistiche e analisi comparative effettuate anche a livello europeo), mentre l'ultima parte (sviluppata nel capitolo 5) è stata costruita tramite una ricerca sul campo, effettuate grazie alle interviste somministrate ai servizi analizzati.
Nel terzo capitolo verrà trattato il diverso sviluppo che hanno avuto i due regimi di welfare state, dalla loro nascita all'assetto attuale, con lo scopo di avere un ampio confronto e chiarire il contesto nel quale si indagherà poi la relazione tra assenza di lavoro e esclusione sociale. Una volta esplicitata l'evoluzione del welfare, verranno analizzati gli assetti attuali dei due sistemi, con particolare attenzione a tutti gli aspetti che possono (o potrebbero) influire direttamente sulle problematiche legate al lavoro.
Nel quarto capitolo, verranno invece analizzati in modo più diretto le strutture dei due mercati del lavoro; verranno qui messe in risalto le possibili “distorsioni” presenti, le categorie di lavoratori sottoposte ad un maggiore rischi di fuoriuscita dal sistema e come i due stati hanno deciso di intervenire per regolare e tutelare il rapporto tra il mercato e la forza lavoro.
Nel quinto capitolo, verrà poi indagato il funzionamento e gli interventi messi in atto all'interno dei servizi chiamati in causa. Questa parte dell'indagine è stata sviluppata attraverso interviste semi-strutturate somministrate agli operatori ed altri attori del territorio per comprendere sia il funzionamento.
Nell'ultimo capitolo, il sesto, verrà poi elaborata un'analisi complessiva che, tenendo presente il contesto di riferimento approfondito nei primi capitoli, effettuerà una valutazione dei servizi messi in campo dal sistema di welfare e come essi siano in grado o meno di intervenire sul fenomeno dell'esclusione sociale.
2. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO: IPOTESI TEORICHE E
RISULTATI DI RICERCA
2.1. WELFARE E LAVORO
I cambiamenti produttivi e nuovi stili di vita che si sono avuti dalla fine del settecento, possono essere considerati come il cambiamento che ha modificato il legame automatico che portava ad attribuire i bisogni sociali ad una colpa individuale. Nei decenni precedenti infatti, nella concezione collettiva, il fatto di trovarsi in una situazione di bisogno era imputato ad una colpa del singolo.
I nuovi equilibri che si vengono a creare alla fine del XVIII secolo, soprattutto in ambito lavorativo e demografico, hanno quindi introdotto l'idea che la responsabilità di uno stato di bisogno sia in realtà una responsabilità collettiva. La situazione di difficoltà degli individui, o di determinate “categorie”, iniziò infatti ad essere dettata, in modo ancor più evidente, dalla complessità delle relazioni sociali prodotta dai nuovi fattori che si affermarono in questo periodo7. Furono quindi messi in atto, per la prima volta, dei meccanismi di regolazione che
rappresentarono le prime misure volte a creare il moderno welfare state.
I modelli di regolazione e di garanzia dei diritti di cittadinanza che si sono sviluppati nei vari paesi, seguirono però principi (e tempi) molto diversi. Alcuni paesi hanno, da subito, previsto politiche universalistiche per la sicurezza sociale, come ad esempio la Norvegia ed i paesi scandinavi: i quali, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra8, hanno prediletto prestazioni
garantite a tutti i cittadini e finanziate attraverso il gettito fiscale generale. Altri paesi hanno invece preferito portare avanti politiche di tipo assicurativo-previdenziale, per accedere alle quali è necessario aver contribuito fiscalmente oppure essere assicurati contro determinati rischi. Si tratta quindi di un accesso vincolato al possesso di un lavoro (o comunque di essere a carico di una persona con una posizione lavorativa).
Altro tipo di politiche previste, soprattutto nei paesi del sud Europa, sono quelle di tipo assistenziale: l'accesso è sottoposto cioè alla prova dei mezzi (il reddito), le cure non dipendono tanto dallo Stato, quanto dal mercato e dalle famiglie (Kazepov 2007).
Le differenti caratteristiche presenti nei vari Stati sono state studiate e classificate secondo modelli costruiti seguendo vari criteri. Molti modelli di classificazione sono stati costruiti sulle 7 Come verrà approfondito più avanti, nel corso del 1800 si iniziarono ad affermare i primi processi di industrializzazione, che portarono con loro uno spostamento verso le città, modificando i meccanismi di solidarietà e gli assetti familiari. (Kazepov 2007)
8 La Norvegia sembrerebbe aver avuto questo tipo di approccio già a partire dalla prima legge sui poveri emanata nel 1845, per poi accentuare l'universalità del sistema sopratutto dopo la fine del secondo conflitto mondiale (Ferrera 2012)
forme di integrazione socio-economica e di scambio individuate da Karl Polanyi (1980).: la
reciprocità, la redistribuzione e lo scambio di mercato. La reciprocità si basa su gruppi più o
meno informali, strutturati in modo orizzontale ed in cui le parti si aspettano qualcosa reciprocamente: come ad esempio la sfera familiare e le organizzazioni sociali. In queste “sfere”o “sottogruppi”, lo scambio di beni e servizi avviene in base ad aspettative reciproche. Le motivazioni che guidano queste azioni non sono cioè, legate a motivazioni economiche ma sociali. Il meccanismo della redistribuzione, per l'autore, si basa necessariamente sull'esistenza di organizzazioni sociali più ampie e stratificate. É necessario quindi un centro che garantisca la ri-allocazione delle risorse, compito generalmente rivestito (o che dovrebbe rivestire) dallo Stato attraverso le politiche di welfare. Lo scambio di mercato, infine, è il meccanismo che secondo Polanyi, in epoca moderna, è diventato predominante sugli altri due. All'interno del mercato, che regola la sfera economica, lo scambio dei beni avviene sulla base del prezzo e dall'interazione tra domanda ed offerta. Questa analisi fatta da Polanyi permette di individuare facilmente quali sono i sistemi attraverso cui le risorse vengono redistribuite tra i cittadini e definisce le “sfere” all'interno delle quali avvengono questi scambi (e sulla base di quali aspettative e motivazioni). Inoltre, mentre la famiglia, così come i legami sociali9, sono da
sempre stati presenti nei rapporti tra le persone, con questa analisi viene evidenziato come il mercato si è sviluppato più di recente sulla base di una serie complessa di fattori analizzati da diversi studiosi (es. Polanyi 1944, 1983), tra cui occorre considerare l’importante ruolo dello stato.
La famiglia è infatti uno degli elementi intorno ai quali si sono via via creati gruppi ed organizzazioni sociali più ampie. Il nucleo parentale nei secoli scorsi, era nella maggior parte dei casi l'unico supporto per i propri membri in stato di bisogno, ai quali veniva offerto supporto senza necessariamente aspettarsi un “ritorno” immediato in termini di beni/servizi.10 Fintanto
che la reciprocità e la redistribuzione svolgeranno le loro funzioni, per l'autore non c'è motivo per cui meccanismo economico individuale debba entrare in gioco, poiché “il sistema economico è in realtà una semplice funzione dell'organizzazione sociale”. Per molto tempo quindi il mercato non era certo un elemento superfluo, poiché nessuna società potrebbe esistere in assenza di un meccanismo che garantisca in un certo qual modo “l'ordine nella produzione e nella distribuzione”, ma il l'ordine economico era assorbito nel sistema sociale. Prima del XVIII secolo l'idea del libero mercato era ancora lontana ed è soltanto nel secolo successivo, con
9 “La conservazione dei legami sociali d'altra parte ha un'importanza cruciale, in primo luogo perché non osservando il codice d'onore o di generosità accettato, l'individuo si taglia fuori dalla comunità e ne viene espulso (...)” (Polanyi 1980)
10 Si pensi ai nuclei allargati tipici del periodo preindustriale presenti soprattutto nelle campagne: i quali al loro interno avevano una distribuzione chiara di ruoli e mansioni necessarie per portare a termine i lavori necessari al sostentamento di tutta la famiglia.
l'avvento dell'industrializzazione11, che l'attività economica è stata isolata da quella sociale.
Deve essere quindi considerato che il mercato si basa esattamente su scambi individuali ritenuti vantaggiosi per entrambe le parti, ed all'interno di esso non è possibile una redistribuzione delle ricchezze o un supporto per i più bisognosi, poiché chi non ha niente da offrire (compresa la propria forza lavoro) ne rimane inevitabilmente escluso. Se consideriamo poi la trasformazione dei legami familiari che si è avuta a partire dal '700 con l'industrializzazione12, lo Stato, da
quando ha iniziato ad intervenire con le politiche di welfare ha un ruolo centrale e determinante con gli interventi che sceglie di mettere (o non mettere) in campo ed in base alle tutele che decide di garantire ai cittadini.
Dal diciannovesimo secolo ad oggi, vi è stata una crescente importanza del mercato come meccanismo di regolazione, che talvolta non è stato guidato dalle politiche lavorative messe in campo dai diversi governi, ma al contrario le ha rese necessarie. L'iniziale infiltrazione del commercio nella vita degli individui, non avrebbe necessariamente dato vita ad una sfera autonoma se non si fossero sommati altri fattori (quali l'innovazione dei mercati i cui prezzi erano dettati dai fattori di produzione e lavoro e l'ampliamento dei mercati che hanno acquistato il potere di determinare i prezzi). L'insieme di questi fenomeni divenne sostanzialmente indipendente dal mercato in cui si manifestavano in precedenza.13 In un periodo estremamente
breve quindi (tra il 1815 ed il 1845), il mercato assunse un'autonomia tale da essere in grado di “organizzare gli esseri umani come elementi di materie prime, e di combinarli, insieme alla superficie della madre terra, che ora poteva essere liberamente commercializzata, in unità industriali dirette da privati impegnati sopratutto a comprare e vendere allo scopo di realizzare un profitto” (Laville et al. 2008). In un periodo estremamente breve quindi, la mercificazione del lavoro e della terra portò a cambiamenti sostanziali nella struttura della società. Nel corso degli anni, l'autonomia e la forza del mercato nell'affermasi è continuata a crescere.
Il mercato del lavoro, inoltre, è cambiato e sta cambiando tuttora repentinamente e significativamente. Le variazioni avvenute negli ultimi decenni in questo ambito, come: l'evoluzione tecnologica e le conseguenti modifiche nei processi di produzione, la necessità delle aziende di adeguarsi alla necessità di una maggiore flessibilità e la preponderanza sempre 11 La produzione industriale cessò di essere configurato come un elemento accessorio del commercio organizzato ma ne divenne l'elemento portante ed l cui produzione è divenuta in modo crescente un elemento complesso. Gli elementi che componevano la produzione, lavoro terra e moneta, sono quindi divenuti più numerosi oltre che necessari, e si è resa indispensabile la loro salvaguardia. In una società commerciale, questo ha fatto si che venissero resi disponibili per l'acquisto, quindi in vendita ed organizzati come merci. Questo, per Polanyi, è sinonimo di una richiesta di mercato. (Polanyi 1980) 12 Con la trasformazione da unità produttiva (dovuto “all'allontanamento” dalla terra come risorsa/mezzo
di produzione, ed il conseguente declino della famiglia allargata anche ed in seguito al processo di urbanizzazione) la famiglia ha perso in gran parte la forza dei sui legami ed è divenuta in modo prevalente un'unità volta alla riproduzione.
13 Questo processo fu compreso da studiosi come Quesnay e Smith che però, probabilmente legati alla visione precedente, non compresero come la sfera del mercato fosse ormai separata ed autonoma dalle altre.(Laville et al. 2008)
maggiore del settore terziario, hanno portato il sistema lavorativo ad una crescente mobilità ed aleatorietà. Queste nuove caratteristiche hanno indebolito il ruolo del lavoro e l'impatto che esso ha nell'appartenenza sociale e quindi nella vita individuale (Benedetti 2011). In seguito a questi cambiamenti la posizione lavorativa non porta più automaticamente con se il riconoscimento di un certo ruolo nella società, tuttavia, la presenza o la fuoriuscita dal mercato del lavoro (così come il trovarsi nelle tante situazioni di limbo date da lavori precari) può avere ancora un impatto molto forte sulle persone e sul loro conseguente senso di appartenenza.
Quelli che si sono verificati nel mercato del lavoro globale, sono quindi cambiamenti estremamente rilevanti ed hanno portato nella società modifiche significative. Non sono, tuttavia, i cambiamenti in sé ad aver causato delle situazioni di criticità nella vita degli individui, bensì i meccanismi e le politiche che sono state messe in campo (o non attuate affatto) per regolare questi “squilibri”. A questo proposito è opportuno tornare ad analizzare i modelli di welfare che si sono sviluppati nei vari paesi europei, in modo da comprendere gli effetti che si possono avere in base ai meccanismi di regolazione citati precedentemente.
Partendo dall'analisi di Polanyi, Esping-Andersen individua tre principali regimi14 di welfare, i
quali si differenziano per la preponderanza, al loro interno, dei meccanismi di regolazione dello Stato, piuttosto che dal mercato o della famiglia. In base al prevalere di uno di questi meccanismi sugli altri, si avranno dei risultati molto diversi in termine di protezione sociale dei cittadini. La struttura del sistema può produrre un'alta possibilità di raggiungere elevati livelli di uguaglianza per tutti gli individui (destratificazione), un certo livello di indipendenza dal mercato (demercificazione) o un'alta possibilità, da parte della famiglia, di essere indipendente degli obblighi di cura e di supporto per i familiari in stato di bisogno (defamilizzazione)15.
Il primo regime indicato da Esping–Andersen, è quello liberale. All'interno di esso il mercato è il principale meccanismo regolatore e quindi ha un basso livello di demercificazione. In questi tipi di regimi i programmi di assistenza sono quasi sempre di tipo categoriale, non a carattere universale e vengono riferiti soltanto ad alcuni gruppi a rischio. Lo Stato ha un basso grado di copertura dei rischi sociali e quindi un carattere residuale. Per accedervi è necessario, nella la maggior parte dei casi, dimostrare di essere realmente bisognosi di un determinato servizio e questo stato di bisogno deve essere dimostrato tramite la prova dei mezzi. Questo modello si basa sul principio per cui la platea dei cittadini si divide in due tipi: vi è una maggioranza di individui capaci di avvalersi delle assicurazioni o in alternativa di fare fronte ai propri bisogni autonomamente, mentre ad una parte ristretta di persone vengono “concessi” servizi limitati. 14 La definizione di “regime” anziché quella di “sistema” è una delle prime critiche che sono state mosse
successivamente a Esping-Andersen.
15 Il concetto di defamilizzazione è stato però inserito soltanto in un secondo momento, in seguito alle critiche mosse all'autore. Altri studiosi sostenevano infatti che non era stata data abbastanza rilevanza nella classificazione a questo concetto, e che al contrario, vi era un'eccessiva attenzione al rapporto tra Stato e mercato.
Il regime conservatore da un'importanza centrale alla famiglia ed alle associazioni orizzontali. Si ha un livello di demercificazione più alto del regime liberale, i rischi sociali sono distribuiti sulla popolazione in modo diverso e sono previsti vari tipi di intervento. Questa distinzione riguardo al “supporto” garantito ai cittadini è data dalla diversa contribuzione ai fondi previdenziali di categoria. L'importanza della redistribuzione, fa si che la maggior parte degli stati che applicano questo modello, abbia un'intervento statale limitato, in quanto è centrale il ruolo della famiglia che ha un ruolo di cura. Il regime di welfare si basa su un principio di sussidiarietà: lo Stato interviene solo qualora gli interventi della famiglia e delle associazioni sono risultate insufficienti o inefficaci.
Il regime socialdemocratico, a differenza dei precedenti da un ruolo centrale alla redistribuzione, e cioè allo Stato. In questo tipo di organizzazione i servizi sono garantiti sulla base esclusiva della cittadinanza (ed in alcuni casi anche soltanto in base alla residenza). Si tratta quindi du un modello a carattere universalistico che garantisce a tutti lo stesso tipo di protezione sociale. Questi modelli si contraddistinguono generalmente per la “volontà” di ridurre le disuguaglianze ed i livelli di stratificazione sociale, con lo scopo di aumentare i livelli di demercificazione.
I tre modelli sopra descritti, possono essere associati con relativa facilità agli stati che li applicano, in quanto, come detto in precedenza, i paesi scandinavi sono quelli caratterizzati da modelli universalistici / socialdemocratici, mentre alla prima categoria (cioè i regimi liberali) appartengono i paesi come l'Inghilterra e gli USA, infine il modello conservatore viene generalmente applicato a stati come Germania, Italia e Francia.
Questa classificazione è stata, tuttavia, oggetto di varie critiche, tra cui la mancanza di un regime che raggruppasse i modelli di welfare tipici dei paesi che si affacciano sul mediterraneo, i quali hanno livelli di familizzazione più accentuati rispetto ai regimi conservatori. Esping-Andersen ha così introdotto il concetto di defamilizzazione, cioè la capacità delle politiche sociali di non lasciare che gli individui in stato di bisogno siano dipendenti dalle famiglie. Altri autori (Ferrara, 1998) hanno invece ritenuto opportuno introdurre un quarto regime, e cioè quello familista.
Le forti differenze presenti in questi sistemi, sono dovute ad una serie di fattori, diversi per ogni paese e presenti nei territori al momento del passaggio dalle società tradizionali all'epoca moderna (periodo nel quale si è avuto lo sviluppo delle prime politiche di welfare). Se osserviamo la storia dei paesi in cui è presente un welfare di tipo liberale, possiamo notare come si tratti di paesi in cui si è avuta una forte spinta all'industrializzazione e questo li ha portati ad avere un buon livello occupazionale che è stato fatto combaciare con le maggiori tutele. Lo sviluppo del modello social-democratico è stato, invece, influenzato soprattutto dalla presenza di una popolazione poco numerosa e con livelli culturali omogenei, inoltre questi paesi non
hanno visto un' industrializzazione repentina e questo ha portato lo Stato ad intervenire per regolare i meccanismi di redistribuzione. Nei paesi conservatori/corporativisti, l'industrializzazione è stata più “armonica” e “regolata”, con i piccoli artigiani che hanno continuato ad avere un ruolo importante e sono state previste tutele “ad hoc” (Kazepov, 2007). Tutti i paesi mediterranei, al contrario, hanno avuto per certi versi sviluppi più irregolari, con un processo di industrializzazione ritardato rispetto agli altri. In alcuni casi particolari (come in Italia), inoltre, l'industrializzazione si è concentrata soltanto in alcune zone metropolitane, e questo ha contribuito ad accentuare le forti differenze presenti all'interno dello stesso paese. Ferrera (2012) definisce infatti questo modello come “caratterizzato da livelli fortemente sbilanciati di demercificazione: moltissimo ad alcuni (più che in Svezia) pochissimo o nulla ad altri (meno che negli Stati Uniti)”. L'ascesa di governi dittatoriali, è stata poi un ulteriore elemento che ha accomunato ed ha influito nello sviluppo del welfare di questi paesi: i regimi hanno “distorto” le politiche sociali utilizzandole in modo propagandistico e clientelare. Vi è quindi in questi paesi un elevato gradi di particolarismo che talvolta è addirittura cresciuto negli anni, ed allo stesso tempo un basso grado di statualità (Ferrera 2012). La presenza di una forte componente religiosa, infine, ha enfatizzato il ruolo di cura della famiglia ed ha portato allo svilupparsi di una sussidiarietà dello Stato, il quale interviene solo là dove la famiglia e le organizzazioni orizzontali non riescono a sopperire al bisogno dei singoli. Infine l'elevata frammentarietà territoriale ha provocato in questi paesi, come viene analizzato meglio nei capitoli successivi (ed in Italia sopratutto), squilibri rilevanti tra le varie aree interne.
La riflessione sullo sviluppo di questi modelli evidenzia il ruolo importante svolto dal mercato, ed in particolare dal mercato del lavoro, nello svilupparsi delle tutele offerte nei vari tipi di welfare system. Come già accennato però, nel corso degli ultimi decenni, ed in particolare dalla metà degli anni settanta, il mercato del lavoro ha subito nuovi e significativi cambiamenti. Si è assistito ad una crescente globalizzazione del mondo del lavoro, con il decentramento della produzione in altri paesi e alla crescente presenza di aziende multinazionali. Il settore terziario ha piano piano assunto un maggiore rilievo nel mercato, offrendo tuttavia posti di lavoro meno stabili rispetto ali altri due settori, in quanto maggiormente sensibile alla variazione della domanda di servizi. La crescente tecnologizzazione16 ha modificato i meccanismi di produzione,
16 Il ruolo di crescente importanza, assunto dalla tecnologizzazione nei processi di produzione, era già stato predetto da autori come Keynes più di ottanta anni fa. Tuttavia questo fenomeno sta avendo un impatto probabilmente maggiore di quello che si potesse pensare. Il progresso tecnico-scentifico è divenuto attualmente il maggiore fattore di crescita nella produzione, e da più di vent'anni (soprattutto nell'industria) i macchinari stanno svolgendo un numero crescente di attività che prima venivano affidate agli operai. Piu recentemente vi è stata inoltre un accelerazione della biomedica che si stima colpirà anche professioni non di routine.
Il crescente fenomeno della tecnologizzazione ha prodotto quindi differenti valutazioni scientifiche: alcuni studiosi sostengono che nel lungo periodo, come già avvenuto in passato, le nuove tecnologie creeranno nuovi posti di lavoro. Altri affermano invece che le trasformazioni che stanno avvenendo nel settore produttivo, colpiranno tutti i settori, e quindi non non potrà avvenire come in passato uno
e questo ha avuto inevitabili ripercussioni sull'offerta di lavoro che si è spostata sulla manodopera maggiormente specializzata (Kazepov 2007, Villa 2007).
Contemporaneamente si è diversificata la platea di coloro che si affacciavano nel mondo del lavoro alla ricerca di un impiego (ed in particolare la componente femminile). Ciò è dovuto, e contemporaneamente ha contribuito, all'aumento di richiesta dei servizi rivolti alla famiglia e per l'infanzia. Questi cambiamenti hanno modificato gli assetti di molte strutture familiari incentrate sulla figura del male-breadwinner e all'innalzamento del livello di qualifica necessario per immettersi, in modo competitivo, nel mercato del lavoro. I forti cambiamenti avvenuti nella produzione, nei nuovi standard di qualifica richiesti alla forza lavoro ed il contemporaneo aumento della popolazione attiva, hanno portato ad una modifica degli assetti nel mercato del lavoro. I lavoratori con una bassa qualifica rischiano adesso di trovarsi esclusi dal mercato o impiegati in lavori di basso profilo, sottopagati e/o di andare ad accrescere la fascia di lavoro sommerso. Si è venuto così a creare un mercato del lavoro meno stabile, in cui i giovani (privi di esperienze lavorative pregresse) faticano ad entrare e in cui le carriere lavorative sono sempre di più frammentate. Questo produce quindi un maggiore rischio di fragilità per i soggetti che hanno un profilo poco competitivo o obsoleto , in un mercato del lavoro nel quale è più difficile mantenere nel tempo il posto di lavoro.
Le problematiche fin qui elencate e che possono insorgere nei numerosi gruppi sociali colpiti dall'insicurezza occupazionale, possono provocare forti squilibri nel sistema di welfare. Anche per questo, le politiche sociali della maggior parte dei paesi europei sono state orientate per intervenire su questi squilibri, o quantomeno per incentivare ed “accompagnare” gli individui che si trovano in situazioni svantaggiate, all'interno del mercato del lavoro. Chiaramente le modalità di intervento possono essere di molti tipi e possono portare a risultati estremamente diversi; nei capitoli seguenti vedremo appunto quali tipi di risultati hanno prodotto le diverse politiche e i diversi tipi di intervento attuati dai servizi in Norvegia ed in Italia.
spostamento della forza lavoro da un settore all'altro (pensiamo alla tecnologizzazione industriale che a partire dagli anni '70/'80 ha prodotto un calo di posti di lavoro nelle imprese, che però sono stati accolti dal terziario). (Carboni 2016)
2.2 LAVORO ED ESCLUSIONE SOCIALE
I nuovi assetti che si sono venuti a creare nel mercato del lavoro, come accennato precedentemente, hanno esposto più gruppi di popolazione ai nuovi rischi sociali quali la flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro. Nell'epoca attuale, risulta difficile poter contare su un'impiego stabile (nonostante gli impieghi a tempo indeterminato siano tornati a salire recentemente)17, la maggior parte dei nuovi lavoratori ha difficoltà ad inserirsi nel mercato
del lavoro e godono di garanzie ridotte18. Una parte sempre più consistente della popolazione
vive in condizioni di forte instabilità economica. In seguito ai cambiamenti del mercato del lavoro elencati nel paragrafo precedente, le categorie più deboli possono “facilmente” ritrovarsi escluse dal mercato del lavoro e/o rinunciare a trovare un impiego. Si pensi ai giovani respinti all'ingresso nel mercato del lavoro perché carenti di esperienza o ai professionisti rimasti disoccupati in seguito alla crisi economica e costretti a reinventarsi dopo aver svolto per una vita intera lo stesso tipo di lavoro.
Sullo sfondo di questo quadro sociale, che si è andato delineando a partire dagli anni sessanta, si è iniziato a parlare di underclass ed esclusione sociale per indicare il fenomeno delle “nuove” (o rinnovate) forme di povertà e fragilità, sia dal un punto di vista economico, quanto da quello socio-relazionale” (Benedetti 2009). Entrambi i termini, underclass ed esclusione sociale, sono stati inizialmente introdotti per indicare la categoria di persone che, per la prima volta, si trovano in situazioni di povertà e disoccupazione in modo costante e prolungato nel tempo. Tuttavia, nonostante i due termini siano nati per indicare circostanze molto simili, hanno assunto (a causa del contesto di applicazione) significati e modelli di lettura del fenomeno assai diversi. Il primo concetto, quello di underclass, è stato utilizzato originariamente negli Stati Uniti, tra gli anni sessanta e settanta. Myrdal introdusse in questo periodo il termine svedese “underklassen” nel linguaggio americano, cambiandone però il significato originario. Questo termine era nato infatti, per indicare in particolar modo le popolazioni di colore e portoricane, le quali abitavano nei quartieri più degradati, ai margini delle grandi città.19 Nel linguaggio
americano, questa definizione ha assunto il significato di una situazione intesa come “stabile” e
17 In Italia, ad esempio, tra la metà 2013 a fine 2017 “l’occupazione a tempo indeterminato è cresciuta di poco più di mezzo milione, mentre quella a tempo determinato è cresciuta di oltre 600 mila unità, con una particolare «impennata» nel 2017” Tuttavia deve essere considerato che in una fase di crescente occupazione i contratti temporanei aumentino (la riprova di questo è data dal fatto che alcune categorie di contratti precari, come i collaboratori, sono sensibilmente diminuite. (Reyneri 2018) 18 Anche il potere dei sindacati si è notevolmente ridotto, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei
lavoratori precari e saltuari. (Kazepov, 2007)
19 Consideriamo anche che negli stati Uniti le discriminazioni, in larga parte, erano ancora basate su discriminazioni razziali. (Kronauer M. , Esclusione sociale e underclass: nuovi concetti per l'analisi della povertà, in Borghi V. 2002 e Morlicchio E., 2012)
forse anche per questo è stato spesso interpretato con un'accezione meramente negativa: uno status di cui vergognarsi, ed utilizzato per “inquadrare” una parte della popolazione.
Il termine “esclusione”, è nato invece in Francia, dove il dibattito sul fenomeno si è fatto particolarmente intenso in seguito alla crisi petrolifera degli anni '70. Questa nozione, proprio perché nata da un contesto di crisi economica, era da subito volta ad indicare la situazione di marginalità ed esclusione dal processo economico di alcune fasce di popolazione. Il tema dell'esclusione viene trattato però, per diversi anni con lo “scopo” di individuare una categoria ben definita di bisognosi ed ai quali è necessario dare una risposta altrettanto delineata. Per autori come Lenoir20 gli esclusi sono tutti coloro (handicappati fisici e mentali, anziani invalidi,
e “disadattati sociali”) che non riescono a “vivere come tutti gli altri”, la cui condizione è quindi denotata come una carenza individuale.
Negli anni immediatamente successivi alla diffusione dell'utilizzo del termine, si è poi visto un ampliarsi del rischio di fragilità, che è perfino arrivato a riguardare anche la classe media, coinvolgendo così categorie che fino a quel momento erano considerate “al sicuro”. Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 si avrà, infatti, un forte incremento della disoccupazione e della povertà dovute al nuovo fenomeno della precarizzazione del lavoro. Questi cambiamenti andranno ad incidere sulla sicurezza di una larga parte della popolazione che fino a quel momento poteva godere di varie tutele dovute al loro inserimento nella sfera economica. Da questo momento quindi, la nozione di esclusione, viene utilizzata per fasce e per fenomeni sempre più ampi di marginalità sociale. Sarà tuttavia solo negli anni '90 che il focus centrale di questo concetto si sposterà dall' inquadrare coloro che si trovano in una determinata posizione, ai passaggi che portano alla condizione di esclusione.
A differenza del concetto di underclass, infatti, quello di esclusione pone molta più attenzione sul processo stesso che porta alla marginalità, piuttosto che denotare soltanto la situazione finale. Non riguarda, quindi, soltanto la persona che arriva ad essere esclusa ma anche le istituzioni ed i meccanismi che hanno determinato tale il processo. Questo spostamento dell'attenzione dei ricercatori farà si che si inizi ad analizzare il fenomeno in modo ampio, collocandolo in un mercato del lavoro in cambiamento e da un indebolimento dei legami sociali. In quest'ottica, lo studio dell'esclusione sociale, riguarda in modo trasversale tutte le problematiche connesse alla nuova struttura del mercato del lavoro ed ai vari aspetti legati alla marginalità e l'isolamento sociale (Castel 1995, Borghi 2002, Benedetti 2009).
I termini underclass e d esclusione implicano quindi anche delle visioni diverse della struttura sociale: mentre il primo si colloca in una visione gerarchica della società, il secondo ne ha una concezione più orizzontale, suddivisa in “in-out”. Questo diverso approccio al fenomeno è probabilmente anche dovuto al tipo di welfare e socialità presenti all'interno dei paesi in cui si 20 Lenoir ,“Les exlus”, 1974 in Castel 2003
sono sviluppati i termini. Gli Stati Uniti, non avendo particolari forme di tutela ed essendo una società che attribuisce il merito del successo al singolo lavoratore, tende ad individuare nei singoli anche le “colpe” per il fallimento e della fuoriuscita dal mercato del lavoro. In Francia si è invece sviluppato un sistema di welfare basato sulle assicurazioni lavorative più esteso ed in cui il senso di comunità è maggiormente radicato (come, del resto, nella maggior parte dei paesi europei). Questo contesto ha fatto sì che la condizione di bisogno o il rischio di esclusione venissero visti, come una sconfitta della collettività. Il concetto di esclusione, nei paesi europei, è andato quindi delineandosi come “una processualità”, ponendo la propria attenzione su come gli esclusi, a causa delle contingenze, possano arrivare a trovarsi in questa situazione. Non vi è in questo caso quindi una visione esclusivamente individuale del fenomeno ma anche collettiva, e dettata da fattori trasversali che riguardano vari ambiti tra loro collegati. La società in cui si inserisce il concetto concetto di esclusione sociale è costituita da due poli: “inside” ed “outside”. Essere “inclusi” può essere tradotto con l'essere inserito e far parte dei meccanismi sociali, economici, culturali e politici. Ma se si è inclusi quando si fa parte stabilmente di uno o più “sistemi aggregativi”, non si po' essere esclusi semplicemente quando si fuoriesce da uno di questi. Allo stesso tempo, è vero che la fuoriuscita da una di queste sfere, può facilmente portare gli individui ad essere esclusi anche dalle altre, in una sorta di escalation negativa, che porta ad un livello di marginalizzazione sempre maggiore.
Secondo Kronauer (Borghi 2002) al di là dei vari approcci con cui può essere trattato il tema, esistono alcune dimensioni o ambiti centrali, a partire dai quali il processo di esclusione inizia a concretizzarsi. La prima di queste sfere è quella “dell'esclusione dal mercato del lavoro”: essa non riguarda tanto gli individui con possibilità limitate di trovare un impiego, quanto piuttosto il trasformarsi della continua ricerca di lavoro (o il susseguirsi di continui lavori precari e dequalificanti) nel ritiro della propria forza lavoro dal mercato. Come già detto la forte precarizzazione, il lavoro spesso dequalificato o la sotto occupazione dovuta agli impieghi saltuari e part-time, hanno fatto sì che attualmente molte persone si trovino ai margini del mercato del lavoro, senza esserne né esclusi né inclusi e con scarsissime tutele.21 Queste
categorie di lavoratori non possono essere considerate “escluse dal mercato del lavoro” ma si tratta comunque di situazioni che possono portare a ritirare la propria manodopera dal mercato o spingere gli individui a ripiegare su guadagni derivanti dall'economia informale. La seconda sfera dell'esclusione è strettamente legata a quella lavorativa: “l'esclusione economica”. Essa riguarda coloro che non hanno più la capacità di provvedere alla sussistenza per se stessi e per la propria famiglia a causa dell'assenza di un guadagno regolare e sufficiente. Questa condizione può condurre facilmente gli individui a diventare dipendenti dai meccanismi di supporto offerti dal welfare in situazione di povertà.22 Altra sfera di esclusione è quella “dell'esclusione
21 Per approfondimenti: capitolo 4 “Esclusione sociale e lavoro: in Norvegia ed in Italia”.
culturale”, che si verifica quando gli individui scelgono o sono costretti a vivere al di fuori di determinati modelli comportamentali e di valori socialmente condivisi e riconosciuti. Spesso questo tipo di esclusione è consequenziale alle prime due e può presentarsi in momenti di vita diversi. L'impatto che può avere l'esclusione culturale può essere diverso sui vari individui in base al loro vissuto ed all'essere inserimenti, o meno, nelle altre sfere.
L'esclusione culturale ha un impatto sicuramente diverso su di un giovane che è sempre vissuto ai margini della società magari rispetto a quello che può avere per lavoratore anziano che perde il proprio lavoro. Il primo è possibile non si sia mai sentito parte dei valori comunemente riconosciuti all'interno della società, mentre il secondo, insieme alla perdita del proprio lavoro potrebbe veder mancare lo status ed il ruolo che gli è sempre stato riconosciuto all'interno di una società della quale si sentiva partecipe. “L'esclusione attraverso l'isolamento sociale” riguarda, invece, le relazioni sociali di cui un individuo si circonda: queste relazioni possono essere estremamente ridotte (fino quasi a scomparire) o più estese (ma ugualmente rischiose) quando un individuo sceglie di rapportarsi esclusivamente ai suoi “pari”. In questo caso, per quanto estesa, la cerchia di relazioni di cui si circonda l'individuo presenterà le sue stesse problematiche e la stessa scarsità di risorse a cui attingere in caso di bisogno. In questi casi il rischio di stigmatizzazione e marginalizzazione è molto superiore: l'individuo non ha la possibilità di utilizzare strategie di copyng ed avrà soltanto una rete formata da con coloro che hanno lo stesso tipo di problematiche. Kronauer ipotizza, infine, altri due tipi di esclusione: “esclusione spaziale” ed “esclusione istituzionale”. La prima è strettamente legata all' isolamento sociale: si pensi ad esempio alle banlieu parigine o alle politiche di Edilizia Residenziale Pubblica fatte in molte città italiane. Il fatto stesso che molte persone in condizioni di vulnerabilità siano concentrate in determinate aree può portarle ad una limitazione delle risorse e come detto precedentemente, una volta esclusi da una di queste sfere è più facile venire esclusi anche dalle altre. L'ultimo tipo di esclusione è quella “istituzionale”, che si verifica prima di tutto nei sistemi scolastici ed educativi poiché possono esercitare una forte pressione sulla percezione della disuguaglianza. Anche le istituzioni che amministrano la disoccupazione e la povertà, operando esclusivamente con questo tipo di utenza e questo può separarli dal resto della cittadinanza.
Un'analisi come quella condotta da Kronauer ci fa capire chiaramente come il concetto di esclusione si è evoluto nel tempo. Da una prima visione, riguardante esclusivamente gli emarginati della società post-fordista, ad una visione ampia e trasversale che riguarda svariate categorie di persone con collegamenti a molti aspetti della vista degli individui. In seguito al periodo post industriale ci è stata un'espansione della povertà e della diseguaglianza, fenomeni che riguardano ormai in vario modo, la maggior parte dela società. L'affermazione della fine povertà assoluta, può trattarsi anche di una povertà relativa che però denota un reddito relativamente insufficiente e la necessità di appoggiarsi permanentemente ai sostegni offerti dal welfare.
dell'industria Fordista (e le sue comunità relativamente stabili) ha alterato fondamentalmente la natura della povertà e della marginalità sociale, generando una situazione in cui il legame sociale che incoraggiava le persone a impegnarsi in forme di identità collettive si è sgretolato nel nuovo periodo postmoderno. In questa epoca, le forme tradizionali di impiego sono state sostituite ed alcune sezioni della classe lavoratrice postindustriale sembrano incapaci di adattare le loro capacità in modo da soddisfare le complesse esigenze di un mercato del lavoro nuovo e altamente competitivo. Riguardo a questo cambiamento, ed altri fenomeni come la relegazione spaziale delle fasce più povere della popolazione, vi sono studiosi come Bauman (2002) i quali sostengono che, lo stato e la società civile non hanno più la stessa propensione ed attenzione nel cercare di reintegrare completamente la popolazione emarginata da una società “mainstream”. Vi è stato infatti un cambiamento nelle norme, i valori e gli atteggiamenti che nel mondo industriale svolgevano una funzione integrativa cruciale. Nel corso degli anni, esse hanno iniziato a sgretolarsi (o rimodellarsi) e le forze politiche e le nuove realtà economiche non svolgono più la stessa funzione. Al contrario il clima sociale postmoderno sembra incoraggiare la competizione sociale e l'individualismo, gli individui risultano così più isolati gli uni dagli altri e maggiormente soggetti al rischio di esclusione sociale. (Winlow e Hall 2013). Per queste differenze intrinseche della società post moderna, secondo alcuni, l'esclusione sociale tipica del periodo post-industriale si differenzierebbe da quella attuale.
In questa accezione l'esclusione sociale può essere collocata al centro di due fenomeni, quello economico e quello socio relazionale: “l’asse economico si estende tra i due poli della sicurezza occupazionale (definito da lavoro garantito ed indipendenza economica del soggetto) e dell’esclusione dal mercato del lavoro, a cui si arriva attraverso un processo di progressiva precarizzazione dell’occupazione. L’asse sociale, invece, si struttura tra i due estremi dell’appartenenza ad una rete sociale stabile e sicura da un lato e dell’isolamento sociale dall’altro” (Benedetti R., 2009). Questa analisi fatta da Benedetti, si basa soprattutto sugli studi di autori come Kronauer e Castel: i quali collocano lo stato di escluso tra la convergenze di una posizione economico-lavorativa ai margini del sistema e la rottura dei legami sociali.
Parametri come quelli elencati da Kronauer possono, però, avere un peso ed un'influenza sull'individuo molto variabile da paese a paese. Si pensi all'esclusione economica e alla percezione della povertà: le aspettative e gli stili di vita presenti nei vari paesi sono profondamente diversi. Nello stesso modo, gli individui che si trovano ai margini del mercato del lavoro possono essere integrati all'interno delle varie sfere finora esplicitate in modo diverso a seconda dei paesi di cui parliamo. Infine per quanto riguarda gli equilibri tra i vari ambiti descritti da Kronauer ed il rischio di esclusione, anche il ruolo della struttura familiare e le reti sociali rappresentano un elemento importante. Le società possono, infatti, differire molto per la pervasività delle famiglie o il supporto che esse decidono di dare ai giovani (e per quanto
tempo) prima che essi diventino autonomi. Si tratta di fattori fortemente guidati delle convenzioni sociali e dal modo che si ha di vedere la famiglia nelle varie culture (Gallie1999). Proprio per queste differenze, per quanto possono essere individuate definizioni di esclusione sociale comuni e condivise a livello globale, ci sarà sempre bisogno di calibrare i margini dei modelli ai contesti specifici e tenere come riferimento il quadro d'insieme dei paesi oggetto di studio (Allman 2013).
A differenza di Kronauer, Paugam analizza l'esclusione sociale come un processo di “dequalifiation sociale” che si articola in tre passaggi.(Borghi 2002) .Per l'autore il primo passo è costituito dall'ingresso in una situazione di fragilità dato dalla precarietà o dall'assenza di una vita lavorativa. Nonostante questo primo fattore di crisi, però, i legami sociali dell'individuo persistono. Il passaggio successivo si verifica quando la situazione economica si aggrava: non si è più autonomi ed è necessario un supporto esterno. Anche in questa fase, gli individui riescono comunque a mantenere dei legami sociali, i quali però, vengono persi nella terza ed ultima fase nella quale il soggetto diviene completamente privo sia di risorse che di legami. Arrivati a quest'ultima fase, risulta quindi molto difficile riuscire a reinserirsi socialmente. I passaggi descritti da Paugam, nella loro schematicità, fanno emergere chiaramente l'escalation di isolamento che l'individuo si trova ad affrontare. La rottura della stabilità lavorativa, così come quella dei legami sociali, oltre a chiare ripercussioni in tutti gli ambiti di vita, possono avere anche un forte effetto a livello psicologico. Non è difficile immaginare, infatti, l'impatto che può avere nella vita di molte persone un evento improvviso come la perdita inaspettata del lavoro o la stanchezza provocata dalla continua incertezza, o impossibilità, di entrare nel mondo del lavoro e crearsi una posizione stabile.
Entrambe le analisi (di Kronauer e di Paugam),23 fanno emergere però un elemento importante,
e cioè come il processo di esclusione sia graduale e non a senso unico. Da una parte entrambe le teorie evidenziano come si tratti di percorsi complessi che colpiscono e collegano vari aspetti di vita, dall'altro (proprio perché influenzati da vari elementi) si tratta di percorsi non definiti. Per questo motivo tale processo può essere invertito poiché non stiamo parlando di un passaggio netto: tra i due estremi della società “in-out”, è presente una zona grigia in cui si trovano tutte le persone in una situazione di vulnerabilità, le cui risorse sono state intaccate in qualche modo. Gli individui vulnerabili possono trovarsi in questa situazione per periodi limitati, e riuscire poi a reinserirsi nella società in poco tempo, o possono avere un rapido peggioramento, arrivando ad esaurire tutte le risorse e finire nella fascia degli esclusi. Non di rado accade però, che alcune persone si trovino costrette a rimanere per molto tempo in questa situazione di vulnerabilità e pur vivendo in una situazione di continua precarietà, non riescano a diventare a pieno titolo ne inclusi ne esclusi.
23 Così come molte altre analisi, già citate e non, condotte nell'ambito dello studio dell'esclusione sociale.
Negli ultimi anni, oltre ai significativi cambiamenti nel mercato del lavoro si è assistito contemporaneamente ad un incremento del divario tra ricchezza e povertà. Da molti studi fatti nel settore emerge come a partire dagli anni '80 si è avuto un brusco aumento delle disuguaglianze sociali.24 (Ranci 2002, Raitano 2016) I cambiamenti che hanno investito la sfera
occupazionale hanno anche contribuito in modo decisivo ad aumentare la frammentazione sociale. Questi nuovi fattori che conferisco un carattere multidimensionale alle nuove marginalità, fanno si che la società si polarizzi sempre di più in in e out, ciò favorisce il processo evidenziato da Castel come una “progressiva erosione delle classi medie” (Castel 1997). Questo aumento del divario tra in e out in molti paesi può, per certi versi, essere ricondotto alla mancanza di meccanismi di regolazione e politiche per la tutela di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità. Allo stesso tempo, queste nuove marginalità, possono a loro volta essere un fattore di squilibrio per il welfare: se non vengono previste misure specifiche per queste figure, esse rischiano di alterare il funzionamento attuale del sistema. Un forte aumento delle persone definibili “escluse”, porta infatti un amento della domanda per i servizi che devono farsene carico, come ad esempio i servizi sociali. Tuttavia, trattandosi di persone che hanno già reciso tutti, o quasi, i legami che possedevano e che potevano essere utilizzati per attuare degli interventi per il loro reinserimento nella società al fine di renderli nuovamente autonomi, il percorso sarà necessariamente lungo e dispendioso di energie e risorse per i servizi. Al contrario, intervenire prima che il percorso di esclusione sia giunto “all'apice” garantisce una maggiore possibiltà si successo poiché gli operatori si possono avvalere delle risorse che l'individuo ancora possiede ed è quindi un intervento meno dispendioso per i servizi. Questo nuovo mercato del lavoro, così come altri fattori, hanno prodotto una estrema diversificazione e “deregolamentazione” dei percorsi di vita, rendendo poco utili i precedenti modelli di intervento ed amplificando i rischi dei singoli. In molti settori, restare costantemente inseriti nel mondo del lavoro, dipende quasi esclusivamente dalle capacità degli individui di riuscire a ricollocarsi rapidamente, o collocarsi contemporaneamente, in ambiti di lavoro più o meno affini. Chiaramente non tutti hanno la stessa capacità, o hanno avuto una preparazione, che consente loro di gestire questo tipo di approccio lavorativo. Si può, inoltre, essere inseriti all'interno del mercato del lavoro, ma per lo stesso motivo essere comunque esclusi dai “benefici” che questo dovrebbe comportare proprio per il tipo di lavoro (si pensi ai lavori a chiamata e per lavoratori indipendenti che non contemplano il diritto ad accedere alle protezioni sociali, o più semplicemente il lavoro nero) (Kazepov 2007, Reyneri 2011). Il rischio concreto è quindi ormai, non solo quello di allargare il divario tra gli occupati e i disoccupati, ma anche quello di creare una forte differenziazione all'interno alla categoria dei lavoratori. Tra i vari paesi può essere poi evidenziata una significativa differenza tra coloro che, all'indennità di 24 OECD Inequality Update 2016 "Income inequality remains high in the face of weak recovery”:
disoccupazione “continuativa”, affiancano o meno un'indennità assistenziale. Quest'ultima è generalmente finanziata dalla fiscalità generale e destinata a tutti coloro che non hanno terminato il periodo nel quale potevano accedere alla disoccupazione ma non hanno ancora trovato una nuova occupazione. Questo tipo di protezione, nei paesi che la applicano, è generalmente accessibile anche a coloro che non hanno mai contribuito (o non hanno contribuito abbastanza), per accedere all'indennità contributiva (in altri, una volta terminata quest'ultima è possibile accedere all'indennità assistenziale). Infine, alcuni paesi, presentano tra le misure a cui fare ricorso per non restare senza reddito, una qualche forma di reddito minimo, a cui è possibile accedere nel caso di una verificata insufficienza di mezzi. Tutte queste tutele che vanno ad affiancare l'indennità contributiva, permettono ai lavoratori che non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro in breve tempo, di avere un supporto per periodi di tempo generalmente prolungati e questo riduce il loro rischio di cadere il povertà ed esclusione. È presente quindi una significativa differenza tra i supporti offerti di paesi che presentano la totalità delle tutele sopra elencate, rispetto ai paesi che sono privi di ogni altro tipo di indennità oltre a quella contributiva (Ranci Pavolini 2015).
Al giorno d'oggi il rapporto tra lavoro ed esclusione sociale diviene quindi, un elemento centrale per le nuove sfide del welfare e rappresenta una chiave essenziale per capire come i vari stati europei si stanno muovendo per dare risposte ad un fenomeno ancora in evoluzione.
2.3 IPOTESI E METODOLOGIA DI RICERCA
Le riflessioni fatte nei paragrafi precedenti fanno emergere un chiaro nesso tra il ruolo che il lavoro ha per gli individui e la propensione di questi ultimi all'esclusione sociale. Si è visto inoltre come i nuovi fenomeni che hanno portato ad una crescente flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro (tra cui una progressiva deregolamentazione), sono trasversali a tutti i paesi europei ed hanno giocato un ruolo chiave nell'aumento delle disparità sociali. Questi cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro hanno prodotto un costante processo di frammentazione ed individualizzazione.25 Il riconoscimento della posizione
lavorativa si è fortemente indebolito ed è emersa la necessità di proteggere e sviluppare i tessuti sociali. Negli ultimi decenni si è così avuto un progressivo ampliamento della fascia di popolazione esposta alla vulnerabilità, la cui condizione è spesso dovuta a fragilità derivanti da una varietà di dimensioni critiche che si vanno ad intrecciare e sommare. In questo quadro di forte complessità, gli interventi regolatori, ed in particolare le politiche sociali attuate dai vari stati, hanno avuto spesso un impatto decisivo sulle dinamiche sociali.
I sistemi di welfare sono stati investiti dal conclamarsi della complessità dei nuovi bisogni e dalle modifiche che la società stessa ha subito. Le profonde differenze di welfare state e le diversità tra le società stesse, hanno fatto si che le variazioni avvenute avessero effetti profondamente diversi tra i vari paesi europei. Se ci concentriamo sulla situazione socio-economica attuale, infatti, si evince in modo piuttosto chiaro come nei paesi mediterranei gli effetti della deregolamentazione del lavoro (combinati a welfare con scarse tutele per ampie fasce della popolazione, l'importanza ed i compiti demandati al familycare, e mercati economici particolarmente statici e segnati dalla crisi), hanno avuto un impatto molto forte. Al contrario i paesi nordici e molti regimi di stampo conservatore hanno subito gli effetti delle modifiche avvenute nel mercato del lavoro in modo più “attivo”. Questi paesi hanno tentato di regolamentare la flessibilizzazione del lavoro, ed avendo delle economie in crescita e larga parte della popolazione dotata di una preparazione sufficiente per ricollocarli facilmente nel mercato del lavoro, hanno probabilmente percepito in modo tardivo le criticità apportate dai cambiamenti socio economici.
25 Frammentazione intesa come indebolimento dei legami tra individuo e società, e che si va a ripercuote nella sfera lavorativa come la mancata capacità del lavoro di produrre un riconoscimento sociale. Questa dequalificazione del ruolo del lavoro può anche dimostrarsi radicata al punto di influire negativamente e svalutare le pratiche che tentano di utilizzare il lavoro come meccanismo di inclusione. L'individualizzazione rappresenta invece molto spesso un aspetto stesso della frammentazione, il quale va a collocarsi nei processi di contrattazione che si riducono al dualismo tra datore di lavoro e il singolo individuo, facendo emergere la fragilità dei tessuti di solidarietà sociale, evidenziando al contempo il bisogno di creare nuovi tipi di risposte sociali. (Benedetti R, 2009)