4. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO IN NORVEGIA ED IN ITALIA
4.2.2 DISTRIBUZIONE DELLA DISOCCUPAZIONE PER GENERE E
Come già introdotto “il disoccupato italiano è quanto di più lontano dallo stereotipo classico del maschio adulto e capofamiglia, che ha perso il lavoro manuale per lo più nell'industria”. (Reyneri 2011) Fino agli anni '70 la maggior parte dei disoccupati era composta da maschi adulti (fuoriusciti sopratutto dall'edilizia e dall'agricoltura), ma questo era dovuto ad una bassissima percentuale di donne che partecipavano al mercato del lavoro, ed una discreta capacità di quest'ultimo di assorbire i giovani. Esclusi periodi caratterizzati da congiunture economiche negative infatti, gli uomini inseriti da tempo nel mercato del lavoro sono da molti anni soggetti ad un rischio minore di disoccupazione. Questa figura è inoltre maggiormente tutelata all'interno del mercato del lavoro italiano, poiché i pilastri assicurativi di questo sistema sono stati sviluppati attorno alla figura del male- breadwinner.
Prima di indagare le altre categorie, che per anni non hanno avuto (ed in parte non hanno tuttora) garanzie minori, è necessario soffermarci su un'altra peculiarità del territorio italiano: la forte differenziazione tra il nord ed il sud del paese. Le due aree presentano infatti, forti divergenze riguardo all'assetto economico che in larga parte sono causa di un forte divario tra le percentuali di disoccupazione nelle varie aree. La forte diversità tra i territori riguarda innanzitutto i settori occupazionali: al centro nord a partire dagli anni '70 il settore terziario si è affermato con maggior forza, mentre al sud questo cambiamento non ha avuto lo stesso impatto e l'agricoltura occupa sempre una percentuale rilevante della popolazione attiva: questo ha avuto un inevitabile impatto sulla partecipazione femminile al lavoro. Nel meridione le donne hanno iniziato ad aumentare il loro tasso di attività a partire dagli anni settanta, quando la ristrutturazione industriale iniziò a “prediligere” l'occupazione di donne nella nuova domanda di lavoro avanzata da terziario. Al sud l'avanzata del terziario ha avuto un impatto meno forte e le donne hanno dovuto confrontarsi con la concorrenza maschile per i posti di lavoro, oltre che con disponibilità ad accettare livelli di retribuzione più bassi (Reyneri 2011; Gualmini, Rizza 2013). Nei decenni passati all'interno della maggior parte dei paesi europei, le donne entravano nel mercato del lavoro molto giovani, con una bassa scolarità, per poi ritirarsi dalle loro occupazioni una volta sposate o diventate madri. Alcune di queste donne, tentavano poi di rientrare nel mercato del lavoro una volta che i figli erano sufficientemente cresciuti ed autonomi. Nei paesi in cui per le donne era possibile ricollocarsi sul mercato del lavoro le curve dei tassi di occupabilità tendevano ad avere una “forma ad M” i cui valori massimi si verificavano prima del matrimonio e dopo i 35/40 anni. In questo modo la partecipazione delle donne alla vita lavorativa aveva un andamento discontinuo, perché condizionata dal ciclo di vita familiare. In altri paesi, ma anche per molte donne italiane, l'impossibilità o la volontà di non rientrare nel
mondo del lavoro faceva si che vi fosse solo un alto tasso di occupabilità in età giovanile, con una conseguente “forma ad L rovesciata” della curva del tasso di attività. Seppur avendo tutt'ora livelli di occupazione femminile ad di sotto della media europea, i percorsi lavorativi delle donne hanno oggi assunto una forma maggiormente lineare, definibile “a campana”, esattamente come quella che rappresenta la vita lavorativa degli uomini.126
Così come Grecia, Spagna e Malta, l'Italia continua tuttora ad avere un forte divario tra l'occupazione femminile e quella maschile, a differenza degli altri paesi europei dove la forza lavoro femminile è fortemente aumentata. Se osserviamo in modalità comparativa l'andamento delle percentuali di occupazione tra uomini e donne nei vari paesi europei del 1993 al 2016, si può osservare come tutti i paesi mostrano un costante avvicinamento delle due percentuali (dovuta nella maggior parte dei casi all'incremento del lavoro femminile). Tuttavia nel 2016 lo scarto tra l'occupazione maschile e femminine l'EU-28 è di circa 10 punti percentuali (con un tasso di occupazione maschile del 79% e femminile del 65%). In Italia con un occupazione maschile prossima al 73% nel 2016, l'occupazione femminile si “fermava” al 52%, facendo risultare il paese tra quelli con un maggiore divario tra i due dati.127 Deve essere inoltre
considerato che in questo avvicinamento ha avuto un'incidenza anche la crisi del 2008, in quanto l'occupazione maschile ha avuto un calo di quasi il 10% (risollevandosi solo recentemente), mentre il tasso si occupazione femminile, dopo una significativa crescita negli anni precedenti la crisi, ha interrotto la propria crescita introno al 50% di occupazione, senza però subire un decremento.128
Ma quali sono stati i fattori che hanno portato alla crescita dell'occupazione femminile? Innanzi tutto si è avuto una crescita dell'istruzione femminile: nei due decenni precedenti al 1992 vi è un sensibile incremento delle donne italiane diplomate e laureate, mentre vi è un calo di coloro che si fermano alla scuola dell'obbligo. Questo innalzamento del livello di istruzione portò a gran parte dell'aumento delle assunzioni di donne nel mercato del lavoro (Reyneri 2011). Un altro fattore che ha svolto un ruolo centrale per la maggior parte dei paesi europei riguardo alla crescita del lavoro femminile è l'introduzione del lavoro a tempo parziale. In molti paesi questo tipo di contratto si è diffuso più rapidamente e si è configurato, nella maggior parte dei casi come un rapporto di lavoro comunque permanente, ed affiancato da tutele adeguate. In altri paesi, come l'Italia si è avuta una diffusione dei questa tipologia di contratto più tardiva e molto 126 Chiaramente I tassi occupazionali delle cinquantenni mostrano ancora il gap generazionale, che però verrà lentamente colmato con il passare degli anni, a meno che non si verifichi una particolare congiuntura economica negativa. (Reyneri 2011)
127 Nonostante questo è opportuno sottolineare come le due curve si siano comunque avvicinate negli ultimi anni: nel 1993 l'occupazione maschile era prossima al 76%, mentre quella femminile era inferiore al 40%.
128 D a t i E U R O S T A T :https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php? title=Employment_statistics/it#Tassi_di_occupazione_secondo_il_sesso.2C_l.27et.C3.A0_e_il_livello _di_istruzione
spesso viene utilizzato questo strumento per impieghi poco stabili. Le statistiche mostrano come in molti paesi si è avuta una crescita del lavoro femminile parallelamente all'incrementato utilizzo dello strumento del part-time. In Italia, al contrario, alla crescita femminile degli anni '70 e '80 non è corrisposta o dovuta ad una maggiore diffusione del lavoro a tempo parziale. L'incremento di questo strumento si è però avuto negli anni '90: dal 1993 al 2016 la percentuale del part time tra le dipendenti passa da l'11% al 33%.129 La maggior parte di questi nuovi
contratti part-time si configura come a tempo indeterminato. Queste peculiarità fanno riflettere su due aspetti del lavoro femminile italiano: la crescita dell'occupazione femminile in molti paesi è dovuta all'introduzione del part-time, ma non in Italia, la cui crescita degli anni '70'80 (anche se inferiore agli altri paesi) è stata indipendente da questo strumento, e potrebbe essere dovuta, quindi, semplicemente all'ampliamento del terziario. L'altro dato che non deve essere dimenticato è il forte divario tra la percentuale di occupazione, tra il centro-nord ed il sud Italia. Nel 2017 le donne all'interno del mondo del lavoro nel nord Italia sono il 59,2% ed al centro il dato cala solo fino al 55,3%, in queste aree del paese il divario tra occupazione femminile e maschile è prossima al 15%, quindi il valore assoluto di donne lavoratrici non è molto inferiore a quello degli altri paesi. Nel meridione però l'occupazione femminile è pari soltanto al 32,2%, un dato quasi dimezzato rispetto al nord. Chiaramente come già accennato anche l'occupazione maschile nel sud è sensibilmente inferiore rispetto a centro-nord (ma non ai livelli femminili).130
Questo non sembra dovuto però ad una scelta delle donne del meridione, quanto piuttosto ad altri fattori. Contrariamente a quanto avvenuto nelle altre regioni, in questa parte di territorio a partire dagli anni '80 la nuova offerta di lavoro femminile che si era creata non ha trovato abbastanza spazio nel mercato del lavoro. L'eccesso di mando d'opera si è quindi tradotto in parte in inattività. Si è visto inoltre come in Italia (ed in particolare in alcune zone come il meridione) costituisca un forte limite alla crescita dell'occupazione femminile, l'assenza di adeguati e sufficienti sostegni e servizi per le famiglie. La limitatezza degli interventi di policy per la conciliazione tra famiglia e lavoro ed in generale le scarse politiche volte alla
defamilizzazione, hanno provocato un blocco alla crescita di occupazione femminile (Ranci e
Pavolini 2015). In questo senso, il crescente impiego di lavori a tempo parziale (soprattutto tra le donne) può essere dovuto anche alle necessità delle donne, in un paese fortemente familista, di riservare parte del loro tempo al “ruolo di cura” della famiglia. Secondo studiosi come Reyneri, difficilmente la percentuale di donne occupate, in Italia, riuscirà a crescere 129 D a t i E U R O S T A T :https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php? title=Employment_statistics/it#Tassi_di_occupazione_secondo_il_sesso.2C_l.27et.C3.A0_e_il_livello _di_istruzione
130 Il tasso di occupazione maschile del centro nord, nel 2017 è pari al 72,3%, mentre quello del sud è del 55,9%, con un conseguente divario superiore al 16%, non significativo quanto quello relativo al lavoro femminile che è di circa 25 punti percentuali. Dati Istat:http://dati.istat.it/Index.aspx? DataSetCode=DCCV_TAXOCCU1
ulteriormente senza l'introduzione di adeguati supporti per le famiglie. Questo è forse testimoniato in un certo qual modo dal fatto che l'unico tasso di occupazione ad avere recentemente una leggera ripresa, è stata appunto quella maschile, ed in particolare tra gli uomini.131
131 In particolare gli uomini tra i 60 ed i 64 anni, e con un livello intermedio di qualificazione (Reyneri 2018).