4. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO IN NORVEGIA ED IN ITALIA
4.2.1 QUALI INTERENTI PER LA TUTELA DEI LAVORATORI?
La costruzione estremamente frammentata del welfare state in Italia ha riguardato anche le politiche del lavoro, le quali non hanno avuto uno sviluppo omogeneo. Gli scarsi legami presenti tra le tutele introdotte, è prevalentemente dovuto alla progressiva espansione dei provvedimenti che però molte volte erano nati come strumenti transitori e, talvolta, limitati a specifiche categorie (Gualmini Rizza, 2013).
Negli anni '40 e '50, le prime riforme legate al mercato del lavoro vennero strutturate intorno alla figura del male-breadwinner: gli uomini con un impiego regolare ed a tempo pieno, i quali in Italia difficilmente vivevano periodi di mobilità lavorativa. In questi decenni era infatti molto scarsa la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, e con la tutela del “capofamiglia” si voleva, e si riusciva, a tutelare l'intero nucleo familiare. Questo modello, è apparso per molti anni perfettamente sostenibile e capace di offrire sufficienti tutele, soprattutto nei decenni successivi caratterizzati da una continua crescita economica. Negli anni '70 infatti, il tasso di disoccupazione sembrava in constante calo e le organizzazioni sindacali erano forti ed in grado di difendere gli interessi dei lavoratori. In questi anni di benessere crescente, la stabilità del posto di lavoro sembrò affermarsi come una certezza. La crisi economica a metà degli ani '70 mostrò però, come questo modello era inadatto ad un mercato del lavoro che non fosse con un certo ritmo in continua crescita ma, nonostante questo, il modello non subì significativi cambiamenti. A partire dalla fine degli anni '70, si avviarono quindi lenti e piccoli interventi introdotti con lo scopo di correggere i principali aspetti critici del vecchio modello. I primi interventi introdussero incentivi per l'entrata nel mondo del lavoro per i giovani, procedure per la mobilità territoriale ed aziendale (legge 285/77 e decreto 351/1978) ed i contratti di formazione professionale (845/1978).
Alla fine degli anni '80, tuttavia, a differenza di ciò che accadeva negli altri paesi europei, in Italia la disoccupazione continuava a crescere (arrivando fino al 12% nel 1989).114 Negli anni
'80 e '90 i vari governi tentarono invece di intervenire attraverso la deregolamentazione: con le leggi 291 del 1988 e 407 del 1990 vengono introdotti i lavori atipici come il lavoro a tempo parziale (part-time), il lavoro a tempo determinato ed i contratti di solidarietà. Ma è soprattutto alla fine degli anni '90 con l'introduzione del così detto “pacchetto Treu”115, nel 1997, che la
114 Accentuando quelle che sono tutt'oggi le peculiarità italiane: una crescita della disoccupazione femminile (dal 17.3% del 1985 al 18,7% del 1989), aumento della disoccupazione giovanile (dal 25,5% dell'84 al 27,6% del 1987), ma soprattutto della disoccupazione meridionale, aumentando il divario tra il nord ed il sud del paese (dal 14,7% nel 1985 al 21,1% del 1989). (Gualmini, Rizza 2013) 115 Legge del 24 giugno 1997, e decreto legislativo 468 del 1° dicembre 1997.
deregolamentazione e la flessibilizzazione vengono ulteriormente accentuate nel sistema italiano. Il “pacchetto Treu” introduce infatti il lavoro interinale, estende l'utilizzo del part-time ed amplia le normative per l'utilizzo del lavoro a tempo determinato. Questo “pacchetto di leggi”, così come i provvedimenti che lo hanno seguito, hanno avuto un indirizzo volto alla regolazione del mercato (attraverso l'aumento della flessibilità) ed alla regolazione dei servizi per l'impiego, con l'intento di incentivare un orientamento maggiormente attivo della ricerca del lavoro. Vi fu infatti il tentativo della creazione di una rete, riguardante una pluralità di attori, volta alla valorizzazione delle risorse, con un decentramento verso province e ragioni delle competenze in ambito di politiche attive del lavoro (Kazepov 2009). Saranno però le leggi successive ad assumere un'ottica realmente volta all'attivazione, incentivando appunto ad una ricerca attiva del lavoro.
Nel 2003 vengono ampliate e modificate, le tipologie di lavoro temporaneo subordinato e semi- dipendente. Con la legge 30/2003 viene ampliata la possibilità di esternalizare le attività non strategiche per le imprese e vennero modificati i contratti di apprendistato, i rapporti di lavoro part time, i contratti di lavoro a chiamata ed anche il regime delle collaborazioni a progetto. In seguito alla crisi economica del 2008, emersero con forza i limiti del sistema lavorativo italiano: la percentuale di disoccupati crebbe rapidamente, soprattutto tra la forza lavoro femminile (che da sempre in Italia ricopre una fetta di occupati molto limitata se comparata con gli altri paesi europei) e tra i giovani. In ambito occupazionale, furono quindi colpite dalla crisi soprattutto le categorie che si configuravano già come più deboli perché scarsamente tutelate, per questo motivo venne previsto un intervento straordinario. Con la legge finanziaria del 2008 si stabilisce la possibilità di intervenire con “ammortizzatori in deroga” alla normativa nazionale. Venne inoltre effettuato uno stanziato ad hoc nel Fondo nazionale per l'occupazione, al quale le regioni potevano attingere (oltre ai propri fondi stanziati e a quelli loro assegnati dalla programmazione europea 2007/2013). Attraverso questi fondi, le Regioni insieme ad i servizi pubblici per l'impiego e le agenzie accreditate (private), potevano incentivare la formazione per il reinserimento lavorativo.
Tra il 2008 ed il 2009 vennero inoltre introdotte estensioni agli ammortizzatori a nuove categorie, in precedenza non coperti da misure di sostegno al reddito, inoltre tra il 2009 ed il 2010, vennero introdotte numerose deroghe alle normative vigenti. Il Governo Berlusconi, allora in carica, in un clima di incalzante crisi economica preferì non intervenire in modo strutturale sulle tutele presenti ma preferì introdurre misure eccezionali. Nell'Accordo Stato- Regioni del 2009 venne quindi evidenziato come tali misure non rappresentassero “una riforma degli ammortizzatori sociali ne una devoluzione alla funzione” ma “uno sforzo congiunto stra stato e regioni collegato all'eccezionalità dell'attuale situazione economica”. Tra i numerosi interventi in deroga vi fu l'estensione degli ammortizzatori sociali in favore dei collaboratori a
progetto per il periodo 2009-2010116, la possibilità (per i beneficiari di sostegno al reddito) di
chiedere l'ammontare complessivo dell'indennità per avviare una propria attività117, incentivi a
favore delle Agenzie per il lavoro che svolgessero attività di intermediazione rivolta a soggetti svantaggiati118 (Gualmini Rizza, 2013).
Soltanto nel 2012 il governo ha tentato di riformare in modo più organico il mercato del lavoro, intervenendo sia sui meccanismi di regolazione dei rapporti di lavoro che sulle tipologie di sostegno al reddito. Nonostante ci sia stata la volontà di continuare a considerare il lavoro subordinato a tempo indeterminato come la principale forma di rapporto di lavoro, fu deciso di intervenire soprattutto sui contratti a termine: i quali furono resi stipulabili, per una durata massima di 12 mesi, senza nessun tipo di giustificazione necessaria. Contemporaneamente si cercò però di limitare il ricorso alle partite Iva ed alle collaborazioni a progetto. Per quanto riguarda invece la già citata (e perdurante) difficoltà dei giovani di inserirsi per la prima volta nel mercato del lavoro, per facilitarli si cercò di incentivare i contratti di apprendistato. Quello che rese però questa legge (92/2012) molto discussa della varie parti politiche, fu la parziale abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Questa modifica, introdusse cambiamenti riguardanti le regole per i licenziamenti disciplinari e quelli economici: i quali prevedevano la possibilità di sostituire la possibile reintroduzione nel posto di lavoro con un indennizzo economico (previa contestazione del lavoratore riguardo alla legittimità del licenziamento). La legge inoltre ha semplificato le regole per i licenziamenti collettivi, ma ha lasciato invariata la parte dell'articolo riguardante le tutele per il licenziamento dovuto a motivi discriminatori. Per quanto riguarda le tutele per la disoccupazione, la legge del 2012 ha introdotto l'Assicurazione sociale per l'impiego (ASPI), la quale, a partire dall'anno successivo, é subentrata alla precedente normativa per la disoccupazione e ne estende i criteri di accesso. A regime questa assicurazione ha una durata di 12 mesi: per i primi 6 con un importo pari al 75% della precedente retribuzione e successivamente al 60%. Era previsto un importo massimo di 1800 euro (accessibile anche ai contratti per apprendisti) ed estendibile fino a 18 mesi per le persone con più di 55 anni. Con questa nuova legge, la precedente indennità a requisiti ridotti (che richiedeva 2 anni si anzianità assicurativa), viene sostituita dalla miniASPI: la quale non richiedeva un requisito di anzianità assicurativa (ma mantiene la necessità di anzianità contributiva), riuscendo così a coprire un maggior numero di giovani lavoratori (seppur con una durata massima di 6 mesi).
I limitati interventi della legge 92, furono poi affiancati nel 2013 da ulteriori provvedimenti straordinari, resi necessari dal crescente numero di disoccupati tra i giovani (15-24). Queste misure comprendevano significativi sgravi fiscali fino a 18 mesi per le aziende che assumevano 116 Legge 33 de 9 aprile 2009
117 Legge 102 del 3 agosto 2009, conversione in legge del decreto legge del 1 luglio 2009, n.78. 118 Legge 191 del 23 dicembre 2009.
stabilmente giovani entro i 29 anni (12mesi se i contratti preesistenti degli under 29 venivano trasformati in contratti a tempo determinato).119 Le restrizioni riducevano però sensibilmente la
platea di giovani che potevano far beneficiare le aziende degli sgravi fiscali. Furono inoltre ridotti sensibilmente i tempi, previsti dalla legge del 2012, che dovevano necessariamente trascorrere tra i rinnovi dei contratti a termine, con lo scopo di incentivare l'utilizzo dell'apprendistato, ma anche questa misura produsse scarsi risultati.
Nonostante questi interventi però la disoccupazione giovanile non accennò a scendere, proseguendo il trend negativo degli anni precedenti. Così il governo Renzi a partire dal 2014 tentò di intervenire nuovamente nel mercato del lavoro, perseguendo l'obbiettivo di incrementare la crescita e, come il governo letta nel 2013, contrastare il fenomeno della segmentazione del lavoro che riguarda sopratutto le fasce più giovani. Per fare questo, vennero emanati vari provvedimenti tra il 2014 ed il 2015.120 In primo fu il così detto “decreto Poletti”, il
quale però si pone in leggera discontinuità con l'idea di incentivare i contratti a tempo indeterminato: il governo infatti, con lo scopo di dare un segnale immediato di ripresa decise di intervenire inizialmente con l'aumento della flessibilizzazione dei contratti temporanei.121
Il secondo intervento del governo Renzi fu poi la legge 183/2014 (Jobs Act) un provvedimento che però fu attuato con una serie di decreti emanati l'anno successivo. Questo provvedimento, a differenza del decreto Poletti, segui con maggiore continuità gli interventi già introdotti dal governo Letta volti a perseguire una politica degli sgravi per le imprese, tentando di influenzare così le scelte degli imprenditori riguardo alle tipologie di assunzione (Vesan 2016). Per quanto riguarda i contratti di lavoro il Jobs Act introduce il contratto a tutele crescenti che va a sostituire (per i nuovi contratti stipulati) il precedente contratto a tempo indeterminato.122 Questa
nuova tipologia di contratto verrà introdotta attraverso la legge di stabilità 2015 e grazie ad essa, le aziende che avrebbero avviato entro il 2015 un nuovo contratto di lavoro di questo tipo, avrebbero avuto diritto all’esenzione per tre anni dei contributi sociali (fino ad un massimo di 8.060 euro annui per lavoratore). Per questo tipo di agevolazioni, non furono previsti da parte del governo nessun tipo di vincolo, salvo che i nuovi assunti avessero un contratto a tempo
119 I giovani in questione però dovevano non aver avuto un contratto regolare nei precedenti sei mesi o senza un diploma di scuola media superiore o con una o più persone a carico.
120 Il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 (noto come "decreto Poletti", dal nome del Ministro del Lavoro) e la legge del 10 dicembre 2014, n. 183, la quale però rimandava a numerose deleghe da attuare con decreti legislativi, i quali furono emanati nel corso del 2015.
121 Venne posto a 36 mesi il limite temporale per I contratti a termine, non prevedendo una giustificazione da parte del datore di lavoro (di tipo tecnico, organizzativo o produttivo) che rendesse legittima la scelta di questa tipologia di contratto. Venne stabilito soltanto un tetto massimo per l'utilizzo di contratti a termine del 20% sul totale dei dipendenti (non previsto per le aziende con meno di 5 dipendenti).
122 Già indebolito nelle tutele garantite dall'articolo 18 dal precedente governo Monti nel 2012, e per il quale adesso viene inoltre disincentivato il ricorso giudiziario da parte del lavoratore, nel qual caso il rimborso per il lavoratore sarebbe inferiore rispetto ad un accordo extragiudiziale.
determinato nei sei mesi precedenti.123 Vengono poi previsti ulteriori e significativi sgravi
fiscali anche per la stipula di contratti a termine, e sempre sullo stesso indirizzo è stato alzato il tetto massimo di reddito percepibile attraverso i Voucher124, portandolo da 5000 a 7000
(Guarascio et al. 2017).
Per quanto riguarda invece gli ammortizzatori sociali, con il decreto legislativo 22 del 2015 la ASPI viene sostituita dalla NASPI, ampliandone ulteriormente i criteri di accesso: vi accedono coloro che possono vantare almeno 13 settimane di contributi versati nei 4 anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, e che negli ultimi 12 mesi del periodo abbiano accumulato almeno 30 giorni di lavoro effettivo. Il calcolo dell'indennità resta il 75% della retribuzione media mensile nei 4 anni precedenti. A differenza dell'ASPI però la percentuale di indennità si riduce del 3% ogni mese (dopo i primi 4 mesi di beneficio), e la sua durata massima è di 78 settimane. Tuttavia il versamento della NASPI è anche subordinato alla partecipazione di attività volte all'attivazione lavorativa e alla riqualificazione professionale. Coloro che hanno beneficiato della NASPI per la sua intera durata, ma si trovano ancora in stato di disoccupazione, possono inoltre richiedere l'assegno di disoccupazione (ASDI). L'erogazione di tale assegno è però legato all'esaurimento del fondo stanziato appositamente e previsto per il 2015 ed il 2016. Hanno priorità di accesso a questa misura gli ultra 55enni ed i lavoratori con la presenza all'interno del nucleo familiare di minori. Questo assegno ha la durata massima di sei mesi ed è pari al 75% dell'ultima mensilità della NASPI (e comunque non superiore all'assegno sociale). Ultimo requisito necessario per accedere a questa tutela era la sottoscrizione di un accordo personalizzato per la ricerca del lavoro redatto con il centro per l'impiego. Nel decreto era infine prevista un'indennità per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL), rivolto anche ai lavoratori della pubblica amministrazione. L'accesso alla misura richiedeva un minimo di 3 mesi di contribuzione a partire dal 2014. Anche questo ammortizzatore sociale, come gli altri, era subordinato (oltre che alla permanenza dello stato di disoccupazione alla partecipazione alle politiche attive di ricerca del lavoro. (Rizza 2015) L'ampliamento dei criteri ha garantito ad una larga fascia della popolazione di poter accedere alla NASPI, ma essendo collegata alla precedente retribuzione in molti casi questo poteva implicare una scarsa tutela dal punto di vista economico (Rizza 2015).
Gli incentivi introdotti dal governo Renzi per l'apertura di nuovi contratti a tempo indeterminato furono sicuramente importanti. Secondo i dati dell'Inps nel corso del 2015 i contratti a tempo 123 Il provvedimento venne poi rinnovato con la successiva leegge di stabilità 2016, legge del 28
dicembre 2015, n. 208 (Elia, Pugliese 2017).
124 I Voucher, una sorta di buono lavoro, erano stati introdotti dalla legge Biagi nel 2003 con molte restrizioni, poi resi applicabili a tutti I settori dalla legge Fornero ed infine incentivati ulteriormente dal Jobs Act. Costituiscono uno strumento non contrattuale, utilizzato come forma di pagamento per il lavoro accessorio occasionale. Non conferiscono coperture previdenziale (malattia, maternità, ferie, ecc.) e la cui retribuzione oraria netta è pari a 7,5 euro (Fana et al. 2016) (Guarascio et al.2017).
indeterminato sono aumentati di circa il 58% rispetto al 2014, mentre la trasformazione dei contratti da tempo determinato a indeterminato è salita del 73% (Rizza 2015). Tuttavia va precisato che il trend crescente dell'economia era iniziato già dal 2014, quindi prima della riforma. Inoltre non è dato ancora spere se e quante di queste imprese che hanno aperto nuovi contratti a tempo indeterminato, decideranno di licenziare i loro dipendenti se una volta terminati i tre anni di incentivi dovesse presentarsi una nuova congiuntura economica negativa. Infatti, oltre ad aver facilitato l'assunzione tramite contratti a tutele crescenti, come già detto, sono state parallelamente semplificate le procedure di licenziamento: attraverso la riduzione dei “costi” per le imprese e scoraggiato i ricorsi da parte dei dipendenti (Elia, Pugliese 2017). In sintesi, gli interventi introdotti dagli ultimi governi hanno cercato di incentivare l'assunzione da parte delle imprese, ma se da una parte sono aumentate le assunzioni attraverso i contratti a tutele crescenti, nulla è stato fatto per apportare un miglioramento a categorie specifiche che da tempo si trovano in difficoltà ad entrare e restare nel mondo del lavoro, quali donne e giovani. Queste categorie infatti sono spesso assunte con contratti precari, per i quali (ad esempio i vaucher) sono stati ulteriormente ampliati i criteri di applicazione nel corso degli anni, così come si è registrato un incremento del lavoro autonomo,125 (il quale può essere svolto, sotto una
certa soglia anche senza l'apertura della partita iva) e che non permette di accedere alla NASPI. Nelle pagine successive si approfondiranno quindi, quelle che risultano essere tutt'ora le categorie più colpite dalla disoccupazione in Italia.
125 Come si può evincere anche dal rapporto “Mercato del lavoro: verso una lettura integrata” realizzato dal coordinamento tra il Gruppo di lavoro tecnico ed il Comitato d’Indirizzo dell’Accordo fra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, nel dicembre 2017.