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4. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO IN NORVEGIA ED IN ITALIA

4.1.2 QUALE CRISI E CHE TIPO DI DISOCCUPAZIONE?

Nonostante la Norvegia venga inquadrata generalmente nei cosiddetti “Nordic Country”92,

caratterizzati da uno schema di “mercato del lavoro inclusivo” che li accomuna, questi paesi hanno comunque alcune diversità in campo economico che li hanno portati a reagire in vari modi ai momenti di crisi economica.

Questi paesi sono generalmente caratterizzati da un'elevata sindacalizzazione ed una forte contrattazione collettiva (a livelli significativamente superiori rispetto alla Germania ad al Regno Unito). In Svezia il 73% della forza lavoro è sindacalizzata, in Danimarca il 69%, in Finlandia il 71%, da questo quadro si distacca però la Norvegia con una percentuale del 52%. Le percentuali elevate di sindacalizzazione si spiegano con l'utilizzo del sistema “Ghent” in molti paesi del nord Europa. Si tratta di un tipo di schema assicurativo che “prevede fondi volontari per la disoccupazione con alto livello di sostituzione del salario e gestiti dalle federazioni di categoria raccolte nelle confederazioni”(Borioni 2003). La Norvegia ha però abbandonato questo sistema a partire dal 1938, ma ha comunque lasciato la propria impronta sulla mentalità e sulle finalità dell’azione sindacale; secondo Borioni “(...) scomparendo, ha reso la Lo93 norvegese meno in grado di reclutare i lavoratori ai livelli degli altri paesi nordici”.94

Altra peculiarità del mercato del lavoro norvegese è come i lavori pesanti e poco qualificati sembrano ricoprire una percentuale inferiore alla media: i lavori ad alta qualifica risultano invece occupare una fetta più consistente del mercato del lavoro. Negli ultimi anni però, anche nei paesi nordici è scesa da soddisfazione dei dipendenti per il lavoro svolto (anche se tale diminuzione mantiene comunque livelli significativamente superiori a quelli degli altri paesi europei). Per i dipendenti di questi paesi emerge come molto importante il livello di discrezionalità e controllo sull'organizzazione del proprio lavoro, considerato necessario per mantenere bassi i livelli di stress e una buona gestione del lavoro.

Negli anni '90, i paesi hanno subito in misura variabile gli effetti della crisi economica; tra questi la Norvegia e l'Islanda furono le uniche a non avere significative battute d'arresto nella crescita. Questo potrebbe essere dovuto in parte al fatto che entrambe (ma soprattutto la Norvegia) non erano a pieno integrate nel sistema economico dell'Unione Europea, inoltre il welfare state norvegese era in quel momento sottoposto ad una pressione inferiore rispetto a quello degli altri paesi scandinavi.95 Tuttavia a partire proprio dal '94 si sono avuti in Norvegia

92 Di cui fanno parte Danimarca, Svezia, Norvegia e Islanda.

93 Lo, è il nome con il quale vengono, o venivano, indicate nei paesi scandinavi le federazioni di categoria, raccolte appunto nelle confederazioni Lo.

94 In Norvegia, come negli altri paesi scandinavi che hanno tuttora in vigore il sistema “ghent”, I sindacati sembrano avere un forte potere contrattuale. La Norvegesi differenzia però dagli altri per un alto grado di gestione dell’economica da parte dello Stato nel settore petrolifero-minerario. (Borioni 2003)

varie modifiche circa la regolamentazione per l'accesso all'indennità di disoccupazione, le quali hanno riguardato principalmente tre punti: misure di accesso più stringenti, limitazione della durata dell'erogazione dei benefici, inasprimento dei “requisiti comportamentali” delle attività necessarie per il mantenimento dei benefici. Lasciando però pressoché invariati gli importi dei benefici (Lorentzen et al, 2014). Precedentemente alla riforma del 1994 si è avuto appunto un primo inasprimento dei criteri per beneficiare dei sussidi di disoccupazione, fino a quell'anno si poteva accedere al sussidio in seguito ad una riduzione dell'orario di lavoro del 20%, ma con le nuove norme la riduzione necessaria per accedere ai benefici fu innalzata al 40%. Inoltre la durata massima per la percezione dell'indennità di disoccupazione fu stabilita ad 80 settimane, passati i quali, dopo un periodo di “quarantena” di 13 settimane (nel quale sono previsti comunque sussidi ed indennità), è possibile richiedere un ulteriore periodo di 80 settimane nel quale verrà percepita nuovamente l'indennità (inferiore del 10% alla precedente). Infine è possibile richiedere un nuovo periodo di “quarantena” di 13 settimane.96 Nel gennaio 1997

questo sistema è stato sostituito da un unico periodo massimo di beneficio di 156 settimane per la maggior parte delle persone in cerca di lavoro, ma solo a 78 settimane per individui che avevano percepito guadagni inferiori a circa € 17.000 all'anno. I soggetti beneficiari a pieno titolo dell'indennità, che nei quattro anni precedenti il periodo di disoccupazione avessero lavorato per tre, avevano diritto ad un cosiddetto periodo di attesa successivo all'esaurimento dell'indennità. In questo “periodo di attesa” si aveva diritto a due terzi della precedente indennità, senza limiti di durata massima97 (Røed, Westlie 2012). Nel caso in cui I beneficiari

dell'indennità di disoccupazione non avessero accettato le offerte di lavoro loro sottoposte dagli operatori, vi poteva essere per loro una sanzione sotto forma di “quarantena” dai benefici dell'indennità per un periodo di otto settimane (tuttavia, questo tipo di sanzioni veniva raramente applicato durante i primi mesi del periodo di ricerca di un nuovo lavoro).98

assicurazione contro la disoccupazione obbligatorio, Finlandia e Svezia hanno invece, in cosiddetto “Ghent system” basato sull'adesone volontaria (Lorentzen 2014).

96 Si poteva arrivare pertanto ad una durata massima complessiva di 80+13+80+13 settimane, per un totale di 186 (anche se la concessione dell'indennità veniva rivista dopo le prime 93). (Røed, Westlie 2012)

97 Per tutto il periodo, c'è stata una regola speciale per gli ex dipendenti statali, che sono diventati disoccupati a causa di riorganizzazioni all'interno del settore pubblico. Queste persone hanno diritto a durate massime di beneficio da 3 a 17 anni, a seconda dell'età, senza la necessità di richiedere estensioni. Vi sono anche norme separate per le persone che hanno completato il servizio militare, in quanto sono state esentate dai requisiti standard di ammissibilità, ma hanno anche avuto una durata massima dei sussidi più breve (26 settimane). (Røed, Westlie 2012)

98 Se una persona in stato di disoccupazione richiede inoltre indennità per malattia non non è sottoposto ad obblighi per cercare attivamente il lavoro. Tuttavia i benefici di malattia possono essere mantenuti fino a un anno, al termine del quale, se la persona è ancora considerata troppo malata per lavorare può richiedere prestazioni di riabilitazione o di invalidità. Le persone a cui non viene riconosciuto il diritto alle indennità per malattia, possono richiedere il supporto tramite l'assistenza sociale (Røed, Westlie 2012).

Nel 2003 la soglia della riduzione dell'orario di lavoro necessaria per accedere all'indennità di disoccupazione fu nuovamente innalzata al 50%, ed allo stesso tempo è stata innalzata la soglia del reddito minimo per accedere all'indennità di disoccupazione.99 Sempre nel 2003, sono stati

ridotti anche periodi di sussidio, ciò ha significato che coloro che negli anni precedenti la disoccupazione avevano un reddito annuo superiore a circa 13.300 euro100 hanno visto ridotto il

periodo di sussidio massimo da 3 a 2 anni, mentre i lavoratori titolari di redditi annuali inferiori, hanno avuto una durata massima dell'indennità ridotta da 18 mesi a 1 anno. Nello stesso anno, tra i requisiti esplicitati nella normativa evidenziarono che per poter beneficiare dell'assistenza un richiedente doveva rispondere ai seguenti requisiti: aver perso il suo lavoro involontariamente, accettare il lavoro eventualmente offerto (ed in caso di posizioni lavorative offerte in altri territori accettare di trasferirsi) (Lorentzen 2014).

Per quanto riguarda invece l'andamento del lavoro, in seguito alla crisi economica del 2008, la Norvegia, rispetto a tutti gli altri paesi dell'eurozona, ha subito un decremento del PIL sensibilmente inferiore. Rispetto ad calo medio di -4.1 punti percentuali che si è verificato per gli altri paesi dell'eurozona dal 2008 al 2009, la Norvegia ha avuto un calo di -1.1. Allo stesso modo, la disoccupazione nel paese nel biennio 2008/2010 è cresciuta di un solo punto percentuale, a differenza del forte incremento che si è avuto nella maggior parte dei paesi; compresi quelli del nord che hanno tutti avuto un incremento superiore al 2% (Berglund 2014). Dopo l'iniziale “tenuta” alla crisi economica del 2008, alla quale ha il paese ha risposto con una forte politica espansiva nel 2014, la Norvegia ha però iniziato a subire un innalzamento progressivo dell'indice di disoccupazione dal 2015. Dal 2009 al 2014, infatti, l'indice è sempre oscillato tra i 3 e i 3.5 punti percentuali, nel 2015 si è poi arrivati a 4.3 e l'anno successivo al 4.7.101 Le categorie che sembrano più colpite dall'aumento della disoccupazione sono sopratutto

i giovani, al contrario la percentuale di occupati tra gli ultra cinquantacinquenni ha subito un leggero incremento, dovuto probabilmente all'innalzamento dell'età pensionabile. Le tempistiche riguardanti l'innalzamento della disoccupazione sembrano evidenziare come quest'ultimo non sia tanto dovuto alla crisi economica del 2008, quanto piuttosto al crollo del prezzo del petrolio avvenuto tra il 2014 ed il 2015.102 Alcuni studi hanno infatti analizzato la

correlazione tra questi due fenomeni, ed hanno evidenziato come: trattandosi di un'economia largamente dipendente dal petrolio, il legame tra rendimento del mercato del lavoro e petrolio è particolarmente visibile in Norvegia.103

99 Prima del 2003, il livello minimo di reddito annuo era fissato a circa 8.300 euro, ma a seguito del cambiamento dei criteri, il livello è stato fissato a circa 10.000 euro (Lorentzen 2014).

100 Al valore di cambio da Corone Norvegesi ad Euro del 2003 (Lorentzen 2014). 101 Statistic Norway: https://www.ssb.no/en/statbank/table/08517/tableViewLayout1/

102 Nel giugno 2014, il prezzo del petrolio raggiungeva $106 al barile. Esattamente un anno dopo, nel giugno 2015, precipitava a $40, per poi calare ulteriormente nei mesi successivi.

103 Alcuni studi dimostrano come i tassi di disoccupazione in Norvegia rispondano negativamente agli shock dei prezzi petroliferi intorno a due anni dopo che si sono verificati gli shock. (Karlsson, Li,

Dopo l'aumento della disoccupazione fino al 2016, la percentuale di persone rimaste escluse dal mercato del lavoro è tornata a calare fino ad una media del 4,2% per il 2017, ma l'andamento sembra confermato anche nei primi mesi del 2018. Nel corso del 2017 (tra luglio ed ottobre) è infatti calato il numero di persone registrate come disoccupate o all'interno di iniziative governative per promuovere l'occupazione presso l'amministrazione del lavoro e del welfare (NAV).104 Questo trend positivo riguardo al calo della disoccupazione è poi continuato nei primi

mesi del 2018, registrando (tra il giugno 2017 ed il giugno 2018) un incremento di 54000 persone: corrispondente ad un aumento da 66,5 a 67,5 del tasso di occupazione.105

Sempre nel 2017 tra le donne, la percentuale di disoccupazione era inferiore rispetto a quella degli uomini, i quali hanno una percentuale del 4.6% contro il 3.8% di disoccupate. Nell'ultimo secolo, nella maggior parte dei paesi dell'OCSE, c'è stato un aumento generale della volontà delle donne di restare all'interno del mercato del lavoro. L'aumento è stato particolarmente significativo tra le donne sposate con figli. Gli studi che stanno analizzando questa trasformazione suggeriscono che è stato guidato da nuove opportunità per le donne, derivanti da cambiamenti tecnologici sul posto di lavoro e famiglia, oltre che migliori opportunità educative, una diminuita discrezionalità, orari di lavoro più flessibili e una più ampia disponibilità di servizi per l'infanzia e contraccettivi (Haalad et al. 2018). La Norvegia è ritenuta tra i paesi più equi al mondo in termini di pari opportunità tra i generi, sia per l'alta percentuale di partecipazione delle donne al mondo del lavoro, per la divisione dei ruoli familiari, le politiche di sostegno alla famiglia e per le protezioni in ambito lavorativo riguardo la maternità. Tuttavia, se la percentuale di divario tra gli uomini occupati e le donne occupate è molto bassa, deve essere considerato che molte donne hanno un lavoro part time o lavorano per un monte ore settimanale sensibilmente inferiore a quello degli uomini. Secondo le statistiche infatti, nel 2017 gli uomini tra i 20 e i 64 anni, hanno lavorato in media 37,4 ore a settimana, mente le donne nella stessa fascia di età soltanto 32 ore.106 Secondo un recente studio (Haaland et al. 2018),

evidenzia come il divario di genere all'interno della famiglia di origine (come l'occupazione materna e l'educazione dei genitori) possa essere un indice della futura occupabilità delle bambine cresciute in questo tipo di ambiente. Il divario di genere è inoltre, notevolmente inferiore tra i bambini cresciuti nei comuni in cui l'occupazione materna era più elevata e dove il sostegno al Partito cristiano-democratico era più basso.

Shukur 2018)

104 Statistic Norway:https://www.ssb.no/en/arbeid-og-lonn/artikler-og-publikasjoner/unemployment-at- 4.0-per-cent--335603

105 Statistic Norway: https://www.ssb.no/en/arbeid-og-lonn/artikler-og-publikasjoner/unemployment-at- 3.8-per-cent

106 Si tratta di due dati che si sono avvicinati soltanto recentemente: dal 2006 al 2017 lo scostamento costante tra I monte ore lavorati da uomini e donne oscillava tra le 6 e le 7 ore settimanali. Statistic Norway: https://www.ssb.no/en/statbank/table/11210/tableViewLayout1/

Tra i disoccupati le differenze in base al titolo di studio e per età sono significative. Come vedremo successivamente, infatti, i disoccupati tra i 15 ed i 24 anni sono il 10,8%, dato sensibilmente può alto rispetto alla altre fasce di età (costante anche nei decenni precedenti). Per quanto riguarda il titolo di studio, in tutte le fasce di età è possibile vedere poi una percentuale significativamente maggiore tra coloro che non hanno portato a termine l'istruzione secondaria. Tra queste persone il tasso di disoccupazione sale al 9,6%, per essere poi sensibilmente inferiore tra coloro che hanno terminato l'istruzione secondaria 3,6% e gli studi universitari 2,4%.107

Da questa preliminare analisi, emerge quindi come vista la loro alta percentuale di disoccupazione,i giovani siano i più svantaggiati nel mercato del lavoro. Nel capitolo successivo approfondiremo quindi gli aspetti che possono essere le cause di questa netta differenza tra questa fascia di età e le altre presenti nel mercato.