4. ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORO IN NORVEGIA ED IN ITALIA
4.2.3 ENTRARE NEL MERCATO DEL LAVORO
I giovani, così come le donne, sono infatti le categorie più a rischio disoccupazione, in particolare quella “da inserimento” che negli ultimi anni ha avuto su di sé un'attenzione crescente. Il passaggio dal mondo scolastico a quello lavorativo in Italia da molto tempo costituisce un momento di transito difficile. Si tratta di un momento che deve essere analizzata anche e sopratutto in relazione al livello di istruzione raggiunto dai giovani che abbandonano il percorso formativo. Il titolo di studio conseguito sembra infatti avere implicazioni sia sulla capacità di restare all'interno del mercato, sia sul tempo necessario a reinserirsi una volta usciti. Per questo motivo, come approfondiremo più avanti, in Italia si tende a parlare, oltre che di disoccupazione giovanile, di “disoccupazione intellettuale”.
Fino agli anni '70 il passaggio scuola-lavoro, per coloro che erano in possesso di un titolo di studio di scuola media o un diploma, non era molto diverso in termini di tempistiche nella capacità di trovare il primo impiego. Al contrario coloro che erano in possesso di una laurea avevano tempi di inserimento nel mercato del lavoro molto minori (così come era inferiore anche il numero di coloro che accedevano a questo livello d'istruzione). Il numero dei laureati ha iniziato a crescere a partire dalla fine degli anni '70, e si diffuse in Italia l'idea che vi fosse tra i giovani un eccesso di scolarizzazione. L'incremento dell'accesso ai percorsi scolastici superiori per alcuni è dovuto all'aspettativa di un maggior bisogno di qualificazione per il crescente sviluppo economico, per altri questo innalzamento dei livelli di istruzione era causato alla crescente visione di un aumento di scolarità come un canale di mobilità da parte delle classi sociali subalterne. Il crescente sviluppo economico non venne probabilmente percepito adeguatamente dalla società che continuava a vedere l'assetto del mercato del lavoro con una visione ancorata al passato. Così per un certo periodo l'eccesso di forza lavoro istruita portò i giovani laureati, non ad entrare in competizione con i meno scolarizzati, bensì a rimanere temporaneamente esclusi dal mercato del lavoro, e questo venne identificato come “disoccupazione intellettuale” (Reyneri 2011).
Successivamente, negli anni '80, il rapporto tra i livelli di istruzione e l'accessibilità alle posizioni lavorative si è riassestata e negli anni '90 la situazione è poi significativamente cambiata. Tra il 1994 ed il 1996 subì così un incremento il tasso di laureati, la cui percentuale di disoccupazione, durante la ricerca del primo impiego, era molto al di sotto di quella dei giovani con titoli di studio inferiori. In seguito alla ripresa ed alla crescita avvenuta dopo il 1996, si è assistito ad una diminuzione della disoccupazione tra i giovani fuoriusciti dai percorsi formativi con i titoli di studio più elevati, come il diploma e la laurea. Contemporaneamente è rimasto invariato, se non addirittura aumentato il tasso di disoccupazione per i giovani in possesso di un
diploma di scuola media superiore. Si è così creato un divario tra i primi due titoli di studio e quello di grado inferiore, nella capacità di trovare un impiego, ma solo nel lungo periodo. Infatti come evidenziato da Reyneri (2011) “...il possesso di un'istruzione superiore non favorisce affatto i giovani nella ricerca della loro prima occupazione, anzi a volte li svantaggia” tuttavia questa difficoltà riguarda, appunto “solo la fase iniziale della ricerca, perché se si considera un periodo più lungo i giovani più istruiti si trovano in sensibile vantaggio rispetto a quelli meno istruiti”.
Riguardo alla disoccupazione giovanile deve essere poi tenuto conto del fatto che, generalmente i giovani una volta terminato il percorso formativo, impiegano in media uno o due anni prima di riuscire ad inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro.132 Confrontando i tassi di impiego dei
giovani tra i 30 ed i 35 anni, è possibile vedere come, trascorsi alcuni anni dal termine del percorso formativo, i tassi di disoccupazione tendono ad allinearsi secondo il livello di istruzione (per cui il tasso di disoccupazione tra i laureati risulta inferiore a quello dei titolari di diploma e di licenza media). Il possesso di un livello di istruzione terziaria risulta poi maggiormente evidente in seguito ai momenti di crisi economica. Dai dati più recenti133 è
possibile riscontrare come la crisi economica abbia colpito i giovani in misura maggiore rispetto agli adulti, ma sono stati in particolare i giovani meno istruiti ad essere i maggiormente colpiti, al contrario, i tassi di disoccupazione tra coloro che avevano un'istruzione più elevata sono aumentati molto meno (Reyneri Pintaldi 2013).
Nel 2017, secondo i dati ISTAT il tasso di disoccupazione nei giovani tra i 15 ed i 29 anni è stata del 26,7% all'interno del territorio italiano.134 Si tratta di valori che sono in calo a partire
dal 2016, dopo alcuni anni in cui la percentuale si assestava intorno al 30% (con il tetto massimo del 31,6% toccato nel 2014). Se confrontiamo i tassi di disoccupazione per titolo di studio, si può notare invece come il livello del titolo di studio assicuri ormai in modo inversamente proporzionale una minor permanenza nello stato di disoccupazione. La percentuale di disoccupati tra i 15 ed i 29 anni è del 20,2% tra i laureati, del 24,9% tra i diplomati e del 36,1% tra i possessori di licenza media e del 37% tra coloro che hanno conseguito soltanto la licenza elementare.135
132 Si pensi ai giovani che, prima di decidere di abbandonare la scuola secondaria superiore passano talvolta da una scuola all'altra o si cancellano da esse per poi re-iscriversi l'anno successivo. Oppure I giovani che una volta conseguito il diploma decidono di prendersi del tempo per capire se mettersi alla ricerca di un impiego o proseguire gli studi, ed infine ai laureati che conseguito il titolo decidono di proseguire il proprio percorso formativo attraverso master o tirocini.
133 Rilevati tra il 2008 ed il 2012. (Reyneri Pintaldi 2013)
134 Come già evidenziato per la disoccupazione femminile, i dati variano poi significativamente tra le aree del paese: al nord il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-29 è del 16,9%, al centro del 24,3% mentre al sud il valore sale fino al 42,1%. Al centro-nord inoltre lo scarto tra i valori percentuali della disoccupazione femminile e maschile oscilla tra I 2-4 punti, mantre al sud passiamo da una disoccupazione maschile del 39,7% a quella femminile del 45,6%. Dati ISTAT: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXOCCU1
Nonostante questi dati c'è però ancora una percezione diffusa che vi siano squilibri nella corrispondenza tra titolo di studio ed occupazione professionale, considerati come una dequalificazione ed un declassamento sociale. Tuttavia la percezione dell'adeguatezza delle posizioni lavorative al livello di istruzione è il prodotto di una convenzione sociale che rispecchia le aspettative presenti nella società di quel momento. Queste aspettative possono però essere prodotte da una visione che non ha ancora avuto il tempo di adattarsi ad un mercato del lavoro cambiato più in fretta di quanto abbiano fatto le aspettative sociali (Reyneri 2011). Inoltre il tasso di laureati italiani è da sempre inferiore a quello della maggior parte dei paesi europei, e nonostante l'aumento dell'accesso dei giovani all'istruzione superiore, si continua a registrare una disugualità nelle opportunità educative. Chi proviene da famiglie agiate, sembra infatti avere tuttora maggiori opportunità nel conseguire titoli di studio più elevati. Inoltre le migliori condizioni economiche della famiglia sembrano non abbreviare i tempi di inserimento nel mondo del lavoro, al contrario possono allungarli, poiché i giovani possono permettersi, grazie al sostegno familiare, di attendere per poter scegliere le migliori opportunità lavorative. Un ulteriore elemento fondamentale da analizzare in relazione ai giovani ed il lavoro sono i contratti lavorativi che li riguardano. La crescente flessibilizzazione del mercato che si è avuta negli ultimi decenni ha prodotto una “..de-regolazione parziale e selettiva che ha penalizzato soprattutto i giovani, esercitando un effetto di segmentazione per corti di età..” (Gualmini, Rizza 2013). I giovani risultano infatti essere tra i più “colpiti” da tipologie di contratto quali quelle a termine o a tempo parziale che però posso portare con se una forte insicurezza lavorativa. Questo può comportare lunghi periodi caratterizzati dall'alternanza tra carriere discontinue caratterizzate da contratti a termine e periodi più o meno brevi di disoccupazione. Vari studiosi hanno iniziato quindi a chiedersi se il lavoro a termine riesca a facilitare l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro o possa trasformarsi piuttosto in una rete che trattiene i giovani nella precarietà. Riguardo a questo quesito, vari studi hanno evidenziato come la probabilità di trovare un primo lavoro stabile è diminuita sensibilmente negli anni più recenti e lo è anche per coloro che hanno già avuto una precedente esperienza con un lavoro instabile. In particolare, una prima esperienza “dequalificata” rispetto ai propri livelli di istruzione aumenterebbe le possibilità per i giovani di restare bloccati in occupazioni instabili, rendendo più difficile il passaggio ad impieghi più stabili. (Scherer 2004 in Gualmini, Rizza 2013) I lavori temporanei, qualora siano potenzialmente qualificanti, difficilmente durano il tempo sufficiente per i giovani di acquisire le conoscenze necessarie per riuscire successivamente a trovare un nuovo lavoro maggiormente qualificato. Poiché ci possa essere questo tipo di passaggio tra lavori con una titolo di studio e territorio: per tutti I livelli d'istrizione lo scarto tra la percentuale di disoccupazione (tra I giovani) resta più o meno invariata tra le are del paese (circa +15 punti percentuali tra il valore d e l c e n t r o - n o r d e d i l s u d ) . D a t i I S T A T :http://dati.istat.it/Index.aspx? DataSetCode=DCCV_TAXOCCU1
qualifica crescente, è necessario che i contratti temporanei abbiano una durata sufficientemente a sviluppare le conoscenze lavorative specifiche che permettano di migliorare la propria qualifica per le candidature a lavori successivi (Pastore 2012).
Per prevenire questo tipo di difficoltà legate alla transizione scuola-lavoro sono necessarie una serie di componenti di policy che variano molto da stato a stato. Innanzitutto svolge un ruolo molto importante il collegamento tra sistema di istruzione e mondo del lavoro. Le politiche attive per l'impiego svolgono anch'esse un ruolo molto importante per l'inserimento dei giovani e per aiutarli nella ricerca di un impiego che sia adatto alle loro propensioni e capacità.
Per quanto riguarda le problematiche legate al sistema dell'apprendimento, l'abbandono scolastico è un fenomeno crescente in molti paesi europei e, vista anche la difficoltà per i giovani sprovvisti di un titolo di studio di trovare un'occupazione, può portarli alla rinuncia della ricerca e quindi all'inattività. Il Fenomeno dei NEET è un fenomeno crescente: in Italia i giovani NEET (15-34 anni), nel 2017, sono stati il 25,4%, dato leggermente in calo dal 2015, ma si tratta comunque di un dato allarmante. All'interno dell'UE, il tasso di NEET Italiani è secondo soltanto a quello della Turchia.136 Nel nostro paese, il fenomeno si caratterizza per
essere composto soprattutto da giovani che hanno rinunciato a cercare un lavoro (60%), la maggior parte di loro ha bassi livelli di istruzione e con un alto tasso di abbandono scolastico. I giovani appartenenti a questa categoria sono soprattutto ragazze (il 29,4%) mentre i ragazzi sono una percentuale leggermente inferiore (il 21,7%). In Italia numerosi studi dimostrano come “l’essere Neet affondi le sue radici non solo nella fragilità del percorso formativo ma interagisca con la presenza di modelli familiari inadeguati che agiscono sui percorsi di vita dei giovani, generando dinamiche disfunzionali e potenzialmente distruttive.” (Quarta Ruggeri 2017). In Italia, a differenza di molti paesi europei, non esiste appunto una stretta collaborazione tra le scuole e le imprese. Negli ultimi anni si è cercato di intervenire prevedendo particolari percorsi per questi giovani (come Garanzia Giovani137) e l'alternanza scuola lavoro (già prevista dal
d.l.vo 77 del 2005, diventa negli ultimi anni parte integrante e obbligatoria del curricolo scolastico). Tuttavia questi tipi di intervento si sono dimostrati poco efficaci a causa di diverse lacune: programmi comunicativi poco adatti ed attrattivi per i giovani, l'utilizzo di percorsi più o meno “standard” all'interno dei centri per l'impiego (visti con sfiducia da parte dei giovani) e soluzioni proposte poco calibrate sui reali bisogni dei giovani e soprattutto senza nessun
136 I n d a g i n e E U R O S T A T :https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php? title=Employment_statistics/it#Tassi_di_occupazione_secondo_il_sesso.2C_l.27et.C3.A0_e_il_livello _di_istruzione
137 Dal 2013 sono previste “agevolazioni per l’assunzione di giovani (di età compresa tra i 18 e i 29 anni) con contratto di lavoro a tempo indeterminato, si semplifica la procedura per l’apprendistato e si prevedono incentivi per l’avvio di tirocini e la messa in atto di misure per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, soprattutto nel Mezzogiorno.” (Quarta Ruggeri 2017)
intervento sui fattori che hanno portato i ragazzi nella situazione di NEET (Quarta Ruggeri 2017).
4.3 COMMENTO COMPARATIVO
È stato fin qui analizzato il mercato del lavoro sotto molti aspetti: nel secondo capitolo è stata data un'ampia visione storica dell'industrializzazione vissuta dai due paesi e sono state analizzate le modifiche che ha portato con sé, in questo capitolo sono poi stati analizzati gli sviluppi e le politiche più recenti riguardanti l'occupazione. Entrambi i paesi hanno subito un arresto nel mercato economico in seguito alla crisi economica del 2008, e nel caso della Norvegia anche (ed in parte maggiore) a causa della crisi petrolifera del 2014. Mentre l'Italia è intervenuta, per moltissimi anni, nel mercato del lavoro con politiche discontinue, la Norvegia ha da sempre perseguito l'obbiettivo della piena occupazione. I due percorsi, notevolmente diversi, hanno tuttavia prodotto effetti non previsti simili tra loro (nella visione d'insieme) e del resto comuni alla maggior parte dei paesi europei. La categoria del lavoratore tra gli uomini già inseriti nel mondo del lavoro risulta essere la più protetta, mentre le donne (per scelta o per mancanza di opportunità) investono un tempo minore nel mercato del lavoro, infine i giovani presentano difficoltà all'accesso ed a trovare il loro posto all'interno del sistema lavorativo. Partendo appunto dalla figura generalmente identificata come male-breadwinner: in Italia le protezioni per molti anni sono state costruiti intorno alla figura dell'uomo lavoratore che con il proprio lavoro manteneva la propria famiglia, mentre gli investimenti fatti per l'incentivazione del lavoro femminile sono stati troppo pochi. Come già detto questo modello ha però mostrato le proprie lacune una volta interrotto il periodo di crescita economica (ma nonostante questo, poco è stato fatto, se non negli ultimi anni, per estendere le protezioni sociali alle categorie più fragili). Nonostante lo scarso intervento regolatore dello stato, vi è stato comunque un incremento dell'occupazione femminile, soprattutto al nord, in seguito all'espansione del terzo settore, e come si è visto questo ha prodotto una differenza notevole tra il tasso disoccupazione femminile nelle due zone del paese. La diversa portata del fenomeno ha poi prodotto un diverso sviluppo dei servizi per l'infanzia ed anche sulla natalità stessa, estremamente diversa tra le aree. In Norvegia, si è cercato invece, a partire dagli anni '70/'80 di far incrementare l'occu pazione femminile. Proprio per la tempistica, o per altri fattori che non abbiamo qui approfondito, l'occupazione femminile si è “appoggiata” ai contratti a tempo parziale. Questo a quindi mantenuto un divario sostanzioso in numero di ore settimanali lavorate dagli uomini piuttosto che dalle donne, ma ha anche portato a livelli occupazionali molto vicini per i due generi. Come si può però vedere dal grafico sottostante, i livelli di occupazione per sesso nei due paesi sono ormai estremamente vicini.
Per quanto riguarda il lavoro part-time, vi è una sostanziale differenza (soprattutto tra i dati storici) tra i due paesi. In Italia vi è stata infatti una crescita del lavoro femminile molto più recente, ed il part-time che in altri paesi ha costituito un significativo incentivo per l'entrata nel mondo del lavoro delle donne, ha qui un peso molto più limitato. Nel paese scandinavo invece la quota di lavoro femminile è vicina a quello maschile ma la larga maggioranza di contratti part-time riguardano lavoratrici donne. Come già detto, il ritardo nell'entrata delle donne italiane nel mercato lavorativo è stato anche influenzato dalla mancanza di servizi per l'infanzia e defamilizzazione, i quali non sono invece mancati in Norvegia.
Per quanto riguarda infine l'ultima categoria citata, e cioè i giovani che devono inserirsi per la prima volta nel mercato del lavoro, si tratta di un fenomeno che forse più degli altri è influenzato ed agisce in modo molto diverso sulla base di numerosi fattori. Tra questi il livello
I
llustrazione 1: Tasso di occupazione della popolazione in età 20-64 anni, per sesso, 1993-2016 (%)
Fonte : Eurostat: https://ec.europa.eu/eurostat/st at ist ics-explained/index.php?
title=Employment_statistics/it#Lavoro_a_tempo_parziale
llustrazione 2: Lavoro a tempo parziale come percentuale del totale degli occupati in età 20-64
anni, per sesso, 1993-2016 (%) Fonte: Eurostat: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-
explained/index.php?title=Employment_statistics/it#Lavoro_a_tempo_parziale
d'istruzione è un elemento molto importante: in entrambi i paesi avere un titolo di studio d'istruzione secondaria o terziaria riduce sensibilmente il rischio di disoccupazione. I due mercati presentano però una sostanziale differenza, mentre quello Norvegese ha una parte molto estesa di impieghi ad alta professionalità, in Italia i lavoro ad alta qualifica occupano una porzione minore del mercato. Questo assetto va a scontrarsi con le aspettative nei giovani dotati di alta qualifica che non sempre trovano un impiego che ritengono adatto alle loro capacità (o le retribuzioni per quell'impiego non vengono ritenute sufficienti). Come già detto precedentemente, la percezione dell'inadeguatezza del proprio impiego può portare un senso frustrazione e a non svolgere nel modo che si vorrebbe il proprio lavoro. In Italia inoltre i giovani devono spesso scontrarsi con lavori precari ed a termine che non sempre permettono loro di incrementare le proprie competenze ed aspirare così a lavori migliori nel futuro e perseguire propri progetti di vita. Questa difficoltà nell'inserirsi nel mondo del lavoro può addirittura sfociare nella decisione di abbandonare la ricerca di un impiego. La categoria dei giovani inoltre è quella che gode delle protezioni minori in caso di fuoriuscita dal mercato del lavoro a causa del poco tempo che vi ha trascorso. All'interno di questo gruppo vi sono poi i giovani definiti NEET. Si tratta appunto di giovani che presentano problematiche estremamente diversificate, e a causa dei quali non si trovano né all'interno di percorsi lavorativi, né di istruzione o di formazione. Si tratta di un fenomeno estremamente variegato e quindi difficile da studiare e da intercettare. In Italia, dove il numero di NEET è tra i più alti in europa, sono stati fatti dei tentativi di intervento i quali, per vari motivi, hanno prodotto scarsi risultati. Si è trattato in ogni caso di interventi che hanno tentati di intervenire sui giovani una volta che si trovavano già in una situazione di “stallo”, niente è stato invece fatto per tentare di adeguare il sistema e la struttura scolastica al fine di prevenire la fuoriuscita di questi giovani dal sistema istruttivo. Sebbene in Norvegia questo sia un fenomeno con un impatto relativamente limitato in termini numerici (visto che la percentuale di NEET è tra le più basse tra i paesi europei), è stato notato come la percentuale di questi giovani sia sensibilmente più elevata nelle contee nel sud del paese.
A differenza dei quelli italiani, questi giovani difficilmente hanno abbandonato la scuola (la quale offre un notevole supporto agli studenti), ma più probabilmente una volta conseguito titolo di istruzione secondaria, per vari motivi restano per un tempo più o meno lungo in questa condizione.
Per quanto riguarda i giovani un ruolo probabilmente cruciale è dato dalla vicinanza dei legami familiari. In Italia, la cultura ed il sistema di istruzione terziaria stesso138, portano le famiglie a
138 “In presenza di genitori non conviventi con lo studente che ne fa richiesta, il richiedente medesimo fa parte del nucleo familiare dei genitori, a meno che non ricorrano entrambi i seguenti requisiti: a) residenza fuori dall'unità abitativa della famiglia di origine, da almeno due anni rispetto alla data di presentazione della domanda di iscrizione per la prima volta a ciascun corso di studi, in alloggio non di proprietà di un suo membro; b) presenza di una adeguata capacità di reddito, definita con il decreto
supportare economicamente i figli per un lasso di tempo molto maggiore rispetto agli altri paesi