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La condanna: misure di carattere generale e misure di carattere individuale

Capitolo terzo : La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di espulsion

3.2 Il caso Hirsi e altri c Italia

3.2.6 La condanna: misure di carattere generale e misure di carattere individuale

La Corte ha pertanto condannato l’Italia per la violazione dei precitati articoli.

L’articolo 46 della CEDU sancisce l’obbligo, per i Paesi contraenti la Convenzione, di rispettare e conformarsi alle decisioni della Corte di Strasburgo in controversie di cui essi sono parte in causa. L’organo deputato a verificare che gli Stati si conformino a tali decisione è il Comitato dei Ministri.

Dalla condanna della Corte emergono misure di carattere generale e misure di carattere individuale.

In riferimento alle prime, ci siamo già soffermati citando il paragrafo 211 della sentenza, nel quale la Corte ha affermato che il governo

357Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, 206.

358Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 205 in cui la Corte conclude affermando che “Tenuto

conto delle circostanze del presente caso di specie, la Corte ritiene che i ricorrenti siano stati privati di ogni via di ricorso che avrebbe consentito loro di sottoporre ad una autorità competente le doglianze basate sugli articoli 3 della Convenzione e 4 del Protocollo no 4 e di ottenere un controllo attento e rigoroso delle loro richieste prima di dare esecuzione alla misura di allontanamento”.

italiano dovrà “intraprendere tutte le attività possibili per ottenere dalle autorità libiche l'assicurazione che i ricorrenti non saranno né sottoposti a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione né rimpatriati arbitrariamente”. Potremmo definire tale dovere come un’obbligazione di risultato, in quanto la Corte ha lasciato libero lo Stato di adempiere nelle modalità che ritiene più adeguate, nel rispetto ovviamente delle conclusioni contenute nella sentenza di condanna.

È necessario ricordare, tuttavia, che in talune circostanze359 la Corte ha preferito indicare espressamente le misure che devono essere adottate dallo Stato.

Per quanto concerne le misure individuali, invece, la Corte ha condannato l’Italia a riconoscere a ciascun ricorrente la somma di 15.000 euro a titolo di risarcimento per i danni non pecuniari, in virtù dell’art. 41 CEDU, secondo il quale “se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.

La somma doveva essere gestita dai legali dei ricorrenti tramite un trust in favore di questi ultimi.

In proposito è da rilevare che il Ministero dell’economia e delle finanze, poco prima della scadenza del termine per l’esecuzione della sentenza 360, ha richiesto ai legali dei ricorrenti di fornire una serie di documenti e dati, senza i quali non sarebbe possibile procedere al pagamento dell’indennizzo indicato dalla Corte europea.

La documentazione richiesta consisterebbe in un certificato dell’esistenza in vita anche se non è chiaro quale sia l’autorità competente a rilasciare tale attestato; il codice fiscale, che non può

359Cfr. Öcalan c. Turchia,ricorso n. 46221/99, 13 ottobre 2014, par.210;Popov c. Russia,

ricorso n. 26853/04, decisione del 11 dicembre 2006,par.263.

essere nella disponibilità di chi non è mai entrato in Italia, e le procure rilasciate in originale.

Al di là delle difficoltà suddette, che ostacolano il soddisfacimento dei ricorrenti, la Corte avrebbe dovuto, secondo molti361, seguire la prassi che aveva già indicato nella precedente sentenza Muminov c. Russia362.

Il caso ha ad oggetto l’estradizione da parte della Russia di un cittadino uzbeko, nel proprio paese di origine, ed ha provocato la condanna dello Stato convenuto, per la violazione degli articoli 3 e 13 della CEDU, affermando che l’assenza di informazioni sulla sorte del ricorrente è motivo di preoccupazione per la Corte.

La Corte ha invitato conseguentemente il Governo russo ad assicurare l’esecuzione della sentenza, facilitando i contatti tra il ricorrente da un lato, ed il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, i legali o qualsiasi altra persona autorizzata a rappresentare la parte lesa, dall’altro.

Nel caso Hirsi, una soluzione del genere sarebbe stata forse più appropriata363, poiché è vero che fortunatamente alcuni dei ricorrenti hanno trovato protezione internazionale in Paesi europei come Svezia, Malta, Svizzera, ed altri in Paesi extra-europei recandosi in Benin, Israele, Tunisia e USA. È vero anche però che purtroppo di molti si sono perse totalmente le tracce ed è doveroso ricordare che due dei ricorrenti sono morti in circostanze sconosciute all’interno delle carceri libiche.

361Cfr. N. Napoletano, La condanna dei “respingimenti” operati dall’Italia verso la Libia,

cit, pag. 446.

362

Cfr. Muminov c. Russia, ricorso n. no. 42502/06, decisione del 4 maggio 2009.

363

Cfr. B. Nascimbene, Condanna senza appello per i 'respingimenti', cit, che sull’inadeguatezza del risarcimento pecuniario ha affermato che “le misure individuali, insomma (…) non sono sufficienti, poiché lo Stato deve adottare (in conformità all’art. 46 Cedu) misure di carattere generale, quindi anche di carattere legislativo”.

In aggiunta a quanto affermato, sembra interessante riportare l’opinione di chi 364 avrebbe auspicato, a seguito della condanna della Corte EDU, anche l’apertura di un procedimento da parte della magistratura penale italiana contro chi ha ordinato le operazioni eseguite il 7 maggio 2009.

Da un lato, i militari che hanno eseguito gli ordini avrebbero integrato il reato di violenza privata ex articolo 610 c.p.365, in quanto hanno costretto i migranti con la forza a fare qualcosa contro la loro volontà.

Dall’altro è da sottolineare che essi hanno compiuto atti illeciti, contrari all’ordinamento italiano ed internazionale, ma nessun procedimento penale è stato intrapreso nei confronti di chi ha progettato ed ordinato l’attuazione di tali operazioni, sostanzialmente imponendo di “commettere reati”.

Sono due gli argomenti che depongono a favore della necessarietà dell’azione penale.

In primo luogo, per quanto attiene al diritto interno, la magistratura avrebbe l’onere di intraprendere l’azione penale ex art. 112 della Costituzione, in virtù anche dell’autorevolezza della fonte da cui proviene la notizia di reato, nel caso di specie la Corte di Strasburgo.

Non è raro che le decisioni della Corte rilevino reati posti in essere da pubblici ufficiali dello Stato i cui comportamenti integrerebbero gli estremi di fattispecie di reato nel diritto interno.

Tuttavia, è necessario chiarire che la condanna della Corte non può essere sostitutiva di un giudizio di responsabilità penale, dato che il

364

Cfr. L. Masera, Il caso “Lampedusa”: una violazione sistemica del diritto alla libertà

personale, cit, pag. 98 ss.

365Art. 610 c.p. “ chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od

processo davanti alla Corte di Strasburgo non segue le garanzie e le modalità previste dal processo penale del nostro ordinamento interno.

Quello che senz’altro la decisione della Corte europea può fare è fornire alla magistratura interna “la segnalazione, particolarmente significativa, considerata l’autorevolezza dell’istituzione da cui proviene, che un individuo è stato sottoposto da parte delle pubbliche autorità a condotte lesive dei suoi diritti fondamentali, mediante condotte che risultano inquadrabili in una fattispecie di reato366”. Il contenuto della sentenza della Corte europea è pertanto una “ notitia criminis qualificata”367.

In secondo luogo, per quanto concerne il diritto europeo, nel caso in cui il procedimento sia stato archiviato prima della condanna proveniente dalla Corte EDU, quest’ultima sentenza potrebbe integrare un obbligo di investigazione ulteriore in capo alle autorità italiane, perché costituirebbe un elemento nuovo nel panorama investigativo di cui le autorità dovranno tenere conto368.

Se il procedimento penale fosse invece in corso al momento dell’emanazione della sentenza della Corte europea, quest’ultima dovrebbe rappresentare una fonte d’informazione di cui le parti del processo penale dovrebbero tener conto.

In merito al caso Hirsi, la condanna dei respingimenti posti in essere dalle autorità italiane dovrebbe impedire, in un eventuale procedimento

366Cfr. L. Masera, Il caso “Lampedusa”, cit. pag. 99; in senso analogo cfr. A. Dembour,

Interception at sea, cit. in l’Autrice sostiene che la decisione della Corte per quanto riguarda

il risarcimento è quantomeno incomprensibile ed evidenzia che la Corte è in definitiva poco pronta a concedere una tutela forte dei migranti; sull’inadeguatezza delle sanzioni di indebiti comportamenti e l’insufficienza di garanzie a tutela dei migranti cfr. M. Benvenuti, Un

diritto in alto mare. Riflessioni critiche di diritto costituzionale sui recenti respingimenti in mare di potenziali richiedenti asilo verso la Libia da parte dell’Italia, cit.

367

Cfr. L. Masera, Il caso “Lampedusa”, cit. pag. 99.

368L’art. 414, comma 1, c.p.p. afferma “Dopo il provvedimento di archiviazione emesso a

norma degli articoli precedenti, il giudice autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dall’esigenza di nuove investigazioni”.

penale dinnanzi al giudice competente nell’ordinamento interno, di giungere ad una conclusione diversa.

Difatti il giudice interno potrà esaminare autonomamente i fatti oggetto della controversia e valutarli diversamente dalla Corte EDU, in conformità ovviamente al patrimonio probatorio raccolto. Sarebbe tuttavia difficile da accettare una sentenza di proscioglimento o archiviazione fondata sulla liceità della condotta delle autorità italiane, difatti il giudice italiano non potrà, ad avviso di parte della dottrina369, ritenere i comportamenti degli ufficiali italiani leciti alla luce del diritto interno e internazionale, quando la Corte di Strasburgo si sia già espressa sulla questione dichiarando quei comportamenti illeciti, in virtù del principio per cui gli organi dello Stato sono tenuti a dare piena esecuzione alle pronunce della Corte europea.

Viene prospettata dunque l’esistenza di un “dovere di inchiesta effettiva” in capo ai giudici nazionali, ogni qual volta la Corte europea rinvenga una violazione della Convenzione integrante un reato. In relazione ad esempio agli articoli 2 e 3 della CEDU, lo Stato dovrà, ogni volta che rileva una lesione del diritto alla vita o l’esecuzione di trattamenti inumani e degradanti, attivarsi tempestivamente e disporre attività di inchiesta. Se la Corte europea dovesse accertare l’assenza di una procedura adeguata, potrebbe condannare lo Stato per la violazione della procedura richiesta dalla Convenzione.

3.2.7 Conclusioni

In conclusione è possibile rilevare che la sentenza Hirsi riveste particolare importanza sotto molteplici punti di vista.

In primo luogo, ha sancito definitivamente l’illiceità della prassi dei respingimenti collettivi, posti in essere senza un esame ragionevole ed obiettivo degli individui.

È da sottolineare che, anche se la sentenza concerne la politica delle espulsioni collettive attuata dall’Italia, la decisione della Grande Camera ha una portata anche extraterritoriale poiché è considerata, da molti, un monito rivolto a tutti gli Stati europei affinché si astengano dal proporre politiche che contemplino l’allontanamento collettivo di migranti, al fine di limitare gli ingressi irregolari all’interno dei loro confini370.

Essa ha avuto una portata ben superiore alla definizione del caso di specie: la decisione Hirsi è, o meglio avrebbe dovuto essere, un

370Cfr. M. Dembour, Interception-at-sea, cit. in cui l’autrice afferma che “Hirsi has enormous

implications for EU policy, including its Frontex operations. This is the more so since Hirsi was adopted by the Grand Chamber and unanimously; cfr. N.Hervieu, Interception et refoulement des migrants en haute mer, cit.in cui l’autore sostiene con inequivobabile certezza che “Nul besoin d’être doté d’un quelconque talent divinatoire pour affirmer que l’arrêt Hirsi Jamaa et autres c. Italie aura un grand impact sur les politiques menées tant au niveau national qu’au niveau européen - voire au-delà dans l’espace international - en ce qui concerne la gestion des flux migratoires notamment en Méditerranée”. L’autrice ha tuttavia

precisato che l’intento della Corte non è certamente quello di aprire le porte del continente europeo dato che compete agli Stati decidere quali politiche attuare per limitare gli ingressi irregolare” il est évident que la Grande Chambre de la Cour européenne des droits de

l’homme n’a aucunement eu pour ambition, via cet arrêt Hirsi Jamaa et autres c. Italie,“d’ouvrir les portes de l’Europe“. Les juges strasbourgeois ont même tenu à rappeler qu’un tel arrêt « ne remet[...] pas en cause le droit dont disposent les États d’établir souverainement leurs politiques d’immigration » (§ 179); cfr. F. Vassallo Paleologo, Prima e dopo la sentenza Hirsi, cit. in cui sostiene che “la decisione sul caso Hirsi ed altri ha una

valenza molto ampia che non si limita al respingimento collettivo effettuato dalle autorità italiane il 6/7 maggio del 2009, né può ritenersi una sentenza storicamente datata, come se la situazione esistente al tempo della dittatura di Gheddafi, nei confronti dei migranti in transito in Libia, fosse oggi migliorata. E il divieto di espulsioni collettive vale in ogni caso, quale che sia il paese nel quale si viene respinti, a garanzia di tutti i migranti e non solo dei potenziali richiedenti asilo”.

importante punto di riferimento per le politiche migratorie di tutti i Paesi europei.

All’indomani della pubblicazione della sentenza, per quanto concerne l’Italia, l’allora Presidente del Consiglio Monti ha dichiarato che le future scelte del Governo sarebbero state prese “alla luce della sentenza”371 e il Ministro dell’Interno Cancellieri ha assicurato con riguardo agli accordi con la Libia che ogni futura trattativa sarebbe stata “improntata al rispetto dei diritti umani”372.

Difatti è da ammettere che, dopo la sentenza in esame, difficilmente un tribunale nazionale o un altro organo internazionale si discosterà da quanto sancito nel caso Hirsi con riferimento ai respingimenti in alto mare. Avendo riguardo al nostro Paese, non è forse superfluo ricordare che i giudici italiani sono tenuti ad applicare la Convenzione secondo l’interpretazione che le viene attribuita dalla Corte EDU e quindi, con riferimento al caso Hirsi, dovranno ritenere sussistente la giurisdizione dell’Italia che dovrà quindi rispettare gli obblighi derivanti dalla CEDU.

Per quanto concerne invece l’Unione europea, l’atteggiamento nei confronti della questione dei respingimenti è stato “ambiguo”373.

371Cfr. V. Polchi, Immigrati respinti, la Corte Ue condanna l' Italia, reperibile al link

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/02/24/immigrati-respinti-la- corte-ue-condanna.html.

372Cfr. V. Polchi, Immigrati respinti, la Corte Ue condanna l' Italia, cit.

373 Cfr. A .Liguori, La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per i

respingimenti verso la Libia, cit. pag. 442; cfr. altresì Pushed back, pushed around cit.

secondo in cui è criticato l’atteggiamento della Commissione europea consistente nel portare all’esterno le procedure europee per i rifugiati e sostituire standard minimi e procedure d’asilo legalmente applicabili su suolo europeo con altre modalità di gestione delle domande d’asilo. La proposta di Barrot di cooperare con l’UNHCR per stabilire lo status dei respinti e attribuire eventualmente ad essi una sistemazione in Libia implicava l’accettazione dell’intercettamento dell’Italia e di un regime di rinvio sommario. La proposta di Barrot sottende dunque il superamento della politica d’asilo dell’UE ed il raggiungimento in Libia di

Nella decisione oggetto del nostro esame, viene riportata una lettera del 15 luglio 2011 dell’allora vicepresidente della Commissione europea Barrot, indirizzata al presidente della Commissione LIBE del Parlamento europeo, il quale aveva chiesto un parere alla Commissione sulla conformità dei respingimenti con il diritto dell’Unione europea.

Nella lettera, Barrot aveva ribadito che gli obblighi comunitari devono essere rispettati ma al contempo non aveva intrapreso alcuna procedura di infrazione contro l’Italia, limitandosi a chiedere al nostro Paese, maggiori informazioni sulla vicenda374.

Al contrario, la Commissione ha continuato a negoziare i trattati con la Libia, incurante delle gravi violazioni dei diritti umani di cui è risultata colpevole salvo poi sospendere i negoziati in seguito agli avvenimenti del 2011.

Il Parlamento europeo, invece, in una raccomandazione approvata il 20 gennaio 2011, si era mostrato contrario a tali negoziati ed aveva annunciato che non avrebbe dato il suo consenso alla stipula del trattato se la Libia non avesse accettato la presenza sul proprio territorio dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu, e si fosse impegnata a garantire protezione a migranti e rifugiati.

Quanto affermato assume ancor più rilevanza, se pensiamo che la Corte ha deciso in sporadici casi di ritenere integrata la violazione dell’articolo 4 del Protocollo 4 della CEDU, ed è la prima volta che viene condannata la prassi del respingimento collettivo effettuato in acque internazionali, non certo perché i casi di espulsioni collettive non si siano mai verificati. È da ritenere pertanto che la Corte abbia mutato indirizzo in merito alla fattispecie in esame e che agli Stati non sarà più

374

Cfr. Frenzen, Very Few Migrants Reaching Italy Apply for Asylum, in www.migrantsatsea.wordpress.com notizia del 14 luglio 2010. La Direzione generale interni della Commissione europea ha motivato il proprio comportamento adducendo di attendere che la giustizia italiana e la Corte di Strasburgo di esprimessero sul tema.

consentito appigliarsi ai “trucchetti”375 del passato per eludere la Convenzione.

Il caso Hirsi, ha in secondo luogo, consentito alla Corte di esplicitare la portata anche extraterritoriale del principio di non respingimento376. Ha ribadito che il diritto degli Stati di proporre politiche finalizzate alla protezione dei confini e a ridurre gli ingressi irregolari non deve in alcun modo intaccare il rispetto del divieto di non-refoulement che vieta di allontanare soggetti in luoghi in cui l’esercizio dei loro diritti sarebbe a rischio, o in paesi che potrebbero respingere i soggetti in luoghi dove rischierebbero di subire trattamenti inumani e degradanti.

Considerando che gli Stati europei hanno frequentemente ordinato di eseguire espulsioni collettive in alto mare, sul presupposto che la tutela dei diritti umani “si affievolisca”377 al di fuori dei confini territoriali, la sentenza riveste particolare importanza anche su questo aspetto, poiché sancisce definitivamente la portata extraterritoriale dell’ obbligo di non- refoulement. La sentenza Hirsi ha “sigillato le falle”378 che in passato hanno limitato la portata del principio di non respingimento.

Infine, ha ricordato che, anche nei casi di respingimento, è garantito il diritto ad un ricorso effettivo e ciò implica l’esperimento di un esame rigoroso e la sospensione dell’esecuzione della misura se necessario.

La Corte, inoltre, affermando che i citati diritti sono garantiti anche in alto mare e che pertanto gli Stati non possono sottrarsi alle proprie

375

Cfr. N. Hervieu, Interception et refoulement des migrants en haute mer, cit.

376 Cfr. F. Messineo, Yet another mala figura, cit, in cui l’Autore cita tra gli aspetti più

importanti ed innovativi della sentenza il fatto che la Corte abbia chiarito che il principio di

non-refoulement, derivante dall’articolo 3 della CEDU, trovi applicazione anche in acque

internazionali. Da tale presa di posizione deriverebbero notevoli conseguenze non solo sulla portata del concetto di giurisdizione ex articolo 1 CEDU, ma contribuirebbe anche a sancire definitivamente l’applicabilità in alto mare del divieto di respingimento che proviene dalla Convenzione di Ginevra.

377Cfr. A. Terrasi, I respingimenti in mare, cit, pag. 606.

responsabilità adducendo l’extraterritorialità del contesto in cui si sono svolti i fatti, ha precisato anche il concetto di giurisdizione.

Nella sentenza Hirsi è stato difatti chiarito che la nozione di giurisdizione non è esclusivamente territoriale e che allo Stato sono imputabili anche azioni o omissioni che si svolgono al di fuori del proprio territorio, ma su mezzi di trasporto battenti bandiera del paese o da diplomatici e consoli che esercitano all’estero la loro funzione.

È tuttavia da sottolineare che la giurisprudenza della Corte in materia di giurisdizione rimane ondivaga, oscillando tra il modello spaziale ed il modello personale. Parte della dottrina379, pur apprezzando le novità introdotte dalla sentenza, avrebbe auspicato un’affermazione della nozione di giurisdizione come capacità degli Stati di incidere sul rispetto dei diritti umani, indipendentemente dall’esercizio di autorità e controllo su una zona o una persona.

Una scelta di questo genere avrebbe consentito l’applicabilità della Convenzione anche al di fuori dei confini ed il superamento