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La giurisdizione dell’Italia e le implicazioni derivanti dall’applicazione dell’articolo 1 della CEDU

Capitolo terzo : La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di espulsion

3.2 Il caso Hirsi e altri c Italia

3.2.2 La giurisdizione dell’Italia e le implicazioni derivanti dall’applicazione dell’articolo 1 della CEDU

Procedendo nell’analisi della sentenza della Grande Camera, è necessario rilevare che il Governo italiano aveva denunciato l’insussistenza di giurisdizione dell’Italia sui migranti oggetto della misura di respingimento.

250 Cfr. A. Liguori, La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per i

respingimenti verso la Libia, cit. pag. 419; in senso conforme Cfr. il giudice Pinto de

Albuquerque nella sua opinione concordante.

251Cfr Hirsi e altri c. Italia, cit, par 211.

252N. Napoletano, La condanna dei “respingimenti” operati dall’Italia verso la Libia, cit.

Difatti, anche se era stato ammesso che i fatti controversi si erano svolti a bordo delle navi italiane, i rappresentanti legali del Governo avevano contestato che le autorità italiane avessero esercitato un controllo “assoluto ed esclusivo”253 sui ricorrenti dato che l’intercettazione doveva essere collocata nell’ambito di operazioni di salvataggio in alto mare e non poteva essere considerata un’operazione di polizia marittima254, anche se in realtà, secondo l’unica testimonianza diretta che ci è pervenuta della notte dei respingimenti, almeno una delle navi militari che avrebbero proceduto al salvataggio, la Bovienzo, era del tutto sprovvista di strumenti necessari a garantire assistenza umanitaria255.

A sostegno della propria tesi e dell’impossibilità di determinare la giurisdizione dell’Italia per il minimo contatto che c’è stato tra le autorità italiane ed i migranti, il Governo aveva addotto l’esiguità del tempo impiegato per svolgere l’operazione, che aveva richiesto 10 ore, ed il fatto che le autorità della marina militare e della guardia costiera non erano salite a bordo dell’imbarcazione dei migranti e non avevano utilizzato la forza armata256.

La Corte, nel dirimere tale punto, ha ricordato la propria giurisprudenza in materia di applicazione extraterritoriale della Convenzione, essendo l’intercettazione avvenuta in acque internazionali, giurisprudenza che ha oscillato tra la scelta di un

253Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, Paragr. 64.

254Cfr. N. Hervieu, Interception et refoulement des migrants en haute mer, cit. secondo il

quale la difesa della Corte che ha sostenuto di poter collocare i respingimenti in un’operazione di soccorso è “audace, per usare un eufemismo”.

255 Enrico Dagnino, che si trovava sulla nave Bovienzo la notte del 7 maggio 2009, ha

raccontato in un’intervista a Riccardo Iacona, che sulla nave non c’era niente per soccorrere i migranti, né coperte termiche per proteggere i naufraghi, dato che la nave procedeva a 30 nodi in piena notte, né acqua. Dagnino ha raccontato che l’unica bottiglia d’acqua minerale che avevano a disposizione è stata spartita tra 64 uomini, nonostante il comandante della nave avesse richiesto settimane prima beni di prima necessità per procedere al salvataggio dei migranti.

modello c.d. “spaziale” che prevede il controllo effettivo su una determinata zona anche al di fuori dei confini territoriali dello Stato, ed uno c.d. “personale” che consiste nel controllo e autorità su un determinato individuo.

Secondo il modello spaziale, la giurisdizione dello Stato sussiste anche al di fuori dei propri confini qualora esso eserciti un controllo effettivo e totale su una zona.

Questo avviene ad esempio nel caso di un’occupazione militare e un’applicazione di tale modello si è avuta nella decisione Loizidou c. Turchia257 del 18 dicembre 1996 in cui la Turchia è stata ritenuta responsabile per atti compiuti nella Repubblica Turca di Cipro settentrionale perché esercitava un controllo effettivo e totale su quella zona.

Un’altra applicazione di tale modello si è avuta nel caso Bankovic e altri c. Belgio e altri258 in cui nessuno Stato, partecipante all’attacco NATO alla ex Repubblica Jugoslava, è stato ritenuto responsabile per un’azione militare che ha mietuto numerose vittime a Belgrado.

Non sono stati ritenuti responsabili neppure gli Stati dai quali era partito l’aereo che sganciando la bomba, aveva cagionato molteplici morti.

In quel caso, e per la prima volta, la Corte ha indicato tra le ipotesi di controllo effettivo che viene esercitato al di fuori dello Stato quello degli agenti diplomatici o consoli che esercitano la loro attività all’estero e a bordo di aerei o navi battenti la bandiera di un determinato

257Cfr. Loizidou c. Turchia, ricorso n. 15318/89, decisione del 18 dicembre 1996.

258Cfr. Bankovic e altri c. Belgio e altri, ricorso n. 52207/99, decisione di ricevibilità del 12

Stato259, ma ha anche sottolineato l’eccezionalità del riconoscimento della giurisdizione al di fuori del territorio dello Stato260.

Per quanto concerne il modello “personale” sussisterebbe la giurisdizione in tutti i casi in cui lo Stato esercita autorità e controllo su un soggetto. Il modello personale è stato adottato dalla Corte nel caso Öcalan c. Turchia261 relativo all’arresto e alla detenzione del capo del PKK da parte di agenti turchi in Kenya e nel caso Al-Saadon e Mufdi c. Regno Unito262 riguardante la consegna di soldati iracheni detenuti in una prigione situata in Iraq ma controllata dalla Gran Bretagna.

Tale principio è stato affermato anche nel caso Issa e altri c. Turchia263, concernente un’incursione turca nel nord dell’Iraq. In questo ultimo caso la Corte, anche se non ha ritenuto sussistente la giurisdizione della Turchia perché non era stato provato che le truppe turche stessero conducendo operazioni militari nella zona in cui si trovavano le vittime, ha sottolineato un principio che è stato poi riproposto nel caso Hirsi dai terzi intervenienti secondo i quali, dopo aver affermato il criterio secondo il quale per ritenere sussistente la giurisdizione di uno Stato non è necessario che un soggetto si trovi entro i confini dello stesso, bensì che sia sottoposto all’autorità e al controllo delle sue autorità, “essi sottolineano la necessità di evitare doppi criteri nel campo della tutela dei diritti dell’uomo e di fare in modo che uno Stato non sia autorizzato a commettere, al di fuori del proprio territorio, atti che mai sarebbero accettati all’interno di questo”264.

259Bankovic e altri c. Belgio e altri, cit, par. 73.

260Bankovic e altri c. Belgio e altr, cit, par. 71 la Corte ha affermato che la prassi applicativa

dell’art.1 “ demonstrates that its recognition of the exercise of extra-territorial jurisdiction

by a Contracting State is exceptional”.

261

Cfr. Öcalan c. Turchia, ricorso n. 46221/99, decisione del 12 maggio 2005.

262Cfr. Al-Saadon e Mufdi c. Regno Unito, ricorso n. 61498/08, decisione del 2 marzo 2010. 263Cfr. Issa e a. c. Turchia, ricorso n. 31821/96, decisione del 3 marzo 2005.

Un caso che si colloca tra i due modelli appena esposti è il caso Medvedyev e altri c. Francia265, del 29 marzo 2010. La Corte ha ritenuto sussistente la giurisdizione della Francia per le azioni commesse su un’imbarcazione battente bandiera di altro Stato, in quanto aveva esercitato sulla nave e sull’equipaggio un controllo effettivo ed in modo ininterrotto e continuativo266.

Nel caso Hirsi, decidere per la sussistenza della giurisdizione dell’Italia sui migranti era abbastanza semplice per due ordini di motivi. In primo luogo, era riscontrabile una giurisdizione de jure in quanto i soggetti erano stati issati a bordo di navi battenti bandiera italiana e dunque, in conformità ai principi di diritto internazionale, da considerarsi come territorio italiano.

In secondo luogo, trattandosi di navi militari con equipaggi composti da solo personale militare, per la Corte sussisteva una giurisdizione de facto poiché la natura dell’intervento delle forze armate non avrebbe potuto in ogni caso escludere l’esercizio di un controllo effettivo sulle persone e dunque l’esistenza della giurisdizione dell’Italia267.

Ciononostante la Corte ha dedicato molto spazio alla questione, richiamando la sua giurisprudenza in materia.

Dopo aver chiarito che “l’esercizio della giurisdizione è il presupposto perché uno Stato contraente possa essere ritenuto responsabile delle azioni od omissioni ad esso addebitabili e all’origine di una denuncia di violazione dei diritti e delle libertà enunciati nella

265Cfr. Medvedyev e altri c. Francia, ricorso n. 3394/03, decisione del 29 marzo 2010. 266Cfr. Medvedyev e altri c. Francia, cit, par. 67 ”La Cour considère que, compte tenu de

l’existence d’un contrôle absolu et exclusif exercé par la France, au moins de facto, sur le Winner et son équipage dès l’interception du navire, de manière continue et ininterrompue, les requérants relevaient bien de la juridiction de la France au sens de l’article 1 de la Convention”.

Convenzione”268, ha affermato che nonostante il concetto di giurisdizione sia prevalentemente territoriale269, e si presume dunque che sia esercitata entro i confini dello Stato, in circostanze eccezionali il concetto può acquisire una portata “extraterritoriale”.

È possibile ritenere sussistente la giurisdizione extraterritoriale di uno Stato nelle attività riconducibili a diplomatici o consoli operanti al di fuori del territorio o in attività poste in essere all’interno di aeromobili o navi battenti bandiera di un determinato Stato270.

L’espulsione si è configurata, nel caso Hirsi, non tanto come il respingimento da un luogo geografico, quanto piuttosto come un allontanamento da uno spazio giuridico sul quale lo Stato esercita la propria giurisdizione271.

Nel caso di specie, la Corte avendo riguardo al diritto del mare pertinente272, ha ritenuto sussistente la giurisdizione dell’Italia dato che una nave che navighi in alto mare è soggetta alla giurisdizione esclusiva

268Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 70; Cfr. A. Terrasi, I respingimenti in mare, cit. pag. 594

in cui ammette che il concetto di giurisdizione è “essenzialmente ma non esclusivamente territoriale”.

269Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 71; Banković, decisione sopra citata, par. 61 e 67. 270Cfr.Hirsi e altri c. Italia, cit, 75.

271Cfr. in tal senso N. Napoletano, La condanna dei respingimenti operati dall’Italia verso la

Libia, cit, pag. 439; Cfr. il Comitato per i Diritti Umani, General Comment 31 “Nature of the General Legal Obligation on States Parties to the Covenant”, adottato il 29 marzo 2004,

http://www.ohchr.org/english/bodies/hrc/comments.htm., in cui ha chiarito che “gli Stati parte sono tenuti dall’articolo 2, paragrafo 1, a rispettare ed assicurare i diritti del Patto a tutti gli individui che possano essere entro il territorio e a tutti gli individui soggetti alla loro giurisdizione. Questo significa che uno Stato parte deve rispettare ed assicurare i diritti stabiliti nel Patto a chiunque si trovi sotto la giurisdizione o l’effettivo controllo dello Stato parte, anche quando non si trovi all’interno del territorio dello Stato parte”.

272

Cfr. l’ articolo 4 del codice della navigazione del 30 marzo 1942, modificato nel 2002, recita “Le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano”; l’articolo 92 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare “Convenzione di Montego Bay” del 1982 recita “Le navi battono la bandiera di un solo Stato e, salvo casi eccezionali specificamente previsti da trattati internazionali o dalla presente Convenzione, nell'alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva (...)”; articolo 94 della Convenzione di Montego Bay che sancisce il principio secondo il quale “Ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione e il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera”.

dello Stato di cui batte bandiera. Ha concluso che il caso di specie costituiva un caso di esercizio extraterritoriale della giurisdizione ed ha pertanto rigettato anche in questo caso l’eccezione proposta dal Governo.

Sulla extraterritorialità della giurisdizione, ed in relazione al principio del non-refoulement, il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, in un rapporto reso pubblico il 28 aprile 2010, ha sottolineato che “l’Italia era vincolata dal principio di non respingimento indipendentemente dal luogo di esercizio della sua giurisdizione, incluso l’esercizio della giurisdizione tramite il suo personale e le sue navi impegnati nella protezione delle frontiere o nel salvataggio in mare, persino in operazioni fuori del suo territorio.

Inoltre, tutte le persone rientranti nella giurisdizione dell’Italia avrebbero dovuto avere la possibilità di chiedere tutela internazionale e di usufruire a tal fine delle necessarie agevolazioni”273.

Ha evidenziato che l’applicabilità del principio di non respingimento, non dipende dalla circostanza che una persona si trovi entro i confini di un determinato Stato, ciò che rileva è la sussistenza della giurisdizione.

Ha dichiarato inoltre che, in conformità all’art. 1 CEDU, lo Stato che esercita la propria giurisdizione su un individuo deve riconoscere a quel soggetto “i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della Convenzione pertinenti al caso di quell’individuo”274.

In questo senso la Corte ha mutato orientamento rispetto al passato275, ammettendo che i diritti derivanti dalla Convenzione

273Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 36. 274Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par 74.

275La Corte aveva in un primo momento, e specificamente nel caso Banković par. 75, negato

che l’obbligo dell’articolo 1 della CEDU potesse essere “divided and tailored”, ma ha successivamente cambiato orientamento in Al-Skeini par. 137 ed il sopra citato Hirsi; Cfr. in senso analogo il blog Migrants at sea, Hirsi v. Italy: The Issue of Jurisdiction Under ECHR

Article 1, consultabile al link http://migrantsatsea.org/2012/02/26/hirsi-v-italy-the-issue-of-

possano essere “frazionati e adattati”, a seconda delle particolari esigenze del caso, e che la giurisdizione non deve avere necessariamente quella completezza e totalità che le viene richiesta quando è esercitata sul suolo, e che richiede il rispetto da parte dello Stato di tutti gli obblighi della Convenzione276.

La ratio dell’articolo 1 CEDU è rinvenibile nella possibilità per lo Stato di “garantire diritti e libertà in quanto gestore di un ordinamento giuridico, ciò che si verifica in una sfera spaziale solitamente coincidente con il territorio dello Stato stesso”277.

È necessario sottolineare pertanto che i migranti, a bordo delle imbarcazioni italiane e sotto la giurisdizione del nostro Paese, avrebbero dovuto godere di tutte le garanzie ed i diritti che la CEDU rivolge anche agli stranieri278.

In relazione a quanto argomentato dal Governo, che riteneva insussistente la giurisdizione dell’Italia, perché non c’era un controllo effettivo sui migranti, in quanto l’operazione era riconducibile ad operazioni di salvataggio e determinava pertanto un livello più basso di controllo sui migranti, la Corte aveva affermato che l’Italia non poteva eludere gli obblighi derivanti dalla Convenzione, qualificando gli interventi oggetto del ricorso come operazioni di salvataggio.

Aveva quindi concluso ritenendo che “sin dalla salita a bordo delle navi delle forze armate italiane e fino alla consegna alle autorità libiche, i ricorrenti si sono trovati sotto il controllo continuo ed esclusivo, tanto de jure quanto de facto, delle autorità italiane. Nessuna speculazione sulla natura e sullo scopo dell’intervento delle navi italiane in alto mare può indurre la Corte a concludere diversamente”279.

276

Cfr. A. Gianelli, Respingimenti di stranieri indesiderati verso la Libia, cit, pag. 2360.

277Cfr. A. Gianelli, Respingimenti di stranieri indesiderati verso la Libia, cit, pag. 2360. 278Cfr. per un’opinione conforme, A. Terrasi, I respingimenti in mare, cit, pag. 607. 279Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 81.

Nel paragrafo appena citato la Corte aveva duramente criticato, usando il termine “speculazione”, il tentativo del Governo di eludere gli obblighi in materia di soccorso e salvataggio in mare.

La chiara affermazione della Corte impedisce di utilizzare il rispetto degli obblighi internazionali di ricerca e soccorso per limitare l’esercizio della giurisdizione.

L’adempimento degli obblighi di salvataggio da parte di un’imbarcazione, sia essa militare o mercantile, implica automaticamente l’esistenza della giurisdizione dello Stato della bandiera.

La soluzione, senz’altro condivisibile, potrebbe tuttavia portare i Governi meno “sensibili” alla questione della tutela dei migranti, ad adottare politiche senza scrupoli che cautamente adempiono agli obblighi di salvataggio in mare o addirittura penalizzano gli autori del soccorso.

Pensiamo ad esempio al caso della nave Cap Anamur, concretizzatosi in “un tentativo di respingimento collettivo durato tre settimane”280.

La nave tedesca, appartenente all’associazione Cap Anamur, specializzata in salvataggi in mare, nel 2004, dopo aver salvato numerosi migranti a sud di Lampedusa, era stata respinta in acque internazionali e per ben 21 giorni era stata costretta a vagare in alto mare finché, dopo la mobilitazione di giornalisti, missionari e membri del CIR, finalmente aveva potuto attraccare al porto di Porto Empedocle.

Il Governo italiano contestava alla Cap Anamur di essere entrata in acque maltesi, dove effettivamente la nave aveva sostato per riparare il motore, e pretendeva che i profughi fossero portati a Malta.

Una volta giunti a Porto Empedocle, il presidente dell'associazione umanitaria, il comandante ed il primo ufficiale della nave sono stati arrestati in flagranza di reato con l'accusa di "favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina", salvo poi essere assolti nel 2010. I 37 migranti erano stati portati, subito dopo lo sbarco, nel centro di permanenza temporanea di contrada San Benedetto, ad Agrigento, ed espulsi sommariamente in Ghana e Nigeria.

È da sottolineare che nonostante il fatto potesse pienamente integrare la fattispecie di espulsione collettiva281, la procura di Agrigento ha accusato i soccorritori per aver favorito l’ingresso irregolare dei migranti.

Sembra utile menzionare, inoltre, la paradossale vicenda dell’agosto 2007 che ha riguardato dei pescatori tunisini che, dopo aver salvato un gruppo di migranti da morte certa, sono stati condannati per favoreggiamento di immigrazione clandestina282 dal tribunale di Agrigento salvo poi essere assolti presso la Corte di Appello di Palermo tre anni dopo.

Il pericoloso messaggio che si cela tra le righe di tali avvenimenti sembra essere un invito all’omissione di soccorso, come unico rimedio per evitare di incorrere in procedimenti giudiziari.

Nonostante tale breve deviazione, e volendo tornare al caso Hirsi, è da ribadire che la decisione della Corte di ritenere sussistente la giurisdizione italiana è senza dubbio da condividere.

281Cfr. in tal senso F. Vassallo Paleologo, Prima e dopo la sentenza Hirsi, cit.

282Nello specifico quando i due pescherecci erano già in vista di Lampedusa scortati dalla

guardia costiera, è giunto l’ordine di invertire la rotta e ricondurre i migranti in Tunisia, i comandanti hanno tuttavia proseguito la rotta e dopo lo sbarco dei migranti nel porto di Lampedusa sono stati arrestati e le imbarcazioni sequestrate. I pescherecci tunisini hanno sfidato il blocco navale in quanto stavano trasportando una donna in stato di gravidanza ed un bambino disabile che versavano in gravi condizioni di salute.

Ad avviso di parte della dottrina283, il fatto che la Corte abbia dedicato così ampio spazio alla questione della giurisdizione consente di estrapolare dalla sentenza Hirsi principi applicabili anche al di fuori del caso in cui i migranti vengano fatti salire a bordo di una nave battente la bandiera di uno Stato membro della Convenzione, ad esempio nel caso in cui un’imbarcazione sia scortata coattivamente nei porti di provenienza o costretta ad intraprendere una determinata direzione.

Occorre però sottolineare che la Corte ha preso le distanze, allineandosi pertanto a quanto affermato nel caso Banković, da un approccio “cause-and-effect284”, che era invece stato adottato nel caso Xhavara, perché sembra contrastare con una nozione di giurisdizione intesa come “capacità effettiva dello Stato di incidere sui diritti protetti della Convenzione, adottata da altri organi internazionali”285.

Sembra rilevante in tal senso anche il caso PAD c. Turchia286, del 28 giugno 2007, in cui è stata ammessa la giurisdizione turca in un caso in cui cittadini iraniani, accusati di essere terroristi, erano stati uccisi da un elicottero turco, nonostante non ci fosse certezza sul luogo in cui era avvenuto il fatto, se in Turchia o in Iraq.

Nel caso di specie, avendo il governo turco ammesso la propria responsabilità, non era fondamentale stabilire il luogo in cui era avvenuto il fatto.

283Cfr. A. Liguori, La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per i

respingimenti verso la Libia, cit. pag. 424 in cui l’autrice afferma che “il fatto che, pur

trattandosi di avvenimenti verificatisi a bordo di una nave italiana, la Corte non si sia limitata semplicemente a riscontrare che nel caso di specie sussisteva la giurisdizione de iure e de

facto, offre a nostro avviso, una portata più ampia”; Cfr. in senso analogo A. Liguori, N.

Ricciuti, Frontex ed il rispetto dei diritti umani, cit, pag. 558.