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Le modalità del respingimento

Nell’analisi della fattispecie delle espulsioni collettive, acquistano rilevanza anche le concrete modalità attraverso le quali lo stato intende procedere all’espulsione.

Analizzando la giurisprudenza della Corte europea in materia di espulsioni collettive, è possibile affermare che esistono comportamenti tipici assunti dagli stati negli anni, e preliminari al vero e proprio atto di espulsione, che sembrano indicativi123 dell’esistenza di un’espulsione collettiva e possono celare, sotto le spoglie di espulsioni individuali legittimate da sommari esami individuali, allontanamenti massivi di gruppi di stranieri.

La Corte ha ad oggi dichiarato la violazione dell’art. 4 del Protocollo 4 solo in sporadiche occasioni124 sulle quali ci soffermeremo ( v. infra, cap. 3). Tuttavia, anche i ricorsi ritenuti inammissibili o le pronunce in cui non ha ritenuto esistente una violazione dell’art. 4 del Protocollo 4 contribuiscono a delineare la fattispecie in esame.

È sufficiente in questa sede osservare il diverso rilievo che la Corte ha attribuito negli anni ai comportamenti sintomatici della configurabilità di espulsioni collettive poste in essere dagli stati.

123Analizzando a sua volta la sentenza Conka, A.Terrasi, I respingimenti in mare, cit, pag.

605 in cui afferma: “anche qualora lo stato abbia preso in esame la situazione dei singoli individui coinvolti, il background to the execution of the expulsion ha un rilievo centrale nella determinazione della compatibilità della misura stessa con l’art. 4 protocollo 4”; sulla rilevanza da attribuire ai comportamenti degli Stati nell’esecuzione della misura di espulsione v. anche Commentario breve alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky (a cura di),

cit, pag. 870. ; Cfr. altresì L. Masera, il caso “Lampedusa”: una violazione sistemica del

diritto alla libertà personale, Diritti umani e diritto internazionale, 2014, pag. 94. A

proposito del caso Hirsi, l’Autore conferma l’esistenza di “elementi di fatto che la giurisprudenza della Corte ha espressamente valorizzato come indici di sussistenza di un’espulsione collettiva”.

124Čonka c. Belgio, cit ; Hirsi Jamaa e altri c. Italia, cit; Georgia c. Russia; Sharifi e altri c.

Nel caso Čonka c. Belgio125, la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 4, Protocollo 4, nonostante fosse stato assicurato ai soggetti espulsi un esame individuale126.

La valutazione della Corte non si limita certo alla verifica dell’esistenza o meno di un esame individuale, che non è sufficiente, da solo, ad escludere la violazione del divieto di espulsioni collettive. Nel caso di specie la Corte aveva ritenuto che le modalità concrete in cui si era svolta l’espulsione non consentivano di eliminare dubbi concernenti la collettività della misura 127. Sono fattori indicativi della collettività, ed in questo caso anche dell’illiceità dell’espulsione, il fatto che le autorità governative avevano già annunciato l’esecuzione di misure di questo genere; il fatto che tutti gli stranieri oggetto della misura di espulsione fossero stati convocati nello stesso posto, alla stazione di polizia ed alla stessa ora; altro elemento che ha indotto la Corte a ritenere l’esistenza di una violazione dell’art. 4, Protocollo 4, è che i documenti, contenenti gli ordini di espulsione, erano stati redatti negli stessi identici termini per ciascun soggetto; altro elemento tenuto in considerazione dalla Corte è la difficoltà per i ricorrenti di contattare un avvocato ed infine che le procedure per ottenere asilo non erano state completate nonostante i ricorrenti fossero stati convocati alla stazione di polizia proprio con il pretesto di attivare definitivamente i documenti necessari per ottenere lo status di rifugiato, quando in realtà quella convocazione era propedeutica all’espulsione di un gruppo di persone128.

125Čonka c. Belgio, cit.

126Čonka c. Belgio, cit, par. 59; Cfr. in senso analogo Commentario breve alla Convenzione

Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, S. Bartole,

P. De Sena, V. Zagrebelsky (a cura di), cit, pag. 870.

127 Čonka c. Belgio, cit, par. 61 cit. “the Court considers that the procedure followed does not

enable it to eliminate all doubt that the expulsion might have been collective”.

Nell’analizzare il caso in esame, la Corte ha dunque optato per un approccio più sostanzialistico che formalistico, dato che pur essendo formalmente soddisfatto il requisito formale dell’esame individuale, la Corte ha ritenuto sussistente una violazione dell’art. 4, Protocollo 4129.

A conferma dell’esistenza di elementi di fatto, indicativi dell’integrazione della fattispecie vietata dall’art. 4 ,Protocollo 4, è opportuno evidenziare che, anche nella sentenza Hirsi, assumono rilevanza alcuni indici stabiliti dalla Corte che hanno contribuito a determinare la condanna dell’Italia.

I fattori indicativi menzionati nella sentenza Hirsi sono “il fatto che precedentemente all’operazione di espulsione le istituzioni politiche responsabili avevano annunciato delle operazioni di questo tipo e dato istruzioni all’amministrazione competente ai fini della loro realizzazione (...); che tutti gli interessati sono stati convocati simultaneamente al commissariato; che gli ordini di lasciare il territorio e di arresto che sono stati loro consegnati presentavano un contenuto identico; che era difficile per gli interessati contrattare un avvocato; che, infine, la procedura di asilo non si era ancora conclusa. In sintesi, in nessuno stadio del periodo che va dalla convocazione degli interessati al commissariato fino alla loro espulsione, la procedura seguita offriva garanzie sufficienti che attestassero che la situazione individuale di ciascuna delle persone interessate era stata presa in considerazione in modo reale e differenziato”130.

Decidendo sul ricorso Sulejmanovic c. Italia131, la Corte aveva dichiarato ricevibili i ricorsi di sei cittadini jugoslavi, i quali erano stati identificati ed espulsi durante un’operazione di polizia verso il campo di Roma, Casilino 700.

129

In tal senso cfr. anche A. Terrasi, I respingimenti in mare di migranti alla luce della

Convenzione europea, cit, pag. 605-606.

130Cfr. Hirsi Jamaa e altri c. Italia, cit, par.183.

Anche se la causa è stata cancellata dal ruolo a seguito di una soluzione amichevole concordata tra i ricorrenti e lo Stato italiano132, il caso di specie merita di essere menzionato perché sulla scia di quest’ultimo e del caso Čonka, la violazione dell’art. 4 del Protocollo 4, è stata invocata ed applicata anche nel diritto interno.

Il tribunale di Milano133 aveva ad esempio ritenuto integrata la fattispecie dell’espulsione collettiva in seguito ad un’operazione di sgombero di un’area nella quale si erano stabiliti cittadini rumeni di etnia rom, i quali erano destinatari di provvedimenti di espulsione redatti in termini simili134. Il tribunale, considerando le modalità attraverso le quali era stata posta in esecuzione l’espulsione e dunque nel caso di specie, l’unicità di luogo, tempo e motivazione degli atti di respingimento, aveva ritenuto integrata la fattispecie vietata ex art. 4 Protocollo 4. La Corte di Cassazione era però intervenuta riformando la sentenza135 e ritenendo insussistente la fattispecie di espulsione collettiva.

La Cassazione aveva ritenuto dirimente, nella risoluzione della controversia, la motivazione del provvedimento espulsivo. Aveva dichiarato infatti che se i provvedimenti espulsivi fossero stati dettati dalle stesse ragioni ed i destinatari dei provvedimenti fossero sprovvisti

132Nello specifico, lo Stato si obbligava a revocare i provvedimenti di espulsione, consentire

il rientro dei ricorrenti in Italia con rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, fornire un alloggio adeguato ai ricorrenti e garantire cure sanitarie e istruzione ai minori in età scolare.

133Con decreto del 3 agosto 2004. 134

Cfr. Melting Pot Europa, Divieto di espulsioni collettive. Il caso dei cittadini rom, in cui si afferma che “Si trattava in pratica di un prestampato che cambiava soltanto le generalità per ciascuno degli interessati, ma che recava identica motivazione. La motivazione, peraltro, era a sua volta alquanto laconica perché si limitava a far riferimento ad una presunta violazione dell’obbligo da parte di ciascuno degli interessati, di presentarsi in questura entro otto giorni per chiedere il permesso di soggiorno (come previsto all’art. 5, comma 2, del T.U. sull’Immigrazione)” cit. dal sito web dell’organizzazione Melting Pot Europa del 19 ottobre 2004, consultabile al link http://www.meltingpot.org/Divieto-di-espulsioni-collettive-il-caso- di-cittadini-rom.html#.VGE0gTSG9e8.

dei presupposti giustificanti il soggiorno, il fatto che gli atti di espulsione fossero stati scritti in termini e modalità similari non avrebbe sotteso l’integrazione della fattispecie vietata dalla Convenzione.

Concorrevano a determinare la decisione della Corte il fatto che le persone si fossero trovate casualmente nello stesso luogo, l’accertamento delle situazioni individuali e l’avvenuto ricorso presso un giudice terzo ed imparziale.

Alla luce dell’orientamento assunto dalla Corte europea, è possibile rilevare che la Cassazione italiana ha omesso di considerare che operazioni di espulsione attuate attraverso queste modalità hanno spesso ad oggetto persone appartenenti ad una stessa etnia, nel caso di specie, i rom. In questi casi le modalità dei respingimenti acquistano rilevanza nel determinare l’opinione della Corte136.

Al contrario, in altri casi, la Corte ha ritenuto irrilevanti i suddetti comportamenti ai fini della configurabilità della fattispecie, attribuendo all’esperimento dell’esame individuale una rilevanza tale da rendere legittima la misura.

Ad esempio nel caso Andric c. Svezia137, la Corte aveva dichiarato il ricorso inammissibile ed aveva escluso l’esistenza di un’espulsione collettiva nonostante i provvedimenti di espulsione emanati dalle autorità competenti fossero identici per ciascun migrante. Nel caso di specie i ricorrenti erano bosniaci di fede cattolica che, fuggiti dalla Bosnia-Erzegovina, cercavano asilo in Svezia a causa della difficile situazione creatasi in Bosnia a seguito del rifiuto da parte del ricorrente di entrare a far parte delle milizie di fede musulmana. In Svezia i ricorrenti avevano visto respinte le loro richieste d’asilo ed erano stati rimpatriati in Croazia, essendo in possesso della doppia cittadinanza

136In tal senso cfr. Commentario breve alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei

Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky (a

cura di), cit, pag. 871.

croata e bosniaca ed essendo la Croazia un luogo ritenuto sicuro per i ricorrenti. Per quanto interessa in questa sede, la Corte aveva escluso la violazione dell’art. 4, Protocollo 4, perché il provvedimento di espulsione era stato emanato sulla base di esami individuali, obiettivi e ragionevoli ed era stato consentito a ciascun soggetto di ricorrere contro il provvedimento di espulsione, infatti ciascun ricorrente aveva difeso le proprie ragioni individualmente dinnanzi alle autorità competenti in materia d’immigrazione. Il fatto che i ricorrenti avessero ricevuto provvedimenti di espulsione simili, non implicava la sussistenza della fattispecie vietata.

La Corte si era espressa in modo analogo nel caso Alibaks138.

I ricorrenti surinamesi erano fuggiti in Olanda a seguito di un colpo di stato militare che aveva sovvertito l’ordinamento democratico in Suriname. Il governo olandese aveva accettato di mitigare le politiche in materia di immigrazione ed aveva accolto i ricorrenti e molti altri profughi dal Suriname, i c.d. “tolerated surinamese “. Quando però, nel 1988 la situazione in Suriname si stabilizzò andando verso un regime democratico, il governo olandese provvide all’espulsione dei surinamesi, tra cui anche i ricorrenti, che avevano precedentemente trovato rifugio in Olanda .

Essi lamentavano l’esistenza di un’espulsione collettiva dato che gli atti di espulsione erano stati redatti in formati standard modificando solo il nome del destinatario dell’atto.

Ad opinione dei ricorrenti l’individualità della misura era solo apparentemente garantita dalla personalità dell’atto, ma l’invio di atti redatti nella stessa identica forma celava in realtà un’espulsione collettiva che non teneva conto delle situazioni individuali.

Il governo olandese aveva replicato che ciascuna espulsione era stata preceduta da un’analisi delle situazioni individuali ed era data la possibilità a ciascun individuo di opporsi alla misura di espulsione ed al diniego di rilascio di un permesso di soggiorno. Per tutti questi motivi la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile.

In altri casi la Corte ha addirittura dichiarato l’insussistenza di un’espulsione collettiva nonostante la mancanza di provvedimenti individualmente indirizzati ai soggetti che avrebbero subito l’espulsione.

Questo è accaduto ad esempio nel caso Berisha e Haljiti c. ex Repubblica Jugoslava di Macedonia139.I ricorrenti erano una coppia di sposi di etnia rom costretti a fuggire dalla provincia del Kosovo di cui erano originari a causa di attacchi e minacce da parte del “Kosovo Liberation Army”. Essi lamentavano l’esistenza di un’espulsione vietata ex art.4, Protocollo 4, perché le autorità avevano emanato una singola decisione di espulsione concernente entrambi senza considerare le peculiari circostanze di ciascun ricorrente. La Corte aveva dichiarato il ricorso inammissibile perché il mero fatto di essere espulsi attraverso un unico atto di espulsione riguardante entrambi era solo una conseguenza del comportamento dei ricorrenti: essi infatti erano giunti insieme nella ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, avevano presentato domanda d’asilo congiuntamente, avevano prodotto le stesse prove ed esperito congiuntamente ricorso in appello. Pertanto la scelta delle autorità macedoni di respingere entrambi i ricorrenti con un unico atto di espulsione era dettata dalle peculiari circostanze del caso e non dalla volontà di eludere il divieto di espulsioni collettive. Il ricorso è stato anche questo caso dichiarato inammissibile dalla Corte EDU.

139 Dzavit Berisha e Baljie Haljiti c. ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, ricorso

Un’altra sentenza che conferma la tendenza della Corte a ritenere certi comportamenti posti in essere dai vari Stati rilevanti, sì, ma non dirimenti ai fini della qualificazione di una violazione dell’art. 4, Protocollo 4, è il caso M.A. c. Cipro140.

Il ricorrente, un siriano di origine curda sottoposto alla misura di custodia cautelare da parte delle autorità cipriote era stato catturato durante una protesta, a cui aveva preso parte insieme ad altri curdi, contro la politica d’asilo del governo di Cipro. In seguito alla cattura era stato espulso verso la Siria.

In relazione all’art. 4, Protocollo 4, il ricorrente aveva lamentato che le autorità cipriote avevano deportato lui insieme ad altri manifestanti curdi senza aver tenuto debitamente conto delle esigenze e condizioni particolari di ognuno quindi senza un esame individuale dei ricorrenti, in violazione del divieto di espulsioni collettive.

La Corte, dopo aver ricostruito la sua giurisprudenza in materia141 aveva affermato che non c’era stata una violazione del divieto di espulsioni collettive ed aveva evidenziato l’importanza di un esame individuale precedente alla misura di espulsione. Aveva sottolineato tuttavia che il fatto che i curdi fossero stati convocati insieme in uno stesso luogo, nel caso di specie il quartier generale di polizia, che alcuni fossero stati oggetto di una misura massiva o che le lettere di espulsione fossero state scritte in termini simili e quindi senza specifici riferimenti alle condizioni individuali di ciascuno, non consentiva di ritenere sussistente un’espulsione collettiva.

Ciascuna decisione di rimpatrio era stata infatti basata sull’illegalità del loro status e l’illegittimità della loro permanenza in territorio cipriota a seguito del fallimento della procedura d’asilo, individualmente valutata nel periodo di circa 5 anni. Conseguentemente

140M.A. c. Cipro, ricorso 41872/10, decisione del 23 ottobre 2013. 141M.A. c. Cipro, cit, da 245 a 251.

le misure in questione non sembravano integrare, ad avviso della Corte, la fattispecie di espulsione collettiva.

Analizzando le modalità concrete attraverso cui vengono poste in essere le espulsioni, è da notare che neppure il rimpatrio attraverso “voli collettivi” è stato ritenuto un fattore determinante ad orientare la decisione della Corte.

Come dimostra il caso Sultani c. Francia142 l’esistenza di voli speciali non integra di per sé la fattispecie vietata ex art. 4, Protocollo 4, infatti la predisposizione di tali voli talvolta è dettata dalla necessità di sopperire all’assenza di collegamenti di linea tra lo stato e particolari destinazioni143. Il caso in esame concerne il rischio di espulsione attraverso un volo collettivo usato per il rimpatrio di migranti illegali. Il ricorrente lamentava in particolare il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti se rinviato in Afghanistan ed inoltre riteneva di essere vittima di una misura di espulsione collettiva dato che l’eventuale rimpatrio si sarebbe concretizzato attraverso un “volo collettivo” e considerando che l’organo preposto a valutare la sua seconda richiesta d’asilo144 avrebbe valutato le circostanze in un lasso di tempo troppo breve.

Per quanto concerne i rischi cui sarebbe incorso in seguito ad un allontanamento nel proprio paese d’origine, la Corte aveva ritenuto che il ricorrente avesse invocato solo l’esistenza di rischi generici dovuti alla situazione generale di violenza in cui versava il paese e non avesse dimostrato in che misura la sua persona sarebbe stata effettivamente a rischio pertanto aveva ritenuto che l’espulsione non avrebbe violato l’art. 3 CEDU145.

142Sultani contro Francia ricorso n. 45223/05, decisione del 20/12/2007. 143

Sultani contro Francia, cit, par. 73.

144

Office Français de Protection des Réfugiés et Apatrides (OFPRA).

145 Il ricorrente, di nazionalità afgana, apparteneva all’etnia tadjik. Suo padre è stato

L’espulsione nel caso di specie non avrebbe violato neppure l’art. 4, Protocollo 4 perché, nonostante l’utilizzo del volo collettivo possa far desumere l’illiceità del provvedimento146, l’esistenza di un esame oggettivo e ragionevole della situazione individuale del soggetto147 consentiva alla Francia di procedere all’espulsione in conformità ai principi espressi dalla CEDU.

Da questo stesso episodio ha origine anche un altro autonomo ricorso alla Corte europea: il caso Ghulami 148,che è sfociato in una decisione di irricevibilità del ricorso. Il 6 dicembre 2005 il ricorrente, di origine afgana, era stato convocato insieme ad altri migranti anch’essi di nazionalità afgana tutti in uno stesso luogo, a piazza Verdun a Parigi. L’intento delle forze di polizia era, secondo il ricorrente, di raggruppare stranieri sulla base di un unico criterio ( la nazionalità afgana) con il fine ultimo di rimpatriarli attraverso voli collettivi, gli stessi voli di cui avrebbe fatto parte anche il signor Sultani149 che aveva effettuato autonomo ricorso. Per quanto concerne la violazione dell’art. 3 la Corte aveva ritenuto il ricorso irricevibile, dal momento che il ricorrente non

comunista, era considerato un atto di alto tradimento all’interno del gruppo tadjik. La famiglia del ricorrente era sottoposta a minacce e violenze come il lancio di una granata dentro l’abitazione che aveva ferito il ricorrente alla testa e alla coscia. Nonostante il grave episodio, la Corte aveva sottolineato ( paragr 67-68 sentenza sultani) che il fatto che il ricorrente non fosse stato un dirigente del partito comunista ma solo figlio di quest’ultimo ed il fatto che il ricorrente non avesse dimostrato in che misura avrebbe potuto essere personalmente esposto al rischio di repressione, non consentiva di concludere che ci fossero motivi seri di credere che l’espulsione del ricorrente lo avrebbe esposto al rischio reale di subire trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art. 3.

146

Non è stata ritenuta rilevante, al fine di determinare l’illegittimità della misura, neppure la dichiarazione del Ministro degli Interni francese il quale annunciava la predisposizione di voli collettivi e la volontà di incrementarli nel futuro. Il quotidiano “le Monde” del 6 dicembre 2005 riporta le dichiarazioni del Ministro dinnanzi all’ Assemblée Nationale:

«Nous sommes en train, avec le premier ministre, de négocier avec l’Irak et avec l’Afghanistan, comme avec la Somalie, en accord avec nos amis anglais, des vols groupés»afin de«renvoyer chez eux des gens qui croient que l’Angleterre est un nouvel Eldorado et qui viennent atterrir dans le Calaisis sans espoir de trouver un logement ou un travail.»

147Cfr. Sultani c. Francia, cit, par. 81. 148

Ghulami c. Francia, ricorso n. 45302/05 , 7 aprile 2009.

riusciva a provare i rischi che ci sarebbero stati per la sua persona in seguito ad un respingimento nel suo paese d’origine ma lamentava una violazione dell’art. 3 sulla base di generiche considerazioni fondate sulla diffusa violenza che pervadeva l’Afghanistan150. Per quanto concerne la violazione dell’art. 4 Protocollo 4, la Corte, richiamando