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Il contenuto del principio del non-refoulement

2.2 Motivazione del respingimento e divieto di refoulement

2.2.2 Il contenuto del principio del non-refoulement

Pur riconoscendo che il divieto di espulsioni collettive non coincide con il divieto di refoulement o con i principi sanciti dagli art. 2 e 3 della Convenzione, è necessario ammettere che il rischio di respingere, attraverso una misura massiva, un essere umano verso un Paese dove sussista il rischio che sia sottoposto a misure contrarie agli articoli in esame, è senza dubbio un aspetto principale da affrontare.

Il principio di non-refoulement è ormai un precetto di diritto pattizio e consuetudinario 80 il cui scopo è “prevenire qualsiasi respingimento, di chiunque si trovi nella situazione oggettiva descritta dall’ultima parte del paragrafo 1 dell’art. 33, verso un paese dove la sua vita e la sua libertà siano a rischio, a prescindere dal fatto che lo status di rifugiato della persona interessata sia stato o meno ufficialmente riconosciuto”81.

Nel corso degli anni, il principio di non-refoulement è stato interpretato estensivamente, avvicinandosi maggiormente al concetto di

rifugiati de facto)” e aggiunge “… Il tenore della protezione internazionale, soprattutto la garanzia del non respingimento, è rigorosamente la stessa per le due categorie di individui”.

80 Cfr. F.Lenzerini , Il principio del non refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte

Europea, cit,p. 721.

81Cfr. F.Lenzerini , il principio del non refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte

Europea, cit, p. 723 ; anche se come specificato supra, al paragrafo 2.2.1, grazie ad

un’interpretazione estensiva dell’art. 33 i destinatari della misura non sono solo i rifugiati ma chiunque abbia motivo di temere l’invio verso uno stato in cui il soggetto potrebbe veder violati i propri diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti. L’ estensione della portata del divieto di refoulement è confermata dalla giurisprudenza della Corte europea che, nella sentenza Soering c. Regno Unito, ricorso n. 14038/88, sentenza del 7 luglio 1989, nonostante il ricorrente non avesse le caratteristiche per essere considerato rifugiato, ha ritenuto che, il periodo che il ricorrente, qualora estradato negli Stati Uniti d’America, avrebbe dovuto spendere nel braccio della morte, integrasse una fattispecie di trattamento vietato ex art. 3 CEDU.

non-refoulement che possiamo indirettamente ricavare dagli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea82.

Infatti è necessario chiarire che il concetto di “vita e libertà” dell’art. 33 della Convenzione del 1951, non è da interpretare in modo tassativo, altrimenti resterebbero escluse dalla tutela dell’articolo tutte quelle situazioni che, pur non conducendo alla privazione della vita o della libertà del soggetto, comportano comunque trattamenti inumani o degradanti come torture o persecuzioni. È da ritenere, dunque, che possa avvalersi della tutela che scaturisce dal principio del non- refoulement, chiunque lamenti una lesione dei propri diritti umani internazionalmente riconosciuti83.

Inoltre, la crescente ampiezza della tutela fornita dal principio in questione è data anche dal fatto che non è sufficiente l’emanazione di un provvedimento formale e non sommario di estradizione od espulsione per aggirare il divieto di refouler. Infatti anche in questi casi, ed “in any manner whatsoever” , si applicherà il principio di non- refoulement, attraverso dunque un’interpretazione evolutiva che consente di estendere la tutela a qualunque avvenimento o provvedimento che comporti l’invio del soggetto in luoghi dove i suoi diritti fondamentali sarebbero violati84.

82A partire dal citato caso Soering c. Regno Unito, cit, la giurisprudenza della Corte Europea

si è sviluppata nel senso di ricomprendere il divieto di refoulement nell’ambito di applicazione dell’art. 3 della CEDU che dispone: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

83In senso conforme cfr. anche Pinto De Albuquerque in Sentenza Hirsi Jamaa e altri c.

Italia, cit.

84Cfr. Lauterpacht, Bethlehem, The scope and content of the principle of non-refoulement, in

Refugee Protection in International Law UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge, 2003, p. 163 op. cit. “In short, the scope and content of the customary principle of non-refoulement in the context of human rights may be expressed as follows. No person shall be rejected, returned, or expelled in any manner whatever where this would compel him or her to remain in or return to a territory where substantial grounds can be shown for believing that he or she would face a real risk of being subjected to torture or cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. This principle allows of no limitation or exception”.

Volendo specificare il contenuto del divieto di refoulement, è necessario chiarire che esso non consiste nell’onere per lo Stato in cui è richiesta la protezione di accogliere il soggetto, ma si configura da un lato nell’obbligo negativo di non respingere lo straniero in territori in cui potrebbe subire un pregiudizio alla propria vita, libertà o altri diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti 85, dall’altro nell’obbligo positivo di porre in essere una valutazione dei rischi tenendo in considerazione anche eventuali assicurazioni che provengono dallo Stato in cui verrebbe inviato il soggetto86.

Lo Stato in cui il richiedente asilo cerca protezione potrebbe quindi decidere, in alternativa all’accoglienza nel proprio territorio, di inviarlo in un Paese terzo in cui i diritti fondamentali del soggetto non sarebbero a rischio; ovvero lo Stato potrebbe ritenere a seguito di un’analisi della situazione generale del Paese, e particolare del soggetto richiedente protezione, che esistano all’interno del Paese di origine del richiedente, zone in cui la sua incolumità non sarebbe esposta a rischi87, e dunque potrebbe allontanare l’individuo in quelle zone.

Sono due le condizioni indicative della sicurezza di un paese. Da un lato è necessario che al richiedente asilo sia consentito di rimanere nel territorio considerato sicuro88;dall’altro è altresì indispensabile che le leggi nazionali dello Stato in questione soddisfino le condizioni

85

Si concretizza una violazione del principio in esame nel caso in cui l’imbarcazione dei migranti sia costretta a vagare in alto mare perché nessuno stato è disposto a fornire protezione; infatti le acque internazionali non possono certo essere considerate un luogo sicuro per le persone interessate e certamente il vagare in alto mare non risponde allo standard di vita in linea con i diritti internazionalmente riconosciuti.

86 In tal senso Cfr. anche A. Tancredi, assicurazioni diplomatiche e divieto ‘assoluto’ di

refoulement alla luce di alcune recenti pronunzie della Corte europea dei diritti umani ,in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, pag. 47.

87Nell’ambito del diritto europeo questa possibilità è stata sancita dall’art.8 della direttiva

qualifiche ; Cfr. altresì Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, 2013 Consiglio d’Europa, Manuale sul diritto europeo in materia di asilo, frontiere e

immigrazione, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea (Lussemburgo), 2013;

88Altrimenti potrebbe accadere che anche lo stato terzo decida a sua volta di respingere il

elencate dall’art.27 della direttiva sulle procedure d’asilo89 e che conseguentemente sia garantito al soggetto un trattamento dignitoso e protezione contro il refoulement90.

Non è forse superfluo ribadire che per refoulement non deve intendersi solo l’allontanamento del soggetto verso il proprio Paese d’origine, dove sarebbe sottoposto al rischio di subire i trattamenti vietati ex art. 3,il c.d. refoulement diretto.

La fattispecie in esame vieta anche l’ espulsione del soggetto in luoghi diversi dal proprio Paese di origine, ma che comunque non garantiscono la suddetta protezione contro il refoulement diretto, ed in cui, quindi, l’individuo sarebbe esposto al rischio di essere allontanato verso un luogo dove i diritti internazionalmente riconosciuti non gli sarebbero garantiti. Si parla in questo caso di refoulement indiretto e ci fornisce un perfetto esempio dei due tipi di allontanamento la sentenza

89La direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1° dicembre 2005 recante norme minime per le

procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, all’art. 27, paragrafi 1 e 2 recita: “1. Gli Stati membri possono applicare il concetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che una persona richiedente asilo nel paese terzo in questione riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri: a) non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale; b) è rispettato il principio di «non refoulement» conformemente alla convenzione di Ginevra; c) è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; d) esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra. 2. L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro è subordinata alle norme stabilite dalla legislazione nazionale, comprese: a) norme che richiedono un legame tra la persona richiedente asilo e il paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per detta persona recarsi in tale paese; b) norme sul metodo mediante il quale le autorità competenti accertano che il concetto di paese terzo sicuro può essere applicato a un determinato paese o a un determinato richiedente. Tale metodo comprende l’esame caso per caso della sicurezza del paese per un determinato richiedente e/o la designazione nazionale dei paesi che possono essere considerati generalmente sicuri; c) norme conformi al diritto internazionale per accertare con un esame individuale se il paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente, norme che consentano almeno al richiedente di impugnare l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro a motivo del fatto che egli vi sarebbe soggetto a tortura o ad altra forma di pena o trattamento crudele, disumano o degradante”.

90 Cfr. F.Lenzerini , Il principio del non refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte

Hirsi, sulla quale ci soffermeremo successivamente ( v. cap. 3). Per quanto interessa chiarire in questa sede, nel caso Hirsi, l’Italia aveva respinto i migranti, provenienti in larga parte dalla Somalia e dall’Eritrea, non nei loro Paesi d’origine, bensì in Libia, in virtù di trattati concernenti la cooperazione tra l’Italia e la Libia nella lotta all’immigrazione irregolare, senza aver valutato le condizioni specifiche dei singoli e soprattutto senza aver ottenuto assicurazioni dalla Libia sulla sorte degli individui che quindi avrebbero potuto essere respinti nei loro paesi d’origine non direttamente dalle autorità italiane bensì indirettamente da quelle libiche.

Proseguendo l’indagine sul significato del divieto di refoulement, e per quanto attiene alla sicurezza di un Paese, essa deve essere valutata relativamente alla situazione di fatto esistente in quest’ultimo nel momento storico in cui avviene l’espulsione. La stipulazione da parte del Paese in questione di trattati internazionali, l’appartenenza alla CEDU o il fatto che il Paese sia stato considerato in passato sicuro, non sono fattori che determinano automaticamente la sicurezza di un Paese.

Dopo aver affermato che la presunzione che consente di considerare gli Stati ratificanti la CEDU come sicuri luoghi di approdo per i rifugiati91 non è una presunzione assoluta, è opportuno un breve richiamo alla giurisprudenza della Corte europea in materia.

La Grecia, ad esempio, è stata ritenuta un Paese non idoneo ad accogliere rifugiati. Nel caso M.S.S. c. Belgio e Grecia92, il Belgio aveva rifiutato di esaminare la richiesta d’asilo ed aveva espulso il ricorrente di origine afgana in Grecia, richiamando a sostegno del suo comportamento il c.d. regolamento Dublino II 93, in virtù del quale è

91

Cfr. F.Lenzerini , Il principio del non refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte

Europea, cit, pag. 746, “la presunzione in base alla quale gli Stati membri devono essere

considerati sicuri non può essere considerata come assoluta”.

92Cfr. M.S.S c. Belgio e Grecia, ricorso n 30696/09, decisione del 21 gennaio 2011. 93Cfr. Regolamento 2003/343/CE.

competente ad esaminare le richieste d’asilo dei migranti all’interno dell’Unione europea, il primo Stato membro dell’Unione in cui essi approdano94 nel caso di specie, la Grecia.

Le autorità belghe, rinviando il ricorrente verso la Grecia, lo avevano esposto ai trattamenti inumani e degradanti vietati dall’art. 3 CEDU, in questo caso determinati dalle lacune nella procedura d’asilo prevista dalla Grecia. Il Governo belga non avrebbe dunque dovuto limitarsi a considerare l’espulsione legittima in virtù dell’appartenenza della Grecia alla CEDU, ma avrebbe dovuto valutare i concreti rischi che i ricorrenti avrebbero potuto correre in seguito alla loro espulsione in Grecia95.

L’Italia stessa è stata ritenuta un luogo di approdo non sicuro per i profughi96. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è recentemente espressa sul caso Tarakhel contro Svizzera97, dichiarando che il trasferimento dei ricorrenti verso l’Italia, disposto dalle autorità svizzere ai sensi del Regolamento di Dublino, avrebbe potuto integrare una violazione dell’art. 3 della CEDU in assenza di garanzie da parte dello stato italiano circa l’accoglienza idonea dei minori e dei

94

Cfr. Art. 5 paragrafo 2 del regolamento 2003/343/CE.

95

Cfr. M.S.S c. Belgio e Grecia, cit. par.359. Il governo belga avrebbe dovuto “not merely to

assume that the applicant would be treated in conformity with the Convention standards but, on the contrary, to first verify how the Greek authorities applied their legislation on asylum in practice. Had they done this, they would have seen that the risks the applicant faced were real and individual enough to fall within the scope of Article 3”.

96Già in passato alcuni tribunali tedeschi e la Corte di Strasburgo hanno ordinato in taluni

casi, come misura provvisoria, di non trasferire verso l’Italia, paese di primo asilo, persone che ritenevano di essere ivi esposte a trattamenti inumani e degradanti in virtù dell’inefficiente sistema di accoglienza offerto dal nostro Paese. Cfr. altresì le misure adottate il 12 giugno 2009 nel ricorso n. 30815/09, D.H. c. Finlandia: il caso è stato poi cancellato dal ruolo il 28 giugno 2011 perché nel frattempo il ricorrente aveva ricevuto un permesso di soggiorno e non rischiava più di essere respinto in Italia; Cfr. il ricorso n. 37159/09, H.A.U.

c. Finlandia, decisione del 15 luglio 2009: in questo caso il ricorso è stato parzialmente

cancellato dal ruolo perché nel frattempo il ricorrente aveva ottenuto un permesso di soggiorno in Italia, mentre la restante parte del ricorso è stata dichiarata irricevibile.

richiedenti asilo in generale98. I ricorrenti, una famiglia afgana con 5 figli minorenni, erano arrivati nel nostro paese via mare dalla Turchia nel luglio 2011; dopo le foto segnalazioni, come richiedenti asilo erano stati accolti in un Centro a Bari. Quindici giorni dopo si erano recati in Austria, e da lì, in Svizzera, dove aveva avuto inizio la ‘procedura Dublino’. Non avendo avuto successo in Svizzera nella loro causa contro il rinvio in Italia, si erano rivolti alla Corte di Strasburgo, che era intervenuta dapprima nell’aprile 2012 in forma provvisoria, chiedendo alla Svizzera di sospendere l’espulsione verso l’Italia ed infine in via definitiva nel novembre 2014 dichiarando che il rinvio dei ricorrenti in Italia avrebbe potuto integrare una violazione dell’art. 3 CEDU.

La famiglia Tarakhel aveva lamentato in particolare le pessime condizioni di accoglienza nel Centro di Bari, l’assenza di servizi sanitari, la regolare esposizione a violenze, a causa di litigi e scontri che quotidianamente si verificavano nel Centro99.

È sulla scia di questa sentenza che la Danimarca ha recentemente deciso, in base al Regolamento di Dublino III, di sospendere tutti i trasferimenti dei richiedenti asilo di cui sia provato il passaggio o che abbiano subito il prelievo delle impronte digitali in Italia100. La scelta danese costituisce un’importante presa di posizione politica e la conferma dell’esistenza di gravissime lacune nel sistema di accoglienza dei profughi del nostro Paese.

98Cfr. Tarakhel contro Svizzera, cit. La Corte al paragrafo 120 della sentenza: “the possibility

that a significant number of asylum seekers removed to that country may be left without accommodation or accommodated in overcrowded facilities without any privacy, or even in insalubrious or violent conditions, is not unfounded. It is therefore incumbent on the Swiss authorities to obtain assurances from their Italian counterparts that on their arrival in Italy the applicants will be received in facilities and in conditions adapted to the age of the children, and that the family will be kept together.”

99

Cfr. la pagina web del CIR-Consiglio Italiano per i Rifugiati www.cir-onlus.org.

100Il prelievo delle impronte digitali è stato oggetto di polemica in seguito alla circolare del

Ministero dell'Interno del 26 settembre 2014, che conteneva un allegato che autorizzava le forze di polizia all'"uso della forza" nel prelievo delle impronte digitali.

Concludendo, è possibile ritenere che la questione appena esposta riguardi anche il problema del conflitto tra diritto dell’UE e la CEDU. La Corte ha approfittato delle sentenze appena esaminate per manifestare una crescente insofferenza verso i tentativi del diritto UE di introdurre deroghe e limitazioni alla tutela dei diritti fondamentali garantita dalla CEDU.

Proseguendo nell’analisi del contenuto del principio del non- refoulement, è inevitabile chiarire che, per valutare l’effettiva esistenza di rischi per il soggetto, è necessario, da un lato, analizzare la situazione generale101 di rispetto dei diritti umani nel paese in cui il soggetto sarebbe espulso; dall’altro lato, è indispensabile una valutazione specifica circa la situazione particolare del ricorrente facendo riferimento a fattori di natura personale e professionale102.

Non è necessario tuttavia, che entrambe le valutazioni diano esito positivo. Ad es, nel caso N. c. Svezia103, la Corte aveva escluso la sussistenza di un rischio generale nell’espulsione del soggetto in Afghanistan, ma al contempo aveva ammesso, che l’espulsione di una donna che non si fosse conformata ai costumi e tradizioni locali costituiva una violazione dell’art. 3 perché sussistevano rischi specifici a cui la donna era esposta.

101È rilevante pertanto ,ai fini dell’indagine sulla sicurezza del paese di destinazione,

verificare se sussista una situazione di violenza generalizzata, conflitti armati ecc..

102

Tuttavia può non essere necessario addurre prove dell’esistenza di fattori di rischio a livello personale per il soggetto che è parte ad esempio di un gruppo sottoposto sistematicamente a maltrattamenti o violenze. Ad Esempio nel caso Salah Sheekh c. Paesi

Bassi, ricorso n. 1948/04, decisione del 23 maggio 2007, il ricorrente era membro di un clan

di minoranza in Somalia e per questo, sistematicamente sottoposto a maltrattamenti e soprusi. La Corte ha valutato la possibilità per il ricorrente di ricevere protezione nel suo paese d’origine ma dopo aver constatato che la tutela dei diritti umani non ha fatto progressi in Somalia sino al momento del ricorso, ha ritenuto ancora persistenti i pericoli per il ricorrente e per la sua famiglia ed ha dunque sentenziato che l’espulsione di quel soggetto integrerebbe una violazione dell’art. 3 CEDU. Nel caso di specie non è stato richiesto al ricorrente di fornire ulteriori prove dell’esistenza di rischi per sé stesso e per la sua famiglia perché la sistematicità delle violenze a loro carico è stata ritenuta dalla Corte una prova sufficiente a ritenere la Somalia un luogo non sicuro in cui inviare il ricorrente.

Un altro problema da affrontare concerne il valore da attribuire alle assicurazioni diplomatiche eventualmente fornite dai paesi di destinazione dei soggetti. Esse hanno la funzione di estinguere o ridurre i rischi che deriverebbero dall’espulsione in paesi in cui il soggetto lamenta l’esistenza di una diffusa e sistematica pratica di comportamenti vietati ex art. 3.

La Grande Camera della Corte europea dei diritti umani, nella causa Saadi c. Italia104, aveva precisato che “il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo stato di destinazione dipende (…)dalle circostanze che prevalgono al momenti considerato” 105 . È importante specificare che la situazione generale dei diritti umani nello Stato ricevente non esclude la possibilità di accettare assicurazioni. Solo raramente la situazione generale di un paese può precludere la valutazione delle assicurazioni fornite. Nella generalità dei casi, la Corte in primis valuterà la qualità delle assicurazioni conferite, e successivamente, in considerazione delle pratiche dello Stato ricevente, la loro affidabilità.

La Corte, dunque, si riserva il diritto di valutare caso per caso se le