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La giurisprudenza della Corte precedente alla sentenza Hirsi e

Capitolo terzo : La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di espulsion

3.1 La giurisprudenza della Corte precedente alla sentenza Hirsi e

altri c. Italia.

Il 23 febbraio 2012, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso Hirsi e altri c. Italia152, relativo all’intercettazione in alto mare di un gruppo di migranti, tra cui 11 somali e 13 eritrei, condannando il nostro Paese per aver violato gli articoli 3, 4 Protocollo 4 e 13 della CEDU.

La prassi dei respingimenti in alto mare, ma più genericamente delle espulsioni collettive, non costituisce un fenomeno nuovo nel panorama internazionale e nella giurisprudenza della Corte, tuttavia, e nonostante sia un fenomeno piuttosto frequente, la Corte si è pronunciata solo in rarissimi casi a favore dell’integrazione della fattispecie vietata dall’art. 4 del Protocollo 4.

Oltre al caso appena citato, la Corte ha ritenuto sussistente la fattispecie delle espulsioni collettive nel caso Čonka c. Belgio153

, e, recentemente, nei casi Georgia c. Russia e Sharifi e altri c. Italia e Grecia.

Prima di procedere all’analisi del caso Hirsi, che ha in qualche modo inaugurato un’inversione di tendenza nella giurisprudenza della Corte in materia, è opportuno esaminare alcune delle più significative vicende concernenti le espulsioni collettive, approdate dinnanzi alla Corte europea.

152Hirsi Jamaa e altri c. Italia, cit. 153 Čonka c. Belgio, cit.

La Corte ha ritenuto sussistente la violazione del divieto di espulsioni collettive, prima della sentenza Hirsi, solo nel caso Čonka c. Belgio, già accennato nel precedente capitolo, ma sul quale è opportuno soffermarsi in questa sede.

I ricorrenti erano una famiglia slovacca di origine rom, composta da padre, madre e due figlie. La famiglia era stata vittima di aggressioni, da parte di gruppi di skinheads154, sempre più frequenti e violente, tanto da condurre, in un caso, al ricovero del signor Čonka in ospedale.

Alle denunce della famiglia, la polizia locale era rimasta indifferente e si era rifiutata di intervenire. La situazione, divenuta ormai insostenibile per i ricorrenti, li aveva costretti a fuggire dalla Slovacchia per trasferirsi in Belgio, dove avevano chiesto asilo.

La domanda d’asilo era stata rigettata in quanto, in virtù della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, i ricorrenti non avevano allegato sufficienti elementi che provassero l’esistenza di una situazione rischiosa per la loro incolumità in Slovacchia. In particolar modo, per quanto concerne il signor Čonka, la sua richiesta d’asilo era stata rigettata perché non si era presentato alla convocazione, ordinata dalle autorità competenti per analizzare la domanda d’asilo, dove avrebbe dovuto specificare i motivi della sua richiesta. Alla signora Čonka invece, era stato negato lo status di rifugiato in conseguenza di incongruenze tra la versione dei fatti fornita dalla ricorrente e quanto riscontrato attraverso le prove allegate. In particolar modo, l’evento scatenante che avrebbe condotto la famiglia a fuggire dalla Slovacchia

154Sulla condizione dei rom in Slovacchia, la Corte ha tenuto conto, al paragrafo 32 della

sentenza Čonka, del rapporto sulla Slovacchia della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del 15 giugno 1998 in cui si afferma, “ Les Roms/Tsiganes en Slovaquie,

comme dans plusieurs autres pays d'Europe centrale et orientale, appartiennent à la couche sociale la plus défavorisée. Hormis quelques cas isolés, ils vivent à l'écart de la scène publique, coupés des centres de décision et des principaux courants d'opinion de la vie politique. Les Roms/Tsiganes sont souvent les victimes de la violence « skinhead » ; ils font régulièrement l'expérience des mauvais traitements aussi bien que de discriminations par les autorités”.

era stato, secondo la versione della ricorrente, l’attacco del gruppo di skinhead, avvenuto il 4 novembre 1998, che aveva cagionato il ricovero ospedaliero del signor Čonka. In realtà, i coniugi avevano già programmato la fuga in Belgio, come dimostrato dalla data del biglietto aereo con il quale sono partiti, che era stato emesso il 2 ottobre 1998 per la ricorrente, ed il 2 novembre 1998 per il marito e le figlie che avevano raggiunto la madre successivamente. In entrambi i casi, dunque, la fuga dalla Slovacchia si era collocata in date antecedenti all’aggressione subita dal coniuge.

In seguito al rigetto della domanda d’asilo, avevano ricevuto un provvedimento di espulsione verso la Slovacchia. Erano stati convocati, assieme ad altri connazionali di origine rom, con il falso pretesto di concludere le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato, ma in realtà, presentandosi nel luogo indicato dalle autorità, avevano ottenuto solo un provvedimento di espulsione ed un ordine di detenzione affinché non potessero sottrarsi all’esecuzione della misura.

Rinviando al paragrafo 2.3 per le considerazioni relative alla rilevanza delle concrete modalità in cui era stata eseguita l’espulsione, è necessario ricordare che, nel caso in esame, i provvedimenti di espulsione erano stati redatti in formati standard, identici per tutti i soggetti che sarebbero stati respinti verso la Slovacchia, elemento che denota l’assenza di un esame individuale e specifico delle singole situazioni. A sostegno dell’esistenza di un’espulsione collettiva, i ricorrenti avevano allegato la dichiarazione del Ministro dell’Interno del Belgio che, in risposta ad un’interrogazione parlamentare del 23 dicembre 1999, ammetteva che “un rapatriement collectif en Slovaquie a été organisé”155.

Rilevante in tal senso è anche la “Note d'orientation générale relative à une politique globale en matière d'immigration”, approvata il

1° ottobre 1999 dal Consiglio dei Ministri del Belgio, in cui si affermava che le autorità stavano esaminando un progetto di rimpatri collettivi che avrebbe avuto il duplice fine di dare, in primo luogo, un segnale alle autorità slovacche e dunque dissuadere altri cittadini slovacchi dal richiedere asilo in Belgio, in secondo luogo, avrebbe avuto lo scopo di allontanare il gran numero di immigrati irregolari la cui presenza “non poteva più essere tollerata”156.

Attraverso il ricorso alla Corte europea, i ricorrenti avevano lamentato la violazione degli articoli 5 § 1, 2 e 4, 13 e 4, Protocollo 4 della CEDU.

È necessario, in questa sede, approfondire la posizione della Corte in relazione alla lamentata violazione dell’art. 4, Protocollo 4, dato che, come ricordato, la sentenza Čonka rappresenta il primo caso in cui la Corte ha dichiarato integrata la fattispecie in esame. Preliminarmente la Corte aveva chiarito che, con il termine “espulsioni collettive”, doveva intendersi qualsiasi misura collettiva di allontanamento dal territorio, e che valutare separatamente la fase di emanazione del provvedimento da quella della sua concreta attuazione avrebbe svuotato la disposizione del suo contenuto sostanziale, dato che le legislazioni di pressoché tutti gli Stati membri impongono l’esistenza di un provvedimento formale, individuale, precedente l’attuazione della misura e dunque, separando l’analisi del provvedimento dall’esecuzione dell’espulsione, non sarebbe possibile rilevare in alcun caso una violazione dell’art.4, Protocollo 4, rimanendo quest’ultima disposizione, sostanzialmente disattesa.

Quanto affermato, denota pertanto una predisposizione generale da parte delle autorità a trattare la questione collettivamente, come se il

156Cfr. Čonka c. Belgio, cit. par. 31 in cui si afferma “Un projet de rapatriement collectif est

actuellement examiné, tant pour donner un signal aux autorités slovaques que pour éloigner ce grand nombre d'illégaux dont la présence ne peut plus longtemps être tolérée”.

destinatario del provvedimento di espulsione fosse un gruppo unico e non un singolo individuo, a partire dall’emanazione dei provvedimenti in un unico formato, sino all’esecuzione della misura. È necessario quindi concludere che, quale che sia l’apparenza formale dei provvedimenti emanati, non è possibile affermare nel caso di specie, che sia stato eseguito un esame ragionevole ed oggettivo della situazione particolare di ciascuno straniero facente parte del gruppo, oggetto della misura di espulsione157.

Il Governo aveva tentato di difendere le proprie scelte, ritenendo non integrata la fattispecie vietata dall’art. 4, Protocollo 4, facendo riferimento al caso Andric c. Svezia158, in cui era stato stabilito che non può ritenersi integrata la fattispecie di espulsione collettiva, quando è sussistente un esame ragionevole, oggettivo ed individuale della situazione del singolo.

Alla posizione del Governo, la Corte aveva risposto159 ricordando la sua giurisprudenza in materia ed aveva ribadito che, per “espulsione collettiva”, deve intendersi “qualsiasi misura dell’autorità competente che costringa degli stranieri, in quanto gruppo, a lasciare un Paese, salvi i casi in cui una tale misura venga adottata all’esito e sulla base di un esame ragionevole e oggettivo della situazione particolare di ciascuno degli stranieri che compongono il gruppo160” ma questo non implica che, nel caso in cui quest’ultima condizione sia soddisfatta161, e dunque

157Cfr. Čonka c. Belgio, cit. al par. 56 la Corte dichiara “quelle que soit l'apparence formelle

des décisions produites, il ne saurait être affirmé en l'espèce qu'il y a eu un examen raisonnable et objectif de la situation particulière de chacun des étrangers qui forment le groupe”.

158Cfr. Andric c. Svezia, ricorso n. 45917/99, decisione del 23 febbraio 1999. 159Cfr. Čonka c. Belgio, cit. par. 59.

160

Cfr. Becker c. Danimarca, cit, pag. 215.

161

Cfr. Čonka c. Belgio, cit. par. 60.Nel caso di specie, almeno in una prima fase delle operazioni di allontanamento, è stato effettuato un esame individuale di ciascuna situazione dato che, le domande d’asilo dei ricorrenti, sono state rigettate a seguito di una valutazione delle condizioni personali di ciascun richiedente asilo, sulla base delle loro deposizioni.

si sia proceduto ad effettuare esami individuali, le circostanze concrete in cui si compie l’espulsione non debbano avere alcun rilievo162.

La Corte ha sottolineato che le misure di detenzione ed allontanamento contestate dai ricorrenti erano state adottate, in esecuzione dell’ordine di lasciare il territorio, emesso in data 29 settembre 1999, il quale era fondato unicamente sul fatto che il soggiorno dei ricorrenti in Belgio aveva ecceduto i tre mesi e dunque era in contrasto con l’articolo 7, commi 1 e 2, della legge belga sugli stranieri, senza tenere in considerazione le situazioni personali dei ricorrenti.

In aggiunta agli elementi appena citati, aveva contribuito ad orientare la decisione della Corte163 anche il fatto che fossero state oggetto della misura di espulsione, un gran numero di persone aventi la stessa provenienza geografica dei ricorrenti, ed avevano supportato l’opinione della Corte anche le concrete modalità in cui era stata eseguita l’espulsione, sulle quali ci siamo già soffermati164.

In conclusione, dopo aver analizzato il processo che aveva portato all’espulsione dei soggetti, a partire dall’emanazione dei provvedimenti di espulsione e sino all’esecuzione di questi ultimi, la Corte ha ritenuto che la procedura seguita non aveva offerto sufficienti garanzie per

162

Cfr. Čonka c. Belgio, cit. par. 59 in cui la Corte specifica che la sussistenza di un esame individuale “ne signifie pas pour autant que là où cette dernière condition est remplie, les

circonstances entourant la mise en œuvre de décisions d'expulsion ne jouent plus aucun rôle dans l'appréciation du respect de l'article 4 du Protocole n. 4”.

163Cfr. Čonka c. Belgio, cit. par. 61 in cui la Corte dichiara “au vu du grand nombre de

personnes de même origine ayant connu le même sort que les requérants, la Cour estime que le procédé suivi n'est pas de nature à exclure tout doute sur le caractère collectif de l'expulsion critiquée”.

164 Cfr. Čonka c. Belgio, cit. par. 62. I comportamenti indicativi di una violazione della

fattispecie in esame sono, il fatto che le autorità competenti avevano già annunciato misure collettive di questo genere e dato istruzioni alle amministrazioni competenti al fine di realizzarle; il fatto che gli interessati erano stati convocati in uno stesso luogo, contemporaneamente; i vari provvedimenti di respingimento erano redatti in formati

standard; la difficoltà per gli interessati di prendere contatti con gli avvocati; il fatto che la

procedura d’asilo non era ancora terminata quando i soggetti avevano ricevuto i provvedimenti di espulsione.

ritenere che le autorità avessero effettuato una valutazione reale e differenziata delle situazioni individuali di ciascuna persona vittima del respingimento, di conseguenza ha ritenuto integrata l’espulsione collettiva.

Nonostante il caso Čonka rivesta particolare importanza nell’ambito della fattispecie delle espulsioni collettive, non solo perché per la prima volta la Corte ha riconosciuto sussistente la violazione dell’art. 4, Protocollo 4, ma anche perché contribuisce a definire la fattispecie ed a scolpirne la fisionomia, è necessario precisare che il risultato della sentenza non è stato ottenuto all’unanimità, in quanto solo quattro dei sette giudici che componevano la camera di consiglio hanno ritenuto integrata la fattispecie.

È interessante, ai fini della definizione della fattispecie, un’analisi delle opinioni dissenzienti dei giudici componenti il collegio giudicante, limitandoci ad esaminare i pareri concernenti la violazione dell’art.4, Protocollo 4.

Ad avviso del giudice Velaers, non era possibile ritenere integrata la fattispecie delle espulsioni collettive e dunque non ha condiviso la decisione della maggioranza del collegio di condannare il Belgio per la violazione dell’art. 4, Protocollo 4.

Ha tuttavia espresso apprezzamento, per la precisazione della definizione della fattispecie, fornita dalla Corte, facendo riferimento anche al caso Andric c. Svezia165.

Ha ribadito la propria contrarietà alla scelta della maggioranza del collegio, di ritenere integrata la fattispecie in questione, qualora l’espulsione del gruppo fosse avvenuta a seguito di un esame oggettivo ed individuale. Ha aggiunto, inoltre, che il Belgio era stato condannato, non tanto a causa delle modalità del rimpatrio, attraverso dunque voli “collettivi” o perché gli stranieri erano stati oggetto di una misura

collettiva, bensì perché la Corte aveva dubitato della reale esistenza di esami individuali delle situazioni dei singoli, ed era da quest’ultimo punto che il giudice intende prendere le distanze.

Ha manifestato inoltre, al punto 6, la propria contrarietà riguardo ai dubbi mossi dalla maggioranza del collegio, rispetto all’assenza di un esame individuale, precedente le misure di allontanamento, emesse in data 29 settembre 1999, le quali facevano unicamente riferimento all’art. 7 della legge interna sugli stranieri, senza alcuna considerazione delle situazioni particolari dei soggetti. Ad avviso del giudice Valaers, i provvedimenti del 29 settembre non potevano essere considerati disgiuntamente dai precedenti, che invece erano giustificati da esami individuali. Al contrario, valutandoli separatamente, ed attribuendo estrema rilevanza all’ultimo provvedimento di allontanamento, la Corte sembra introdurre un elemento formalistico nella nozione di espulsioni collettive. Il giudice avrebbe preferito una decisione più conforme a quanto precedentemente affermato nel caso Andric, in cui la Corte aveva chiarito che l’emanazione di provvedimenti di espulsione redatti in termini simili non deve automaticamente condurre a ritenere integrata la fattispecie di espulsioni collettive qualora ciascun individuo abbia avuto la possibilità di opporsi al provvedimento di espulsione166.

Inoltre, la decisione della Corte è stata dettata anche dalle circostanze concrete in cui è avvenuta l’espulsione, e dal contesto socio-politico in cui si è svolto l’evento. Ad avviso del giudice, le affermazioni dei rappresentanti delle istituzioni, che annunciavano allontanamenti collettivi, non avrebbero potuto in alcun modo influenzare le decisioni, adottate individualmente verso i ricorrenti, perché avvenute in un momento successivo all’emanazione degli ordini di rimpatrio.

Ha aggiunto che il fatto che le misure di espulsione fossero state precedentemente annunciate e programmate era dettato dall’esigenza di

economia ed organizzazione dell’esecuzione dell’allontanamento, e questo non poteva implicitamente sottendere l’avvenuta violazione della fattispecie167.

Le altre opinioni dissidenti rispetto all’avvenuta violazione dell’art. 4, Protocollo 4, erano quelle dei giudici Jungwiert e Küris. Essi, conformandosi per molti aspetti a quanto sostenuto dal giudice Velaers, non avevano ritenuto integrata la fattispecie in esame ed avevano addotto a sostegno della loro opinione, oltre alle osservazioni già prodotte dal giudice Valaers, elementi quali l’insufficienza di elementi probatori a sostegno dell’esistenza di pericoli per la loro incolumità in Slovacchia; l’esigua credibilità di cui godeva la signora Čonka a causa delle numerose contraddizioni rilevate nella sua ricostruzione dei fatti; la mancata presentazione del signor Čonka alla convocazione fissata per chiarire i motivi della richiesta d’asilo.

Ripercorrendo brevemente la giurisprudenza in materia di espulsioni collettive, già citata nel precedente capitolo, è possibile rilevare che l’ago della bilancia che ha orientato la tendenza della Corte ad escludere, negli anni, l’integrazione della fattispecie vietata, è stata la sussistenza o meno di un esame ragionevole ed obiettivo delle singole situazioni.

Nel caso Becker, la Corte non aveva ritenuto opportuno condannare la Danimarca per la violazione del divieto di espulsioni collettive, da un lato perché riteneva che il rimpatrio potesse essere la soluzione migliore per molti dei minori rappresentati dal ricorrente, ma soprattutto perché il Governo danese si era impegnato ad effettuare esami obiettivi di ciascun singolo caso168.

167

Cfr. Conka c. Belgio, cit. punto 8 dell’opinione dissenziente del giudice Velaers “Un

rapatriement en groupe, pour lequel les autorités nationales peuvent opter pour des raisons d'efficacité et d'économie, n'est évidemment pas réalisable sans une préparation préalable”.

168 Cfr. Becker c. Danimarca, cit. pag. 256 in cui la Corte afferma a proposito della

Allo stesso modo, nella già citata sentenza Andric c. Svezia, l’esperimento di esami individuali aveva escluso la violazione dell’art. 4, Protocollo 4. Difatti i ricorrenti avrebbero avuto in questo caso la possibilità di impugnare il provvedimento di espulsione verso la Croazia169.

Le stesse considerazioni valgono per il caso Alibaks e altri c. Olanda.

Nel caso in esame, la Commissione aveva ritenuto il ricorso inammissibile e la violazione dell’art. 4, Protocollo 4, insussistente. Il governo olandese avrebbe difatti espulso i ricorrenti individualmente, conferendo a ciascuno di essi la possibilità di impugnare il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno e di opporsi al provvedimento di espulsione, facoltà delle quali i ricorrenti si sarebbero avvalsi, ma non essendosi ancora espresse le autorità, al momento della proposizione del ricorso alla Commissione, quest’ultimo non era ricevibile a causa del mancato esaurimento delle vie di ricorso interne170.

Le stesse considerazioni valgono per il caso Sultani c. Francia171 in cui, nonostante l’esecuzione dell’espulsione attraverso voli collettivi celasse il sospetto di una violazione dell’art. 4, Protocollo 4 CEDU, la Corte aveva escluso l’integrazione della fattispecie perché il ricorrente aveva avuto la possibilità di opporsi all’espulsione e dunque di far esaminare la propria situazione. Infatti, nel caso in esame il ricorrente

que chaque cas soit examiné, dans la mesure du possible, selon ses mérites propres et qu'il peut être dans l'intérêt de certains des enfants d'étre rapatriés plutôt que de rester au Danemark, on ne peut parler en l'espèce d'expulsion collective “.

169 Cfr. Andric c. Svezia, cit. in cui al punto 1, della parte in diritto, la Corte afferma

“However, the applicant submitted individual applications to the immigration authorities and

was able to present any arguments he wished to make against his possible deportation to Croatia”.

170 Cfr. Alibaks e altri c. Olanda, ricorso n. 14209/88, decisione di ammissibilità del 16

dicembre 1988.

aveva proposto alle autorità francesi due domande d’asilo, di cui una posteriore all’ordine di espulsione. Le domande d’asilo avevano consentito al ricorrente di sottoporre le sue richieste e la sua situazione personale al vaglio delle autorità competenti, quale ad esempio l’OFPRA. Le autorità interne, prima di rigettare le richieste del ricorrente, avevano valutato, non solo la situazione generale dell’Afghanistan ma anche i rischi specifici che avrebbe potuto correre il soggetto in seguito all’invio nel suo paese d’origine. Pertanto la Corte aveva ritenuto che l’esame della situazione individuale fosse stato correttamente effettuato ed il provvedimento d’espulsione adeguatamente motivato172.

Dallo stesso episodio, che ha dato origine al ricorso Sultani, ha preso le mosse anche il caso Ghulami c. Francia173.La Corte al punto 2 della parte in diritto della sentenza, dichiarava che, nel caso di specie non aveva rinvenuto alcun elemento che permetteva di affermare che l’esame della situazione del ricorrente non fosse stato eseguito individualmente. La Corte non aveva ritenuto pertanto che sussistessero elementi che consentivano di discostarsi da quanto precedentemente