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La violazione dell’art 13 della CEDU

Capitolo terzo : La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di espulsion

3.2 Il caso Hirsi e altri c Italia

3.2.5 La violazione dell’art 13 della CEDU

I ricorrenti avevano infine denunciato la violazione dell’art. 13 in combinato341 con l’art. 3 della Convenzione e con l’articolo 4, Protocollo 4, in quanto non avevano potuto adire i giudici italiani per lamentare la violazione degli articoli appena menzionati.

L’HCR ha affermato che l’applicazione del principio di non respingimento implichi anche delle garanzie procedurali342, difatti l’articolo 13 stabilisce che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”343.

341Spesso, anche se non sempre, difatti l’articolo 13 viene invocato ed applicato in combinato

con altre disposizioni che sanciscono i c.d. diritti sostanziali. Giova citare la felice formula indicata nel Commentario breve alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti

dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, cit, pag. 512 in cui, s proposito della combinazione

tra l’articolo 13 e altri articoli della CEDU, si afferma che si realizza una “ fusione di contenuti garantistici”.

342

Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 193.

343Per un’analisi dell’articolo 13 cfr. Commentario breve alla Convenzione Europea per la

Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, cit, pag. 474 ss in cui si

afferma, prima di addentrarsi nel commento della portata dell’articolo, che la collocazione stessa dell’articolo 13 è indicativa. Esso ponendosi a chiusura dei c.d. diritti sostanziali che riguardano i principi sanciti dall’art. 1 a 12 e una serie di garanzie che dovranno essere applicati in combinato con altri diritti che vanno dall’articolo 13 a 18. La disposizione contiene principi di solidarietà e sussidiarietà. La solidarietà è data dall’impegno degli Stati a rispettare e conferire i diritti sanciti dalla Convenzione. La sussidiarietà consiste nell’obbligo per le autorità nazionali di fornire tutela contro eventuali violazioni degli articoli della CEDU. È da sottolineare inoltre, che il diritto a ricorsi interni effettivi era già stato previsto da altre Convenzioni e trattati di diritto internazionale ad esempio l’articolo 8 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo che recita “Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge”; cfr. altresì l’art. 25 della Convenzione interamericana e, in una certa misura, degli articoli 7 par. 1 e 26 della

I ricorrenti hanno ricondotto la causa della violazione dell’art. 13, da parte delle autorità italiane, all’illiceità del comportamento posto in essere dalle stesse. Il respingimento collettivo in alto mare non sarebbe previsto dalla legge italiana ed inoltre, anche ammesso che i migranti avessero avuto la possibilità di chiedere asilo, essi senz’altro non avevano potuto godere delle garanzie procedurali previste dall’ordinamento italiano dato che si trovavano a bordo di navi344.

Ed è proprio sulle circostanze peculiari in cui si è svolto l’evento che si è basata la difesa del Governo.

Il Governo aveva innanzitutto lamentato, in via preliminare, l’irricevibilità del ricorso sotto il profilo dell’art. 13 perché i ricorrenti non avevano esperito le vie di ricorso interne, per far valere la responsabilità penale degli ufficiali della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera coinvolti nei respingimenti345, prima di adire la Corte EDU in conformità alla regola del previo esaurimento dei ricorsi interni come condizione necessaria per adire la Corte di Strasburgo346.

Nella difesa di merito aveva dichiarato che le autorità italiane non avevano potuto garantire ai migranti il diritto d’accesso ad una istanza nazionale a causa delle circostanze specifiche in cui si era svolto il fatto. Ad avviso della difesa del nostro Paese i ricorrenti avrebbero dovuto347 adire le istanze nazionali per lamentare la violazione degli

Carta africana; l’art. 2, par. 3 del Patto Internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici.

344Cfr. N. Hervieu, Interception et refoulement des migrants en haute mer, cit. secondo il

quale le espulsioni collettive in alto mare rilevano il desiderio delle autorità di sottrarsi all’adempimento dell’obbligo procedurale che è sancito nell’articolo 13.

345

Rilevante in tal senso una notizia ANSA, secondo la quale il 22 aprile 2010 la procura di Siracusa, per il respingimento di 75 migranti avvenuto tra il 29 ed il 31 agosto del 2009, ha disposto il giudizio per concorso in violenza privata del direttore della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno e di un generale della Guardia di finanza e non dei militari della Guardia di finanza che intervennero materialmente, in quanto avevano operato per ordini superiori non manifestamente illegittimi.

346

Cfr. Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 61.

347Cfr.Hirsi e altri c. Italia, cit, par. 192 “Nel corso dell'udienza innanzi alla Grande Camera,

articoli 3 della CEDU e 4 del Protocollo 4 ed aveva avvalorato la propria tesi soffermandosi sul fatto che i ricorrenti ai quali era stato riconosciuto lo status di rifugiato dall’HCR avrebbero avuto la possibilità di entrare in qualsiasi momento in Italia. È da sottolineare che il Governo aveva ammesso che sulle navi non sarebbe stato possibile adire le autorità nazionali ma sul punto è necessario chiarire che se anche fosse stato possibile, la nave non viene ritenuta dall’UNHCR un luogo idoneo allo svolgimento delle procedure di identificazione.

Sorge spontaneo chiedersi in quale modo tale irregolarità potrebbe, ad avviso del Governo, essere imputabile al comportamento o, in questo caso, ad un’omissione dei migranti, che di fatto sono stati prelevati e trasportati a loro insaputa, verso il porto dal quale erano partiti.

Non si comprende come, ad avviso della difesa italiana, i migranti avrebbero potuto adire le istanze nazionali dato che sono stati respinti forzatamente in un paese in cui sono tristemente note le condizioni delle carceri, raramente infatti i prigionieri hanno il diritto di entrare in contatto con gli avvocati, e sono ormai pacifiche le enormi lacune nel sistema del diritto d’asilo, dato che nonostante la presenza dell’ufficio dell’HCR a Tripoli, in sporadici casi i migranti riescono ad ottenere colloqui con i rappresentanti dell’ufficio. Inoltre, sembra doveroso sottolineare che, pur volendo astrattamente ritenere che i migranti abbiano avuto la possibilità di adire i giudici nazionali, il ricorso non sarebbe stato comunque effettivo come richiesto dall’art.13. Ci si chiede infatti quale “effettività” potrebbe avere un ricorso esperito dopo l’esecuzione di un’espulsione che ha esposto i ricorrenti al rischio di torture e trattamenti vietati ex art.3.

ottenere il riconoscimento e, eventualmente, la correzione delle lamentate violazioni della Convenzione”; per una critica alla difesa del Governo cfr. A. Dembour, Interception at sea, cit. in cui l’Autrice sottolinea che la Corte ha ritenuto integrata la violazione dell’articolo 13 anche perché la spiegazione fornita dal Governo difendendosi dall’accusa di aver privato i migranti di un ricorso effettivo sembra priva di realismo. L’Autrice parla di “lack of realism”.

Organizzazioni Internazionali come l’AIRE, Amnesty International e la Federazioni internazionale dei diritti umani hanno sottolineato che era onere delle autorità italiane informare i migranti della possibilità di richiedere protezione internazionale ed era loro onere assicurarsi che gli interessati avessero la possibilità effettiva di contestare il respingimento e di ottenere un esame della richiesta prima dell’esecuzione del respingimento. Il dovere d’informazione è particolarmente importante in alto mare, in quanto raramente i migranti conoscerebbero il diritto nazionale e avrebbero la possibilità di entrare in contatto con legali e con interpreti.

La Corte ha dapprima rigettato l’eccezione preliminare del Governo perché il mezzo di ricorso da esso indicato non poteva essere considerato effettivo, essendo privo di effetto sospensivo.

Analizzando nel merito la questione, ha ribadito che il ricorso richiesto dall’art. 13 doveva essere “effettivo” e che l’istanza nazionale da adire non doveva necessariamente essere un’autorità giudiziaria, purché fosse in grado di garantire l’effettività del ricorso.

Tale caratteristica differenzia l’articolo 13 da altre disposizioni che hanno contenuto analogo all’articolo in esame, ma prevedono un espresso richiamo ai tribunali o alle autorità giudiziarie348.

È necessario tuttavia che l’autorità nazionale sia indipendente ed imparziale nella soluzione della questione tra le parti in causa. Ad esempio potrebbero prospettare profili di criticità i c.d. ricorsi politici in cui l’istanza nazionale da adire è un organo di natura politica e quindi carente dei requisiti di indipendenza.

L’effettività del ricorso deve essere valutata con riguardo al diritto materiale collegato349.

348

Cfr. art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; cfr. art. 25 Convenzione interamericana dei diritti dell’uomo.

349Cfr. Commentario breve alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti

Dalla prassi della Corte EDU si evince come la combinazione dell’articolo 13 con altre disposizioni della CEDU possa dar luogo ad esiti diversi in funzione di tre parametri350: la natura delle norme evocate, che possono essere di diritto sostanziale o procedurale, il loro contenuto e la gravità delle violazioni denunciate. È importante precisare che parlando di contenuto si fa riferimento alle circostanze peculiari del caso di specie, che possono aggravare o affievolire la garanzia dell’effettività, ad esempio in nome di esigenze di ordine pubblico o sicurezza nazionale.

Le condizioni necessarie affinché si possa definire un ricorso come “effettivo” sono l’accessibilità e l’adeguatezza.

È necessario che il ricorso sia accessibile al soggetto che intende adire l’autorità giudiziaria e ciò significa che deve essere praticamente disponibile.

Il parametro dell’adeguatezza attiene invece alle caratteristiche dell’autorità nazionale competente alla valutazione del ricorso che adotterà le misure necessarie tenendo conto della doglianza lamentata dai ricorrenti e dalle circostanze particolari.

L’autorità competente potrà pertanto, affinché la sua attività possa dirsi adeguata, ed il ricorso effettivo, porre in essere misure riparatorie o cautelari, come avrebbe necessitato il caso Hirsi.

Entrambi i presupposti citati, che contribuiscono a realizzare l’effettività del ricorso, nella prassi sono concretizzati attraverso l’attuazione del principio del contraddittorio, la trasparenza e la pubblicità degli atti, la certezza dei termini e la ragionevole durata del processo, la presenza della difesa tecnica e l’adeguato accertamento dei fatti contestati.

350Cfr Commentario breve alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti

In situazioni di urgenza in cui la violazione degli articoli della CEDU conduce ad un danno irreparabile, come nel caso Hirsi essendo stati i ricorrenti sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, l’unico rimedio che può garantire la compatibilità del ricorso con l’articolo 13 è l’esperimento di misure cautelari che sospendano il comportamento lesivo della Convenzione.

La garanzia dell’effettività del ricorso interno produce in questi casi un’anticipazione della tutela che potrà prevenire l’eventuale violazione “potenzialmente irreversibile”351 della Convenzione, fatto salvo il ricorso alle misure provvisorie ex articolo 39 del Regolamento di procedura.

Nel caso di specie, la violazione del diritto ad un ricorso effettivo è stata esaminata in combinato disposto con la violazione dell’art.3 CEDU e 4 del Protocollo 4.

La combinazione dell’art. 13 con l’art. 3, considerando che la violazione di quest’ultimo potrebbe esporre il soggetto al rischio di torture o trattamenti inumani e degradanti e considerando pertanto l’irreversibilità del danno che può essere cagionato, ha indotto la Corte a ritenere necessario, per garantire l’effettività del ricorso, da un lato un esame individuale, indipendente e rigoroso delle situazioni personali dei singoli, e dall’altro la sospensione della misura oggetto del ricorso352.

Nel caso di specie la Corte ha osservato che i ricorrenti non avevano avuto accesso ad alcuna procedura di identificazione e non erano stati sottoposti ad un esame individuale.

351

Cfr. Commentario breve alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti

dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, cit, pag. 496.

352Cfr. in tal senso, sull’effettività del ricorso Jabari c. Turchia, ricorso n. 40035/98,

Non avevano avuto alcuna informazione né sulla loro destinazione, infatti credevano di essere diretti in Italia, né sulla procedura di richiesta d’asilo alla quale avrebbero potuto accedere.

Inoltre, il mezzo di ricorso indicato dal Governo di agire contro i militari coinvolti non poteva essere considerato effettivo per l’assenza dell’altro requisito fondamentale, la sospensione dell’esecuzione della misura353.

La definizione in tal senso del significato di “effettività” del ricorso trova conferma anche nel caso Čonka in cui la Corte aveva consacrato il principio secondo il quale l’effettività del ricorso deve automaticamente comportare la sospensione della misura di espulsione354.

Sulla necessità della sospensione della misura sembra degna di essere menzionata anche la sentenza Gebremedhin c. Francia355, che, anche se non innovativa rispetto a quanto precedentemente affermato nella sentenza Čonka, merita di essere menzionata perché ha applicato e contribuito alla definizione dell’effettività del ricorso e della sospensione dell’esecuzione della misura in circostanze diverse.

Nel caso di specie, il ricorrente Asebeha Gebremedhin, era un cittadino etiope che nel 1988 era stato costretto a lasciare l’Etiopia per trasferirsi in Eritrea dove aveva deciso di dedicarsi alla carriera di photoreporter. A causa della sua attività giornalistica, era stato imprigionato e, in carcere, sottoposto a misure inumane e degradanti.

353

Cfr. in tal senso il caso Gebremedhin c. Francia, ricorso n. 25389/05, decisione del 26 luglio 2007 ; M.M.S. c. Belgio e Grecia cit.

354Cfr. Čonka c. Belgio, cit, par. 79 in cui la Corte ha affermato “l'effettività dei ricorsi

richiesti dall'articolo 13 presuppone che questi possano impedire l'esecuzione delle misure contrarie alla Convenzione e le cui conseguenze siano potenzialmente irreversibili (…). Di conseguenza, l'articolo 13 si oppone al fatto che tali misure siano eseguite anche prima che le autorità nazionali abbiano terminato l'esame della loro compatibilità con la Convenzione. Tuttavia, gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione sulle modalità con cui conformarsi agli obblighi loro imposti dall'articolo 13 (...)”.

Era riuscito a fuggire dall’Eritrea alla volta della Francia, ma a Parigi gli era stato negato l’accesso in territorio francese.

Aveva proposto pertanto domanda d’asilo ed era stato conseguentemente interrogato da un agente dell’OFPRA (Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi) che, riscontrando inesattezze ed imprecisioni nel racconto del ricorrente, aveva rigettato la richiesta d’asilo. In base al parere negativo dell’OFPRA, il Ministero dell’Interno aveva ordinato il respingimento del ricorrente. Quest’ultimo aveva adito il tribunale amministrativo competente, ma anch’esso aveva deciso per il rigetto della domanda d’asilo ed il conseguente respingimento del soggetto.

L’espulsione era stata tuttavia sospesa perché l’ambasciata Eritrea aveva negato l’accesso al territorio al ricorrente.

Gebremedhin aveva adito infine la Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando la violazione degli articoli della Convenzione 2, 3 e 13 combinato con l’art. 3.

La Corte aveva chiesto al Governo francese di sospendere, ai sensi dell’art. 39 del suo regolamento interno della Corte, l’esecuzione della misura di espulsione. In attuazione di tale richiesta, il Ministro dell’interno aveva autorizzato il ricorrente ad accedere al territorio francese e l’OFPRA gli aveva riconosciuto lo status di rifugiato.

In relazione all’articolo 13, la Corte ha constatato che la procedura francese di esame delle domande d’asilo offre garanzie sufficienti poiché prevede un primo esame dell’OFPRA, la possibilità di impugnare la decisione dinnanzi ad una commissione avente natura giurisdizionale ed il divieto di espulsione del richiedente durante tutta la procedura.

Per accedere a tale procedura è necessario tuttavia essere in territorio francese.

Se, come nel caso di specie, il soggetto si presenta alla frontiera, è necessario che venga preventivamente ammesso al territorio. In questo caso l’individuo può proporre domanda d’ingresso “ au titre de l’asile” che, in caso di rigetto, consente alle autorità di rimpatriare immediatamente il richiedente. Per ottenere una sospensione della misura il ricorrente può chiedere un “référé-suspension” al giudice amministrativo, che potrà ordinare tutte le misure necessarie alla salvaguardia delle libertà fondamentali dell’individuo.

La Corte ha tuttavia constatato che nemmeno l’istituto del “référé- suspension” ha automatico effetto sospensivo perché l’amministrazione potrebbe procedere all’espulsione nelle more di giudizio. Ed è proprio per l’assenza di automatismo della sospensione che la Corte ha ritenuto che una tale prassi non consenta di garantire l’effettività del ricorso ai sensi dell’articolo 13 quando quest’ultimo sia invocato in combinato disposto con l’articolo 3.

Concludendo sul caso Gebremedhin, è necessario sottolineare che la sentenza in questione “costituisce l’apice di una tendenza giurisprudenziale volta ad ampliare la portata dell’art. 13 al fine di offrire tutela processuale avverso le espulsioni di cittadini stranieri in generale e nell’ambito delle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato in particolare”356.

Tornando all’analisi del caso Hirsi, sull’argomento allegato dal Governo secondo il quale i ricorrenti avrebbero dovuto, nonostante l’espulsione, adire i giudici italiani, la Corte ha risposto che, anche se la possibilità di esperire ricorso esisteva in teoria, “un ricorso penale a carico dei militari che si trovavano a bordo delle navi dell'esercito manifestamente non soddisfa le esigenze dell'articolo 13 della

356Cfr. F. De Vittor, Diritto ad un ricorso effettivo e procedure per il riconoscimento dello

status di rifugiato: la sospensione della misura di espulsione, Diritti umani e diritto internazionale, 2008.

Convenzione, dal momento che non soddisfa il criterio dell'effetto sospensivo sancito dalla sentenza Čonka”357.

Nel caso di specie, dunque, considerando la mancata identificazione dei soggetti, l’assenza di informazioni sulla loro destinazione e sulla possibilità di richiedere protezione internazionale, la mancata esecuzione di esami individuali delle persone a bordo, la Corte non ha potuto che rigettare l’eccezione di non esaurimento dei ricorsi interni e condannare l’Italia anche per la violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 della CEDU e con l’articolo 4 del Protocollo4358.

3.2.6 La condanna: misure di carattere generale e misure di