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Nei paragrai precedeni ho intrapreso un'analisi dei signiicai che uno degli elemeni del paesaggio vericale ha assunto per un paricolare gruppo nella comunità: ho cercato infai di comprendere in che modo i lavoratori di una delle fabbriche di Porto Marghera hanno vissuto la presenza incombente delle torce più alte dell'intero petrolchimico quando queste facevano parte della quoidianità, e che cosa siano poi diventate per loro quelle stesse torce quando alcuni di loro hanno cominciato a salirci sopra, non più per le indagini di campionamento per valutare lo stato di salubrità dell'aria, ma per comunicare oltre i conini di Porto Marghera e della laguna in quale condizione lavoraiva si trovavano i dipendeni della Vinyls. Adesso è però necessario ritornare al livello del mare e integrare questo elemento del paesaggio, la torcia, in un'altra dimensione del paesaggio invece orizzontale, cioè in rapporto all'asse viario da cui è parita l'osservazione, che è via Fratelli Bandiera. Come abbiamo già avuto modo di approfondire, ad un capo della strada si trova quell’ediicio che rappresenta in un certo senso il corrispeivo delle torce, il capannone del petrolchimico, costruito come conseguenza di un crescente bisogno di aggregazione e confronto da parte delle allora migliaia di operai di Porto Marghera su temi come salario e sicurezza. All'apparenza, le proteste della Vinyls poco hanno a che vedere con le manifestazioni di massa parite da quel capannone, con gli scioperi e i blocchi che coinvolgevano migliaia di lavoratori e con la retorica della classe operaia portata avani negli scorsi decenni. In realtà è possibile tracciare una linea di coninuità, che per gran parte passa anche dal tragito di via Fratelli Bandiera, e che congiunge le grandi manifestazioni di massa alla protesta mediaica e soggeivizzante degli ulimi decenni. Per seguire questo percorso è necessario però approfondire la quesione del valore del

lavoro, accennata dall'accentuazione anche solo terminologica del conceto di dignità presente nei racconi di Lucio e Nicoleta, e sopratuto riletere sulla complessità dell'intreccio fra la dimensione umana, soggeiva e totalizzante del lavoro e quella colleiva, atraverso i simboli a cui l'una e l'altra hanno atribuito signiicato e nell'alternarsi delle fasi storiche che hanno messo in luce entrambi gli aspei.

Come ho già accennato40

, una maina passeggiando lungo via Fratelli Bandiera mi sono imbatuta in una manifestazione di lavoratori del petrolchimico, che arrivava al capannone passando appunto da via Fratelli Bandiera. Questo corteo pariva da un luogo, la Porineria 9, che ho soltanto nominato en passant, ma che riveste un ruolo piutosto importante sia nella storia che nella rappresentazione dello stabilimento. La Porineria 9 si trova in via della Chimica: ci si arriva percorrendo la Strada Regionale 11 e poi svoltando in prossimità del cavalcavia di Malcontenta, da poco costruito, verso sinistra se si viene da Mestre e Marghera o, viceversa, verso destra venendo da Padova. Atraversando un paio di rotonde ci si trova all'inizio di via della Chimica: questa strada percorre l'intera lunghezza della penisola petrolchimica, dividendola quasi simmetricamente, mentre ai lai della strada si trovano le varie sezioni di quello che qualche decennio fa era un grande impianto petrolchimico integrato, di cui molto si chiamava Montedison. Per gran parte del tragito che porta ino al mare, ad oggi non è rimasto molto, se non alcuni pezzi di impiani in atesa di essere demolii o ediici cadeni immersi in distese di erba incolta, e tubi di ogni dimensione che corrono a varie altezze e che siatano vapore. In altri trai invece ci sono ancora delle pari in uso, come il grande parco serbatoi ovest, che si trova sul lato destro della strada andando verso il mare. La via è molto lunga, ma poco dopo averla imboccata già si trova la suddeta Porineria 9. Questa presenta delle sbarre, che consentono l'accesso soltanto a chi è autorizzato, e per questo moivo è coninuamente sorvegliata. Entrando dalla Porineria 9 e

proseguendo lungo la strada, sui due lai di essa si trovano altri ingressi, anch'essi numerai, da cui si accede ai vari scompari degli stabilimeni, per entrare nelle fabbriche vere e proprie. Quando c'è una manifestazione, com'è successo per quella del 5 otobre 2017, è molto probabile che si veriichino dei blocchi: dato che la Porineria 9 regola l'accesso alla grandissima maggioranza degli impiani produivi, infai, se la si blocca si può creare un enorme disagio con un impiego di forze non eccessivo, impedendo l'accesso all'intera penisola petrolchimica. Anche durante la vertenza Vinyls i lavoratori hanno messo in ato una protesta di questo ipo: la Porineria 9 è stata bloccata per quaranta giorni, in modo non totale (ad esempio, venivano fai regolarmente passare i camion che trasportavano materiali e gas di uso medicale) ma comunque sensibile, tanto che ad un certo punto è intervenuta la celere per sgomberare i lavoratori, che hanno risposto con un ato dichiaratamente nonviolento, come mi ha raccontato Nicoleta, ovvero sdraiandosi per terra, per evitare uno scontro direto. Nel ricordo di Nicoleta, come anche in quello di Lucio, questo fu un ato forte, forse in troppo, al punto che creò dei conlii fra gli stessi lavoratori, che non erano unanimamente d'accordo sul metodo della protesta, fatore che ha contribuito a far cambiare metodologia ai lavoratori che sono poi salii in iaccola, adotando la strategia di cui ho parlato nel precedente paragrafo. Stando al racconto di Nicoleta, però, la Porineria 9 ha anche un altro valore nella percezione dei lavoratori che la atraversavano ogni giorno, confermato anche da una situazione di fato, cioè che dentro alla Porineria 9, senza autorizzazione, non si può entrare.

Giada: Sono stata a Marghera, in giro per la zona industriale.

Nicoleta: Per “zona industriale” cosa intendi, dove sei entrata? […] Che sono i posi in cui puoi andare efeivamente, perché via della Chimica c'è il cancellone, di solito c'è una guardia, lì entreresi proprio dentro il petrolchimico.

[...]Oppure appunto qua, vabè qua sei già dentro le fabbriche, qua dentro, nel

qua ci son le guardie. Questo è il petrolchimico, questa è la zona industriale del petrolchimico.41

Nicoleta stava cercando di spiegarmi, tramite Google Maps, come arrivare al petrolchimico e in dove mi sarebbe stato consenito andare. Più volte durante l'intervista mi ha riportato la diferenza fra dentro e fuori, in dove si può andare e da dove invece inizia il petrolchimico, il «territorio ENI»42

, dove l'accesso è regolato, consenito solo agli autorizzai, e dove di fato entravano tute quante le persone che lavoravano nel petrolchimico di Porto Marghera, che insieme alla canierisica ed in parte anche alla chimica dell'azoto per i ferilizzani è stato il principale protagonista del boom di assunzioni che ha fato lievitare il numero di operai di Porto Marghera a oltre 35.000 più l'indoto nei primi anni '70. La disinzione che ha fato Nicoleta fra

dentro e fuori il petrolchimico, dunque, doveva estendersi ad un numero non quaniicabile, ma

comunque molto elevato, di lavoratori della zona, dato che tui quani entravano da lì prima di recarsi all'ulteriore cancello di soglia, che era quello degli ingressi, da cui si accedeva al proprio impianto:

Quando dico «l'entrata del petrolchimico» sbaglio in realtà: via della Chimica è la via che porta ino alla ine lì... al Canale dei Petroli per intenderci, dopo ci sono i vari ingressi, l'Ingresso 4, l'Ingresso 6, l'Ingresso 8, allora lì ci sono i tornelli per entrare dentro al petrolchimico.43

Nicoleta non parla esplicitamente di conini, ma deinisce chiaramente quali erano e quali sono le soglie – poste anche isicamente – da atraversare per andare a lavorare: per entrare in Vinyls, come mi ha deto anche Lucio nell'intervista di luglio, bisognava percorrere via Fratelli Bandiera per poi arrivare prima alla grande Porineria 9, che era la stessa per tui, poi nel caso speciico raggiungere l'Ingresso 4, che si trova un po' più avani sulla sinistra e dove oggi c'è un

41 Intervista a Nicoletta, 2 ottobre 2017. Corsivi miei. 42 Ibid.

cartello arrugginito che segnala il «territorio ENI». Questa suddivisione dello spazio non si sovrappone né alla semplice descrizione cartograica, né tanto meno all'immaginario ad essa riferito, che dipinge via Fratelli Bandiera come un divisorio fra le fabbriche e il resto del mondo. Per come è stato trateggiato, non esplicitamente ma chiaramente, da Nicoleta, per chi andava a lavorare al petrolchimico il divisorio era piutosto quella Porineria 9, completamente inserita nella dimensione industriale della penisola petrolchimica, che è stata teatro di manifestazioni i cui spetatori erano, in questo caso, esclusivamente i lavoratori. La dimensione cartograica deve quindi integrarsi con l'esperienza che le persone fanno dei luoghi rappresentai, per permetere di coglierne il signiicato: su questo punto è necessario introdurre alcuni concei elaborai da Pierre Bourdieu, nella sua teorizzazione dell’antropologia della praica. Nel libro Per una teoria della

praica (Bourdieu 2003 [or. 1972]) l'autore introduce il proprio approccio deinendo il modo in cui

tendenzialmente gli osservatori si accostano ad una cultura che non conoscono. Quesi si comportano infai, secondo Bourdieu, come se stessero leggendo una mappa: gli stranieri, non avendo dimesichezza dei luoghi e della praxis che li vede coinvoli, si servono di questo modello che permete loro di ideniicare una pluralità di iinerari possibili (Bourdieu 2003: 180). La mappa però, per la sua stessa natura di elaborato ato a servire da modello, si conigura come quello che viene deinito un opus operatum, cioè un fato, un prodoto, qualcosa di dato. Lo spazio geograico, così rappresentato atraverso delle mappe e degli schemi, funzionerà allora come uno spazio soltanto teorico, quale avrebbe potuto essere per me la schermata di Google Maps mostratami da Nicoleta se non ci fosse stata lei a raccontarmi da dove si passava per andare a lavorare: una dimensione eloquente e muta allo stesso tempo, contrassegnata da puni di riferimento ideniicai in modo immediato, come suggerisce Bourdieu, tramite una logica meramente opposiiva, che è quella di cui si serve la teoria per illustrare una dimensione ignota. In quest'oica, guardando una carta di Porto Marghera, sarebbe immediatamente intuiivo ideniicare via Fratelli Bandiera come

un asse divisorio fra il lavoro e la comunità, fra la cità e l'industria, al neto dell'ignoranza rispeto alle praiche messe in ato dagli individui. In uno spazio del genere, però, potrebbero di fato essere efetuate solo ulteriori operazioni teoriche, cioè degli «spostameni e delle operazioni logiche» che avranno con i movimeni e le trasformazioni realmente avvenute la stessa relazione che intercorre «tra il cane come animale celeste ed un cane che abbaia» (Bourdieu 2003: 266). Il punto, per l'autore, è che c'è una grande diferenza di signiicato fra una ipologia di spazio virtuale ed astrata, quale può essere quella rappresentata nelle mappe, ed uno spazio deinito come praico, dove cioè prendono forma i percorsi realmente efetuai dalle persone nella diacronia. Se assumiamo dunque che gli individui nello spazio tendono a considerarsi come il punto di intersezione di un sistema assiale individualmente e culturalmente condizionato, pressoché indipendente dai riferimeni descriivi della geograia “assoluta”, l'obieivo dell'etnograia dovrebbe essere quindi quello di far coincidere gli assi dell'ambito virtuale e quelli del sistema connesso alla memoria e al corpo, in mondo che il primo sistema non sia più da leggere come completamente slegato dalle vite dei soggei che lo percorrono, bensì integrato e corredato da esperienze e narrazioni.

La dimensione esperienziale raccontata in queste pagine è principalmente quella di Nicoleta e Lucio, che ogni maina percorrevano via Fratelli Bandiera per andare a lavorare. Per ceri versi si tratava quindi di un semplice trato di strada, aferente ancora alla dimensione domesica, che era separata da quella lavoraiva dalle sbarre della Porineria 9; per altri, invece, si tratava del luogo in cui lavoro e vita domesica si incrociavano, strada da percorrere in corteo, da atraversare per andare a partecipare alle assemblee dei lavoratori petrolchimici nel capannone, e da ulimo, specialmente per i lavoratori della Vinyls, dell’orizzonte oltre il quale guardare per indirizzare la propria protesta e trovare un modo per far ascoltare la propria voce al di fuori dei

conini della fabbrica, chiusi fra porinerie ed ingressi, in mezzo a quegli impiani giganteschi così diicili da spiegare.

Nei decenni della piena occupazione, migliaia di donne e uomini hanno vissuto fra tubi e serbatoi delle vicende che li hanno coinvoli e segnai personalmente, e che possono averli legai a doppio ilo con l'ambiente della fabbrica e con gli elemeni di quel paesaggio. In alcuni casi si è tratato di una quesione di coningenze dovute alla fase storica, in altri invece ho riscontrato che si è sviluppata una forma di ataccamento afeivo ad alcuni oggei o dinamiche. È quello che è successo a Milo, con le sue torri dell'impianto del diciclopentadiene.

CAPITOLO III

GESÙ LAVORATORE