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Marghera fa rima con fosgene

1. Un abbandono rumoroso

1.2. Marghera fa rima con fosgene

E dove più discreto è l’odore dei fosfai

e meno greve il soio di eilene noi s’atende il profumo d’erba tagliata

del fosgene.12

Il 28 novembre del 2002 è la data che moli a Marghera ricordano come il giorno dell’incidente al fosgene. Nel tardo pomeriggio, nell’impianto TD5 di proprietà dell’azienza Dow Poliuretani, succursale italiana del colosso chimico americano Dow Chemical, si veriicò uno sversamento di peci clorurate, un prodoto di scarto che si oiene nel processo di lavorazione del TDI, toluendiisocianato, un di-isocianato aromaico che serve per la produzione dei poliuretani, cioè di plasiche da cui si ricavano vari ipi di materiali di uso comune, come imboiture, calzature, sedili, vernici o adesivi. Questo sversamento di materiale fece sì che alle 19.42 scoppiasse un incendio, che però in breve sembrò essere diventato indomabile: nonostante l’intervento dei Vigili del Fuoco, le iamme non accennavano a diminuire. Laura Cerasi, che ripercorre i detagli di quella

12 Tratto dalla poesia Primavera (1992>1997) di Antonella Barina, presente nella raccolta Madre Marghera. Poesie

serata nel libro Perdonare Marghera (Cerasi 2007), ricorda che sul momento sembrava che non ci fosse una chiara cognizione di quello che stava accadendo, né del perché nonostante l’intervento dei Vigili del Fuoco aziendali, addestrai a risolvere situazioni del genere, l’incendio non venisse domato. Il grande pericolo però era un altro: vicino al luogo del primo scoppio si trovavano infai dei serbatoi di fosgene, nome tecnico cloruro di carbonile, un materiale estremamente pericoloso in quanto molto aggressivo e tossico, uilizzato anche come arma chimica durante la Prima Guerra Mondiale, e che si uilizza come materia prima proprio nella produzione dei poliuretani. I serbatoi si trovavano in sicurezza, ma si paventò la realizzazione di un notevole scenario di rischio, se quesi fossero stai raggiuni dalle iamme del primo scoppio, che oltretuto aveva causato un incendio fuori controllo. Si ritenne così che fosse il caso, per la primo volta nella storia del polo industriale di Porto Marghera, di suonare le sirene d’allarme per la popolazione13

. Tale sistema fu installato nel 1997 ed è stato tecnicamente potenziato nel 2011, grazie ad una collaborazione del Comune di Venezia con i Vigili del Fuoco e con la Protezione Civile. Il primo sistema di allertamento consisteva in 12 sirene, installate sui puni più elevai, come i campanili delle chiese e la torre dell’acquedoto di Marghera, e situate in luoghi strategici, così che, nell’eventualità di un incidente che potesse avere ricadute al di là dei conini della zona industriale, tuta quanta la popolazione interessata dal rischio, nelle aree di Marghera e Malcontenta, potesse essere avverita simultaneamente. Ad oggi le sirene sono state ridote a 6, e sono tecnicamente più precise sia nell’aivazione (non è mai successo che abbiano suonato “per sbaglio”) che nella qualità acusica, e con queste migliorie è stato possibile ampliare ulteriormente il raggio dell’area di allerta in caso di incidente. La sera del 28 novembre 2002, perciò, per la prima volta la popolazione di Marghera fu avvisata che c’era un rischio di incidente industriale rilevante, e che era parito il protocollo da seguire in emergenza. I mezzi di comunicazione dell’epoca, principalmente le radio e le TV locali, così come le macchine

13 Diverse dalle sirene di allarme degli stabilimenti, che si attivavano ogniqualvolta si verificasse un malfunzionamento che rendeva necessaria l’evacuazione dei lavoratori.

delle forze dell’ordine con gli altoparlani, avvisarono la popolazione di chiudere le porte e le inestre e di rimanere in casa, o di chiudersi nel posto più vicino in atesa di nuove disposizioni e del segnale del cessato allarme. Mentre la comunità di Marghera viveva minui di atesa e di ansia, alle 20.35, dopo un’ora dall’inizio del primo incendio, uno scoppio in un serbatoio adiacente a quello di peci clorurate dove era avvenuta la precedente esplosione si rivelò provvidenziale: scatenando un altro incendio, la seconda iamma tolse ossigeno alla prima, e di fato la spense, rendendo la situazione gesibile da parte dei Vigili del Fuoco, e scongiurando il rischio più temuto, la liberazione del fosgene dai vicini serbatoi. Alle 21.30 le sirene annunciarono il cessato allarme14

: l’incidente al fosgene quindi, di fato, non c’è mai stato. Secondo i dai ARPAV riportai da Cerasi, le due esplosioni liberarono in aria una nube contenente acido cloridrico e diossine, sostanze deinite nocive (Cerasi 2007). Fortuna volle però che il vento prevalente, di solito tendente a nord-est e quindi verso l’abitato di Marghera, quella sera soiasse nella direzione opposta, e quindi la nube fu sospinta verso l’acqua e non lambì, se non in minima parte, zone abitate. Nonostante la situazione fosse potenzialmente drammaica, non ci furono quindi conseguenze sulla salute di nessuno, se non dei pochissimi operai che erano in turno e si trovavano nei pressi del reparto Td5, e che comunque non riportarono danni permaneni.

Sembrerebbe quindi che, di fato, il 28 novembre 2002 a Marghera non sia successo niente di grave. Ma da quel giorno la percezione della comunità cambiò radicalmente a causa della grande paura, e l’incidente al fosgene, per quanto sia stato fortunatamente scongiurato, ha provocato un susseguirsi di azioni da parte dei citadini di Marghera, che fanno pensare quasi che per moli versi è come se quell’incidente si fosse efeivamente realizzato.

Dow Chemical è l’azienda che aveva assorbito la Union Carbide, tristemente nota alle cronache per essere stata responsabile del disastro di Bhopal del 3 dicembre 1984. Nell’estate

14 Per la scansione cronologica delle ore dell’evento si veda La rinascita della comunità cittadina di Marghera di Anthony Candiello.

dell’anno seguente all’incidente, fu invitato al fesival Marghera Estate l’atore ed autore Marco Paolini, che aveva scrito un testo proprio su quella strage, in cui si denunciano, fra le altre cose, le responsabilità mai accertate dei dirigeni e lo stato di devastazione che la popolazione e l’ambiente coninuavano a scontare, tramite inquinamento e malaie. L’associazione fra i due eveni, la strage di Bhopal e il non-incidente al fosgene di Marghera, fu immediata e si innestò profondamente nella coscienza della popolazione, che in dal momento dell’incidente aveva reagito chiedendo a gran voce la chiusura dell’impianto. L’obieivo è stato raggiunto nel 2006: come scrive Anthony Candiello nell’aricolo La rinascita possibile di una Marghera impossibile, «Dopo una travagliata storia di parziali riavvii, diicoltà manutenive,scarsa reddiività e opposizione della popolazione, l’impianto è stato deiniivamente chiuso nell’ambito di un piano mondiale di ristruturazione organizzaiva di Dow Chemical» (Candiello 2009: 5).

L’episodio del 28 novembre aveva scatenato però nella comunità una reazione ancora più immediata, probabilmente inatesa, che ha segnato nella storia di Marghera un cambiamento nella relazione fra comunità e realtà industriale, come sotolinea ancora Anthony Candiello in un aricolo del 2007 initolato La rinascita della comunità citadina di Marghera. Per lungo tempo, come precisa Cerasi, «la fabbrica non veniva conosciuta di per se stessa. Viverci accanto non signiicava averne esperienza direta» (Cerasi 2007: 78). Dopo i fai del 2002 divenne evidente che questa impostazione era inadeguata al contesto, perché la comunità si era rivelata impreparata a reagire ad una situazione del genere, e una parte della citadinanza cominciò ad esprimere l’esigenza di una maggiore presa di coscienza di quanto era presente al di là di via Fratelli Bandiera. Candiello racconta che, subito dopo l’iniziale indignazione, un gruppo di citadini si aivò immediatamente e pose già nei primi giorni di dicembre le basi per la creazione di una strutura auto organizzata, che prenderà il nome di Assemblea Permanente contro il Rischio Chimico, e di cui lo stesso Anthony Candiello farà parte in dall’inizio.