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Un pomeriggio, dopo una celebrazione nella chiesa di Gesù Lavoratore, in via Fratelli Bandiera a Marghera, mi sono fermata come di consueto con Giuliana e Milo a chiacchierare un po’. Milo è nato a Verona e si è trasferito a Marghera negli anni ‘50 per lavorare al petrolchimico. Mi ha raccontato che la sua prima esperienza di lavoro nelle industrie è stata a Milano ed è durata un anno, però le condizioni di lavoro erano molto dure e il costo della vita troppo caro per essere sostenibile, perciò aveva pensato di rinunciare. Avendo già un po’ di esperienza, però, l’azienda in quesione, la SICE, aveva deciso di trasferirlo nei neonai impiani di Porto Marghera, dove grazie al suo curriculum avrebbe potuto guadagnare qualcosa di più, e dove vivere non era così caro come a Milano. Milo accetò, e cominciò quindi a lavorare come assistente tecnico ai turni. Anche per lui vale quanto deto sull’estensione cronologica del periodo Montedison1

: Milo ricorda di essere arrivato a Marghera nel 1956 per iniziare a lavorare in Montedison, anche se l’inizio della fusione fra Montecaini ed Edison, le due aziende che daranno origine al gruppo, inizierà ben 10 anni dopo, nel 1966. Questo può essere dovuto al fato che molta della vita lavoraiva di Milo si è svolta in Montedison, con vari ruoli e ricadute anche sulla vita privata: dopo l’esperienza ai turni ha infai svolto molte altre mansioni, aumentando sempre di più il suo presigio in azienda e inendo per spostarsi per alcuni periodi anche in altre cità e nazioni per montare e smontare impiani. Milo ha

conosciuto Giuliana all’angolo fra via dell’Eletricità e via Fratelli Bandiera, un aimo prima dell’inizio della Strada Regionale 11, in prossimità di dove oggi si trova l’Ingresso 1 del polo petrolchimico e da dove si accede ad un’area che è in parte di proprietà del demanio portuale. Lì si trovava la fabbrica eletrochimica San Marco, una delle prime installatasi a Porto Marghera nella prima zona industriale già negli anni ‘20 del ‘900. Giuliana è la iglia di uno dei grandi diretori della San Marco dell’epoca, e viveva proprio lì, in quella zona di casete adiaceni alla fabbrica dedicate al personale impiegato, dopo essersi spostata dalla provincia di Belluno, sua terra d’origine. È proprio lì, in quell’angolo fra la fabbrica e la strada, che Milo ha incontrato Giuliana. La vedeva spesso, passando da lì nel tragito all’entrata e all’uscita da lavoro, inché una maina non ha pensato di salutarla. Giuliana e Milo hanno avuto quatro igli e vivono a Malcontenta, una frazione del Comune di Venezia a cui si arriva proseguendo da Marghera lungo la SR11 in direzione di Padova, che è un’area prevalentemente residenziale molto vicina alla seconda zona industriale e alla zona di Fusina. Li ho conosciui frequentando la chiesa di Gesù Lavoratore, un luogo estremamente interessante di cui parlerò approfonditamente nei prossimi paragrai, e da quando ho raccontato loro che stavo svolgendo una ricerca su via Fratelli Bandiera e su Marghera si sono oferi di raccontarmi un po’ di cose sulla loro vita e sulla loro esperienza, essendo stai quoidianamente a streissimo contato con la fabbrica e con tui i suoi aspei, ino alla colonia in cui andavano in vacanza i loro igli, che era organizzata dalla Montedison.

Quel pomeriggio, in paricolare, eravamo sedui al bar dell’oratorio che si trova dietro alla chiesa, e stavo mostrando loro le foto che avevo fato pochi giorni prima durante un giro in barca per i canali industriali2

. Infai, sia la prima zona industriale, dalla vocazione più spiccatamente portuale, che la penisola petrolchimica, sono atraversate da alcuni canali ariiciali navigabili, a cui si può accedere liberamente via mare e che sono un punto privilegiato di osservazione degli

impiani industriali. Durante l’iinerario abbiamo percorso anche il canale Malamocco – Marghera, costeggiando la seconda zona industriale. In quell’area si trovano degli impiani imponeni, ancora funzionani, di proprietà di ENI Versalis, l’atuale divisione petrolchimica dell’Ente Nazionale Idrocarburi. In quello stabilimento si trovano i repari denominai CR, in cui avviene il processo di

cracking dell’eilene: la molecola di eilene, un combusibile fossile che si trova ad uno stato grezzo,

viene leteralmente “spezzetata” in più pari, in modo che da tute le sue componeni si ricavino diversi prodoi intermedi che, dopo ulteriori fasi di lavorazione, andranno a formare i combusibili di uso comune come le benzine. L’impianto è atualmente in marcia, anche se ino a pochi giorni prima dell’iinerario ha subito una lunga fermata perché potesse essere messa in ato la veriica del suo correto funzionamento. Rispeto alle pari della penisola petrolchimica più vicine alla terraferma, quest’area è stata costruita più tardi, quando su tuta la parte retrostante si erano già insediate le principali industrie petrolchimiche, intorno alla seconda metà degli anni ‘60. Fa parte dell’impianto del cracking anche il ponte Bossi, il celebre arco che si vede da Venezia su cui Alessandro era salito durante la protesta della Vinyls3

, cosituito da un intreccio di tubi che collegano i repari alle torce d’emergenza. Oltre a questo, lo stabilimento è composto anche da moli camini che si trovano a ridosso del waterfront, perciò molto evideni da Venezia: sono tra le ciminiere più in vista tra quelle che emetono vapore, insieme alle due grandi torce d’emergenza che possono emetere anche una iamma.

Devo ammetere che trovarsi ai piedi di una costruzione del genere è quantomeno suggesivo, e nel caso speciico dell’iinerario a cui ho partecipato io, anche le condizioni atmosferiche contribuivano ad una percezione estremamente cupa dell’insieme. Il 19 otobre è stata una giornata molto grigia e fredda, lievemente nebbiosa e con un gran vento. Il cielo su cui si stagliavano gli impiani era di un colore grigio spento, che rendeva ancora più evidente il bianco del

vapore e richiamava il colore delle tubazioni, dei serbatoi e delle torce, quando non degli ediici in cemento abbandonai e sventrai. Il panorama con cui mi sono trovata a contato mi ha fato una forte impressione, sopratuto per il giganismo e per la tonalità cromaica delle costruzioni, completamente avulse dal contesto domesico quoidiano e apparentemente incurani della misura dell’uomo (ig. 13). Anche da questa prospeiva, sembra che sia stata paricolarmente eicace la descrizione data da D’Amico nella canzone Ti sa miga, che racconta Porto Marghera come un pianeta tuto infuocato che un giorno è precipitato nel mare4

.

Figura 13 – L’impianto del diciclopentadiene in funzione visto dal canale. Foto di Giada Bastanzi, otobre 2017.

In quegli impiani ha lavorato per moli anni anche Tiziano, l’operaio che ha cominciato in Agrimont, agli azotai, più o meno negli stessi anni in cui c’era anche Lucio, e che adesso si occupa insieme ad Anthony della quesione delle boniiche e dei marginameni lungo le aree industriali. La

sua carriera lavoraiva si è conclusa proprio in Versalis a causa di un bruto incidente sugli impiani. Tiziano mi ha raccontato durante la nostra chiacchierata che lì si producono «eilene, propilene, benzine, che dopo servono per fare il diciclopentadiene»5

, che a sua volta serve per la produzione di gomme, pneumaici e asfali. Mentre mostravo a Milo le foto di quegli impiani così imponeni e spaventosi, lui ha avuto un sussulto. Mi ha guardata e mi ha deto: «Le ho costruite io quelle! Sono le mie torri!»6

.

In realtà, questa informazione l’avevo già avuta durante l’intervista che avevo fato qualche tempo prima a Giuliana e Milo a casa loro, ma la vista della foto ha scatenato una reazione molto più densa di signiicato della semplice enunciazione nozionisica del fato.

Milo: Io ho fato 35 anni dentro […] E poi ho montato degli impiani lì dentro al petrolchimico, conosci no?

Giada: Questo petrolchimico qua? Milo: Qua qua, sì, qua. Con l’Edison.7

Ancora una volta, un elemento del paesaggio vericale arriva ad assumere declinazioni di signiicato estremamente divergeni fra loro. Le torce viste da Venezia sono avverite come il simbolo dell’inquinamento e del progresso dannoso, che ha intossicato la laguna metendone a repentaglio la sopravvivenza stessa, le iaccole della Vinyls sono diventate il simbolo della resistenza dei lavoratori dell’azienda durante gli anni che hanno preceduto la sua chiusura, e i camini del diciclopentadiene per Milo sono come una sua creatura, il fruto del duro lavoro dei decenni in cui è parito come assistente ai turni ed è diventato costrutore di impiani. È chiaro che il senso della frase «le mie torri» non è quello di un possesso, quanto piutosto di una reciproca appartenenza, come a voler segnare un legame fra la vita ed il lavoro tramite la valorizzazione dei

5 Intervista a Anthony e Tiziano, 4 ottobre 2017. 6 Diario di campo, 27 ottobre 2017.

prodoi di quest’ulimo. Si trata di un sistema integrato, che nel caso di Milo e Giuliana comprende ed atraversa la vita nella casa di Malcontenta, il lavoro al petrolchimico di Milo e la frequentazione di Giuliana della chiesa di Gesù Lavoratore. Tui quesi aspei, legai e per per ceri versi imprescindibili l’uno dall’altro, compongono – ma sarebbe più correto dire, al passato, componevano – le maglie di una società che si riconosceva nell’habitus del lavoro, metendone in ato le praiche, diversamente e soggeivamente declinate.

Nel racconto di Milo c’è molto di tuto ciò, sopratuto rispeto al casus belli delle lote operaie del 19688

. Nel capitolo precedente abbiamo analizzato come la praica lavoraiva abbia cosituito una determinante nella creazione di un habitus, secondo la deinizione di Pierre Bourdieu (Bourdieu 2003 [or. 1972]). Tale deinizione si aina e si arricchisce di ulteriori sfumature se si vanno ad ascoltare le singole storie delle persone che si riiene cosituissero il corpus della classe operaia, o più corretamente della classe lavoratrice. Si è deto, ad esempio, delle grandi rivolte che hanno coinvolto anche Porto Marghera ed hanno portato alle manifestazioni colleive per la rivendicazione dei dirii dei lavoratori, e nello speciico anche alla nascita del capannone per le assemblee che ancora oggi si trova in via Fratelli Bandiera9

. Se è vero, com’è vero, che dal punto di vista della partecipazione la stragrande maggioranza degli allora operai del polo petrolchimico parteciparono alle lote e contribuirono alla protesta, questo dato non ci concede comunque di appiaire la narrazione di quegli anni su un racconto “di classe”, in cui la pluralità dei puni di vista soggeivi soccombe alla visione unica predominante del soggeto colleivo.

Per essere ancora più precisi, la ricchezza della diversità contenuta nella molitudine numerica rischierebbe di perdersi, se si tenesse conto soltanto del punto di vista di quella maggioranza che certamente è stata determinante, ma non coniene in sé tute le possibili sfumature soggeive degli individui che la compongono. Gli habitus, come sosiene Bourdieu, sono

8 Diario di campo, ottobre 2017. 9 Cap. I, par. 4.

«principi generatori di praiche disinte e disinive» (Bourdieu 2003: 21),e in nome di ciò, oltre a creare categorie sociali disinte, permetono anche che all’interno di queste categorie si diferenzino vari puni di vista, che rappresentano gli individui come puni inglobai dallo spazio sociale (Bourdieu 1995; Bourdieu 2003: 26). Milo, ad esempio, non ha partecipato neanche ad una delle manifestazioni del 1968, anzi: ha una teoria tuta sua sul perché ci siano stai tui quei disordini in fabbrica, e racconta con orgoglio che nonostante fosse impossibile entrare lui è riuscito comunque a non perdere neanche un giorno di lavoro. Secondo la sua versione, in quei giorni davani alle fabbriche gli agitatori più accanii non erano gli operai, bensì delle persone che venivano da fuori, che non avevano niente a che fare col petrolchimico di Marghera e che avevano anzi tuto l’interesse a farlo chiudere. Secondo lui, infai, si tratava di qualcuno che veniva da Ferrara o da Ravenna, luoghi in cui si trovavano altri poli petrolchimici, e che avrebbe voluto che a Porto Marghera gli impiani fossero danneggiai per fare in modo che tuta la produzione si concentrasse su tali stabilimeni. Per questo Milo non ha mai voluto partecipare ad uno sciopero: per lui andare a lavorare era moivo di vanto, oltre che un segno di onestà e di integrità morale.

La sua descrizione dei fai che avvennero davani ai cancelli della fabbrica nei giorni più concitai del movimento del 1968 ricorda molto da vicino la scena di un celebre ilm del 1971 initolato La classe operaia va in paradiso, scrito e direto da Elio Petri con la collaborazione di Ugo Pirro e musicato da Ennio Morricone, che vinse il Grand Prix per il miglior ilm al Fesival di Cannes del 1972 . Il protagonista del ilm è un operaio di nome Ludovico Massa, deto Lulù, interpretato da Gian Maria Volontè, che ieramente lavora a ritmi serrai in una fabbrica chiamata B.A.N. e a causa della sua aitudine a produrre il più possibile viene coninuamente sbefeggiato ed ofeso dai colleghi. Accade però che un giorno Lulù, preso dalla foga del coimo e sovrappensiero a causa dei suoi problemi familiari e della stanchezza, ha un incidente in fabbrica in cui perde un dito della mano. A questo punto la sua coscienza si risveglia, rendendogli immediatamente evidente la

durezza delle condizioni di lavoro e lo stato di alienazione a cui questo l’ha condoto. Lulù allora si anima contro i padroni che non l’hanno proteto e che anzi hanno permesso che si riducesse in quello stato, e comincia a prendere parte alle sommosse che si stanno tenendo in quel periodo fuori dalla fabbrica, facendo del proprio incidente una rivendicazione. Nelle scene di rivolta fuori dai cancelli si disinguono netamente due categorie di igure: da una parte ci sono i sindacalisi, dall’altra gli studeni. I primi si fanno promotori di istanze più moderate, e propongono sì di portare avani la protesta, ma in maniera democraica e non troppo drasica. I secondi, invece, si presentano quasi come la nemesi del sindacato: sono esterni alla fabbrica e non ne sperimentano in prima persona i ritmi e le conseguenze, ma cercano di imporre la modalità dello sciopero generale, adducendo moivazioni esclusivamente ideologiche per giusiicare il loro estremismo. Davani alla fabbrica queste due ipologie di militani si confrontano, si gridano addosso e coi megafoni cercano di accaparrarsi l’atenzione degli operai, ma sicuramente i più agguerrii sono proprio gli studeni. Poco importa che nel ilm alla ine Lulù scelga di unirsi a loro cadendo poi in rovina: le somiglianze col racconto di Milo si osservano principalmente in due trai, nell’orgoglio del lavoro e della produzione e nell’evidenziare il fato che non tui gli operai erano d’accordo con quel che succedeva fuori dai cancelli, e che sopratuto davani alle fabbriche occupate il messaggio non era unitario e completamente rappresentaivo dei lavoratori.

Il ilm di Elio Petri è stato ben premiato, ma altretanto duramente criicato da varie categorie della sinistra dell’epoca, dai sindacalisi ai criici. La risposta del regista è stata che lo scopo della pellicola era quello di rappresentare «la classe operaia», e non di sostenere le ragioni di qualcuno10

, ed io trovo che anche questa afermazione abbia molto a che vedere con la visione alternaiva di Milo rispeto alla letura che generalmente si dà della rivolta operaia del 1968. La fotograia che spesso ci viene resituita, di una classe operaia monoliica e compata sulle proprie

posizioni, rischia di non rispetare la poliedricità delle esperienze umane, che individualmente trascendono ed arricchiscono quel quadro, e la storia di Milo ne è un esempio. Il dato che invece è imprescindibilmente ascrivibile alla comunità è la rete di esperienze, di servizi e di organizzazioni legai a doppio ilo con l’esistenza delle fabbriche, ma ancor più profondamente con il conceto e con la possibilità del lavoro. Questo diventa così la misura di molte vicende e degli scenari della vita, non tui necessariamente ambientai nelle fabbriche. Via Fratelli Bandiera presenta lungo il suo tracciato alcuni esempi di queste propaggini della fabbrica nella quoidianità: una di queste è il capannone del petrolchimico, ma ne esistono anche altre, come la chiesa dedicata a Gesù Lavoratore, che ha il sagrato e la facciata, rivoli verso la strada, che si estendono per un intero isolato dal lato abitato.