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Nel mese di luglio 2017 è stato annunciato l'abbaimento delle torce dello stabilimento di Ineos Vinyls Italia di Porto Marghera, impegnato ino a pochi anni prima nel ciclo del cloro e nella produzione di CVM, il cloruro di vinile monomero. Questo è un prodoto intermedio della lavorazione del PVC, nome in codice polivinilcloruro, che è un ipo di plasica molto difusa nell'uso quoidiano. Come già accennato nel capitolo precedente, il CVM è tristemente noto alle cronache di Porto Marghera per essere stata la sostanza ad elevata tossicità maneggiata dai colleghi di Gabriele Bortolozzo, addei al reparto CV, le cui mori e malaie contrate a causa della mansione lavoraiva sono state la scinilla per la messa in ato del processo al petrolchimico, di cui parlerò in modo più approfondito nel IV capitolo. Per la comprensione della presente argomentazione è però necessaria una piccola anicipazione. Com'è facile immaginare, a seguito del processo sono state smascherate molte delle condizioni di lavoro, sopratuto di quelle degli scorsi decenni, nei repari in cui si tratava il monomero del cloruro di vinile. Complice anche una non sempre chiarissima collocazione cronologia degli eveni (Barizza, Resini: 67), che ha fato sì che molto di quello che accadeva nei repari CV negli anni '50 e '60 sia stato riportato nelle tesimonianze del processo in riferimento al passato più recente se non al presente, il CVM ha subìto un processo di colpevolizzazione per quelle mori e quelle malaie che ha portato a una demonizzazione non solo

della sostanza stessa, ma per metonimia anche dell'intero ciclo produivo necessario alla realizzazione del PVC, compresi i repari di produzione e gli operai addei, quasi fossero tui quani complici degli omicidi perpetrai dalla chimica di morte1

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Gli anni successivi al processo sono stai quelli delle ulime grandi chiusure delle industrie di Porto Marghera, e in quello stesso periodo si colloca anche la vertenza Vinyls. Per vertenza Vinyls i miei interlocutori, ed io di conseguenza, intendiamo la storia della vicenda del fallimento dell'azienda, culminata nel 2014 con il deiniivo licenziamento dei lavoratori senza alcuna proposta di ricollocazione, e conclusasi in senso simbolico nel 2017 con l'abbaimento delle due alissime torri dell'impianto, le più elevate di tuto quanto il petrolchimico. Come abbiamo avuto modo di analizzare nel capitolo precedente, le torce hanno assunto prevalentemente un signiicato negaivo agli occhi della comunità, dovuto allo spostamento del punto di osservazione nella cità storica di Venezia e nella sua laguna. La vertenza Vinyls ci permete invece di osservare come questo stesso simbolo sia stato veicolo di un signiicato completamente diverso per un'altra parte della comunità, cosituita dai lavoratori dell'azienda e in paricolare da alcune persone, che hanno fato della torcia il simbolo della loro lota e in ulima analisi il simbolo della loro stessa condizione di lavoratori. Quella che andrò a raccontare è la storia di Nicoleta, Lucio e Alessandro, che a più riprese da quando nel 2009 hanno saputo che il loro posto di lavoro era a rischio sono salii sulla iaccola d'emergenza dei repari CV22/23 della Vinyls di Porto Marghera. Questa vicenda ci permete di entrare nello speciico di una delle storie dei lavoratori del polo industriale, ponendo atenzione ad alcuni puni cardine del rapporto fra quesi e il resto della comunità: in primo luogo, la ri-signiicazione del simbolo della torcia, da immagine della minaccia e dell'inquinamento

1 Non vogliamo il ciclo del cloro a Marghera, in Assemblea Permanente contro il Rischio Chimico, 4 marzo 2012.

Questo articolo, pubblicato sul blog dell'Assemblea Permanente contro il Pericolo Chimico a Marghera di cui faceva parte Anthony, è una lettera scritta a un possibile acquirente degli impianti che Ineos Vinyls stava per chiudere, scritta con lo scopo di motivare il rifiuto della comunità rispetto alla ripresa e alla prosecuzione della chimica del cloro a Porto Marghera, che ben esemplifica la posizione tenuta da una parte della comunità e la disposizione d'animo rispetto alle industrie chimiche e ai lavoratori in essa impiegati.

dell'industria a scenario preferenziale di una lota nonviolenta e mediaica, ragionata e focalizzata a scegliere, quando non a farsi scegliere da, gli interlocutori più adai a veicolare l'informazione della vertenza vergogna della Vinyls. Da questo punto ne consegue diretamente un altro, ovvero la relazione di coninuità rispeto agli storici simboli del lavoro a Porto Marghera, quale ad esempio il capannone del petrolchimico di cui ho parlato nel capitolo precedente: questo nuovo ipo di approccio nei confroni della comunità, infai, si diferenzia molto nei metodi da quello tradizionalmente perpetrato nei decenni da quella che è stata deinita come la “classe” operaia, ovvero la grande manifestazione colleiva per la rivendicazione dei dirii dei lavoratori. Un ulteriore piano d'analisi è quello della percezione dei lavoratori del conine fra fabbrica e cità: stando alle narraive elaborate nell'ulimo decennio su via Fratelli Bandiera dovrebbe infai essere questo il luogo considerato di soglia fra la comunità e il luogo di lavoro, mentre vedremo che nel caso dei miei interlocutori via Fratelli Bandiera è considerato un luogo domesico, di transito quoidiano, mentre il conine viene posto piutosto altrove, in prossimità dei cancelli delle porinerie d'ingresso agli impiani preseni lungo via della Chimica. Sempre in riferimento alla percezione dei lavoratori e alle praiche quoidiane messe in ato da essi, sarà poi interessante analizzare nel prossimo capitolo la narrazione che essi hanno elaborato rispeto alla realtà che conoscevano del petrolchimico, come una grande cità che è stata piena di vita, almeno inché le fabbriche non hanno cominciato a chiudere, e come l'insieme delle praiche e delle narrazioni aricolate da essi possano essere considerate parte di uno speciico habitus, secondo il senso in cui Pierre Bourdieu ha elaborato il conceto (Bourdieu 2003 [or.1972]). Questo ipo di approccio ha come ine ulimo l'analisi del rapporto fra la narrazione proposta dai lavoratori e dagli ex lavoratori e il resto della comunità, fotografato in un momento paricolare del processo storico che ha coinvolto Marghera e il suo porto industriale in dal principio della loro storia, rendendole una imprescindibile per l'altro e legandoli a doppio ilo in un rapporto sia di necessità che di riiuto con

la cità di Venezia. L'ambiguità e la sovrapposizione di piani nel raccontare la realtà del lavoro sono due trai che si riscontrano in moli degli studi sulla deindustrializzazione, che cercano proprio di far luce su quesi processi che fanno parte di un passato «just over the shoulder» (Garruccio 2016: 45), cronologicamente molto recente ma da cui spesso ci si sente distanziai a causa di una fratura di senso sviluppatasi più o meno gradualmente durante gli anni in cui le fabbriche iniziano a chiudere. Come in alcune ricerche portate avani nel setore, anche qui si cercherà di metere in risalto quali sono le contraddizioni sociali messe in ato dalla disconinuità storica della de- industrializzazione, quali sono gli efei dell'irrompere di grandi forze economiche nella vita quoidiana dei soggei e in che modo quesi hanno cercato di riafermarsi, senza subire passivamente l'azione di tali macrostruture, ma cercando per quanto possibile un dialogo e una relazione dialeica, spaziando nel set di azioni consenite ad essi o a piccoli gruppi per fronteggiare il mutamento dei rappori di forza e il cambiamento del clima storico-sociale.