• Non ci sono risultati.

Local knowledge: al conine fra Venezia e Marghera

5. Immaginario vericale

5.3. Local knowledge: al conine fra Venezia e Marghera

All’inizio del paragrafo 5 ho anicipato che l’immaginario vericale relaivo a Porto Marghera si sviluppa in due direzioni, quella del sotosuolo e quella del cielo. Per quanto riguarda la dimensione soterranea, abbiamo esaminato come un gruppo di citadini sia concentrando i propri sforzi nella comprensione della condizione atuale del fenomeno dell’inquinamento dei suoli e delle boniiche, per essere in grado di elaborare una proposta operaiva aricolata che contenga in nuce almeno la speranza di un futuro possibile. Risalendo verso il cielo si trova invece la simbologia dello skyline industriale, di quello che si scorge da via Fratelli Bandiera ma anche di quello che nei decenni è diventato invece il più celebre e rappresentaivo, cioè la silhouete degli

stabilimeni industriali che si vede dalla laguna. In questo panorama, oltre ai grandi serbatoi e all’arco del ponte Bossi, l’elemento maggiormente caraterizzante è quello della torcia. È proprio sulle torce che si è concentrata infai l’atenzione della cità insulare, che ha prodoto un immaginario basato sull’impressione di pericolo data dalla coninua emissione di vapori e dalle noizie riguardani la nocività e l’inquinamento prodoi dal polo industriale di Porto Marghera. In altre parole, nella sua evidenza, il fumo delle ciminiere è diventato il sintomo e la rappresentazione stessa dell’inquinamento prodoto dal polo industriale. In realtà, le torce altro non sono che dei disposiivi di sicurezza che si aivano quando nell’impianto c’è un disservizio. Ho chiesto ad alcuni dei miei interlocutori, che hanno lavorato nel polo, di cercare di farmi capire meglio che signiica quando le torce fumano:

Tiziano: Diciamo che qua… se l’impianto si ferma per disservizi, per mancanza di… di corrente, per mancanza acqua, mare o quant’altro… hai un volume talmente grande di idrocarburi, che se lasciai là andrebbero in pressione e creerebbero… scoppi eccetera eccetera, qui la valvola di sfogo qual è? Tuto il prodoto in eccesso, ino al limite di sicurezza, passa e va in iaccola, e viene… per fare un esempio, la pentola a pressione che ha lo siato. Ecco.

Giada: Mh. È un disposiivo di sicurezza, diciamo.

Tiziano: È il disposiivo di sicurezza di tuto l’impianto in caso di emergenza, e dopo ci sono altri disposiivi di emergenza, più piccoli diciamo, e comunque tui i disposiivi di emergenza convergono alla ine verso la iaccola.

Giada: Quindi quando si vedono bruciare le iaccole, per esempio…

Tiziano: Quando si vedono bruciare… tu puoi star tranquilla, puoi dire che Versalis è in blocco totale o in blocco parziale. Quando vedi la iaccola che lampeggia… un pochino, vuol dire che c’è un piccolo… una piccola anomalia, che di solito quelle piccole anomalie là… si si si cercava subito di… di di sistemarle insomma.42

Tiziano ha lavorato in Versalis e si riferisce quindi alle iaccole che si vedono ancora in funzione ogni tanto, che si trovano sulla riva opposta agli impiani rispeto a ponte Bossi. Quando si parla di iaccole in funzione ci si riferisce a quegli eveni in cui, oltre al consueto fumo bianco, si vede anche la iamma che fuoriesce dalla colonna, che come mi ha spiegato Tiziano può essere più

o meno alta a seconda della quanità del materiale da bruciare inviato in torcia. Lucio invece mi ha parlato delle iaccole della Vinyls, che erano le più alte di tuto il petrolchimico e si trovavano in corrispondenza dei repari CV22/23, e che funzionavano secondo lo stesso meccanismo:

Lucio: Quelle sono le iacche… le iaccole del fuori servizio, quando l’impianto andava in blocco, quelle butavano fuori… diciamo, c’è una potenza immensa, quando c’è stato un terremoto, tani anni fa, e le iaccole, tute le iaccole, perché il petrolchimico è andato in blocco!, e allora perché non sia pericoloso, va in blocco, e tuto quanto va butato all’aria. Si brucia, c’è un abbaimento…

Giada: Quindi, ma la roba che esce è…

Lucio: Brucia, brucia tuta la roba… la roba diciamo pericolosa, e la buta in aria. Giada: Siata fuori

Lucio: Siata… dopo, va sempre ea roba in aria, comunque… Giada: Sì, però meno che se si aprisse l’impianto, certo…

Lucio: Esato, esato, esato. Sì… questo xe come… come quei che ghe xe adesso xe caldaie, di casa, e xe un blocco dea caldaia, c’è sempre…

Giada: Sì c’è il coso, sì, ipo il salvavita dell’impianto… Lucio: Esato! Esato esato esato… [sorridendo]43

Per quanto riguarda il fumo bianco che si vede fuoriuscire dai camini, non si trata di fuoriuscite di gas inquinani: un ex collega di Tiziano mi ha infai spiegato che il vapore è una normale conseguenza del modo in cui funzionano le torce. Nella torcia viene inviato il materiale in eccesso che si trova nell'impianto in caso di un disservizio grave, atraverso delle apposite tubature, che nel caso dell'impianto del cracking aivo a Porto Marghera sono quei tubi che, intrecciandosi fra loro, compongono l'arco del ponte Bossi. Il materiale che arriva a pressione elevata e a temperatura variabile in base al ipo di sostanza necessita di essere bruciato all'interno del corpo della torcia, in modo che quello che esce dallo siato siano solo resi di materiale combusto. La parte inquinante e pericolosa viene quindi bruciata ad alissime temperature, e quello che rimane viene tratenuto tramite degli apposii iltri. Il vapore bianco che si vede abitualmente salire dalle torce è un normale vapore da camino, dovuto al fato che il disposiivo di

sicurezza dev’essere sempre acceso per essere pronto a bruciare all’istante il materiale nel caso in cui ne arrivasse dall’impianto in blocco: tant’è che alcuni dei camini più piccoli dell'impianto del

cracking invece non fumano nemmeno, perché essendo più receni sono dotate di un'apposita

tecnologia smokeless.

A ben pensarci, lo stesso termine “torcia”, “iaccola” usato per deinire i camini industriali rimanda all'immagine di un lungo corpo slanciato con in cima una iamma accesa. Ma, nonostante la normalità dell'evento di accensione delle iaccole d'emergenza degli impiani e la loro funzione di salvataggio, la comunità non percepisce quesi simboli come tranquillizzani, ma come spaventosi. Negli ulimi anni anche il Comune di Venezia, tramite il suo uicio di Protezione Civile e altri eni interessai come ARPAV (Agenzia Regionale di Protezione Ambientale del Veneto), ha deciso di segnalare sul sito web l'accensione delle torce, in modo che la citadinanza sia sempre informata del moivo per cui tale disposiivo viene messo in funzione e che si abbia la percezione di un evento previsto, soto controllo. Per ricollegarci a questo punto alla quesione delle reazioni delle pari esaminate della comunità rispeto all'immaginario vericale, e quindi alla biparizione della cità di Marghera causata dall’esistenza di via Fratelli Bandiera, ripariamo dal conceto di tecnica del corpo che ho enunciato, speciicandolo ulteriormente.

Già nella deinizione di Marcel Mauss del 1936 vengono rideinite sia la nozione di “tecnica” che quella di “corpo”. La prima viene sotrata al campo semanico della mera strumentazione ed acquisisce un signiicato più ampio: se prendiamo ad esempio il caso dell’etnologo sul campo, le tecniche non sono più soltanto quelle di trascrizione, di intervista e di registrazione delle informazioni, ma possono diventare tecniche, in un senso più ampio, tute le taiche messe in ato dal ricercatore per issare la comprensione del contesto a cui si approccia. Più in generale, diventano “tecniche” anche tui gli altri gesi che appartengono agli uomini in quanto membri di una cultura, che vengono prodoi servendosi del corpo come strumento di atuazione: guidare la

macchina, parlare una lingua, afrontare un contesto sociale in una determinata modalità. Allo stesso tempo, il conceto di corpo visto in quest'oica travalica i conini della biologia, e diventa il tramite atraverso cui viene realizzata la socializzazione delle praiche, e in senso inverso lo strumento atraverso cui le praiche sociali vengono riportate nell'ambito del signiicato soggeivo. La nozione di tecnica del corpo introduce quindi il punto di vista dell'uomo totale, che coinvolge considerazioni isiche, ma anche psicologiche e sociologiche (Mauss 1991 [or. 1936]). L'apprendimento delle tecniche del corpo avviene per imitazione: il soggeto immerso in un contesto sociale riproduce quegli ai che hanno avuto esito posiivo in quello stesso contesto, sopratuto se compiui da un individuo dotato di una qualche autorità. Il corpo, quindi, diventa il primo e più naturale strumento che l’uomo, inteso in senso totale, uilizza per apprendere entro la propria società.

Nella dimensione dell'uomo totale rientrano le praiche esaminate nei paragrai precedeni: la prima, la paura della torcia, è una modalità di reazione all’apparenza isiniva a una forma che rimanda ad un immaginario di minaccia, ma che rappresenta invece il segno di una straiicazione di impressioni dovuta allo spostamento, avvenuto lungo un determinato periodo storico, del punto di vista nei confroni dello scenario industriale. La seconda praica invece, la concentrazione sulla boniica dei suoli, comporta un notevole impegno tecnico che implica uno studio ed un apprendimento speciico, e riporta soltanto apparentemente l'atenzione sul luogo in cui insistevano gli impiani, ma come abbiamo avuto modo di osservare è anch'essa sintomo di una mutata sensibilità ambientale e di una maggiore atenzione all'ecosistema lagunare, all'equilibrio e alla salubrità delle acque e in deiniiva alla sopravvivenza di Venezia stessa, stretamente ed esclusivamente dipendente dal suo ambiente originario. Sia l'una che l'altra praica possono essere considerate parte della composizione di quella che l’antropologo Gianluca Ligi, in un aricolo che riprende la deinizione di tecniche del corpo di Mauss, deinisce local knowledge: «Una rete

capillare di microsaperi praici, condivisi e rouinizzai, tremendamente complessa anche se appare – a chi ne è immerso – come del tuto ovvia» (Ligi 2008: 10).

Nell'analisi di questo ipo di sapere locale è importante non dimenicare il contributo della tecnologia alla composizione di esso: questa infai è «[...] un'impegnaiva categoria teorica, non separata dalla compresente sfera delle relazioni sociali e delle idee culturali» (Ligi 2008: 11).

Ligi colloca queste deinizioni nell'ambito di studi delle teorie della praica, che si occupano di studiare l'insieme delle praiche sociali ordinate nel tempo e nello spazio, spesso poste in essere dagli atori sociali con diversi gradi di consapevolezza. Nel nostro caso, per quanto riguarda l'impegno sulle boniiche il livello di consapevolezza degli atori sociali rispeto alla praica che metono in ato è piutosto elevato, tenendo conto anche del fato che si trata di un gruppo sociale composto da pochi membri e molto coeso, in quanto parte di uno schieramento poliico impegnato in un certo ipo di aivismo, quale è il Meetup del movimento Grillivenezia. Nel caso della risposta generale degli abitani della cità di laguna al fumo dei camini industriali invece la consapevolezza di metere in ato una praica fruto di una determinata processualità storica è sicuramente molto limitata, e l'atenzione non si focalizza sul problema del metere in ato una praica sociale o meno, ma dato che, come sotolinea Ligi nell'aricolo citato poco sopra, il pensiero comune dipende sempre da dense rei di signiicazione, anche una reazione che viene vissuta come immediata ed isiniva quale può essere quella della paura dell'inquinamento, afonda in realtà le sue radici nella percezione che il contesto sociale ha di tale simbolo.

Il suolo inquinato è un sito di interesse per la comunità, mentre la torcia è uno speciico elemento del paesaggio, ma entrambi fanno parte di quello che le antropologhe Setha Low e Denise Lawrence deiniscono come built environment. Nell'aricolo The built environment and

che acquistano un valore simbolico per la comunità a causa del ipo di ediicazione che li ha interessai: lo scopo dell'analisi è infai quello di deinire qual è il ruolo sociale delle forme architetoniche per la comunità in cui sono state costruite. Le autrici si chiedono infai in che modo gli ediici costruii dall'uomo esprimano e rappresenino degli aspei della cultura, e in che modo la società produca delle forme e ri-produca se stessa atraverso esse. Fondamentale è inoltre il ruolo della storia e delle isituzioni sociali in questo processo di ediicazione dell'ambiente: in altre parole, comprendere il senso delle costruzioni preseni su un territorio potrebbe essere per le autrici un modo per fare luce sul rapporto che si è venuto a creare fra tale spazio e i poteri che vi hanno agito. Rispeto a quanto è stato deto in precedenza su Porto Marghera, questa prospeiva d'analisi è paricolarmente calzante: essa infai prende in considerazione i vari fatori che hanno prodoto lo stato atuale dell'ambiente, che nel nostro caso partono dall'ediicazione del porto industriale e della penisola petrolchimica tramite la praica dell'imbonimento delle barene, ma anche le condizioni sociali che determinano il modo in cui tale ambiente viene percepito nella comunità, e i fatori che hanno favorito l'emergere di questa visione. Secondo questo approccio, infai, sono i processi di espressione culturale la determinante primaria delle forme ediicate dell'ambiente:

Come espressione della cultura, gli ediici possono essere visi come elemeni che giocano un ruolo comunicaivo, incorporando e convogliando signiicai fra i gruppi, e fra l'individuo e il gruppo, a vari livelli.44

Le torce di Porto Marghera, create come espressione direta di una strutura economica e sociale deinita quale è stata la fase della grande industria chimica nell'Italia del secondo dopoguerra, hanno assunto oggi la funzione di disposiivi mnemonico-culturali che esprimono o

riafermano, atraverso associazioni simboliche, le relazioni fra i gruppi, o le posizioni tenute dagli individui all'interno del framework culturale45

.

Tuto questo si riconduce a via Fratelli Bandiera se ritorniamo sul suo signiicato di conine, per come è stato deinito nella specularità fra la dimensione cartograica e quella dell'esperienza vissuta (Cerasi 2007). Se è vero, com'è vero, che la cultura non è qualcosa che «qualcosa che hai» ma «qualcosa che fai» (Ligi 2008), quello che hanno fato negli anni gli abitani della comunità ha rideinito la soglia del conine fra la cità umana e la cità industriale nel rapporto fra Venezia e Porto Marghera. Le tecniche del corpo e le praiche esaminate, essendo messe in praica dalla laguna e avendo come prospeiva la salvaguardia della stessa, hanno posto nel waterfront la soglia dell'alterità: di qua c'è la cità insulare, da cui si osserva e si narra, e in nome della quale si parla, essendo il principale oggeto d'atenzione e di tutela per la salvaguardia ambientale, insieme a tuto l'ecosistema lagunare. Di là invece, dall'altra parte dell'acqua, si stagliano le ciminiere, che col vapore che fuoriesce incessante simboleggiano l'incomprensibile, il pianta infuocato precipitato nel mare, qualcosa di completamente alieno rispeto alla fragilità intrinseca dell'ambiente conosciuto da sempre. Come sotolineato in uno spetacolo realizzato da Gualiero Bertelli, presentato alla Biblioteca VEZ di Mestre nell'ambito degli eveni collaterali del Centenario e initolato Andremo in

fabrica!, l'idea di creare Porto Marghera era nata con l'intento di «sdoppiare e raddoppiare la cità

di Venezia»46

, che nei primi decenni del secolo scorso sofriva di condizioni di scarsa igiene e sovrappopolamento, e faceva parte di quel novero di idee pensate per rendere Venezia una cità al passo coi tempi, ma che di fato non sono mai state considerate dalla cità storica come una misura eicace o necessaria. Da questa prospeiva appare allora chiaro che, se esiste un conine fra Venezia e Porto Marghera, questo è stato collocato nel waterfront, dove si deinisce la maggior percezione di distanza fra due realtà che fanno parte della stessa comunità e dello stesso Comune

45 Ibid.

a livello amministraivo, ma fra cui si avverte oggi un'impressione di reciproca diidenza, quando non di aperta osilità.

CAPITOLO II

STORIE DI PLASTICA