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D I servizi fruit

D. Gli strumenti e i servizi messi a disposizione per la gestione della cris

4.10 Considerazioni conclusive: quali capabilities

Sono state messe a confronto le rappresentazioni di gruppo degli operatori dei servizi per il lavoro e dei lavoratori cassintegrati su come viene percepita la crisi e soprattutto su come stanno funzionando i servizi messi in cantiere dalle Regioni in ottemperanza dell’Accordo Stato Regioni del febbraio 2009. Si ricorda che i lavoratori convocati per le interviste, ad eccezione per quelli dell’area beneventana, erano CIG frequentanti percorsi formativi medio-lunghi, prevalentemente sospesi a zero ore. La cassintegrazione è in primo luogo uno strumento per accompagnare l’azienda a fronteggiare le difficoltà del periodo, affinché, con i dovuti aggiustamenti, riprenda l’attività produttiva o perché invece avvii processi di riconversione della produzione. Dal punto di vista del lavoratore quindi è uno strumento per la conservazione del posto di lavoro. La CIG con sospensioni a zero ore può presupporre anche l’eventuale licenziamento e la mobilità in deroga. Le politiche attive affiancate a questo strumento hanno pertanto l’obiettivo di sostenere le aziende e soprattutto gli individui. Nel territorio Campano ci si è resi conto che le politiche attive del lavoro obligatorie secondo normativa, al periodo di realizzazione delle interviste, non erano partite e tale aspetto costituisce già una evidenza della limitata

capacitazione istituzionale del sistema regionale e di scarsa capacitazione territoriale per la carenza di offerta

formativa sul territorio. In generale si volevano raccogliere testimonianze da parte di coloro che avevano fruito dei servizi per il lavoro e formativi disponibili sul territorio e quali comportamenti i lavoratori attivavano in collegamento a queste misure di politica attiva. Sembrano emergere delle fotografie eterogenee su cosa riescano a fornire i diversi territori in termini di capacitazioni istituzionali,

capacitazioni territoriali e tracce di capacitazioni individuali.

In primo luogo abbiamo messo in luce le capacitazioni istituzionali, costituite dalle regole, dalle procedure e dai servizi messi in cantiere dalle regioni e dalle province e attuate dagli operatori. Tali capacitazioni vengono raccontate e valutate dai lavoratori e sottoposte ad una autovalutazione da parte degli operatori stessi, con esposizione delle relative criticità. Si tratta della presenza/assenza di politiche attive, dell'adeguatezza dei servizi erogati in base all'utenza e all'eventuale trasformazione nel tempo dei beneficiari. Sono diversi gli operatori, soprattutto quelli del Nord, che si sentono inadeguati di fronte al modificarsi dell'utenza. Si passa da una utenza che richiedeva soprattutto lavoro, piuttosto omologata su categorie deboli, con basse qualifiche e con bisogni allargati anche ad altre sfere della vita quotidiana (sociale ed abitativa per esempio), ad una domanda legata agli ammortizzatori sociali in deroga più complessa da interpretare, con figure professionali più qualificate quali quadri, manager, docenti e ricercatori.

“Nell’ultimo anno e mezzo si presentano sempre più persone con bisogni diversi da quelli prima affrontati, che provengono

da aziende in crisi, che hanno un bisogno “complesso” di orientamento, che hanno difficoltà a posizionarsi nel nuovo status”.

“Prima della crisi si rivolgevano a noi lavoratori disoccupati, con bassa qualificazione, che facevano lavori precari; al

problema della mancanza di lavoro si aggiungevano spesso altri tipi di problemi, di natura abitativa, familiare, sociale… Oggi ci troviamo di fronte a titoli di studio più elevati, a professionalità più definite, che hanno lavorato per anni nella stessa azienda”.

“L’utente tipo era il disoccupato cronico, con un corredo di disagio sociale. Oggi abbiamo persone che hanno sempre

lavorato, per la prima volta senza lavoro e totalmente disorientati da questa nuova condizione. Di solito coltivano la speranza che l’azienda li richiami, aspettando di vedere come andrà a finire…”.

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Gli operatori e i servizi si sentono decisamente impreparati. Tale inadeguatezza viene palesata anche dagli operatori delle due province campane per quanto concerne l'impossibilità di creare un sistema di relazioni stabile con le imprese e inoltre per l'assenza di strumenti regionali di risposta alle richieste dei lavoratori, in termini di agevolazioni o avvisi per l'offerta formativa. Dal punto di vista delle procedure si evidenzia l'eterogeneità delle modalità di intervento in base alle scelte operate da ciascuna amministrazione regionale. E' il caso delle procedure adottate con i sistemi informativi anche in relazione a chi, che cosa e come doveva essere comunicato dalle aziende e dai sindacati riguardo alle procedure di attuazione delle politiche attive obbligatorie ai lavoratori e al rischio di perdere il sostegno al reddito in conseguenza di un eventuale rifiuto della politica attiva. Oppure in relazione alle procedure di attribuzione dei singoli lavoratori alle politiche attive e quindi agli operatori pubblici e/o privati coinvolti per l'erogazione. E' differente per esempio poter scegliere le opportunità formative su un catalogo elettronico ampio e ricco a fronte invece di cataloghi più limitati. Fino all'opzione, in Provincia di Genova, di poter scegliere l’offerta formativa anche sul libero mercato ma concesso solo a coloro con una decisa volontà di attivazione. Tutto ciò avviene mentre è ancora in atto quella lunga fase di trasformazione dei vecchi uffici di collocamento a nuovi servizi pubblici per l’impiego. L’espressione di questa transizione la troviamo nella composizione degli operatori ancora per la maggiore provenienti dai vecchi SCICA anche se ci sono alcune risorse umane, ancora limitate, con una esperienza diretta nell’erogazione dei servizi privati per il lavoro e formativi.

Nel Veronese il sistema “dotale” ha scelto raggruppamenti di agenzie private. Dagli operatori dei servizi pubblici del Nord è esplicita la necessità di formazione. Alcune criticità esposte dagli operatori costituiscono a tutti gli effetti quel fabbisogno implicito, cioè quel missmatch tra prestazioni professionali degli operatori e le richieste intercettate attraverso lo spazio valutativo individuale sul quale gli operatori si trovano a dover intervenire attraverso competenze di analisi del fabbisogno, competenze orientative, applicazione di procedure e offerta di servizi specifici. La necessità di maggiori competenze nell’erogare (nuove) prestazioni più complesse è evidenziata dagli operatori. A tale deficit si deve aggiungere la consuetudine ad esternalizzare le prestazioni a gruppi di privati (Verona) oppure a fornitori specializzati in determinate funzioni/servizi. In questo modo si perde l’occasione per elevare le competenze dei servizi pubblici. Il legame tra politica attiva e passiva è piuttosto debole. Nelle procedure viene quasi negata perché vi è un’attribuzione dei lavoratori ai servizi per zona di residenza e non per azienda di appartenenza. I servizi dimostrano di non essere in grado di rispondere alla complessità che gli si presenta. Nei racconti delle diverse parti coinvolte non traspare chiarezza dei ruoli, dei compiti di ciascuno e rispetto a quali finalità specifiche intervenire (per esempio se privilegiando la condizione del singolo o la situazione aziendale per cui è stato autorizzato l’ammortizzatore sociale). Sembra che vi sia, nella forte carenza di strumenti di lettura e di intervento, un’attenzione al singolo lavoratore ma l’assenza di protocolli di intervento nei confronti dell’azienda.

Le prestazioni degli operatori si mescolano con le confuse o poco metabolizzate capacità istituzionali disegnate dall e politiche (regionale e provinciale) e con la maggiore reattività di taluni sistemi produttivi locali o settoriali rispetto alla crisi economica (capacitazioni territoriali). Il trattamento e la sedimentazione di queste informazioni a livello locale e nei servizi di prossimità, cioè la trasformazione di capacitazioni

territoriali in capacitazione istituzionali, fanno parte del set di strumentazione per la costruzione delle

risposte verso le richieste individuali, ampliando le capacitazioni individuali. Rispetto a questo aspetto, la ricerca svolta non registra un ampliamento delle capacitazioni individuali, anche se il rapporto con i servizi e con i corsi di formazione consentono di mantenere un collegamento con il mondo del lavoro. Molti dimostrano di avere risorse personali che favoriscono l’attivazione, si tratta di risorse personali o familiari che grazie a fattori di conversione producono esiti positivi come il completamento degli studi prima interrotti e che mai si sarebbe pensato di riprendere; oppure l’avvio di un’attività in proprio. Tuttavia prevale uno scarso collegamento dei servizi con la domanda di lavoro (capacitazioni territoriali) e sorprende l’assenza di processi di trasformazione delle informazioni territoriali sulle aziende in termini di strumentazione per i servizi (capacitazioni istituzionali). Inoltre gli operatori dei servizi giocano un ruolo decisamente delicato sul territorio in virtù delle informazioni sensibili che raccolgono in relazione ai fruitori delle misure. Ma anche queste informazioni non sembrano attivare processi che alimentano la catena del valore del servizio. Le informazioni raccolte dai servizi possono

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essere reingegnerizzate a livelli più o meno sofisticati e trasformate per alimentare le diverse linee di servizio. Ne sono un esempio i servizi orientativi e informativi per le scuole e le università; ai fini dello sviluppo di processi in autoapprendimento per gli operatori; per i servizi in autoconsultazione, per l’alimentazione di dispositivi avanzati di targeting o profiling60 o l’uso di applicazioni (App) da installare su pc, smartphone o tablet integrate con Sistemi Informativi Territoriali (GIS) (per esempio nella mappatura dell’offerta formativa o della domanda di lavoro).

Uno degli ultimi aspetti da sottolineare riguarda la diversa cultura del lavoro che ogni territorio ha. Essa è determinata dalla stratificazione negli anni di capacitazioni collettive e territoriali. Questa cultura del lavoro sembra aver acquisito una sua autonomia contaminando gli atteggiamenti nelle persone. Nelle narrazioni dei contesti produttivi colpiti dalla crisi economica e dalle singole situazioni aziendali traspare la costruzione di differenti biografie territoriali del lavoro. Nelle province del Nord gli operatori raccontano di contesti territoriali dinamici, con lavoratori abituati a lavorare nella stessa azienda senza interruzioni e le discontinuità imposte dalla crisi mostrano l’incapacità dei lavoratori di rileggere la propria situazione e l’accompagnamento in questa (auto)osservazione della propria situazione diventa uno step necessario del frame di intervento. Questa sembra essere una delle difficoltà principali denunciate dagli operatori dei servizi del Nord: accompagnare i lavoratori in un processo di consapevolezza rispetto a quanto sta accadendo, organizzando servizi e risposte coerenti. I lavoratori di questi territori si trovano spiazzati, costretti ad autovalutarsi, ad analizzare il proprio spazio individuale, talvolta ripescando dalla propria biografia formativa e professionale quelle tappe critiche o significative per trasformare la situazione critica in opportunità, tuttavia in un percorso individualizzato. Mentre nel beneventano scaturisce una storia territoriale completamente diversa composta da biografie individuali abituate a vivere in una debolezza produttiva, costellata da relazioni clientelari e quindi con scarsa fiducia nelle istituzioni. Si lavora, pur sapendo che già dalla sua nascita l’azienda ha un orizzonte temporale a termine e che il proprio lavoro esiste finché lo consente il sostegno pubblico. Ma si tratta dell’effetto di politiche industriali errate che hanno marchiato la storia lavorativa di vasti territori, saccheggiati da una cultura del lavoro completamente da ristrutturare.

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e P.S..

60 Si tratta di due sistemi statistici con cui assegnare chi cerca lavoro ai programmi di politica attiva. Il targeting cerca di

predire per ciascun individuo i potenziali esiti sul mercato del lavoro in base al programma scelto. Il profiling invece attribuisce a ciascuno un fattore di rischio per esempio di diventare disoccupato di lunga durata e distribuisce l’utenza sui diversi programmi di politica attiva attraverso il fattore di rischio (cfr. Behncke S., Frölich M., Lechner, 2010, pp 241-260).

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Capitolo V