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gli ammortizzatori sociali in deroga nei territori regional

D. I servizi e le attività formative

Uno degli aspetti maggiormente critici emersi nella discussione ha riguardato la scelta della tipologia del corso che si è rivelata spesso tortuosa e quasi mai in linea con le aspettative dei lavoratori. Il processo di orientamento alla scelta del corso sembra essersi svolto con modalità non standardizzate, spesso frutto di trattative informali - non sempre avvenute presso il CpI ma presso il centro che eroga la formazione - tra ciò che era disponibile al momento e le esigenze “personali”, legate, ad esempio, alla vicinanza tra la residenza e l’Agenzia formativa. La scelta del corso, inoltre, è stata quasi sempre selezionata sulla base delle esperienze lavorative passate e quasi mai rispetto a una diversa progettualità del percorso professionale.

Emanuela  ”mi ero immaginata la possibilità di fare non più di 40 ore…..Inoltre mi è stato proposto marketing e sinceramente non ne potevo più di questo ambito, sono stufa dopo 15 anni… allora ci siamo orientati, con la consulente del centro per l’impiego che è stata gentile e disponibile, a cercare qualcosa che mi interessasse, come informatica o lingue, come il tedesco, e invece queste cose non erano possibili ed è per questo che ho iniziato il corso per gestore di apprendimento, che è più vicino a ciò che ora faccio. Poi dopo non so, ma sembra che ora sia possibile farle quelle materie e a settembre ci devo riparlare.”

Beppe  “Sto facendo un corso da 120 ore che abbiamo stabilito con il docente della struttura in cui sto andando…… Il corso è per grafico di stampa, e pur essendo nello stesso settore, è del tutto l’opposto di quello che ho fatto come lavoro pur essendo attinente al settore..”.

Davide  “Mi è stato fatto vedere un pacco così dove c’erano corsi di qualsiasi cosa, al che ho chiesto quale fosse il corso più breve, anche perché nel catalogo non compariva la durata del corso. Allora ho scelto un corso di post-stampa presso il centro (ente di formazione) perché era indicato nell’elenco in cui lo facevano. Vado presso il centro e scopro che li non c’è... non avevano le attrezzature, allora torno qui al CpI e ho scelto un altro corso che sto facendo ora di pre-stampa di 220 ore.”

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Rocco  “Quando sono andato al centro servizi (ente di formazione) mi è stato dato un foglio (da parte del CpI) in cui c’era scritto che il corso doveva durare 300 ore. Quando sono arrivato lì mi hanno spiegato che il corso di 300 ore non c’era e avrei dovuto farne uno di 150-160 e l’ho fatto”.

Domenico“ …ho iniziato dicendomi che dovevo fare 300 ore e invece ne sto facendo 100. In realtà ho scelto, o meglio in base alle indicazioni che mi hanno dato loro, il corso tecnico di logistica e spedizioni. Ed effettivamente c’era, solo che quando sono andato al centro mi hanno detto prima che era di 300 ore, poi effettivamente me ne hanno date poco più di 100, in base sempre a quello che mi ha detto una impiagata del (ente formativo) Rispetto ad altri a me il sindacato non mi ha detto che dovevo fare un corso di una certa durata”.

Sulla base di quest’ultima affermazione nasce un intenso ma breve scambio di interazione su questo aspetto tra coloro che erano stai pre-avvertiti dal sindacato sulla durata e la natura dei corsi e chi invece non ha avuto alcuna informazione.

Più di uno dei partecipanti sottolinea la presenza di diverse imperfezioni nel sistema nel suo complesso. In particolare emerge:

 l’incoerenza tra i cataloghi disponibili presso i CiP e l’offerta effettivamente erogata sul momento ed erogabile in assoluto;

 la mancata possibilità di inserirsi in contesti omogenei per livello conoscitivo dei discenti;

 la frammentazione del percorso, composta di momenti e fasi che apparentemente non sono tra loro coerenti secondo un piano di sviluppo o di riqualificazione unico;

 l’inserimento in corsi già iniziati e la conseguente rimodulazione continua della durata della formazione;

 l’inizio della fase di formazione in un periodo di molto avanzato rispetto al momento di entrata in cassa integrazione in deroga.

Ambra  “Ad aprile mi è stato detto da una sindacalista che c’era l’obbligo di fare dei corsi di 200 ore. Ci è stato detto che il Fondo Sociale europeo aveva queste risorse per questo. Io credevo che ci fosse più scelta, invece alla fine….. Io vado ad Imola con una mia collega a fare il corso. Pensavo esistessero corsi lunghi di 200 ore, invece no, solo moduli di 40 ore in 40 ore. Alla fine mi hanno proposto un percorso complessivo di 120 ore o 162 ore, e ho scelto quest’ultimo. Al momento faccio un corso di contabilità di 40 ore, ma è molto teorico.. non è che esci e sai la contabilità.. piuttosto che niente, meglio questo, ma non fai pratica. In aggiunta sto facendo un corso di informatica, fotoshop, perchè in quel momento e in quel giorno era previsto questo approfondimento e mi ci sono trovata, anche per chiudere entro settembre tutte le ore che devo fare…. Lo sto facendo perché mi è stato proposto dal (ente di formazione) a Imola.. qui a San Lazzaro ho fatto solo l’attivazione e ho scelto il primo corso”.

Rocco  “Quando ho finito (il primo ciclo di 160 ore) mi hanno rimandato qua (al CpI) e qui mi hanno assegnato un corso di altre 100 ore. Il fatto è che poi a fine giugno finiva il periodo di cassa integrazione e quindi ho fatto 12 ore, poi è terminata la cassa integrazione, ma ho continuato la formazione perché mi hanno detto che ero obbligato” A tal

proposito, anche in questo punto, nasce una interazione dovuta al fatto che altri partecipanti sostengono invece che, decaduto il periodo di cassa integrazione in deroga, la formazione non è più obbligatoria, per cui ci sono stati casi di interruzione improvvisa dei corsi.

Domenico “ Da quello che mi hanno detto (al Centro per l’Impiego) , dividono tra corsi brevi e lunghi di 40 e 300 ore, non è detto che devi fare 300 ore…. perché ho detto, ma davvero devo fare 300 ore? Mi hanno rassicurato che potevo scegliere alla fine presso (ente di formazione). Infatti il corso che ho fatto era di 150 ore ma dal momento che era iniziato sono stato inserito e il corso per me è diventato di 120 ore. Finito quel corso sono tornato qui (al CpI) e volevo fare un altro corso su vendite e acquisti, ma non c’era e mi hanno proposto invece un corso di marketing, bene facciamo un corso di marketing. Quello che cercavo c’era ma in un altro momento dell’anno. Inoltre tra un po’ per completare altre 12 ore che mi mancano faccio un corso per la sicurezza,… ”.

Pierluigi  “Noi siamo stati chiamati sei mesi dopo che eravamo in cassa integrazione. Quando poi mi hanno proposto un corso, sulla ristorazione e a me stava bene, però mancava solo 1 mese alla fine della cassa integrazione, cosa facciamo?”

A volte la carenza di informazioni univoche e chiare sembra aver contribuito a implementare una valutazione complessivamente negativa del processo. In particolare la presenza di informazioni discordanti sulla durata, sulla eventuale modularità e sulla finalità del percorso formativo: alcuni hanno

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avuto la percezione di essere stati inseriti in percorsi brevi, quindi di specializzazione, altri, più coerentemente con il tipo di ammortizzatore di cui stavano beneficiando, in percorsi lunghi qualificanti. La sensazione diffusa è che il sistema predisposto si stia rilevando come un’occasione in cui sarebbe stata possibile un’effettiva riqualificazione e ricollocazione ma per ragioni di diverso tipo ciò non sia ancora avvenuto.

Emanuela “Mi è stato detto che io dovevo fare un percorso di riqualificazione professionale, quindi un corso lungo che serve proprio a qualificarmi da capo, ma io pensavo più ad una specializzazione rispetto a quanto già ho fatto, ecco perché cercavo qualcosa più breve e non le 212 ore che mi hanno proposto”.

Domenico “Per me bisognerebbe partire dalle esigenze della società nel futuro, ad esempio l’altro giorno ho visto che le importazioni sono cresciute del 17% ecco… ci sarà bisogno di persone che si occupano di import-export. Fai un bel corso di import-export. I corsi devono essere mirati a qualcosa di certo”

In questa prospettiva i partecipanti trovano difficoltà a collegare il tipo di formazione realizzata con la concreta possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro con una diversa qualifica o con un più elevato livello di specializzazione. Ciò non dipende dalla qualità della formazione erogata, definita generalmente buona, ma da una apparente mancanza di progettualità in grado di collegare le esigenze e le caratteristiche del singolo con quanto effettivamente offre e offrirà in prospettiva il territorio:

Pierluigi  “Il corso che ho scelto mi sembra fatto benino. Anche la parte organizzativa ha funzionato. La possibilità di specializzarsi dipende molto dall’ente che organizza il corso. Ci possono anche essere degli enti che organizzano corsi con docenti molto preparati.”

Rocco “Il corso che ho fatto (corso di magazziniere) mi serviva per quando lavoravo, adesso no… se stavo lì a lavorare mettevo in pratica quello che ho appreso. Poi dovevo stare là dalle 9 alle 6 e io a 55 anni dopo un po’ ero assente”.

Emanuela  “Questo dipende.. è chiaro che si impara di più in tre giorni in azienda che in un corso di 6 anni di scuola superiore, è ovvio”.

Domenico  “Per la mia esperienza il problema non è il corso di per sé. I docenti erano bravi e preparati, educati, informati, all’altezza della situazioni. E’ proprio la scelta dei corsi che dovrebbe essere fatta in un altro modo.. o” Ambra  “Facevo contabilità nell’azienda.. e mi hanno fatto fare il corso con la contabilità”.

Indubbiamente un ulteriore elemento che ha alimentato il clima di “lamentazioni” è il ritardo, e in alcuni casi l’assenza, di erogazione dell’assegno da parte dell’INPS. Tuttavia questo elemento è stato ben contestualizzato nel corso della discussione e, pur nella sua rilevanza, non si è sovrapposto agli altri temi sulla qualità e sulla tipologia dei servizi erogati dai CpI.