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Dopo l'analisi dell'ente intermedio in Inghilterra, Francia, Spagna e Italia, preme sottolineare, in chiave comparatistica, le differenze che intercorrono tra questi modelli, al fine di mettere in mostra anche i punti in comune che hanno spinto i legislatori a intraprendere la via riformatrice.

Una traccia in comune in tutte le riforme ordinamentali di questi stati consiste nell'esigenza di individuare una public governance, che consenta ai soggetti pubblici di concorrere al perseguimento degli scopi istituzionali, e soprattutto al soddisfacimento dei bisogni collettivi. In Francia, ad esempio, la riforma delle autonomie locali del 1982 ha portato all'adozione di convenzioni tra collettività pubbliche, con lo scopo di programmare ed attuare, delle valide politiche di gestione e sviluppo del territorio. Questo strumento ha il principale obiettivo, da un versante, di regolare i rapporti tra Stato ed enti locali, e dall'altro di regolare quelli tra enti locali. Così, con i contratti di piano si realizza una particolare forma di sussidiarietà, che porta alla realizzazione di un modello di policy-making tendente a regolare il rapporto tra politica nazionale e politica locale, diffondendo su tutto il territorio la programmazione negoziata, che garantisce la migliore interlocuzione tra i vari enti.

Sul riparto delle competenze tra Stato e Comunità autonome nell'esperienza spagnola, il legislatore ha previsto che le comunità siano titolari delle funzioni a loro attribuite nei confronti degli enti locali. Perciò, questa ripartizione implica una continua attività di collaborazione per la formulazione di tutte le politiche territoriali tra gli enti locali e le Comunità autonome. Invece, si può parlare di collaborazione asimmetrica nel rapporto tra Stato centrale ed enti locali, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, poiché gli enti locali risultano essere solamente i destinatari di queste norme, senza giocare alcun ruolo nella fase di formulazione.

Per raggiungere gli obiettivi di public governance tra Stato, Comunità autonome ed enti locali, sono stati introdotti degli strumenti di cooperazione, come i consorzi, le convenzioni e le sovvenzioni.

Focalizzando l'attenzione sulle vicende riguardanti l'Inghilterra, negli anni Novanta si è avviata una riforma della pubblica amministrazione, ispirata ai principi

della New public management, che mira a raggiungere gli obiettivi di risparmio della spesa pubblica e della qualità dei servizi sociali erogati nelle collettività. Secondo questa politica tutte le funzioni delle autorità locali dovranno essere sottoposte al controllo per mano di apposite commissioni, che dopo l'ispezione redigeranno un rapporto, visibile ai cittadini, dove indicheranno se è stato soddisfatto il criterio del

best value; inoltre, mettono al corrente il governo centrale di tutte le politiche attive

su tale campo, identificando in questo modo i casi fallimentari e quelli di best

practice. Bisogna tener presente, del resto, che il governo centrale si riserva la

facoltà di intervenire qualora le autorità locali non riescano a soddisfare il requisito dell'erogazione delle prestazioni secondo i valori prefissati.

Al contrario, nel caso italiano, considerando la valenza storica dell'organo provinciale, l'obiettivo della public governance dovrebbe essere in linea con la rappresentanza democratica di tali enti. Dall'approvazione della legge Delrio emergono dei profili problematici sui quali riporre l'attenzione. In primo luogo, si deve menzionare l'insostenibilità finanziaria della riforma alla luce delle rilevanti funzioni che gli enti intermedi o di area vasta hanno mantenuto. Oltretutto, bisogna tener presente la mancata soppressione delle province, alla luce dell'esito fallimentare del referendum del 4 dicembre 2016. Infine, le difficoltà di funzionamento per la drastica diminuzione del personale, nonostante il mantenimento di alcune fondamentali funzioni, come quelle legate alla costruzione e gestione delle strade provinciali, alla costruzione e manutenzione degli edifici scolastici e quella relativa alla pianificazione di coordinamento in materia ambientale.

Nelle riforme degli enti intermedi italiani e spagnoli ha giocato un ruolo decisivo il fattore "crisi economica". Del resto, questo fattore, insieme all'alta percentuale di frammentazione dei comuni, costituiscono i motivi principali che spingono alla rinnovazione istituzionale. Italia e Spagna sono state fortemente vittime della recente crisi-economica, pur avendo reagito in modo differente. Effettivamente, mentre in Italia si è arginato il potere delle Province, a favore del potere dei Comuni e delle Regioni e nella promozione dell'unioni di comuni; in Spagna, si è fatto proprio l'inverso. Infatti, la Spagna ha ridotto il numero delle unioni dei comuni, incrementando di conseguenza il potere provinciale. Nonostante abbiano adottato soluzioni differenti, le due nazioni sono ancora colpite da alcune

problematiche. Il clima di tensione dettato dalla crisi, ha fatto sì che la ricerca di una soluzione imminente prevaricasse la coerenza dei provvedimenti stessi. Molti provvedimenti sono caratterizzati da una certa confusione sulle funzioni dei vari enti intermedi: non è chiaro, infatti, se essi debbano essere alternativi o complementari tra loro. La diretta conseguenza di questa ambiguità si traduce in una lotta all'eliminazione reciproca. Inoltre, un'altra questione incoerente deriva dal fatto che non sono evidenti gli obiettivi ultimi delle riforme: non è chiaro se lo scopo sia una frammentazione territoriale dei comuni o una spinta verso la gestione associata delle funzioni. Sia nel caso spagnolo che in quello italiano il problema permane: infatti, l'ipertrofia che colpisce il numero dei comuni, non è stata risolta tramite una riduzione del loro numero, ma al contrario nel caso spagnolo sono state implementate le funzioni provinciali, mentre in Italia è stato incentivato l'utilizzo di forme associative, senza ridurre ancora una volta il numero dei comuni. Risultano poco chiari i poteri delle Province. In alcuni casi, infatti, l'ente intermedio si limita all'erogazione di servizi, ma non si evince se esso sia titolare anche della produzione delle politiche pubbliche. Attraverso queste riforme risultano sempre meno demarcati i limiti tra i poteri provinciali e quelli comunali, con il risultato della deprivazione dei poteri comunali e la loro conseguente svalutazione. Inoltre, dopo queste riforme, le Province diventano enti di secondo livello, mantenendo al contempo la possibilità di produrre politiche pubbliche. L'elemento democratico, dunque, si perde, mostrando ancora una volta la frammentarietà e l'inconsistenza delle riforme.

Rimane aperto il quesito sulla legittimità delle riforme, in particolare dal punto di vista democratico. Eleggere il proprio sindaco non presuppone più una diretta rappresentanza delle proprie esigenze, perché gran parte delle prerogative del primo cittadino vengono inglobate nella figura delle Province o dall'unione dei comuni. Così i cittadini vengono deprivati, fattualmente, della possibilità di avere voce in capitolo riguardo l'amministrazione locale.

La crisi economica ha influito anche sul processo di riordino della Francia. Il governo francese, mosso dall'intento di voler dimostrare ai membri della UE di essere in grado di proporre riforme strutturali efficienti, ha introdotto politiche di

hanno avuto esito deludente, sebbene per motivi differenti. In Francia, infatti, la forte coesione di Governo, caratterizzata da due maggioranze ben definite, ha reso forte l'opposizione al cambiamento. Al contrario, l'incertezza politica che vige in Italia dal 2011 ha decretato un'instabilità nell'attuazione di politiche di spending rewiev, in ragione anche della suddetta fretta nel trovare una soluzione imminente al problema degli enti intermedi. Nonostante le affinità dei risultati, i due Governi hanno proposto soluzioni differenti rispetto al riordino delle funzioni degli enti intermedi. Mentre il governo francese con la legge Loi relative à la délimitation des régions del 2016 ha ridotto il numero delle regioni incrementandone di fatto il potere; in Italia, con la Legge Delrio non viene ridotto il numero delle regioni, ma ne vengono ridistribuite le funzioni attraverso dei regolamenti regionali che ridefiniscono i compiti tra comuni, province e regioni stesse.

Con la seguente analisi si è voluto fornire un quadro generale dei singoli ordinamenti degli Stati presi in considerazione. Si è poi voluta fornire una riflessione comparatistica sui punti di contatto e di divergenza tra le politiche stesse che, pur partendo da presupposti simili e condivisi, hanno mostrato risultati molto diversi. Ciò dimostra che l'analisi comparatistica potrebbe costituire uno strumento utile, non solo per un'indagine interna ai processi che determinano una riforma, ma anche per fornire quegli elementi necessari per il suo miglioramento. Del resto, i punti deboli delle varie riforme dei Governi presi in esame, mostrano di essere particolarmente omogenei. Tramite l'indagine comparatistica, gli errori, i fallimenti, e le fallacie condivise dalle singole riforme, ci forniscono quantomeno la fisionomia del percorso da non intraprendere.