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Capitolo IV – Processi nei confronti di soldati dell'esercito tedesco

2. Considerazioni di fine capitolo

La consultazione di questi atti processuali ci permette di valutare il funzionamento della giustizia militare tedesca in Italia, dalle indagini che venivano compiute per l'individuazione di soldati che abbandonavano le fila dell'esercito fino alle fasi della loro condanna e dell'applicazione della pena.

In alcuni casi la sorte di queste persone rimane, dalla lettura di questi documenti, incerta, e sareb-bero necessarie nuove ricerche che possano fornire ulteriori informazioni a riguardo. Sviluppi alla ricerca potrebbero provenire dalla consultazione dei documenti conservati presso la Deutsche Dien-stelle (WASt) di Berlino, che conserva le informazioni riguardanti la carriera militare dei soldati che militarono nell'esercito tedesco: ferimenti, trasferimenti, casi di scomparsa, morte.

Nello studio di questi documenti si ricordi che gli accusati avevano come scopo principale quello di sottrarsi alla condanna, o di renderla il più “leggera” possibile, e solo tenendo presente tale aspetto si possono leggere le loro testimonianze e le loro strategie difensive. Dieter Knippschild ha scritto che le testimoniante negli atti rappresentano solamente in maniera parziale gli avvenimenti. Ogni processo per diserzione era per l'accusato una lotta tra la vita e la morte, ed era così naturale che si contestassero i reati di cui si era accusati, si nascondessero le motivazioni o si tentasse di proteggere eventuali complici372.

Questa considerazione può anche in parte fungere da spiegazione al fatto che, per i casi qui presen-tati, non emergano alla base della scelta della diserzione esplicite motivazioni di opposizione alla guerra, motivazioni politiche o ideologiche, che avrebbero presumibilmente rappresentato per coloro che venivano processati un fattore di sicura condanna373.

Le motivazioni appaiono quindi varie: la volontà di sottrarsi a precedenti condanne o quella di fuggire dai combattimenti più duri, la nostalgia di casa e dei propri familiari, questioni sentimentali. Roberto Battaglia riportava la testimonianza di un partigiano che, riguardo i disertori tedeschi che combatterono con la Resistenza, diceva:

“Non ricordo più i loro nomi. Quanto poi alla causa della loro diserzione, ricordo che essi quando volevano proprio dire qualcosa, dicevano che l'essere lontani da casa, l'aver avuto i loro cari morti sotto i bombarda -menti li aveva convinti a porre fine a uno stato di cose intollerabile, a una guerra di cui ormai erano stan-chi”374.

La necessità della giustizia tedesca, come emerge dalla lettura delle sentenze, era quella di ribadire gli aspetti della disciplina, dell'ordine e della fedeltà al servizio militare che i disertori, con il loro atteggiamento, mettevano in discussione. In questo senso va anche letto l'utilizzo di termini e

372 Dieter Knippschild, »Für mich ist der Krieg aus«, cit., p. 124.

373 In tal senso anche Knippschild afferma che la scelta di disertare era una decisione che solamente nella minoranza dei casi era presa in maniera del tutto cosciente e ragionata. L'autore cerca anche di individuare una “tipologia” delle varie motivazioni che potevano spingere un soldato tedesco a disertare durante la seconda guerra mondiale, ivi, pp. 130-136.

374 Roberto Battaglia, Risorgimento e Resistenza, cit., p. 282. Il già citato-in fase di introduzione- libro di Michela Ponzani tratta il tema delle relazioni nate durante la guerra tra donne italiane e soldati tedeschi e dei figli nati da queste frequentazioni, Christiane Rothmaler si è occupata dell'aiuto dato dalle donne alla diserzione dei soldati, Christiane Rothmaler und Ludwig Eiber, »Ich kann ihn nicht verraten!« Frauen und ungehorsame Soldaten, in Osnabrücker Jahrbuch Frieden und Wissenschaft, IV/1997, Universitätsverlag Rasch, Osnabrück, pp. 173-186, Della stessa autrice anche »…weil ich Angst hatte, daß er erschossen würde«. Frauen und Deserteure, in Angelika Ebbinghaus und Karsten Linne (Hrsg.), Kein abgeschlossenes Kapitel: Hamburg im »Dritten Reich«, Europäische Verlagsanstalt, Hamburg 1997, pp. 461- 486.

concetti come “Manneszucht, Deutschum, deutsche Ehre, Treue” o il fatto che la condanna a morte venisse eseguita anche per l'effetto deterrente che doveva avere nei confronti degli altri soldati. Proprio per questo scopo il processo ma anche l'eventuale esecuzione del condannato dovevano essere eseguiti nel minor tempo possibile, perché fosse così maggiore l'impressione che si sarebbe suscitata nei confronti degli altri soldati375.

Di conseguenza le richieste di grazia di quanti erano accusati esprimevano la “volontà” di volersi riscattare, per poter in tal modo rientrare a far parte dell'esercito e cancellare la loro colpa. Esem-plare in tal senso quanto H.W. afferma nella domanda di grazia, quando chiede che gli sia data la possibilità di riscattarsi con compiti di servizio particolari, in modo da poter rientrare a far parte della “comunità militare e sociale”376.

Emerge inoltre, come è stato già messo in luce anche in altri studi, il fatto che la diserzione e l'allon-tanamento dalla propria formazione si accompagnassero spesso ad una serie di reati “minori” che i fuggitivi “necessariamente” compivano per agevolare la loro fuga e la loro sopravvivenza377, comportamento che veniva giudicato in fase di procedimento penale per dimostrare come vi fosse nell'accusato una sorta di “istinto criminale”, elemento questo che fungeva da sostegno alle sentenze dei giudici378.

Ulteriori ricerche volte a ricostruire il profilo biografico dei giudici militari responsabili delle sentenze e i cui nomi compaiono nei documenti citati ci permetterebbe di apprezzare più da vicino la loro formazione culturale e quale ruolo essa abbia giocato all'interno dei verdetti emessi nei confronti delle persone da loro giudicate379.

La scomparsa di un soldato dalla sua formazione era sufficiente affinché si avviassero nei suoi confronti le indagini per valutare se si trattasse di diserzione, piuttosto che di un caso di cattura da parte delle formazioni nemiche. Tale distinzione però, come anche già messo in luce nel capitolo II, non era sempre semplice da valutare, nonostante i tribunali militari cercassero proprio in tal senso di svolgere accurate indagini380.

Di rilievo era anche la circostanza per cui un accusato avesse o meno cercato di procurarsi abiti civili e di disfarsi della propria uniforme. Ciò poteva fungere da elemento decisivo qualora il

tribu-375 Manfred Messerschmidt, Fritz Wüllner, Die Wehrmachtjustiz, cit., p. 115. 376 BA-MA, Pers 15/141359. Cfr. paragrafo 1.9 del IV capitolo.

377 Così come affermato anche da Manfred Messerschmidt e Fritz Wüllner in Die Wehrmachtjustiz, cit., p. 95 e sgg, che affermano e portano esempi di come la diserzione “innescasse” una “catena” di altri reati.

378 Hannes Metzler, Ehrlos Für Immer?, cit., p. 16.

379 Detlef Garbe ha ricostruito la carriera del giudice militare della 177ª divisione Erich Schwinge nel libro In jedem einzelfall bis zur Todestrafe. Der militärstrafrechtler Erich Schwinge-Ein deutsches Juristenleben, Hamburg,1989; sullo stesso tema anche Albrecht Kirschner (Hrsg.), Deserteure, Wehrkraftzersetzer und ihre Richter: Marburger zwischenbilanz zur NS-Militärjustiz vor und nach 1945, Historische Kommission für Hessen, Marburg, 2010.

nale avesse dovuto scegliere tra il reato di diserzione e quello di allontanamento non autorizzato. Era però anche questo un aspetto che si prestava a differenti interpretazioni.

Se è vero che un soldato in divisa aveva la possibilità, per agevolare la sua fuga, di confondersi tra il resto dei soldati, di sfruttare per i suoi scopi di sostentamento caserme e altre strutture militari, di sperare in qualche passaggio su mezzi di altre formazioni381, anche il liberarsene poteva rappresen-tare un vantaggio per, ad esempio, meglio nascondersi tra la popolazione civile o evirappresen-tare il ricono-scimento immediato della condizione di militare.

Questa considerazione è confermata dalla lettura dei documenti di un processo della

Leitkomman-dantur di Milano nei confronti di un caporalmaggiore che era stato condannato per allontanamento

non autorizzato, e non per diserzione come richiesto dall'accusa in un primo momento, grazie anche al fatto che, sottolineava il giudice in fase di sentenza, nonostante fosse stato assente dalla sua formazione per circa un mese, non aveva cambiato la sua uniforme con abiti civili382.

Il passaggio o meno di un soldato della Wehrmacht alle formazioni partigiane era una circostanza che non veniva valutata secondo un unico metro di giudizio. Nel caso di F.M.383 ciò rappresentò un fattore decisivo per la condanna a morte dell'imputato, senza che fosse necessario distinguere quali compiti egli vi avesse realmente svolto; la sua sola presenza, si affermò, aveva significato appog-giare e sostenere lo schieramento nemico, perché aveva come minimo liberato altre forze per compiti di combattimento. Anche in occasione di un'altra sentenza (W.T.)384 la condanna a morte venne decisa sulla base del fatto che l'accusato si fosse intrattenuto più di un mese tra le formazioni partigiane, e quindi ne doveva per forza essere stato in qualche modo loro collaboratore. Nel processo nei confronti di H.W.385 invece, il fatto che egli non si fosse unito ad una formazione parti-giana venne giudicato come un elemento di conferma del carattere poco deciso e poco incline al

380 Oltre agli esempi dei documenti gia precedentemente citati (in particolare il caso dei 17 appartenenti all'11./Grena-dier Regiment 740, BA-MA, Pers 15/141260, riportato nel capitolo II), si può qui ricordare il caso di H.K., sergente maggiore di origine polacca, che scompare dopo un combattimento sul fronte di Nettuno. Le indagini del tribunale della 26ª Pz. Division ebbero lo scopo di valutare se vi fosse stata o meno la sua complicità nella cattura, dal momento che si venne a sapere che K. era stato fatto prigioniero degli inglesi senza essere ferito. Si ipotizzava quindi cheegli avesse aspettato nascosto l'arrivo degli inglesi per sottrarsi a ulteriori rischi; se così non fosse stato avrebbe dovuto trovare l'occasione di riaggregarsi, prima della sua cattura, a una formazione tedesca (BA-MA, Pers15/126079).

381 Cosi come affermava Erich Schwinge, Militärstrafgesetzbuch, Berlin, 1936, 6. Aufl.

382 BA-MA, Pers 15/141237. E.M. originario di Monaco era fuggito dall'Artillerie Regiment 178 il 23 giugno 1944, quando si trovava sul fronte russo (nei pressi di Orša, attuale Bielorussia).Aveva falsificato un ordine di marcia e aveva viaggiato fino all'Italia perché, come aveva sostenuto, “Il mio desiderio era sempre stato quello di andare sul fronte americano”, aggiungendo anche come questo fosse un sentimento comune a molti soldati impiegati sul fronte dell'est. Arrestato dall Heeresstreifendienst z.b.V. 4 il 26 luglio 1944 in un rifugio antiaereo della stazione di Milano, era stato condannato a 7 anni di prigione, degradamento e perdita della dignità militare. M. entrò nella prigione di Bruchsal il 19 gennaio 1945.

383 BA-MA, Pers 15/141317. Cfr. paragrafo 1.10 del IV capitolo. 384 BA-MA, Pers 15/141354. Cfr. paragrafo 1.6 del IV capitolo. 385 BA-MA, Pers 15/141359. Cfr. paragrafo 1.9 del IV capitolo.

sacrificio dell'accusato, che tra le tante incertezze non era riuscito a prendere “nemmeno” quella decisione.

Il prossimo capitolo si occuperà invece di quanti quella decisione la presero veramente, e dopo aver disertato dall'esercito tedesco si unirono in Italia alle formazioni partigiane.