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La sfortuna di essere fatto prigioniero. Indagine della Zentralgericht des Heeres

Capitolo IV – Processi nei confronti di soldati dell'esercito tedesco

1. I processi militari

1.2 La sfortuna di essere fatto prigioniero. Indagine della Zentralgericht des Heeres

Anche il sottufficiale K.S. venne fatto prigioniero dagli alleati nel novembre 1943, per poi venir condotto nel campo di prigionia americano Camp Greeley, in Colorado339.

Il tribunale militare della 29ª Panzer-Grenadier-Division lo giudicò come disertore, condannandolo alla pena di morte.

Il 16 maggio 1944 K. S. inviò da oltreoceano una lettera, indirizzata agli uffici dell'esercito del suo paese di residenza, con la preghiera di inoltrarla in seguito agli uffici competenti.

Il sottufficiale iniziava la sua lettera affermando di aver ricevuto dalla madre “l'incredibile” notizia che la sua paga di soldato sarebbe stata sospesa, sulla base del motivo che si riteneva che egli si fosse consegnato al nemico:

“Questa notizia mi colpì come un fulmine a ciel sereno e mi ha scosso profondamente nell'onore. Purtroppo mi trovo ora nell'amara situazione, di trovarmi come prigioniero negli Stati Uniti d'America e di non potermi difendere da questa pesante accusa in nessun altro modo se non con questa lettera ”.

S. approntava quindi una difesa scritta nei confronti di questa accusa, nella quale ripercorreva nei dettagli le fasi della sua cattura da parte degli americani in Italia, per cercare di dimostrare come egli avesse combattuto fino allo stremo prima di essere fatto prigioniero. A questa lettera seguiva quella del maresciallo capo Stefan Fonfara, che si trovava rinchiuso nello stesso campo di prigionia americano, e che sottolineava come non potesse sussistere, a carico di S., alcun sospetto che egli si fosse in qualche modo consegnato agli alleati:

“Quando una persona ha avuto la sfortuna di essere fatto prigioniero, allora non è ancora detto che sia passa-to nelle fila nemiche. Sono fermamente convinpassa-to, che il sottufficiale S. ha avupassa-to la sfortuna, così come molti altri camerati, di cadere prigioniero, senza che qualcuno l'abbia visto e per questo è considerato come passato al nemico”.

Il Deutsche Gesandtschaft a Berna affermò in seguito che non fosse opportuno portare a conoscenza del prigioniero o dei suoi familiari le iniziative prese nei confronti dei soldati che venivano ritenuti disertori; ciò avrebbe potuto mettere a rischio la disciplina e lo spirito degli altri prigionieri del campo. Il comando supremo della Wehrmacht considerava che, qualora la condanna per diserzione di S. fosse stata confermata come corretta, sarebbe stato necessario procedere anche con il blocco di tutta la corrispondenza nei suoi confronti.

339 BA-MA, RW 60/3777. Il fondo conserva i documenti della corte centrale dell'esercito tedesco, che aveva sede a Gera.

1.3 “Quando per me diventa troppo, allora so cosa faccio”. Indagini del tribunale della 26ª Panzer-Division

Altri due soldati della 26ª Panzer-Division scomparvero in provincia di Chieti, durante il turno di guardia nella notte del 10 settembre 1943340.

Nelle indagini del giudice della divisione si metteva in luce come nella zona in cui era impiegata la compagnia, fino alla sua sostituzione avvenuta il 12 novembre, non si erano verificati contatti con nemici341, e ogni giorno veniva segnalato che la zona, fino alla linea Agnone-Castiglione, era sgom-bera da truppe nemiche. Il caporale Tribbensee, che era stato incaricato di comandare il gruppo di guardia, considerava quindi come molto improbabile che i due fossero stati fatti prigionieri; riteneva invece che si fossero allontanati per consegnarsi come prigionieri. Interrogato Tribbensee affermò anche che, durante lo spostamento da Rosello al punto in cui c'era la postazione di guardia (ad un'altezza di 1239 metri, due km a sud est di Rosello) uno dei due soldati scomparsi si era informato con lui in maniera approfondita sulla posizione dei nemici e quando gli era stato risposto che si trovavano ad ancora diversi chilometri di distanza aveva ribattuto che si doveva comunque conside-rare la possibilità di essere fatti prigionieri. In quel caso, aveva concluso, egli si sarebbe tolto la vita. Decisi i turni di guardia, K. aveva chiesto e ottenuto di essere impiegato insieme a S. Quando Tribbensee si era svegliato, intorno a mezzanotte, aveva notato l'assenza dei due e aveva dato l'allarme. Escludeva però che fossero stati fatti prigionieri, dato che lui stesso dormiva a circa due metri di distanza da loro, e non aveva sentito il minimo rumore.

Il 21 gennaio il capo del partito nazionalsocialista nonché sindaco di Burgstall i.d. Büheln, scri-vendo alla compagnia dei due soldati affermò che la sua esperienza di vecchio soldato di trincea gli faceva ritenere come poco probabile che S. fosse stato sorpreso e fatto prigioniero ma che si fosse piuttosto allontanato dal suo posto di guardia, proprio con lo scopo di essere catturato. Qualora vi fosse stata la conferma a questo sospetto, non avrebbe avuto alcun motivo di continuare a versare alla famiglia di una persona immeritevole la quota di sostegno economico.

Nel corso delle indagini l'ufficio della polizia criminale di Berlino ricordò inoltre al tribunale della divisione come fosse importante che le indagini per la ricerca dei disertori venissero continuate fino alla loro cattura o fino a quando fosse stata constata la loro morte; questo perché si erano già

verifi-340 BA-MA, Pers 15/142984.

341 Questo elemento, ovvero l'assenza di una presenza nemica nelle vicinanze, veniva sottolineato anche nelle indagini in seguito alla scomparsa di B.L, anch'egli appartenente alla 26ª Panzer Division (2./Pz. Gren. Rgt. 67). B. era scomparso dalla sua posizione durante il turno di guardia che stava compiendo, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1943. Ad alcuni compagni aveva rivelato, prima della sua scomparsa: “Con me la Wehrmacht non avrà grande soddisfazione: non ci starò a lungo”. Avrebbe in seguito indirizzato alla moglie delle lettere nelle quali confermava di trovarsi prigioniero degli inglesi, di stare bene e di sperare di tornare presto a casa sano; BA-MA, Pers 15/142882.

cati dei casi di disertori che, passati al nemico, erano tornati in Germania come spie. Così anche nei confronti dei soldati disertori che si trovavano prigionieri del nemico era importante accertare le condizioni della loro cattura, e che questa non fosse riconducibile alla loro stessa responsabilità. Alcuni mesi più tardi i due soldati informarono le rispettive famiglie di essere in un campo di prigionia alleata in Africa. K. scriveva che stava bene, che riceveva buone cure, giocava a calcio e a tennis. Sul giornale aveva letto dei bombardamenti su Londra e Berlino, e diceva di sperare che i genitori stessero bene. Abituato a muoversi molto, K. affermò che gli riusciva difficile sedere dietro il filo spinato, ma ripensava anche alla sua esperienza precedente di soldato: “Recluso lo ero già,

appunto per la madre patria e per il Führer. Ma tutto ha una fine. Anche la guerra”.

In provincia di Chieti fece perdere le tracce di se anche il ventiseienne F. allontanandosi il 6 giugno '44 dalla 2ª compagnia del Panzer-Artillerie-Regiment 93342. Nell'ultima lettera che aveva inviato ai genitori il 28 maggio 1944, giorno di pentecoste, mentre si trovava ricoverato in un lazzaretto mili-tare, F. scriveva di apprezzare quei giorni di tranquillità, dicendo di voler approfittarne per riposare il più possibile. Maggio stava finendo, e F. riteneva che una battaglia decisiva non fosse ancora all'orizzonte.

Commentava anche i bombardamenti alleati sulle città tedesche e francesi, valutando però come gli alleati non facessero molti progressi nella conduzione della guerra.

Il padre di F., convocato presso la gendarmeria di Blodelsheim, affermò che la notizia della diser-zione del figlio era un fatto per lui completamente inatteso. A una possibilità di quel tipo non aveva mai pensato, e per questo si dichiarava attonito. In nessuna lettera il figlio aveva mai dato ad inten-dere di volersi allontanare dalla sua formazione e per questo il padre scriveva:“Ancora oggi non

posso credere che egli si sia sottratto con intenzione al suo dovere di soldato, in ogni caso questa circostanza è un mistero”.

Si dichiarava convinto che le cose si sarebbero chiarite in modo diverso, rispetto a come si presenta-vano, e concludeva scrivendo: “Sono stato anche io soldato, ho partecipato alla guerra mondiale e

sono un vecchio sottufficiale tedesco non potrei accettare per nessun motivo una tale codardia”.

Le circostanze della sua scomparsa facevano ritenere al comandante della batteria che F. fosse stato convinto a disertare da un compagno di formazione, il cannoniere K.

F. era infatti “un soldato che compiva volentieri il servizio militare e che era cosciente di quale

fosse lo scopo di questa guerra”. Dalla testimonianza di un altro soldato emergeva poi che K.

avesse invece espresso con lui l'intenzione di disertare: “Quando per me diventa troppo, allora so,

cosa faccio”.

Nel disertare i due erano anche stati aiutati da due donne italiane, scomparse anch'esse da quel momento; la testimonianza di un altro soldato riportava infatti che K. e F. si erano intrattenuti il giorno della loro scomparsa con loro, interrompendo i discorsi quando il soldato testimone casual-mente si era avvicinato al gruppetto. Verso le 16 aveva anche notato K. consegnare un foglietto a una delle due donne.

1.4 “Quando si arriva al fronte, vi facciamo fuori”. Processo della Leitkommandantur di Verona

W.T. venne giudicato colpevole di allontanamento non autorizzato dal tribunale della

Leitkomman-dantur di Verona343.

Tornitore di professione, T. era stato arruolato ad inizio ottobre del 1942. Nella notte di capodanno, in un'osteria di Salonicco, in stato di ubriachezza, aveva distrutto piatti, bicchieri e bottiglie, aveva danneggiato la porta e le pareti del locale e aveva anche minacciato alcuni clienti. Con le minacce si era fatto consegnare tre bottiglie di vino, allontanandosi senza pagarle. In quell'occasione era stato condannato dal tribunale del comandante supremo Südost, gruppo di armate E, a sei mesi di prigione. Inserito nell'Artillerie-Regiment 96 era stato in seguito inviato in Italia, e durante il trasporto verso Riccione nel dicembre 1943 si era allontanato dalla sua formazione. La scomparsa era stata denunciata al tribunale responsabile (quello della Reichsgrenadier-Division Hoch- und Deutschmeister,) ma nonostante numerose ricerche non era stato possibile rintracciare T. fino al momento del suo arresto da parte della Gnr che era avvenuto nei pressi di San Benedetto del Po (Mantova), nell'aprile del 1944. Al momento del fermo T. indossava abiti civili, ed era stato in un primo momento portato all' Ortskommandantur di Gonzaga, e trasportato in seguito dalla

Feldgen-darmerie in prigione prima a Mantova, dove il 18 aprile era stato interrogato dalla FeldgenFeldgen-darmerie Trupp 532, e poi a Brescia.

T., che era nato a Łódź ed “apparteneva” alla Deutschevolksliste III aveva rivelato che la sua deci-sione di disertare era maturata in Italia a causa del trattamento che alcuni compagni (originari dei Sudeti e della Prussia orientale) del battaglione di marcia che avrebbe dovuto portare i soldati presso la divisione Hoch und Deutschmeister nel quale era stato inserito avevano tenuto nei confronti suoi e di altri 5 polacchi. A causa, diceva T. della loro origine non tedesca erano stati ingiuriati (erano stati chiamati “maiali polacchi” riferiva T.), picchiati e minacciati (“Quando si

arriva al fronte, vi facciamo fuori”). T. aveva anche denunciato i compagni ad alcuni superiori, che

avevano arrestato alcuni dei responsabili delle minacce, ma la situazione era in seguito nuovamente

peggiorata. Anche la testimonianza di un altro compagno riferiva che T. era spesso vittima dell' “umore” degli altri compagni. Dopo la sua fuga T. aveva ricevuto alloggio da contadini italiani, con i quali si giustificava di aver per errore perso contatto con la sua unità. Era risalito verso il nord Italia, spostandosi in maniera non lineare ma procedendo da “destra a sinistra” perché diceva di non conoscere i paesi e non si era fidato di chiedere informazioni. Arrivato a Milano aveva indos-sato vestiti civili (liberandosi dell'uniforme e dell'arma tedesca, lanciandole avvolte in un fagotto su di un mezzo sanitario tedesco di passaggio) e aveva lavorato come meccanico per procurarsi da vivere.

Durante il processo si riconobbe che non era del tutto improbabile che T. non si fosse consegnato a qualche ufficio tedesco proprio per la paura di essere inviato nuovamente nel reparto dove i vecchi compagni l'avevano maltrattato. Inoltre non era stato riconosciuto in lui un vero e proprio piano di fuga organizzato, e per questo motivo venne condannato solo per allontanamento non autorizzato e non per diserzione a due anni di prigione. Nonostante si fosse intrattenuto a lungo lontano dalla sua formazione, a suo favore giocava il fatto che non possedeva sufficienti conoscenze della lingua tedesca, cosa che gli aveva impedito di ricevere ulteriore aiuto all'interno dell'esercito, e che la sua decisione appariva motivata esclusivamente come reazione al cattivo trattamento subito.

1.5 Per passare ancora un paio di bei giorni a Bologna. Processo del tribunale del