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Le Considerazioni sopra una nuova divisione delle province e diocesi di Angelo Paolo Carena (1768-1769)

la complessa geografia religiosa del Piemonte settecentesco

3. Le Considerazioni sopra una nuova divisione delle province e diocesi di Angelo Paolo Carena (1768-1769)

La necessità di conseguire una più razionale ed organica ripartizione delle provincie e delle diocesi piemontesi fu analizzata, al di fuori degli apparati dirigenti del regno, da un giovane ed intraprendente avvocato di Carmagnola, Angelo Paolo Carena, che pose al centro della propria riflessione di intellettuale-riformatore settecentesco il problema della riorganizzazione della maglia amministrativa, vista non solo in prospettiva politica, ma anche e soprattutto storica e geografica.

Nato a Carmagnola il 6 marzo 1740, Angelo Carena compì studi scientifici e giuridici. Laureatosi in giurisprudenza all’ateneo torinese nel 1762, si dedicò successivamente agli studi storici. Morì a Torino, ancor giovane, nell’ottobre 1769 a causa anche dell’eccessivo studio in cui si era impegnato incessantemente per anni, e di cui rimane traccia nella sua abbondante e variegata bibliografia57. Le sue opere segnano in Piemonte il passaggio fra la generazione che aveva conosciuto direttamente Ludovico Antonio Muratori (come il Terraneo, che di Carena fu maestro negli studi storici) e un nuovo gruppo di intellettuali (Vernazza, Denina, Galeani Napione) che avrebbe segnato la storia culturale del Piemonte al passaggio del secolo, studiosi desiderosi di allontanarsi dall’acribia dell’erudizione muratoriana a favore di un approccio più problematico ed anche attento ai temi della contemporaneità (Comba 1980, p. 95)58. Il “malessere” maturato in quegli anni all’interno della facoltà giuridica torinese favorì, come è stato evidenziato da Donatella Balani, “l’interesse per gli studi storici ed eruditi […] che in Gian Tommaso Terraneo, in Angelo Paolo Carena e in Giuseppe Vernazza si sarebbe trasformato in impegno civile: le loro ricerche sulla realtà economica, demografica ed amministrativa del regno infatti avrebbero contribuito a dare corpo a varie 57 Sugli scritti del Carena cfr. Claretta 1862; Dillon Bussi 1977; Fubini Leuzzi 1983, pp. 115-119; Romagnani 1985, pp. 305-312; Ricuperati 1989, pp. 140-142; Giaccaria 1994, pp. 42-44; Lupano 2001, pp. 299-300.

58 Credo non sia del tutto casuale che proprio nel corso degli ultimi decenni del Settecento si assista ad un fiorire di storie diocesane in cui l’erudizione settecentesca si incontra con forza con la storia dei territori:

Del vescovato, de’ vescovi e delle chiese della città e diocesi d’Alessandria di Giuseppe Antonio Chenna

(1785); Memorie storiche della città di Fossano scritte dall’abate Giuseppe Muratori (1787); Memorie

della chiesa di Susa di Cesare Sacchetti (1788); Memorie istoriche della chiesa vescovile di Monteregale in Piemonte dall’erezione del vescovato sino a’ nostri, di Gioacchino Grassi di Santa Cristina (1789); Monumenta Aquensia di Giovanni Battista Moriondo (1789-1790) (Calcaterra 1935, pp. 144-145).

proposte di riforma […] indifferibili” (Balani 1996, pp. 319-320). Il legame con i territori lo ritroviamo ben presente in Carena (così come in Vernazza), che dalla provincia piemontese era approdato a Torino con la sua famiglia per poter proseguire negli studi universitari. Carena seppe, infatti, stringere legami anche con studiosi locali, con cui mantenne relazioni durature e proficui scambi di informazioni, come ad esempio testimoniato dai rapporti con lo storico monregalese Pietro Nallino, ricostruiti da Angelo Giaccaria (1994, pp. 111-116) e, più recentemente, da Rinaldo Comba (2004).

Il Settecento, è stato scritto, fu “l’era della delimitazione” (Nordman 1998, pp. 283-359; Rao 2011, p. 161): Angelo Paolo Carena non sfuggì alle più attuali sollecitazioni culturali del suo tempo, e seppe affrontare quindi anche il tema dei confini storici e geografici con vastità di vedute, novità di metodo e con il pragmatismo di chi possedeva anche una buona conoscenza topografica dei mutevoli ed articolati territori piemontesi. Nel contesto di questa nuova visione, in cui le istanze riformatrici abbracciavano, compiutamente e con convinzione, forse per la prima volta, istanze che venivano anche dall’analisi storica e geografica, Carena maturò “vivaci ed acute considerazioni talora di stampo giurisdizionalistico o fisiocratico” (Comba 1980, p. 96) nelle Considerazioni sopra una nuova divisione

delle province e diocesi degli Stati di S.M. il Re di Sardegna. Come molti degli

scritti di Carena anche questa sua memoria rimase a lungo inedita: vide la luce oltre un secolo dopo la sua redazione, nel 1878, per iniziativa del barone Emanuele Bollati di Saint Pierre, che la diede alle stampe in uno dei volumi della “Miscellanea di storia italiana” editi a Torino dalla Regia Deputazione di storia patria59.

59 Dino Gribaudi (1966, pp. 586-587) segnala un’edizione Paravia del 1840, tale edizione è a mio avviso inesistente (manca al CLIO-Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento e a tutte le bibliografie degli scritti del Carena, a partire da quella curata da Gaudenzio Claretta (1862, pp. 173-176) e pertanto l’indicazione del geografo torinese è da considerarsi una semplice svista. L’unica edizione esistente è quindi quella curata da Emanuele Bollati (Carena 1878); essa è tratta dalla copia manoscritta esistente presso la Biblioteca Reale di Torino: Storia patria 3 e Miscellanea 25/2. Va segnalato che esiste un’altra copia manoscritta conservata in A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, cat. 40a, m. I, n. 10 intitolata

Considerazioni dell’avvocato Carena sopra i vantaggi d’una nuova divisione delle Provincie, e delle Diocesi degli Stati di S.M. (segnalata da Dino Carpanetto in Balani, Carpanetto, Turletti 1978, p. 40 n. 11,

che però sembra attribuirne la paternità al cugino Paolo Emilio Carena, pressoché coetaneo e quasi omonimo, professore di diritto civile all’Università di Torino). Questa copia è datata 9 dicembre 1790: essendo Angelo Paolo Carena morto ben 21 anni prima, tale riferimento cronologico è ovviamente da intendersi quale mera datazione della copia. Fra le “memorie inedite” di Galeani Napione è segnalato un “Estratto” delle Considerazioni (Martini 1836, p. 246), ora confluito nel Fondo Patetta della Biblioteca Apostolica Vaticana (Berra 1955, p. 20 n. 9).

Le Considerazioni del Carena sono state ultimamente datate da Paolo Libra come risalenti a circa il 1765 (Libra 2003, pp. 155 n. 243, 156)60; Achille Erba più precisamente ha ulteriormente ristretto la datazione della redazione del testo di Carena post 1768 in quanto in essa si cita il “buon libro intitolato Dell’officio del

Giudice, uscito di fresco in luce” (Carena 1878, p. 656), testo infatti comparso

anonimo a Venezia dal Recurti nel 1768 (Erba 2007, p. 61 n. 133). Considerando che il Carena morì nell’ottobre del 1769, la datazione delle Considerazioni si viene quindi a restringere al 1768-1769, cioè all’ultimissimo periodo di vita dell’autore61.

Ill. 5 - Frontespizio delle Considerazioni sopra una nuova divisione delle province e diocesi pubblicate da Emanuele Bollati di Saint Pierre nel 1878 all’intero della “Miscellanea di storia italiana”.

Le Considerazioni sono coerenti con l’intera riflessione teorico-metodologica dell’avvocato carmagnolese. È ad esempio lui che progetta e avvia per primo la

60 Libra ha probabilmente utilizzato, come termine post quem per datare la redazione dell’opera di A.P. Carena il riferimento al “fu abate Palazzi, economo generale de’ benefizi ecclesiastici” (Carena 1878, p. 662). Si tratta di Giovanni Antonio Palazzi, dal 1741 economo generale apostolico regio, morto nel settembre 1764 (Bosio 1863, coll. 1798-99).

61 Anche Paola Bianchi (2002b, p. 383 n. 3) e Andrea Merlotti (2002a, p. 325; 2002b, p. 486 n. 1) hanno assegnato le Considerazioni di Carena al 1768-1769.

redazione di un Dictionnaire géographique des Etats de S.M.62, segnando così la necessità di dotarsi di nuovi strumenti di conoscenza geografica “in evidente opposizione ai vecchi esempi annalistici muratoriani” (Gauna 2007, p. 80)63. Nello stesso ambito si collocano le Observations sur le cours du Pô (1762)64 in cui, sulla base di notizie storiche e cognizioni geografiche, Carena illustra “le modificazioni ambientali e paesaggistiche del corso di tale fiume attraverso i secoli” (Dillon Bussi 1977; Comba 1980), fornendo in questo modo anche risposte concrete e aggiornate alle esigenze conoscitive del suo tempo circa una così importante risorsa idrica e fluviale.

Le Considerazioni sopra una nuova divisione delle province e diocesi, il testo che più da vicino qui specificatamente ci interessa, è una riflessione di estrema importanza per quanto concerne la riorganizzazione della maglia amministrativa civile ed ecclesiastica, un’analisi isolata, lucida ed approfondita su questi temi che, proprio per queste sue caratteristiche, ha richiamato più volte, anche nel corso degli ultimi anni, l’interesse di alcuni fra i più qualificati studiosi della storia ecclesiastica ed amministrativa del Piemonte65.

È dall’unione della geografia fisica con la storia della regione che muovono le riflessioni di Carena, in un’analisi della costruzione istituzionale che parte dal primo diffondersi del cristianesimo nella regione:

Il governo ecclesiastico si era […] esattamente uniformato al civile – osservava Carena –, e tali furono le provincie e le diocesi ecclesiastiche quali erano le provincie e i territori delle città loro, poiché la chiesa era e si considerava essere nello Stato (p. 632).

A suffragare la propria ipotesi il giovane studioso di Carmagnola richiamava l’attenzione sul fatto che le diocesi più antiche che non avevano subito nel frattempo 62 Il manoscritto bruciò nel 1904 nell’incendio della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Se ne puo leggere una sintesi in Claretta 1862, pp. 144-145.

63 Biblioteca Reale di Torino, manoscritti, Storia patria 422 e 531, Angelo Paolo Carena, Discorsi storici (altre copie si trovano presso la Biblioteca Civica di Torino, Fondo Bosio, MS B.43, la Biblioteca Don Bosco della Pontificia Università Salesiana di Roma, Fondo Cays, e l’Accademia delle Scienze di Torino, ms. 126).

64 Pubblicata nei “Mélanges de philosophie et de mathématique de la Société Royale de Turin”, II (1760-61) [1762], pp. 64-108.

65 Cfr. ad esempio Cozzo 2001, pp. 369-370; 2007, p. 204; Libra 2003, pp. 154-159; Erba 2007, pp. 61-62.

smembrazioni, ancora presentavano confini che ricalcavano quelli delle circoscrizioni amministrative del tardo Impero romano66. In altri casi invece nel corso dei secoli gli antichi distretti erano stati frammentati da un proliferare di nuove diocesi e di giurisdizioni particolari:

Parecchie diocesi, quelle cioè nelle quali non furono erette nuove sedi vescovili, conservano ancora i loro antichi confini, ed alcune sedi metropolitane le loro antiche provincie; onde più facile e ordinata e ai popoli più comoda riesce la loro amministrazione. Ma – dopochè, rilassandosi l’antica disciplina della chiesa ed estendendosi oltre modo l’autorità della Chiesa e della Corte di Roma, la quale assorbì gran parte dell’autorità e giurisdizione delle altre chiese nazionali e provinciali ed usurpò anche parte di quelle de’ principi, si fecero molti cangiamenti (per lo più senza giusto fondamento e contro l’utilità generale) in quella ordinazione delle provincie ecclesiastiche che con tanto studio e giusta il prescritto dei Concili […] si era conservata finché si conservò la giurisdizione delle chiese nazionali e provinciali – per il fine, come si crede, di aver maggiore autorità nei Concilii mediante un maggior numero di voci a propria disposizione, i Papi in quella parte d’Italia nella quale avevano acquistato maggiore autorità temporale, cioè nello Stato ecclesiastico e nel regno di Napoli, eressero molte sedi vescovili e molte metropolitane assai promiscuamente e senza regolata distribuzione. Ivi, ed altrove ancora, esentarono sedi vescovili dalla giurisdizione delle loro metropolitane per soggettarle immediatamente alla sede loro, e (quel che fu peggio) per lo stesso fine esentarono dalla giurisdizione de’ vescovi abbazie e monasteri, come in appresso generalmente gli ordini regolari; onde i luoghi ne’ quali avevano gli abati qualche giurisdizione spirituale o patronato o dominazione di parrochi, temporale solamente, affettarono ed ottennero l’indipendenza dalla giurisdizione de’ vescovi, e così sorsero le abbazie e territori di niuna diocesi (nullius diocesis) che in più luoghi smembrarono le diocesi antiche, esimendo da queste ampi tratti e recando con ciò molti inconvenienti (pp. 633-634).

I fenomeni descritti da Carena avevano sì caratterizzato profondamente i territori dell’Italia centro-meridionale, ma si ritrovavano pure, se non con le stesse dimensioni sicuramente con analoghe caratteristiche, anche nei domini sabaudi (cfr. carta 4). Alla frammentazione e dall’intersecarsi dei confini si sommava talvolta una sovrapposizione di giurisdizioni che rendeva in alcuni casi incerta e confusa l’appartenenza diocesana:

In più luoghi poi, nelle vicende de’ tempi e nelle confusioni delle cose, usurparono i vescovi, gli uni sopra gli altri, porzioni delle

66 Non è questa la sede per affrontare, ancorché succintamente, il complesso tema del continuum delle circoscrizioni amministrative fra tardo impero e medioevo. Sia quindi qui concesso, all’interno di una troppo vasta bibliografia, richiamare solo le brevi problematizzazioni che al tema ha dedicato Lucien Febvre (1947).

diocesi attigue, donde soventi ebbero origine litigi, e dissensioni; e in altri luoghi ancora, ad imitazione degli abati, i vescovi aventi giurisdizione temporale sopra un luogo di aliena diocesi conceduto alle loro chiese dai principi trassero a sé anche la spirituale, esercitandovi la giurisdizione vescovile in pregiudizio del vescovo di essa diocesi, e ciò particolarmente dove era loro concesso insieme alla giurisdizione temporale il giuspatronato delle parrocchie de’ luoghi (Carena 1878, pp. 634-635).

Quest’ultima situazione descritta in termini generali da Carena, proprio negli anni in cui egli scriveva, la si ritrovava a Cavagnolo, località della diocesi di Casale Monferrato in cui aveva sede l’antico priorato benedettino di Santa Fede. Quest’ultimo, così come tutte le principali abbazie piemontesi, era stato dato in commenda a partire dal XVI secolo. Nel 1729, in seguito alla morte del priore commendatario Paolo Coardi, il priorato cavagnolese era stato assegnato in dotazione alla mensa vescovile di Acqui Terme per volere di papa Vincenzo Maria Orsini. Ecco quindi che il presule monferrino mons. Pietro Gerolamo Caravadossi, nel compiere la visita pastorale a Cavagnolo nel 1732 non poteva che acclarare: “questa chiesa non è stata visitata, perché la medesima ecclesia [e] il priorato Concizionale in essa eretto anticamente sotto al titolo è stato aggregato al Vescovato della Città d’Acqui dal Sommo Pontefice Benedetto XIII a favore di Monsignor Vescovo d’essa città Rovero […] nell’anno 1729” (Vescovi 2005-2007, vol. I, p. 111, n. 49). La chiesa e il priorato di Cavagnolo ritornarono sotto la piena giurisdizione della diocesi casalese solamente il 22 luglio 1797, quando Pio VI emise un’apposita bolla ponteficia al riguardo (Vescovi 2005-2007, vol. I, p. 114). Nel corso dei circa settant’anni in cui perdurò l’esistenza di questa anomala enclave acquese all’interno del territorio parrocchiale di Cavagnolo non mancarono tensioni giurisdizionali fra il priorato e la parrocchia e, di riflesso, fra le due curie vescovili: “alcune lettere scritte tra 1745 e 1749 e conservate presso l’archivio parrocchiale di Cavagnolo attestano il difficile rapporto tra l’Arciprete della Parrocchia di Cavagnolo ed il vicario del Vescovo di Acqui presso Santa Fede: il primo, infatti, muove delle rimostranze contro il secondo, accusandolo di svolgere presso l’antico priorato funzioni di chiesa parrocchiale” (Vescovi 2005-2007, vol. I, p. 113). Alla richiesta avanzata dal vescovo di Casale al suo omologo acquese di documentare i propri diritti su Santa Fede, quest’ultimo rispondeva “di non ritrovare la bolla di smembrazione del priorato di Santa Fede”. Vi era probabilmente da parte del

vescovo di Acqui la volontà di mantenere in vita una situazione di incertezza e ambivalenza fra la natura ‘patrimoniale’ del beneficio ecclesiastico unito alla sua mensa vescovile e la ‘giurisdizione’ spirituale che egli cercava, per il tramite del suo vicario, di rivendicare nei confronti della curia casalese e della parrocchia di Cavagnolo67. L’incertezza, anzi la confusione giurisdizionale su Santa Fede mi sembra sia confermata dal fatto che il successore di Caravadossi sulla cattedra di sant’Evasio, il vescovo Ignazio della Chiesa, nella visita pastorale del 1750 potè invece visitare anche il priorato di Cavagnolo, forse anche perché le tensioni ingenerate dalle forti personalità di Caravadossi a Casale e di Roero68 ad Acqui si stemperarono nel rapporto fra mons. della Chiesa e mons. Alessio Ignazio Marucchi, a sua volta succeduto al Roero sulla cattedra di san Guido.

Un caso simile di voluta, cercata incertezza e rivendicazione giurisdizionale, mi pare possa essere quello coevo della canonica di Vezzolano, anch’essa data in commenda, che negli anni a cavallo fra il terzo e il quarto decennio del Settecento vide contrapposti il vescovo di Casale e l’abate François Coppier (1727-1740) che rivendicò per Vezzolano il privilegio di essere “nullius diocesis”. Tale rivendicazione era portata avanti da oltre un secolo dagli abati commendatari della prepositura di Vezzolano, ma fu proprio negli anni della reggenza di Coppier che essa raggiunse il culmine (Bosio 1872, pp. 53, 94-105). Alla base della rivendicazione vi erano varie ragioni, fra cui il fatto che all’abate di Vezzolano spettava il giuspatronato di nomina del parroco di Albugnano (località in diocesi di Casale), ma un conto era il diritto alla nomina del parroco, altro era l’esercizio delle funzioni episcopali. Significativamente nella “sala dell’abate” sita all’interno del complesso canonicale di Vezzolano lo stemma dell’abate Coppier è sovrastato dalle insegne episcopali della mitria e del pastorale, oltre che dalla scritta “Vezzolani

nullius Diocesis Abbas” (ill. 6; Pistone 2010, pp. 77-78)69.

67 Sulla particolare commistione che si verificava a Cavagnolo cfr. anche Balduini 2010, p. 112; Aletto 2006, p. 64. Si tenga presente che separavano Cavagnolo da Acqui Terme oltre 80 chilometri di tortuose strade attraverso il territorio collinare dell’astigiano e del Monferrato.

68 Mons. Giovanni Battista Roero (1684-1766), poi arcivescovo di Torino (1744) e cardinale (1756), è ricordato dalla documentazione come il “principal autore dell’unione di detto Priorato al Vescovato di Acqui” (Vescovi 2005-2007, vol. I, p. 113, n. 57).

69 Ampia documentazione sulla vertenza portata avanti dal Coppier è conservata presso l’Archivio Storico Diocesano di Casale, faldoni Albugnano e Vezzolano. Sulla nomina del Coppier ad abate di Vezzolano cfr. Silvestrini 1997, pp. 333-334; 2002, p. 408. La dicitura di rivendicazione “Abbas S.te Mariæ de

Vezzolano nullius diæcesis (sic)” compare anche a corredo dello stemma di Carlo Giuseppe Tommaso

Ill. 6 – Albugnano (Asti), canonica di Santa Maria di Vezzolano, sala dell’abate. Lo stemma dell’abate François Coppier, abate commendatario di Vezzolano dal 1727 al 1740. La mitria, il pastorale e la scritta “Vezzolani nullius Diœcesis Abbas” indicano chiaramente il tentativo di sottrarsi all’autorità del vescovo di Casale: anche le immagini erano utilizzate per rivendicare la giurisdizione ecclesiastica sul territorio di Albugnano (foto di Gianpaolo Fassino).

Il Carena esemplificò le incongruenze delle giurisdizioni vescovili citando i casi di Arona e Frassineto Po (enclaves dell’arcidiocesi di Milano nei territori piemontesi), di Tigliole (enclave della diocesi di Pavia), Vernante e Limone (parrocchie della diocesi di Fossano poste in val Vermenagna, distanti e completamente distaccate dal rimanente della diocesi). Le Considerazioni del Carena mettono quindi in luce come molte delle difformità territoriali nella conformazione delle diocesi si fossero originate dall’aver eretto le sedi vescovili di Casale Monferrato (1474) e Saluzzo (1511) “per il vantaggio particolare degli Stati de’ principi che possedevano quel dominio”. L’erezione di queste diocesi fu un’operazione vantaggiosa per le due corti marchionali – che videro così non solo accresciuto il proprio prestigio, ma anche favorito un più diretto controllo sulla vita ecclesiale dei propri sudditi (Prodi 2009, p. 175) –, ma da essa “ne nacquero per

altra parte grandi inconvenienti. Si trovarono quindi tratti di diocesi intersecati ed altri da essa intieramente separati per cagione della diversità de’ dominii esistenti quando vennero erette” (Carena 1878, p. 636). Si trovavano in particolare in questa situazione numerose località fra cui Verrua Savoia, Robella, Cocconato, Cocconito, Aramengo, Marmorito, Passerano, Primeglio e Castelnuovo d’Asti (enclave vercellesi nel Monferrato; Settia 1991, pp. 372-373) e Carmagnola, Ternavasso, Valfenera, Isolabella, Baldissero d’Alba insieme a una decina di altre località delle Langhe (enclaves saluzzesi sparse nel Piemonte meridionale). Se queste situazioni si erano però originate nei secoli precedenti, non mancavano variazioni di appartenenza diocesana che, seppur attuate recentemente, non andavano nella direzione di una razionalizzazione delle circoscrizioni, ma anzi contribuivano a rendere ulteriormente variegata una cartografia già di per sé bastevolmente complessa:

non so poi qual buona ragione – scriveva con malcelata ironia Carena – siasi potuto avere in questi ultimi tempi [1749] per separare dalla diocesi d’Alba il luogo di Verduno, vicinissimo a questa città, ed unirlo alla diocesi di Torino, dalla quale città è molto lontano, oltre all’esservi di mezzo il rapido fiume Tanaro senza ponte. Se si volle dare un compenso (per altro non necessario) alla diocesi di Torino, dalla quale si erano a buona ragione per la loro distanza smembrati varii luoghi delle valli di Susa e Lucerna70 per unirli alla nuova diocesi di Pinerolo che la intersecava, si poteva trovare un tal compenso più vicino a Torino (Carena 1878, p. 637)71.

Fatta dunque l’analisi geografica e storica del problema, Carena nell’ottavo capitolo della sua operetta evidenziava la necessità di mettere mano ad “una nuova ordinazione delle Provincie degli Stati di S.M. sì quanto al Governo civile che quanto all’ecclesiastico”. Il giovane avvocato argomentava nel suo scritto:

di quanta utilità sarebbe una nuova ordinazione delle diocesi più conforme ai siti de’ luoghi, come lo erano nella origine della sedi vescovili, e così al vantaggio spirituale e temporale dei popoli. Se non si trovasse facilità o se vi fosse troppo dispendio nell’ottenere da Roma la facoltà di farla, [potrebbe di sua autorità provvedervi S. M.]

72; giacché i principi l’hanno da Dio quella potestà che si richiede al

70 Nome anticamente utilizzato per designare la Val Pellice.

71 Sulle motivazioni della permuta di Verduno cfr. supra, par. 2, pp. 35-36.

governo temporale e alla felicità dei popoli loro affidati, e perciò