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la complessa geografia religiosa del Piemonte settecentesco

4. Difformità territoriali fra province e diocesi: i casi di Asti e Cuneo

4.1. Una provincia, nove diocesi: il caso di Asti

4.1.3. Un caso di apparrocchiamento: nuovi confini per Marmorito

Edoardo Grendi studiando, in un fondamentale saggio, le vertenze confinarie fra le comunità di Mioglia e Sassello ha individuato in quest’ultima località una “secolare istanza di smembramento parrocchiale” (Grendi 2004, p. 149). Analoga tendenza è stata a più riprese messa in luce da Angelo Torre anche per numerose altre località del Piemonte (Torre 2011). Il “desiderio di segregazione”, la “ricerca di separatezza” (Torre 1995, p. 33; 2009, p. 480; 2011, p. 127) conseguiti attraverso l’autonomia parrocchiale li si ritrova, come già si è accennato, pure a Marmorito, all’epoca comune della provincia di Asti, già appartenuto alla piccola ma indipendente “contea dei Radicati” (Longhi, 2005-2007; Lombardini 2007, pp. 171-172; Battistoni 2007, pp. 194-196; Battistoni, Lombardini 2007), e proprio per questo rimasto, a differenza delle comunità limitrofe di Albugnano e Pino cedute nel 1474 a Casale, sotto la giurisdizione della lontana diocesi eusebiana. Non si può non rilevare – in attesa però di più puntuali riscontri – una certa qual tendenza alla moltiplicazione delle giurisdizioni parrocchiali e quasi-parrocchiali nei territori collinari già soggetti al consortile dei Radicati e alla diocesi di Vercelli: innanzitutto Passerano, dove, oltre alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo fu eretta in comparrocchiale, dal 1702 al 1847, la chiesa del castello dedicata a Santa Maria (Venturi, 1954). Due parrocchie si ebbero anche a Cocconato (Cocconato e Tuffo), Robella (Robella e Cortiglione), Primeglio (con seconda parrocchia a Schierano) e, appunto, Marmorito. Non si può dimenticare che già Franco Venturi, in questa prospettiva e con riferimento a questo specifico territorio, nel suo magistrale e insuperato volume su Alberto Radicati di Passerano (1954) aveva del resto messo in

rilievo come le profonde conflittualità che tra fine Sei e inizio Settecento maggiormente acutizzavano i rapporti fra il “consortile” e gli “uomini della terra” prendevano “un po’ dovunque sul feudo dei Radicati la forma d’una contesa per il controllo e l’amministrazione delle chiese parrocchiali da parte delle comunità, in contrasto con la volontà dei nobili di conservare invece alle loro chiese, site all’interno dei castelli, una funzione centrale nella vita religiosa dei villaggi. Attorno alle due chiese – sottolineava ancora lo storico torinese – si cristallizzano le tradizioni, gli orgogli, gli interessi degli uni e degli altri” (Venturi 2005, p. 16; Silvestrini 1997, p. 229).

Venendo quindi più nel dettaglio al complesso caso dell’erezione canonica della seconda parrocchia di Marmorito, Santa Maria ad Nives, si nota come essa sia stata ottenuta solo nel 1839: il tardo conseguimento di tale risultato non fu un però evento imprevisto, ma bensì l’esito finale del plurisecolare impegno profuso dai borghigiani per distaccarsi dalla parrocchia matrice del “Recinto”, cioè il borgo che sorgeva intorno all’antico, diruto castello dei Radicati (borgo detto anche Marmorito “Airali”) da cui, fino a quella data, dipendeva Santa Maria della Neve, una antica chiesa posta nella zona settentrionale del territorio. L’habitat disperso che caratterizza l’assetto insediativo di quest’area collinare, il lungo periodo che segna l’apparrocchiamento di Marmorito, e la sua successiva disgregazione municipale rendono questo microinsediamento121 particolarmente interessante da essere studiato ed approfondito, anche al fine di individuare quale sia il “paese” di riferimento, cioè l’effettiva “unità minima di percezione dell’appartenenza” (Gri 2009, p. 93) di un individuo, di una famiglia, di un gruppo rispetto a uno spazio e a un territorio122. A Marmorito infatti appare evidente non essere il comune amministrativo il nucleo di identità primaria dei singoli e della comunità locale, ma piuttosto i due insediamenti, più o meno sparsi123, che settimanalmente si ri-costituivano e appaesavano in 121 Nel 1750 la popolazione complessiva di Marmorito ascendeva a soli 284 abitanti (Defabiani, Palmucci, Cornaglia 2007, p. 69), per poi salire di alcune centinaia di unità: 533 abitanti sono attestati nel 1806 (Archives Nationales, Paris, F/19/703, Division administrative et population du Département de Marengo

au 1er janvier 1806). Nel 1824 risultavano 523 abitanti (Calendario generale pe’ regii stati, anno II

(1825), Torino, Pomba, [1824], p. 528). L’apice di residenti si registrò nel censimento del 1901 con 688 abitanti.

122 Per un confronto con la percezione spaziale attestata a Villadeati, comunità monferrina contigua alle colline di Marmorito, cfr. Soraci 1993.

123 Riferendosi a Marmorito l’erudito Gian Secondo De Canis nel 1814 scriveva che “l’abitato è sparso e non ha alcun ordine” (Bordone 1977, p. 148).

occasione della messa domenicale intorno alle rispettive chiese della Madonna Immacolata e della Neve: il “cantone”, la “parrocchia” anche qui, come del resto in tutta la regione, costituisce – seppur ancora informalmente – “la struttura politica di base” (Torre 2011, p. 201). Senza poter ripercorrere analiticamente in questa sede il duplice, plurisecolare, contraddittorio processo di gemmazione e frammentazione124

parrocchiale da un lato e di suddivisione municipale dall’altro, condizionato da plurime forze che potremmo anche dire ‘centripete’ e ‘centrifughe’, si ritiene comunque che il caso di Marmorito possa esemplificare bene – al di là degli aspetti anche parossistici che caratterizzarono la storia dei due ‘borghi’ che lo compongono –, il ‘particolarismo monferrino’, cioè quella spiccata tendenza, favorita forse anche da un precoce diffondersi della piccola proprietà contadina125, all’individualismo e alla concorrenza126, a tratti anche sleale, che qui pare esacerbarsi più che altrove: “basta alle volte una semplice fazione, disapori, ed artifizi d’un terrazzano – argomentava a fine Settecento l’intendente Corte di Bonvicino nella sua già citata

Relazione dell’Asteggiana – per togliere la pace, la semplicità, ed onestà d’animo in

un paese, perché il rustico villano è facile che cada nella seduzione, e sotto simulati venefici, sentimenti di protezione venga corrotto per opera del più malizioso” (Raviola 2004, p. 110). Il fatto poi che il contadino proprietario venisse designato, nel Piemonte del tempo, con l’appellativo di particular127 mi sembra un aspetto significativo da non trascurare128. Paola Sereno in un suo contributo alla Storia 124 Giovanni Levi introducendo il suo magistrale lavoro su Giovan Battista Chiesa ha scritto di comunità contadine che “mostrano al loro interno un variegato e mutevole processo di fissione e di scissione” (1985, p. 3).

125 Cfr., per un raffronto, l’analisi del catasto particellare tardosettecentesco del vicino comune di Cocconato fatta da Corsino (2006). Cfr. anche Prato 1908, cap. II/VI, § 38-42; Bulferetti 1963, pp. 46-53; Massullo 1990, pp. 12-13, Subbrero 2006, pp. 151-158.

126 Galli della Loggia 2011, pp. 87-112.

127 “Dicesi a persona, che vive del suo, che non appartiene ad altri, benestante” (Zalli 1815, vol. II, p. 147).

128 Lucetta Scaraffia e Paola Sereno, indagando la storia della borgata Monfallito (Castello d’Annone, Asti), un territorio abbastanza prossimo ed assimilabile a Marmorito, hanno messo in luce come ci si trovi di fronte, fra Sette e Ottocento, ad “una società rurale fondata sulla proprietà della famiglia nucleare di tutti i mezzi di produzione: cosa che, anche in tempi recenti, ha reso difficile ogni forma di cooperazione” (Scaraffia, Sereno 1976, p. 519). Tale tendenza al ‘particolarismo’ – su cui mancano però ancora puntuali indagini di lungo periodo, che mettano in luce le trasformazioni di questo fenomeno – si sarebbe forse (e solo in parte) attenuata nel corso del secondo Ottocento, da un lato con la crisi vitivinicola causata dalla comparsa di oidio, fillossera e peronospora, dall’altra con il contestuale diffondersi nelle campagne piemontesi delle Società operaie di mutuo soccorso, portatrici di nuovi valori solidaristici, cui non andò disgiunta l’intensa predicazione di alcuni “parroci agronomi” (Fassino 2009a). A questa attenuazione contribuirono anche, fra Otto e Novecento, altre forme di collaborazione intra e intercomunitaria quali ad esempio i consorzi di natura amministrativa per i servizi comunali e locali, per la realizzazione di nuove

d’Italia Einaudi ha confermato queste impressioni evidenziando come “la piccola

comunità contadina […] non comporta di norma in Piemonte un’organizzazione comunitaria dello spazio rurale, ma, al contrario, specialmente nella zona collinare, è strettamente intrecciata all’individualismo tipico della piccola proprietà” (Sereno, Scaraffia 1976, p. 509).

Oltre tre secoli prima dell’erezione formale della nuova parrocchia, nel 1505, con il “legato Porta” fu costituita una prima rendita – peraltro insufficiente – volta al mantenimento di un sacerdote in loco, seppur dipendente dal parroco della chiesa matrice. Dovendo disporre di una nuova chiesa grande a sufficienza e ubicata in luogo comodo nel corso del Seicento gli abitanti delle borgate ‘settentrionali’ di Marmorito decisero di intervenire sulla cappella cimiteriale di Santa Maria ad Nives, una scelta che sul lungo periodo si sarebbe poi rivelata essere non la migliore in quanto ubicata in posizione eccessivamente periferica. Gli abitanti delle cascine129

che gravitavano intorno alla chiesa sita “in vico dicto regionis de Grassetto seu de

Massaija” non perdevano occasione per patrocinare e rafforzare la propria

autonomia dalla parrocchia di Marmorito. Lo si vede ad esempio in occasione della visita pastorale effettuata nel giugno 1749 dal canonico Melchiorre Giordano, convisitatore di mons. Giovanni Pietro Solaro, il vescovo di Vercelli da cui, come accennato, dipendeva Marmorito. Giordano, dopo aver visitato la chiesa ‘castrense’ di Marmorito, discese alla “ecclesia sub titulo Sancte Mariae ad Nives”. Gli si presentò di fronte un gruppo di notabili locali – in particolare della famiglia Massalia (o Massaglia) –, di “particularibus dicti vici, et presertim dominus Ioannes

Massaija sindicus Communitas huius loci et Ioannes Baptista de Massaija consiliarius eiusdem Communitatis componentet, prout asserunt, duas ex tribus partibus consilij eiusdem communitatis, qui tam nomine proprio, quam aliorum particularibus habitantium in eode vico”. Questi rappresentarono al convisitatore di

trovarsi “in gravi necessitate” di veder elevata a parrocchia la chiesa della borgata,

strade, acquedotti, per la lotta alla grandine, ecc. Quali indicazioni preliminari alla lettura di questi fenomeni complessi sul territorio astigiano cfr. Allio 1983; Rei 2003; Bravo 2005.

129 Va rilevato, anche per Marmorito, quanto “le ‘cascine’ caratterizzino profondamente le tensioni che segnano la vita locale. Il dato più evidente è costituito da un dualismo di carattere istituzionale tra borgo centrale e insediamenti periferici che possiamo ravvisare nella duplicità della carica di sindaco nelle comunità piemontesi di antico regime: qui la carica di sindaco è ricoperta da due persone contemporaneamente, ed è significativo che uno dei due sindaci venga chiamato ‘sindaco di bosco’ e rappresenti borgate e cascine” (Torre 2009, pp. 466-467; 2011, p. 109). Sul rapporto concentrico-cascine, letto in prospettiva antropologica, cfr. Grimaldi 2012, pp. 93-98.

stante non solo la distanza dalla chiesa parrocchiale dell’Immacolata (“distans […]

per spatium unius milliarij, plusquam minus”) ma anche a causa delle strade

impervie che nella cattiva stagione impedivano di raggiungere la parrocchia del “Recinto”130. La proposta fu probabilmente reiterata nei giorni successivi a Cocconato, direttamente innanzi al vescovo131. Il richiamo alla distanza dalla parrocchiale dell’Immacolata e il popolo numeroso (“personarum tercentum”) la si ritrova ribadita nel 1773 nei verbali della visita di mons. Costa d’Arignano. Da questo documento si vede anche che la posizione preminente, nel controllo della chiesa di Santa Maria ad Nives, è ancora saldamente nelle mani della famiglia dei Massaglia, che nel frattempo avevano realizzato nella chiesa un proprio sepolcreto (“est formatum sepulcrum familiae Massalia”). Alla medesima rete familiare apparteneva il cappellano della chiesa don Michele Massaglia (presente con tale qualifica almeno dal 1728, e come tale già indicato nella visita del 1749) e un altro sacerdote residente nella borgata, don Giuseppe Massaglia132.

Un ulteriore passaggio nel lungo cammino che portò all’istituzione della nuova parrocchia lo si ebbe nel 1785 quando la cappellania della Madonna della Neve venne eretta in vicecura attraverso l’intervento di mons. Pietro Arborio Gattinara, all’epoca vicario generale della diocesi vercellese, da cui Marmorito dipese fino al 1805, anno in cui passò all’arcidiocesi di Torino.

Seppur non fosse una parrocchia autonoma, l’istituzione della vicecura non fece altro che rafforzare l’indipendentismo del cantone dei “Massaija” e le tensioni nei confronti della parrocchia e dei parrocchiani del “Recinto”, che detenevano ancora alcune prerogative parrocchiali importanti, quale l’incasso degli emolumenti di battesimi, matrimoni e funerali. È a questa situazione di acute tensioni che faceva evidentemente riferimento l’intendente astigiano Petitti di Roreto nella sua

Relazione del 1823, laddove lamentava che nei paesi separati al loro interno da più

parrocchie “ne risultano terribili dissensioni nei parrocchiani, sgraziatamente talvolta fomentate dalli stessi membri del Clero. […] per esempio, a Marmorito, […] 130 Le questioni meteorologiche e la stato di percorribilità delle strade erano abitualmente addotti quale giustificazione per l’utilizzo di una chiesa o l’erezione di una parrocchia, talvolta anche in maniera pretestuosa, come nel caso di Passerano (Venturi 2005, p. 17).

131 Archivio storico diocesano di Vercelli, Visita pastorale di mons. Giovanni Pietro Solaro di Villanova, 1749, vol. 2, ff. 963-964.

132 Archivio storico diocesano di Vercelli, Visita pastorale di mons. Vittorio Gaetano Costa d’Arignano, 1773, vol. 1, ff. 461 v.-462 r.

si fa un tale inconveniente al sommo sentire” (Ghia 2008-2009). Poco tempo prima, nel 1822, l’arcivescovo di Torino Colombano Chiaveroti aveva infatti confermato al vicecurato “potere e giurisdizione quasi parrocchiali” (Binetti 1939, p. 9; Moiso 2009, p. 10), ravvivando le speranze di ottenere la nuova parrocchia.

Nel 1837 l’arcivescovo di Torino mons. Fransoni compì la visita pastorale nelle parrocchie astigiane della diocesi torinese e poté rendersi conto di persona delle aspettative maturate, in oltre due secoli, dagli abitanti di questa parte di Marmorito di avere una propria parrocchia nonché dell’impegno profuso per l’ingrandimento della chiesa eseguito nel 1829: il decreto di costituzione della nuova parrocchia venne promulgato di lì a poco, il 5 gennaio 1839. Da questo momento la storia delle due comunità parrocchiali di Marmorito si divise definitivamente per oltre un secolo, fino a che dal 1957 al 1984 vennero affidate nuovamente ad un unico parroco, per poi venire entrambe soppresse nel 1986 ed unite rispettivamente alle parrocchie di Passerano e Aramengo.

Con l’erezione in parrocchia della Madonna della Neve si ebbero così due parrocchie in un unico comune. Il processo di separazione iniziato nel 1505, completato nel 1839, era però tutt’altro che concluso. L’occasione per sancire il definitivo smembramento fra le due comunità si presentò nel 1928, durante il Fascismo, quando il governo compì una profonda operazione di soppressione e aggregazione dei piccoli comuni133 che, come già si è detto, erano storicamente particolarmente numerosi nel territorio astigiano. In tale contesto il comune di Marmorito, uno dei pochi in Italia e unico in Piemonte, anziché essere accorpato ad un solo comune, nel 1929 venne smembrato in base ai confini parrocchiali fra Aramengo (cui fu unito il territorio della Madonna della Neve) e il nuovo comune di Passerano Marmorito, in cui confluì la parrocchia dell’Immacolata insieme ai comuni di Passerano e di Primeglio-Schierano. Si compiva così il plurisecolare progetto, il desiderio lungamente accarezzato dai marmoritesi di essere fra loro completamente separati, a costo anche di perdere la propria autonomia amministrativa: “fatto così voluto – scrisse il parroco di allora – dalle loro aspirazioni divergenti” (Binetti 1939, p. 34)134.

133 Al censimento del 1921 Marmorito contava 592 abitanti.

134 La soppressione-separazione di Marmorito fu effettuata con Regio Decreto 28 febbraio 1929 n. 315 (“Gazzetta Ufficiale”, 29 marzo 1929, pp. 1306-1307), ulteriormente rettificato da un decreto prefettizio nel novembre 1934 (Binetti 1939, p. 35). Sulle soppressioni comunali in Piemonte durante il Fascismo