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Il Tableau historique, statistique et moral de la Haute-Italie di Carlo Denina (1805)

Un territorio antico, uno sguardo nuovo: la letteratura dipartimentalista e il Piemonte

4. Il Tableau historique, statistique et moral de la Haute-Italie di Carlo Denina (1805)

Alla descrizione del Piemonte napoleonico si applicò anche Carlo Denina, uno fra i più brillanti intellettuali del Piemonte fra Sette e Ottocento, “esito notevole del proto-illuminismo muratoriano” (Cerruti 2003, p. 201). Nato a Revello, nei pressi di Saluzzo, nel 1731, fu ordinato sacerdote nel 1754. Si dedicò fin da subito all’insegnamento in varie località del regno sabaudo e parallelamente avviò una consistente attività pubblicistica. La sua opera più celebre è sicuramente Delle

Ill. 11 - Ritratto di Carlo Denina (da Ricuperati 1994, tav. f.t. fra le pp. 672-673).

rivoluzioni d’Italia (1769-1792), che gli valse le cattedre di eloquenza italiana e

lingua greca all’Università di Torino. Vittima di numerose censure, nel 1782 si trasferì a Berlino, sotto la protezione di Federico II di Prussia. Fu poi chiamato a Parigi da Napoleone nel 1805 come suo bibliotecario privato, ove abitò fino alla morte sopraggiunta nel 1813, all’età di 82 anni218.

218 Sull’abate Carlo Denina esiste ormai una vasta bibliografia; sia qui sufficiente rinviare a Corsetti (1988) e alla voce di Giulio Fagioli Vercellone (1990) per il Dizionario biografico degli italiani, da integrasi ora con Cerruti, Danna 2001; Sorella 2005 e 2007; Pagliero 2010, pp. 61-134 e l’ulteriore bibliografia ivi citata. Di un qualche interesse è ancora De Gregory 1814, pp. 23-28.

Carlo Denina, trascorse gli ultimi suoi anni di vita lavorando “a una serie di sue imprese editoriali volte ad apparecchiare – al vasto ceto dei funzionari, burocrati e amministratori del nuovo regime e dei neonati dipartimenti del regno italico – una sorta di atlante, storico-culturale prima che topografico, della penisola” (Pagliero 2001, p. 183). La prima opera di Denina scritta nella capitale francese fu il Tableau

historique, statistique et moral de la Haute-Italie, et des Alpes qui l’entourent

pubblicato in un solo volume a Parigi dall’editore Fantin nel 1805 e poi tradotto da un gruppo di “dotti italiani” e pubblicato in due volumi a Milano l’anno seguente per i tipi di Pirotta e Maspero con il titolo di Quadro istorico, statistico e morale

dell’Alta Italia e dell’Alpi che la circondano219. A quest’opera seguirono l’Essai sur

les traces anciennes du caractère des Italiens modernes, des Siciliens, des Sardes et des Corses del 1807 e l’Istoria dell’Italia occidentale del 1809.

Il Quadro istorico riprende studi e ricerche cui Denina lavorava già da molto tempo; l’opera infatti era nata come “preliminare alla storia del Piemonte, che venne stampata a Berlino nel 1794 tradotta in tedesco” (II, p. 178)220. La ripubblicazione, peraltro modificata e integrata, di testi precedenti nel Quadro istorico e nelle altre opere deniniane edite in quegli anni, nel contesto napoleonico appariva caricata “di un valore ideologico che era del tutto nuovo”. Di ciò era consapevole Denina stesso, che scrivendone al suo agente torinese Carlo Francesco Buratti, evidenziava come seppur alcuni testi fossero vecchi era nuova la cornice teorica in cui essi vedevano la luce, da qui l’opportunità “che io ripeta cose già scritte perché esse appariranno ai più nuove” (Sorella 2007, p. 353).

La descrizione del territorio piemontese fatta da Denina parte dal centro del Piemonte, cioè da Torino ed in particolare dalla Cattedrale, a differenza dei testi di Breton de la Martinière e Millin che sono scritti con l’impostazione del voyage en 219 Il Quadro istorico di Denina è analizzato da Woolf 1995, pp. 24-25 ed è segnalato da Rivera 1996, pp. 60-61.

220 Il riferimento è alla Geschichte Piemonts und der übrigen Staaten des Königs von Sardinien edita a Berlino fra il 1800 e il 1804 (e non dunque nel 1794); cfr. Ricaldone 1982, pp. 390-391; Corsetti 1988, pp. 199-200; Pagliero 2001, p. 185. Gianni Marocco circa il riutilizzo di testi precedenti ha parlato, forse con qualche eccesso, di “mania deniniana di aggiornare, d’integrare i propri precedenti lavori […] costante in tutta la sua produzione e che si accentua nel periodo ultimo della vita nel tentativo di adattare vecchi scritti, nati con altre motivazioni, alle circostanze nuove” (Marocco 1978, p. 310). Giovani Pagliero ha sottolineato come la “tendenza del Denina ad iterare i propri percorsi intellettuali” vada inquadrata in una concezione “enciclopedica” della cultura che rendeva non solo importante ma necessario “rielaborare senza posa i risultati delle proprie analisi e di quelle altrui, poiché nella dimensione del sapere ‘tout se tient’, come in una ‘vasta edificazione’, sempre in via di edificazione” (Pagliero 1978, p. 26 e n. 9).

Italie, e quindi aprono la descrizione del territorio dai confini entrando in Piemonte

dal Gran San Bernardo (Breton) o dal Moncenisio (Millin).

Dopo Torino e il dipartimento del Po Denina descrive – in senso antiorario – i dipartimenti della Stura, del Tanaro, di Marengo, della Sesia e della Dora. Altre sezioni riguardano poi le Alpi marittime, Provenza, Delfinato, Savoia, Svizzera per poi passare alla Lombardia e a tutta l’alta Italia fino al Friuli e all’Istria. Vi è una netta preponderanza delle parti dedicate al Piemonte e ai domini ex-sabaudi di terraferma rispetto agli altri territori dell’Italia settentrionale. È Denina stesso che nelle conclusioni al suo lavoro spiega come egli dovette man mano “dilatare il piano dell’opera” rincorrendo “avvenimenti e circostanze” (cioè l’estendersi dei domini napoleonici in Italia), da ciò ne derivò il fatto che “parecchie città maggiori e più rimarchevoli che Torino, troveransi descritte più brevemente” (II, p. 179).

A complicare il quadro istituzionale che Denina cercava di descrivere intervenne, proprio mentre il libro era in stampa, l’unione della Liguria all’Impero (1805) con la creazione di nuovi dipartimenti e la modifica di quelli già esistenti nel Piemonte meridionale. Egli pertanto provvide a segnalarlo nella “revisione suppletoria” che chiude l’opera, in cui spiega come non si fosse più a tempo per modificare l’impianto del libro (II, p. 179).

Nella descrizione che Denina fece dei dipartimenti piemontesi commise alcuni errori nell’attribuzione dei territori ad una circoscrizione piuttosto che ad un’altra: ad esempio Casale Monferrato e Moncalvo sono descritti all’interno del dipartimento del Tanaro (I, pp. 92-96) e non di quello di Marengo alla cui circoscrizione in effetti appartenevano; Crescentino anziché nel dipartimento della Sesia venne inserito nel confinante dipartimento della Dora (pp. 130-131)221. Tali imprecisioni sono peraltro in parte giustificabili dall’esigenza dell’autore di descrivere i territori in modo omogeneo, anche al di là delle appartenenze amministrative, non va poi dimenticato che Denina mancava dal Piemonte da oltre un ventennio e pertanto poteva non sempre avere esattamente presenti luoghi e confini. Gli era però ben chiaro il problema del confine valsesiano: con l’individuazione della Sesia a confine di stato (fra Impero e Regno d’Italia) la 221 Non mi sembra del tutto corretto sostenere, come fa Vincenzo Sorella, che Denina presentasse nel

Tableau “le nuove circoscrizioni amministrative dell’Italia settentrionale come perfettamente rispondenti

Valsesia era stata insensatamente spaccata in due per tutta la sua lunghezza, dividendo borghi e comunità che erano uniti da secoli (cfr. cap. VI, par. 8). Carlo Denina inserì nel Tableau historique un capitolo intitolato Coup-d’œil sur un district

appelé Valsesia. Egli, a differenza di Sottile che aveva affrontato nel suo Quadro della Valsesia (1803) il problema del nuovo confine valsesiano in maniera molto

esplicita, introdusse l’argomento in modo più indiretto, presentandolo come un fatto storico e non un problema attuale, ma contribuendo così in modo determinante a farlo conoscere: “codesto paese era stato cesso nel 1703 al duca di Savoja Amedo II dall’imperatore Giuseppe I. Tutta la vallata per un secolo intero fu soggetta ad una

sola amministrazione. Ne fu ultimamente smembrato per far parte della repubblica

italiana insieme col Novarese. La riva destra della Sesia resta al circondario di Vercelli, ed al dipartimento, che porta il nome del fiume” (II, p. 11)222. Denina è l’unico fra i descrittori del Piemonte napoleonico a dimostrare una piena consapevolezza della problematica valsesiana, che però come già si è sottolineato non esplicita in termini amministrativi e politici, bensì la rimarca in prospettiva storica, sottolineando come durante il precedente periodo della dominazione sabauda (e peraltro anche prima) la Valsesia avesse goduto sempre di unità amministrativa. Nicolao Sottile nella riedizione novarese del 1817 del Quadro della Valsesia non mancò di sottolineare compiaciuto come l’abate Denina nella sua opera parlasse “assai più della Valsesia che di nessuna altra Provincia, o Valle quantunque più ricca, popolata e vasta. […] L’immortale autore delle Rivoluzioni d’Italia non si contentò di quanto aveva scritto nell’Opera sulla Valsesia; ma volle particolarmente aggiungervi ancora il suo Coup-d’Œil sur un District appelé Valsesia223, Édition de Paris par Fantin. Quale omaggio reso a quel povero Paese! Perché mai? Perché lo giudicò degno dei maggiori riguardi” (Sottile 1817, pp. 312-314)224.

Denina è anche l’unico autore fra quelli qui considerati che affronta il tema dell’organizzazione ecclesiastica del Piemonte, tema cui dedica un apposito capitolo. Egli così descrive la situazione settecentesca

222 Corsivo nostro.

223 In realtà il Coup-d’œil sur un district appelé Valsesia non è, come potrebbe intendersi stando alla citazione del Sottile, una opera autonoma, ma un semplice capitoletto del Tableau historique (Denina 1805, pp. 142-146), poi tradotto in lingua italiana l’anno successivo (1806, vol. II, pp. 11-14); cfr. Durio 1928, p. 46.

224 Su Nicolao Sottile e sul contributo da lui dato alla definizione e alla conoscenza delle problematiche scaturite dall’aver individuato la Sesia come confine di Stato cfr. infra il cap. VI, par. 8.

ventidue vescovi, e tre o quattro abati privilegiati, investiti di giurisdizione episcopale invigilavano il culto di 1.700.000 abitanti degli stati di terra ferma, cui possedeva il re di Sardegna nel 1792. […] La regola di fede, o dogma, e più ancora, la disciplina ecclesiastica stavano saggiamente di mezzo tra le opinioni in Francia appellate oltramontane, e le romane pretese. Non si faceva aperta dichiarazione né per le une, né per le altre. I vescovi eran generalmente fatti dal papa, ma sempre sulla nomina, o proposta della corte. La più parte venivan nominati decisamente ed assolutamente. Alcuni, come quelli di Novara, Tortona, e Vigevano lo erano indirettamente. La corte proponeva tre sudditi, lasciando la scelta a quella di Roma; ma si raccomandava nello stesso tempo quello, che si desiderava venisse preferito. In nessun paese d’Europa i vescovi han dato men che in Piemonte motivo d’essere accusati di cattiva condotta. Possiam dire con sicurezza, che nel corso dell’ultimo secolo, per non risalire più in alto, alcun vescovo di Piemonte, o Savoja, non diede la minima materia di scandalo (I, pp. 201-203).

L’interesse dimostrato da Denina per gli aspetti giurisdizionali della Chiesa in rapporto allo Stato non erano nuovi nella sua riflessione storico-politica, e sarebbero anzi stati oggetto specifico, in quegli anni, di un’altra sua opera, il Discorso istorico

sopra l’origine della gerarchia e de’ concordati fra la potestà ecclesiastica e la secolare comparso a Parigi nel 1808 (Pagliero 2001, pp. 194-202; Sorella 2007, pp.

349-352). Si tratta di un testo apparentemente neutrale che vede però la luce in un momento di grandi tensioni fra le corti di Roma e Parigi: i concordati del 1801 e del 1804, la pubblicazione del Catechismo imperiale, sostitutivo del Catechismo

romano (1807) fino alla totale cancellazione del potere temporale dei papi nella

primavera del 1809 con la carcerazione di Pio VII e l’annessione alla Francia dello Stato pontificio, per non citare che gli esempi più eclatanti. Di fronte a queste tensioni Denina non esitò un attimo a sposare, nascoste dietro alla sua vastissima erudizione storica, le tesi della “Chiesa di Cesare”, per utilizzare la fortunata definizione data da Daniele Menozzi della politica ecclesiastica napoleonica (1985, pp. 176-182)225.

La situazione conseguente alla riforma delle circoscrizioni diocesane piemontesi del 1803-1805, parte integrante e non secondaria della riorganizzazione della Chiesa operata da Napoleone, non venne trattata da Denina nel Quadro 225 Il Discorso istorico sopra l’origine della gerarchia ebbe peraltro una circolazione assai limitata ed era (e lo è tuttora) giudicato rarissimo (Corsetti 1988, p. 227). Lo si può considerare l’ultimo esito del suo “tenace, insistente tentativo di offrire una possibilità di sviluppo illuminato della tradizione giurisdizionalistica piemontese” (Venturi 1976, p. 85).

istorico, che si limita però ad accennarne indirettamente descrivendo la città di

Alessandria quando dice che “il vescovato è uno de’ maggiori dell’impero Francese per l’unione di due altre diocesi” (I, p. 110). Le poche parole dedicate sono abbastanza imprecise in quanto Alessandria nel frattempo non era più sede diocesana, essendo questa stata traslata a Casale Monferrato, sede cui oltre Alessandria erano stati uniti i territori vescovili di Tortona e Bobbio, oltre a numerose altre località disaggregate dalle diocesi di Milano, Pavia e Piacenza.

L’Essai sur les traces anciennes du caractère des Italiens modernes, des

Siciliens, des Sardes et des Corses pubblicato nel 1807 costituisce un

completamento e per certi aspetti anche un aggiornamento del Tableau historique di due anni prima. Dopo aver passato in rassegna le antiche popolazioni italiche, il libro contiene un Coup-d’oeil sur le tableau statistique de la Haute Italie (Denina 1807, pp. 151-172) in cui presenta una descrizione dei dipartimenti piemontesi e di quelli liguri (27a e 28a divisione militare), aggiornata con la riorganizzazione territoriale seguita alla soppressione del dipartimento del Tanaro, e all’unione alla Francia dei territori liguri.

Nel 1809 comparve l’Istoria dell’Italia Occidentale, l’ultima grande opera del Denina. In essa l’autore si sofferma sulla riforma attuata dal cardinal Caprara, illustrandone i principali dettagli ed in particolare l’importante ruolo di mediazione avuto da mons. Villaret:

Nella formazione delle diocesi di che quì parliamo, il territorio di ciascuna di esse fu molto sconvenevolmente determinato. Vi si riunirono le parrocchie che prima rilevavano da vescovi di altre provincie. Così si sottrassero alle diocesi di Genova, di Savona, di Noli, di Pavia molte parrocchie, che non furono comprese nel vescovato o diocesi di Acqui. Altre se ne tolsero agli arcivescovadi di Milano e di Torino per unirle le une al vescovado d’Asti, altre a quello di Alessandria, che poi prese il titolo di Casale.

Né qui dobbiamo dissimulare, che questa nuova organizzazione, molto conforme alla opinion di coloro che stimarono più confacevole al buon governo delle chiese le diocesi di un’estensione considerabile di territorio, non potea però eseguirsi senza pregiudizio e discapito di molte comunità, e di persone particolari; nulla di meno monsignor di Villaret vescovo allora d’Amiens, che ne fu incaricato, soddisfece compitamente all’intenzione di chi gli affidò quel carico, e del pubblico Piemontese d’ogni Ordine. Esso ne riportò in ricompensa il vantaggio di passare dal vescovado d’Amiens a quello di Alessandria, che unito a quelli di Tortona e di Casale, dove fu poi

trasferita la residenza, gli viene a rapportare almeno il doppio di quello che aveva dal primo (Denina 1809, vol. V, pp. 310-311)226.

In questo suo testo Denina si dilunga in termini entusiastici sulla riforma delle diocesi. Tali apprezzamenti, che probabilmente non trovavano la condivisione dei suoi lettori (l’opera fu peraltro un clamoroso insuccesso editoriale), vanno visti nel più complessivo contesto dell’opera deniniana dei suoi ultimi anni. In questa sua opera l’autore “intendeva dimostrare storicamente i legami tra lo spazio di frontiera subalpino e i territori transalpini: In tal modo l’annessione napoleonica del Piemonte trovava elementi di plausibilità nella storia” (Sorella 2005, pp. XI-XII).

È interessante infine rilevare che Carlo Denina fu, nei suoi anni di soggiorno a Parigi, uno dei componenti della celebre Académie celtique, di cui fu membro autorevole proprio grazie al Tableau historique, statistique et moral de la

Haute-Italie227. Denina fu anzi uno dei componenti della commissione incaricata di predisporre il questionario, insieme a Cambry, Mantelle, Johanneau e Dulaure (Ozouf 1984, p. 360; Guiomar 1992, p. 75; Séréna-Allier 2010, p. 32). Il questionario dell’Académie celtique “rappresenta senza dubbio uno dei più straordinari documenti della cultura etnografico-folklorica francese” (Moravia 1978, p. 198), particolarmente importante in quanto fornisce uno stato del sapere etnologico francese al primo Ottocento (Belmont 1986, pp. 63-64). Per il Piemonte non sono mai state ritrovate le risposte al questionario, a differenza di quelle del Regno d’Italia (Tassoni 1973, p. 23; Grimaldi 2007, p. 23). Stante il coinvolgimento di un intellettuale del calibro di Carlo Denina, in una iniziativa culturale così rilevante quale fu appunto il questionario (e la successiva inchiesta) – iniziativa che doveva fare riferimento nei singoli dipartimenti agli studiosi più “éclairés” (Moravia 1978, p. 198) –, si può con ragionevolezza ritenere che opere quali il Tableau

historique, statistique et moral de la Haute-Italie e l’Essai sur les traces anciennes du caractère des Italiens modernes fossero esse stesse il contributo dato

direttamente dall’abate di Revello all’indagine sull’identità del natìo Piemonte228, in 226 Significativamente Denina pubblica anche, quale appendice conclusiva alla sua opera, il testo integrale, in traduzione italiana, del Concordato del 1801 e dei relativi articoli organici (Denina 1809, vol. VI, pp. 219-256).

227 Oltre a Denina fu membro dell’Académie celtique anche un altro intellettuale piemontese, l’abate Tommaso Valperga di Caluso (Trinchero 2004, p. 102; 2010, p. 49).

228 Come già si è detto, pur essendo sia il Tableau che l’Essai dedicati rispettivamente a tutta l’alta Italia il primo e all’Italia intera il secondo, le pagine relative al Piemonte sono comunque preponderanti in

quei convulsi anni in cui la terra subalpina fu parte integrante della “Grande Nation”.

5. Il Voyage en Savoie, en Piémont, a Nice, et a Gènes