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Alcuni protagonisti della riforma

2. L’economo generale: il giansenista Carlo Giuseppe Tardì

Personaggio centrale nella riorganizzazione ecclesiastica e spirituale del Piemonte napoleonico fu Carlo Giuseppe Tardì258. La sua figura è nota essenzialmente per le pagine che gli dedicò Francesco Ruffini (1929; 1942, pp. 49-67), cui hanno poi via via fatto riferimento gli storici successivi259. Nato a Torino l’8 novembre 1751, teologo collegiato all’Università di Torino, fu vicario dalla corte sabauda e confessore regio su designazione del cardinal Costa, arcivescovo di Torino (Favaro 1997). La sua vicinanza alla famiglia reale, che peraltro non volle seguire nell’esilio sardo, fece sì che egli venisse deportato in Francia, nel maggio 1799, nel momento in cui il Piemonte era stato invaso dalle truppe austro-russe (del Litto 1969; Favaro 1991, p. 202; Tuninetti 2000, p. 239). Del tutto ingenerosa e fuorviante appare dunque la qualifica di “giacobino” attribuitagli da Paolo Calliari (1975, vol. II, p. 246 n.1)260. Rientrato a Torino alla fine del 1800, condusse vita riservata fino al marzo 1803, quando venne nominato Economo generale dei beni ecclesiastici261. La designazione di Tardì a questo nuovo incarico fu dovuta all’iniziativa di Antoine Charbonnière, sécretaire général chargé provisoirement de l’administration

générale, designazione che rientrava in un più generale processo di rinnovamento

del personale amministrativo francese e filofrancese a Torino262. Tardì fu chiamato a sostituire l’abate Robotti con decreto del 14 ventoso anno XI (5 marzo 1803). Con 258 Nelle fonti che lo riguardano e nella storiografia vi è una continua oscillazione sulla grafia del cognome (Tardì, Tardy, Tarditi). Lui stesso nella firma delle lettere e degli atti che emanava, durante gli anni della dominazione francese adottò la forma francesizzata Tardy, così come fecero altri piemontesi impegnati nell’amministrazione napoleonica (ad es. Gaspare De Gregory). Qui adottiamo la prima forma, quella che ci pare da lui abitualmente utilizzata. Vi è talvolta incertezza nel nome, ad esempio Paolo Calliari nell’edizione critica del carteggio di Lanteri (1975, vol. II, pp. 246, 364 n.) lo chiama solo Giuseppe, probabilmente suo secondo nome. Michael Broers (2002, p. 119) ha confuso il sacerdote torinese con il deputato francese Jean-Philibert-Antoine Tardy, vicepresidente del Corps Législatif. Non va altresì confuso con il cuneese Lorenzo Tardi (1763-1848), consultore del Sant’Uffizio e priore generale degli Agostiniani (Boutry 2002, p. 754).

259 Ulteriori contributi alla conoscenza della sua figura si devono agli studi di Pietro Stella sul giansenismo italiano (1974, vol. III, ad indicem, in partic. scheda biografica a p. 148 n.; 2006, vol. III, ad

indicem).

260 Il suo nominativo non compare peraltro negli elenchi dei preti giacobini (Fassino, Rapelli 2009), quanto piuttosto figura invece in quelli dei realisti (Davico 1981, pp. 267, 285).

261 Sul Regio Economato per i benefici vacanti, ridenominato in epoca napoleonica Économat général des

bien ecclésiastiques, cfr. Bertini 1990 e Dell’Oro 2007 (quest’ultimo limita però l’analisi al XVIII sec.).

262 “Fu Charbonnière a occuparsi di eliminare dagli incarichi di responsabilità gli uomini che avevano collaborato con Jourdan” (Bianchini 2008p. 175). La proposta di nomina di Tardì all’Economato generale è in Archives Nationales, Paris, F/19/1763/A, Charbonnière a Portalis, 27 nevoso anno XI (17 gennaio 1803) dove Tardì è presentato come “ancien vicarie de Cour, jouit […] d’une estime générale”.

tale qualifica, oltre a svolgere le funzioni proprie dell’Economato, cioè gestire la corretta amministrazione dei benefici ecclesiastici durante la vacanza del titolare, egli fu chiamato a collaborare fattivamente con monsignor Jean-Chrysostôme Villaret dapprima nella riorganizzazione delle circoscrizioni diocesane del Piemonte (1803-1805), poi delle circoscrizioni parrocchiali (1804-1810)263 e dei capitoli delle collegiate (1806) sino a giungere all’istituzionalizzazione delle fabbricerie (1809), i consigli che localmente in ogni comunità amministravano i beni e le strutture parrocchiali. Uomo metodico, dotato di eccezionali capacità organizzative, Tardì diventò un vero e proprio esperto in materia beneficiaria, il complesso sistema delle rendite ecclesiastiche e delle congrue che doveva nell’Italia napoleonica garantire il reddito agli ecclesiastici, ed in particolare ai vescovi e ai parroci. Villaret dopo pochi mesi di stretta, quotidiana collaborazione così ne presentava la figura al direttore generale dei Culti Jean-Étienne Portalis, in una lettera del febbraio 1804:

mr Charles Tardì, econome général, que je cheris a l’égal de mes vicaires généraux264, m’a eté deja, et me sera encor d’une si grande utilità pour les details immenses dont j’aurai a m’occuper, que ce sera a ses talens, a sa constante assiduità, a l’etendue de ses connoissances et a son active sollicitude, que je devrai en partië la satisfaction que j’espere recueillir un jour des soins que je me serai donné pour remplir les vuës du gouvernement, et assurer la prosperité de la religion et de ses ministres dans la 27 Division265

A sua volta Portalis il 22 ventoso anno XIII (13 marzo 1805) relazionava a Napoleone che Tardì era

le plus intéressant de tout les Ecclésiastiques piémontais par ses vertus, ses talent, son application au travail et par la sagesse de ses principes politiques, il jouit de la plus grande consideration et il a bien secondé les opération de M. l’Evêque [Villaret]266.

263 L’organizzazione e riorganizzazione della struttura e della rete parrocchiale nel Piemonte napoleonico rimane tuttora terra incognita, come ha efficacemente scritto Émile Poulat (2003, p. 165) riferendosi alle parrocchie francesi (va però segnalato il contributo di Broers 2002, pp. 102-114). Segnalo copiosa documentazione al riguardo in Archives Nationales, Paris, F/19/703. Per un confronto con quanto attuato nel Regno d’Italia cfr. Agostini 2002, pp. 280-293; Pederzani 2002, pp. 94-117. Per uno sguardo d’insieme cfr. Laspougeas 2007.

264 Si tratta dei vicari generali che Villaret aveva nella diocesi di Alessandria: Jacques de St. Geyrat e Dominique de Pina questo poi anche vicario a Casale). Il primo, già vicario di Amiens (Boudon 2002a, p. 246), era venuto in Piemonte al seguito di Villaret insieme al canonico de Rochemure (quest’ultimo segretario particolare di Villaret).

Grazie all’esperienza maturata in Piemonte a fianco di Villaret nell’ambito della riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche, venne più volte interpellato negli anni seguenti dal Ministero dei Culti per estendere il regime concordatario francese nei nuovi territori via via annessi all’Impero napoleonico: Liguria, Parma e Piacenza, la Toscana. Qui in particolare fu chiamato dal generale Menou, che già era stato amministratore generale del Piemonte e che come tale aveva avuto modo di conoscere ed apprezzare la precisione organizzativa del Tardì (Ruffini 1942, p. 62; Bonechi 1994; Donati 2005, 2008)267. Del resto nella Toscana francese, così come nel Lazio, furono numerosi i funzionari piemontesi chiamati a mediare il difficile momento dell’introduzione dell’ordinamento statuale napoleonico: Balbo, Dal Pozzo, De Gregory, per non citarne che alcuni (Woolf 1990, p. 83). Il 14 aprile 1813, quando ormai di fatto l’Economato generale aveva ridotto, se non addirittura cessato la propria attività268, Tardì venne nominato da Napoleone – su proposta dell’arcivescovo di Torino Giacinto Della Torre (Stanislao da Campagnola 2003, p. 267) – vescovo di Vercelli269, ma non ricevette mai l’investitura canonica da Pio VII, in quel periodo prigioniero dell’Imperatore a Fontainebleu. Il capitolo del duomo di Vercelli il 9 luglio ne riconobbe però la giurisdizione spirituale designandolo vicario capitolare270. Si dimise dalla carica dopo la caduta di Napoleone, il 3 maggio 1814 (Sande 1979, p. 157; Chiuso 1887, vol. II, pp. 381-382). Nel corso del breve periodo in cui resse la chiesa vercellese indirizzò al clero e al popolo due lettere pastorali 266 Archives Nationales, Paris, F/19/1763/A, Portalis a Napoleone, 22 ventoso anno XIII (13 marzo 1805).

267 Cfr. anche, sulla missione di Tardì in Toscana, Stanislao da Campagnola 2003, pp. 217-219, 262, 268, 279, 300.

268 Cfr. Archives Nazionale, Paris, F/19/324 (documentazione sull’ipotesi di trasferimento degli archivi dell’Economato a Parigi, 1811-1812); F/19/1763/A (varia documentazione sull’organizzazione e la soppressione dell’Economato, 1802-1814). La caduta di Napoleone fece si che la soppressione non andasse ad effetto.

269 La documentazione circa la nomina di Tardì alla sede episcopale vercellese è conservata in Archives Nationales, Paris, F/19/894.

270 Va rilevato come la figura del Tardì appaia trascurata dalla storiografia vercellese. Del tutto taciuto il suo nome dalla Vercelli sacra di Riccardo Orsenigo (1909). La recente Storia di Vercelli curata da Edoardo Tortarolo lo cita di sfuggita, facendone peraltro iniziare l’episcopato nel 1811 anziché nel 1813, senza accennare alla mancata investitura canonica, dato essenziale del suo ministero vercellese (Piemontino 2011, p. 94). Un accenno più circostanziato è la scheda di Capellino-Quaranta (2002, pp. 14-15). Un breve ma preciso riferimento anche in Capellino 2008, p. 1387. Documentazione sul suo anno di episcopato a Vercelli è segnalata da Stanislao da Campagnola che lo definisce fra l’altro “navigato” ed “astuto prelato” (2003, pp. 212, 231, 267). Alcune annotazioni autobiografiche si trovano nella documentazione conservata in Archives Nationales, Paris, F/19/1763/A, fra cui un État des services du

qualificandosi “vescovo nominato e vicario capitolare” (Capellino, Quaranta 2002, pp. 14-15). Con la Restaurazione si chiuse quindi la parabola pubblica dell’abate Tardì, così come quella del suo amico e collaboratore Pietro Bernardino Marentini, fu infatti messo in disparte e non gli furono più assegnati incarichi pubblici, ma non venne però perseguito per il suo lungo e fedele servizio alla causa francese (Giraudo 1993, p. 50 n. 55).

L’abate Tardì fu anche direttore spirituale della famiglia Cavour, come tale egli raccolse l’abiura del protestantesimo, accompagnandone la conversione, di Adele de Sellon – moglie di Michele Benso di Cavour – e fu il primo confessore del giovane Camillo (Ruffini 1942)271. L’abate Tardì, così come il Marentini, fece anche parte di una loggia massonica di obbedienza scozzese (Ruffini 1942, p. 166; Romeo 1971, pp. 67-68; Vaccarino 1989, vol. II, pp. 902-903; Favaro 1997, pp. 359, 483 n. 296)272. Morì a Torino, a Palazzo Cavour, il 28 gennaio 1821 e fu sepolto nella cattedrale torinese, in quanto canonico onorario della medesima (Bosio 1863, coll. 1773-1774).

I giudizi dei suoi contemporanei appaiono contrastanti e rivelano pertanto quanto siano ancora necessari, in futuro, nuovi approfondimenti e una nuova messa a punto complessiva della sua multiforme azione pastorale, amministrativa ed organizzativa. Il nome dell’“Abbé Tarditi” compare nell’Etat nominatif des

individus natifs ou domiciliés dans le département du Pô, signalés comme partisan des plus zélés pour le retour du Roi de Sardigne en Piémont. Si tratta di un elenco, o

meglio una serie di elenchi, redatti dalla polizia napoleonica e annessi a una nota prefettizia del novembre 1806, in cui figurano i grandi nomi della nobiltà antinapoleonica insieme a numerosi ecclesiastici e liberi professionisti. Rispetto a Tardì si dice che “chez lui on tient ordinairement depuis dix heures et demi du matin jusqu’à midi et demi une assemlée de gens de toutes classes et des plus fiers ennemis du Gouvernement Français. [...] Sa politique et ses talens l’avaient fait distinguer parmi la caste des Prêtres [...]. Sa conduite politique est nullement 271 Si tratta di una vicenda anche storiograficamente rilevante. Recentemente Maria Lupi ha ipotizzato che da questa lettura sia scaturito il fecondo e fondamentale magistero di Pietro Stella sul giansenismo italiano (Lupi 2011, pp. 11-12).

272 Va precisato, sulla scorta anche delle considerazioni di Francesco Ruffini prima (1942), e di Giorgio Vaccarino poi (1989, vol. II, pp. 902-903), che l’appartenenza alla massoneria durante gli anni del governo napoleonico in Piemonte era connotata da un carattere “antibonapartista e indipendentista”.

conforme aux intérêts du Gouvernement, mais il est si rusé et adroit qu’il est impossible qu’il donne un faux pas” (Davico 1981, pp. 267, 285). A darne un’ulteriore coeva testimonianza, da un diverso e quasi opposto punto di vista, è Pio Bruno Lanteri, il fondatore degli Oblati di Maria Vergine, uno fra gli ecclesiastici piemontesi più apertamente ostili al governo francese, alla politica religiosa di Napoleone (Griseri 2009) e quindi – è facile intuire – all’opera collaboratrice di Tardì. In un memoriale sullo Stato ecclesiastico del Piemonte indirizzato alla Santa Sede il 20 luglio 1814, all’indomani della caduta di Napoleone, l’abate Lanteri passava in rassegna i “vescovi nominati dal governo passato nel Piemonte” – Marentini (Piacenza), Toppia (Acqui), Dejan (Asti) e Tardì (Vercelli) – e di quest’ultimo scriveva:

Il vescovo nominato per Vercelli è il teologo Tardì. Questi era già stato fatto dal governo economo dei beni ecclesiastici per tutta la 27a

divisione in marzo 1803. Dal governo accettò pure ed ebbe commissione di organizzare le chiese della Toscana. Fu nominato dall’arcivescovo di Torino in suo vicario generale onorario, e si assicura che diede a qualche religioso professo la dispensa dai voti solenni, perché si possa maritare; si esibì pure di dispensare un suddiacono.

Dacché fu nominato vescovo di Vercelli, fu pure eletto da quel capitolo, ad incitazione del ministro de’ culti, in vicario capitolare; dispensò quindi i fedeli della diocesi con una lettera circolare dal precetto dell’astinenza dalle carni in tempo di quaresima “in virtù delle facoltà apostoliche a noi delegate”; si usurpò, inoltre, più di 100.000 franchi di quella mensa vescovile, impiegandoli in un lusso esorbitante273.

In qualità d’economo generale dei beni ecclesiastici, per parte del governo prendeva possesso di tutti i benefici di ius patronato laicale, che non venivano affranchiti secondo le leggi stesse del governo; fu inoltre in continua relazione col ministro dei culti e si dimostrò persecutore degli ecclesiastici che si dimostravano particolarmente addetti alla Santa Sede, a segno che era reputato commissario dell’alta pulizia in riguardo ai preti, e come tale si regolava.

Finalmente egli è in relazione con tutti i giansenisti del paese e loro confidente protettore (Lanteri 1975, vol. II, pp. 364-365; 2002, vol. II, p. 170).

273 La questione merita di essere meglio approfondita. Basti però qui ricordare, con le stesse parole del Tardì, che al suo ingresso in diocesi “le Palais Épiscopal est tout-à-fait nud, le mobilier ayant été vendu par les héritiers de mon Prédecesseur au quel il appartenait. Je devrai donc penser à le meubler avec une certaine décence dés la cave jusqu’au grenier. I’ai fait calculer la dépense pour cet objet, et elle a été évalée à 55 vers 60 mille francs. Car il s’agit d’un Palais très ample, dans une Ville qui tient beaucoup à la représentation, et qui étant le passage ordinaire de l’Empire au Royaume d’Italie offre souvent l’occasion à l’Évêque de donner l’hospitalité aux voyageurs de considération” (Archives Nationals, Paris, F/19/894, Tardì a [Bigot de Préameneu], Parigi 26 giugno 1813). Sulle rappresentazioni del potere nobiliare a Vercelli cfr. Balzaretti 2005, Tibaldeschi 2011.

Un tentativo di sintesi e di rilettura critica delle apparenti contraddizioni che le fonti lasciano trapelare sulla figura e sull’opera di Tardì è stata tentata da Giuseppe Tuninetti nell’ambito della Storia di Torino Einaudi. Egli ha visto in Tardì un esempio del “giansenismo regalista”, tanto lontano dagli eccessi democratici e giacobini quanto vicino alla politica ecclesiastica di Napoleone (Tuninetti 2000, p. 239).