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Il Voyage en Savoie, en Piémont, a Nice, et a Gènes di Aubin-Louis Millin (1811-1813)

Un territorio antico, uno sguardo nuovo: la letteratura dipartimentalista e il Piemonte

5. Il Voyage en Savoie, en Piémont, a Nice, et a Gènes di Aubin-Louis Millin (1811-1813)

Altra opera che si può ben inserire nel filone della letteratura dipartimenatlista è il Voyage en Savoie, en Piémont, a Nice, et a Gènes, opera di Aubin-Louis Millin (1759-1818). “Erudito onesto ed obiettivo” (Kanceff 1992, p. 42), nominato nel 1795 conservatore del Cabinet des médailles, des antiques et des

pierres gravées della Biblioteca Imperiale di Parigi, diresse in contemporanea il

prestigioso “Magasin encyclopédique” (ribattezzato in seguito “Annales encyclopédiques”), che fu uno dei principali giornali di informazione e di diffusione dello stato delle ricerche nei settori delle arti, della letteratura e delle scienze a livello europeo. Intellettuale eclettico, Millin fu in contatto con le élites intellettuali europee, all’interno di una fitta rete di relazioni da lui intrattenuta con i savant delle più prestigiose accademie, il che fa di lui “un érudit insigne dont la renommée dépasse largament le cadre strictement français” (Séréna-Allier 2010, p. 31). Autore di numerose pubblicazioni nel campo della storia dell’arte e dell’antiquaria, ma anche delle scienze naturali, diede alle stampe alcuni interessanti libri di viaggio229.

La prima sua opera in questo genere letterario è il Voyage dans les

départemens du Midi de la France pubblicata in quattro volumi editi fra il 1807 e il

1811. Nel 1811, all’apice della propria carriera, egli intraprese un lungo viaggio attraverso l’Italia che durò circa due anni. Visitò centinaia di località e si prefisse di redigere al termine, una articolata descrizione della penisola. Il progetto editoriale, che lo impegnò negli ultimi anni della sua vita, fu poi attuato solo in parte: vedranno la luce il Voyage en Savoie, en Piémont, a Nice, et a Gènes (1816) e il Voyage dans

le Milanais, a Plaisance, Parme, Modène, Mantoue, Crémone, et dans plusieurs autres villes de l’ancienne Lombardie (1817). L’annunciato Voyage à Venise et dans l’ancien Etat Vénetien non vide la luce, così come i volumi dedicati ai territori entrambe le pubblicazioni.

dell’Italia centro-meridionale, ma rimangono i numerosi materiali raccolti in Italia da Millin, tuttora conservati presso la Bibliotèque nationale de France (Trinchero 2010, pp. 20-21, 24-25; Preti-Hamard, Savoy 2011).

Millin è consapevole delle grandi trasformazioni che l’Italia ha subito nel corso degli ultimi anni: ad un collega nel settembre 1811, proprio all’inizio del viaggio in Italia, scriveva “tout a été changé” rispetto al passato e pertanto egli volle osservare le trasformazioni dell’Italia per poi descriverle al pubblico dei suoi lettori (Preti-Hamard, Savoy 2011, p. 16). Questo concetto troverà spazio e maggior dettaglio nell’introduzione al Voyage en Savoie. Millin qui sottolinea come per l’Italia non esista a suo avviso “aucun ouvrage qui en donne une idée conforme à celle qu’on doit s’en faire aujourd’hui”. Quelle precedenti sono infatti state completamente invecchiate dalla “marche des événements” al punto che “il y reste peu d’observations dont on puisse profiter. Des souvrainetés ont été détruites, les lois et l’administration ont été changés; et, quoique les dernieres événemens aient rétabli plusieurs Etats, et renouvellé plusieurs institutions, ces révolutions ont amené de grandes variations dans les mœurs et les usages. J’ai donc cru qu’il étoit encore possible de donner une nouvelle description de l’Italie” (Millin 1816, I, pp. 2-3; Preti-Hamard, Savoy 2011, pp. 39-40). Pertanto il libro di Aubin-Louis Millin, anche se pubblicato ormai nella Restaurazione, può ancora a giusto titolo essere inserito nella letteratura dipartimentalista del Piemonte230.

Così come il Denina anche Millin era membro dell’Académie celtique (Séréna-Allier 2010, p. 33; Trinchero 2010, p. 11), così come fu esponente autorevole della Société des Observateur de l’homme (Moravia 1978, p. 178; Castorina 1993; Chappey 2002, pp. 174-179; Preti-Hamard, Savoy 2011, p. 17). Questa duplice appartenenza fa di Millin non solamente un esperto d’arte e archeologia impegnato nel Gran Tour, ma un osservatore qualificato per una lettura antropologica della realtà italiana: usi e costumi, tradizioni gastronomiche e descrizioni etnografiche trovano spazio all’interno dei suoi Voyage. Millin a Parigi negli anni precedenti ai suoi viaggi attraverso la Francia e l’Italia aveva avuto del 230 L’opera di Millin è inoltre ascrivibile a pieno titolo nel più vasto genere della letteratura di viaggio. Per un inquadramento generale cfr. Vallet 1986; Kanceff 1991; Brilli 1994. Merita segnalare, anche quale testimonianza della fortuna di quest’opera, l’esistenza di una versione tedesca dell’opera di Millin, comparsa l’anno seguente alla pubblicazione della versione originale francese: Reise durch Savoyen und

resto modo di entrare in strettissimo contatto con il mondo degli idéologues (in particolare De Gérando, Garat e Ginguené), i cui studi avevano profondamente mutato il quadro epistemologico, proponendo metodi nuovi per l’osservazione dei popoli allora detti “selvaggi” (Mauviel 2010, pp. 196-197)231. Nel Voyage en Savoie, ma anche nel precedente Voyage dans les départemens du Midi de la France (1807-1811), Millin dimostra consapevolmente quindi una attenzione nuova verso i fenomeni popolari che egli via via osserva e poi descrive. L’attenzione ‘etnografica’ all’uomo che ritroviamo all’interno dei suoi libri di viaggio, a fianco di quella più scontata per i monumenti, è ben espressa in quegli stessi anni da una lettera di Millin all’amico torinese Giuseppe Vernazza: “votre ville n’a pas de monumens magnifiques et historiques comme les grandes cités dans lesquelles je promène ma curiosité toujours renaissante, mais elle a plus que des monumens, elle a des hommes et je vous avoue que j’en cherche dans les autres villes d’Italie. [...] L’homme est plus ancien que les statues et tout ce qui éclaire l’humanité trop avilie ailleurs dans beaucoup de points excite mon intérêt”232. In queste parole, così piene anche di forza emotiva, si vede emergere lo scienziato linneano ma soprattutto l’observateur de l’homme.

Dopo aver visitato la Savoia Millin valicò le Alpi attraverso il colle del Moncenisio e da qui percorse la valle di Susa e la val Cenischia, dove rimane colpito dai “coutumes singulières qui ont lieu dans les villages de cette partie des Alpes” (1816, I, p. 136), in particolare descrive alcuni usi nuziali che trova attestati a Mompantero, Mattie, Gravere e Meana (pp. 134-139)233. Nella valle segusina si soffermò anche sulle danze armate degli spadonari, la cui presenza egli associa al teatro popolare sacro locale (pp. 140-141)234. Prestò inoltre attenzione al trittico medievale della Madonna del Rocciamelone235 e alla sua iconografia (pp. 120-122) e alla reliquia del corpo di San Giusto, patrono della diocesi (pp. 122-125). La sua attenzione non solo storico-artistica, ma più propriamente etnografica emerge anche 231 Sugli idéologues sia qui sufficiente rinviare a cfr. Moravia 1974.

232 Torino, Accademia delle Scienze, Archivio storico, Carteggio Vernazza, lettera n. 10203 (cit. in Levi Momigliano 2012, p. 157; Zoppi 2010, p. 7).

233 Su questa escursione cfr. Fenoglio 2010, p. 80.

234 Per una rilettura critica delle attestazioni di Millin relativamente agli spadonari valsusini si vedano ora le osservazioni di Piercarlo Grimaldi in Borra, Grimaldi 2001, pp. 31-32; cfr. anche Grimaldi 1993, pp. 94-95; Carénini 1999, pp. 57-60.

dalle descrizioni che egli fa dei santuari mariani e dei sacri monti di Oropa e di Crea (1816, II, pp. 22-29, 319-321), della devozione per l’Immacolata a Carmagnola, per il Beato Angelo da Chivasso a Cuneo e per San Crescentino a Crescentino236 (pp. 36-37, 70-71, 307). A Torino Millin si soffermò sui numerosi ex voto che osservò presso la Cappella della Sindone (I, pp. 201-203) e presso il Santuario della Consolata (p. 242). Non mancano poi nella descrizione dell’erudito parigino ampi riferimenti a Gianduja e al teatro delle marionette (pp. 233-235237). Infine, ed è questa forse una particolarità che manca o comunque è meno presente negli altri autori coevi, il

Voyage di Millin descrivere alcuni dei cibi tipici del territorio quali le robiole del

Monferrato238, i prosciutti di Trino (di cui è sottolineata la notorietà “en toute la Haute Italie”)239, la polenta e i grissini (II, pp. 327, 331, 382).

Molte delle informazioni sui territori piemontesi pubblicate da Millin gli furono fornite da alcuni membri dell’Accademia delle Scienze di Torino (di cui pure il bibliotecario parigino era socio), quali il fisico Antonio Maria Vassalli Eandi e l’erudito Giuseppe Vernazza. In particolare con il barone Vernazza Millin strinse una duratura amicizia: a lui avrebbe voluto dedicare il Voyage en Savoie, ma desistette al fine di evitare, nel cupo clima torinese della Restaurazione, fastidi all’amico da parte del governo sardo (Levi Momigliano 2004, pp. 295-296). L’anno dopo però dedicò a Vernazza il Voyage dans le Milanais a testimonianza della stretta amicizia: “cette amitié m’est honorable, vous savez aussi combien elle m’est chère, et comme j’en conserve religieusement les flatteuses marques et le précieux souvenir” (Millin 1817, I, pp. n.n.)240.

236 Su questa devozione ‘nomen omen’ cfr. Fassino 2011b, p. 127.

237 Moretti 2003, pp. 19-21.

238 Le robiole del Monferrato erano già state segnalate da Denina 1806, vol. I, p. 98.

239 A titolo esemplificativo di come i singoli dati presenti in una guida possano venire amplificati merita precisare che i prosciutti di Trino erano già stati segnalati da Breton 1803, p. 79 e poi successivamente anche in altri repertori quali, ad esempio, la versione italiana del Nuovo dizionario geografico portatile di Conrad Malte-Brun (Venezia, Antonelli, 1829, t. I, p. II, p. 674) e la voce Vercelli (The Province of) dalla

Penny Cyclopædia (London, Knight, 1843, vol. 26, p. 255). Di tale tipicità, quantomeno ‘bibliografica’, si

è persa memoria già alla fine dell’Ottocento: la notizia figura ancora nel Supplemento alla sesta edizione

della nuova Enciclopedia Italiana edita dalla Utet (1889-1899), ma non compare nella Guida gastronomica d’Italia del Touring Club Italiano (1931). Non accenna a questa produzione Cinotto 2011,

che pure dedica un paragrafo a Il maiale (pp. 455-460). Ci troviamo probabilmente di fronte ad un caso di “travaso, talora meccanico, delle informazioni dall’una all’altra [guida]” (Brilli 2006, p. 92).

240 Sui rapporti fra Aubin-Louis Millin e Giuseppe Vernazza cfr. Levi Momigliano 2004, pp. 294-297; Gerbaldo 2007, pp. 76-77; Trinchero 2010, pp. 41-70.

La descrizione che il Millin fa dei territori dell’Italia settentrionale segue degli itinerari e non delle ripartizioni amministrative: del resto i dipartimenti napoleonici esistenti al tempo del suo viaggio in Italia erano ormai decaduti quando si appestò alla pubblicazione. Sono peraltro itinerari più immaginari che reali, perché comportano nella loro descrizione frequenti ritorni su strade già percorse, una vera e propria “ragnatela” (Zoppi 2010, p. 8)241. Pur essendo la sua opera frutto di un proprio viaggio e la descrizione dei territori fatta sulla base di itinerari e di stazioni di posta, l’autore non manca di rimarcare come il suo intendimento fosse però quello di “donner une description de l’Italie, aussi bien qu’un voyage; d’unir ce que j’ai vu à ce que d’autres ont observé” (p. 384)242. Una descrizione, quella di Millin, che ha il merito di aver saputo guardare al Piemonte con “uno sguardo nuovo”, uno sguardo di singolare modernità che sa essere al contempo “analitico e sintetico” (Fenoglio 2010, p. 118): lo sguardo di un idéologue da un lato radicato nella grande cultura erudita del Settecento ma allo stesso tempo portatore di un metodo di studio aggiornato alla migliore cultura (scientifica, etnografica, storica ed artistica) del suo tempo (Castorina 1993)243.

241 L’effettivo itinerario di viaggio di Millin in Italia è stato ricostruito da Preti-Hamard 2012. Differenze fra viaggio reale e trasposizione letteraria sono state analiticamente riscontrate in un altro viaggiatore francofono, presente in Italia negli stessi anni di Millin: l’agronomo svizzero Fréderic Lullin de Châteauvieux, autore delle Lettres ecrites d’Italie en 1812 et 1813 (Vaj 1988, in partic. pp. 57-59).

242 Sul metodo di raccolta dei dati e di trasposizione degli stessi nel testo finale cfr. Trinchero 2010, pp. 28-34; Fenoglio 2010, pp. 79-80. A titolo esemplificativo, anche quale indicazione per una auspicata edizione critica del Voyage en Savoie, en Piémont, a Nice, et a Gènes, si segnala come le descrizione del Sacro Monte di Crea e di Moncalvo (dove – come rilevò già il De Gregory 1817, p. 196 – probabilmente Millin non riuscì ad arrivare “a motivo delle fangose strade”) è derivata, anzi in alcune parti letteralmente tradotta, dalle Notizie degli artefici piemontesi del padre Guglielmo Della Valle (1990, pp. 59-62, da confrontarsi con Millin 1816, II, pp. 319-324). Il testo del Della Valle era stato edito originariamente nel 1794 come introduzione all’XI volume dell’edizione senese delle Vite vasariane da lui curata; il tutto a sua volta è da confrontarsi con la Storia pittorica della Italia dell’abate Luigi Lanzi (vol. II/2, pp. 358-363). Debbo la segnalazione dei testi di Millin, Della Valle e Lanzi alla cortesia di Antonella Chiodo, specializzanda in storia dell’arte all’Università statale di Milano (di cui cfr., per lo specifico caso moncalvese, Chiodo 2012).

243 Gli elementi di novità dell’opera di Millin sul Piemonte furono evidenziati fin dalla comparsa dell’opera da parte dei primi lettori: se ne veda ad esempio il giudizio di Gaspare De Gregory (il “Viaggio del sig. Millin uscirà il più perfetto tra i Viaggi oltramontani in Italia”) che all’opera di Millin dedicò una ampia, articolata (ma a tratti anche dura) recensione comparsa sul periodico milanese “Lo spettatore” (1817, la cit. è a pag. 85); su De Gregory cfr. Ogliaro 2004. Marco Nicolosino, nell’introdurre la sua

Guida del viaggiatore in Piemonte, giudicò il testo di Millin “poco esatto” (1831, p. 15). Sull’influsso

dell’opera di Millin sulla cultura piemontese della Restaurazione vd. gli accenni in Maggio Serra 1980, p. 539; Donato 1986, p. 97 n. 5 e, più diffusamente, Levi Momigliano 1987, pp. 179-180; Pagella 1987, pp. 335-336; Gauna 2007, pp. 73-74; cfr. anche Comoli Mandracci 1994, pp. XII-XIII.

La letteratura dipartimentalista relativa al Piemonte ha segnato una stagione relativamente breve come breve è stata la parabola napoleonica, però ha segnato un’epoca. Sono infatti stati anche questi testi a costruire l’identità di quegli anni, una identità storica e geografica, ma anche artistica ed etnografica244. Ed è a quella identità – mediata dalla letteratura dipartimentalista redatta a Parigi da intellettuali che si è visto fare riferimento all’Académie celtique – che in Piemonte amministratori e funzionari, vescovi e parroci, savants e notables hanno fatto riferimento in quegli anni di grandi e profonde trasformazioni. Se le descrizioni riprendevano testi settecenteschi e ripetevano almeno in parte itinerari già percorsi, nuovo era però il quadro teorico in cui esse nascevano. Ecco quindi opportuno ripetere, spiegherà Carlo Denina – vegliardo cosmopolita –, “cose già scritte perché esse appariranno ai più nuove” (Sorella 2007, p. 353).

244 Sulle testimonianze di viaggio quali fonti etnografiche ed elemento di “raffronto di culture diverse che si esibiscono, si commisurano, si contrastano nel corso mutevole del tempo”, cfr. Brilli 2006, p. 12 (da cui si cita) e Bravo 2001, pp. 82-83.

Capitolo V