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Il Consiglio di Stato e l’epurazione

DATA INTESTAZIONE AUTOCITAZIONI NEUTRALITA’/

2.9 Il Consiglio di Stato e l’epurazione

Nel periodo immediatamente seguente allo sbarco delle truppe Alleate in Sicilia nel 1943 si presentò il problema dell’epurazione dell’apparato statale dagli elementi fascisti. Il processo epurativo infatti iniziò in Sicilia senza una vera e propria organizzazione e, almeno nella fase iniziale, fu mantenuta in ambiti abbastanza ristretti, perdurando formalmente per almeno un quinquennio278. Inizialmente il personale da rimuovere dalle proprie funzioni fu circoscritto dall’autorità militare alleata ad una «lista nera», composta da fascisti ritenuti pericolosi, prefetti, podestà e funzionari di grado elevato, mentre gli altri impiegati continuarono a lavorare collaborando con le autorità Alleate e continuando a garantire la funzionalità dell’apparato amministrativo. Dunque una epurazione leggera, seppur con alcune diversità tra territori controllati dagli americani e territori controllati dagli inglesi. Pur tuttavia, anche quando la politica delle sanzioni passò dalle mani degli Alleati a quelle del governo italiano, la «defascistizzazione» non fu mai profonda.

La vera differenza, rispetto alla fase iniziale in Sicilia, stava nel punire i fascisti non più in merito alla loro pericolosità, bensì rispetto alle qualifiche che avevano rivestito durante il regime. Nel 1944 l’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo, guidato dal conte Carlo Sforza, repubblicano, si avvalse di un Commissariato aggiunto per l’epurazione, la cui direzione spettò al comunista Mauro Scoccimarro, e delle varie Delegazioni Provinciali, che lo rappresentavano in tutto il territorio liberato dagli Alleati. Sarebbero stati dispensati dal servizio tutti coloro che avevano partecipato attivamente alla vita politica del fascismo, conseguendo nomine od avanzamenti per il favore del partito, anche nei gradi minori; sarebbero altresì stati allontanati i dipendenti delle amministrazioni che durante il ventennio fascista avevano rivestito cariche importanti o che, dopo l’otto settembre 1943, erano rimasti fedeli al Governo della Rsi.

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R. Canosa, Storia dell’ epurazione in Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943 – 1948, Baldini & Castoldi, Milano 1999; W. Hans, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia 1943-1948, Il Mulino, Bologna 2008; M. Cardia, L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo, cit.

Il giudizio d’epurazione era affidato in primo grado alle apposite Commissioni, costituite presso ogni Ministero o Amministrazione pubblica. Per le Province, la Commissione doveva essere nominata dal Prefetto e composta di un magistrato in servizio o a riposo, di un funzionario di Prefettura e di un membro designato dall’Alto Commissario279. Anche la magistratura fu interessata dall’epurazione antifascista ma, come in tutta l’amministrazione italiana, essa fu blanda e spesso non mancò un certo atteggiamento di favore in nome di una presunta neutralità delle funzioni svolte280. L’epurazione all’interno della magistratura costituiva una condizione prioritaria per una gestione efficace del complesso meccanismo sanzionatorio, poiché la presenza dei magistrati era indispensabile in tutti i suoi passaggi ed era quindi logico che il magistrato giudicante a livello penale o amministrativo dovesse essere esente dalle colpe dell’imputato. Una organizzazione della giustizia e una giurisprudenza rinnovate e democratiche avrebbero richiesto una profonda epurazione della magistratura, con l’immissione di personale in grado di gestire efficacemente anche il processo sanzionatorio. Ma tale personale non esisteva281.

Per quanto riguarda il Consiglio di Stato, nel periodo della resa dei conti con il fascismo, la gran parte dei 75 magistrati valutati per l’epurazione era nata nel decennio 1880-1889, di origini meridionali, laureata in Giurisprudenza, iscritta al partito fascista a metà degli anni Venti, proveniente principalmente dalle file del personale ministeriale. Nel Consiglio di Stato erano presenti entrambe le tipologie di magistrato politico e tecnico, anche se prevaleva la seconda. Pur nell’ambito di una tendenziale separazione tra il circuito partitico parlamentare e quello amministrativo giudiziario di formazione delle élite, il rapporto con il sistema politico non si interruppe durante il fascismo e continuò l’osmosi, sebbene ridotta rispetto al passato, fra personale politico e personale giudiziario. Per la maggior parte di questi magistrati, infatti, la nomina rappresentò il

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Nonostante il gran numero di procedimenti aperti a carico dei funzionari, il processo di defascistizzazione fu poco incisivo; sulla base di un rapporto sull’epurazione, su 143.781 dipendenti pubblici esaminati, solo 13.737 furono processati e, di questi ultimi, appena 1.476 furono rimossi dal loro incarico. L’epurazione riguardò dunque solo pochi funzionari, tra l’altro colpì quelli più piccoli poiché i fascisti più importanti riuscirono a fuggire all’estero e solo in pochi furono sottoposti ai processi contro i criminali del regime, giudicati dall’Alta Corte di Giustizia. R. Canosa, Storia dell’ epurazione in Italia, cit.; W. Hans, I conti con il fascismo, cit.

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M. Cardia, L’epurazione della magistratura, cit. 281

M. Cardia, «L’epurazione», in Consiglio di Stato: 180 anni di storia, Zanichelli, Milano 2011, pp. 305-316.

coronamento di un percorso esclusivamente burocratico. Per alcuni, però, fu anche la base per successive carriere politiche e governative282.

Molti magistrati del Consiglio di Stato provenivano dalla carriera di referendario, seppur a loro volta questi erano reclutati tra funzionari dei ministeri, e, durante il periodo fascista, stando a studi recenti, il 50% delle nomine di consiglieri riguardò ex funzionari del Ministero dell’Interno (51 sui 94 nuovi nominati), dei quali la metà già prefetti; 11 nuovi consiglieri provennero dai Lavori pubblici; 8 dagli Esteri. Numerosi furono anche coloro che provenivano dall’Avvocatura dello Stato283. Le nomine meramente politiche furono relativamente contenute. Dei nominati nel ventennio possono dirsi in senso proprio di nomina «fascista» i seguenti consiglieri: Michele Bianchi, quadrumviro della marcia su Roma, nominato nel 1923; Dario Lupi, avvocato, già deputato e sottosegretario fascista, nominato nel 1925; Pietro Bolzon, privo di laurea, fascista della prima ora, già deputato e sottosegretario alle Colonie, nominato nel 1929; Marcello Minale, medico, vicino a Costanzo Ciano e da lui raccomandato per la nomina, avvenuta nel 1929; Alfredo Baistrocchi, ammiraglio, già candidato nelle liste fasciste, nominato nel 1930 forse anche per sopire il suo dissenso verso l’establishment fascista nella Marina; Corradi Zoli, senza laurea con un passato da giornalista, fascista delle origini, già alto funzionario alle Colonie, nominato nel 1930; Arturo Marpicati, laurea in lettere, legionario fiumano, fascista, già impiegato all’Accademia d’Italia, nominato nel 1938; Armando Pacifico, laurea in giurisprudenza, militare, gabinettista, legato a Graziani, nominato nel 1940; Amilcare Rossi, laurea in lettere, combattente, iscritto ai fasci dal ‘19, militare, già deputato, nominato nel 1943284. Naturalmente ciò non esclude che altri, fossero eventualmente iscritti al Pnf o che ricoprissero posizioni di rilievo nel sistema di potere fascista. Quel che qui si vuole segnalare è semplicemente l’estrazione prettamente fascista di questi consiglieri, spesso – come si vede – senza neppure una laurea alle spalle. Nomine, dunque, per esclusivo merito politico.

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Ivi, p. 317 283

Cfr. M.S. Righettini, «Consiglio di Stato e classe politica in Italia», cit., pp. 253-254. 284

G. Melis, «Il Consiglio di Stato nel periodo fascista», in Consiglio di Stato: 180 anni di storia, Giuffrè, Milano 2011, pp. 257-268 ; Per le loro biografie si veda G. Melis, Il Consiglio di Stato nella Storia d’Italia, cit., ad nomina.

Nel processo di epurazione, come riporta analiticamente lo studio di Mariarosa Cardia sull’epurazione del Consiglio di Stato alla caduta del fascismo, furono deferiti dall’Alto commissariato per l’epurazione alla commissione di epurazione 42 magistrati; 33 furono «non deferiti»; furono collocati a riposo mentre il giudizio era in corso 18 magistrati285; quattro furono i procedimenti abbandonati in sede di commissione di primo grado; nove i casi di procedimento assorbito; vi fu un solo caso di rinvio del giudizio a dopo l’avvenuta la liberazione del Nord; 14 furono i procedimenti conclusi senza alcuna sanzione; uno concluso per improcedibilità del giudizio; tre conclusi con restituzione al ruolo di provenienza; nove conclusi con sanzione di dispensa senza perdita del diritto a pensione; 11 gli appelli contro la sentenza di primo grado; in definitiva solo 5 dei consiglieri, l’11,90%, furono sanzionati al termine del processo epurativo sia di primo che si secondo grado: 4 con la dispensa, 1 con la restituzione al ruolo di provenienza. 8 consiglieri tra gli inquisiti vennero riammessi nel ruolo tra il luglio 1946 e l’agosto 1950286.

Durante il fascismo 14 magistrati vennero nominati senatori: Castelli, Gatti, Lissia, Mormino, Giannini, Romano, Carapelle, Di Martino, Fagiolari, Minale, Ferrari Pallavicino, Petretti, Gentile, Bolzon. Cinque furono eletti alla Camera dei deputati: Gatti, Lissia, Carapelle, Bolzon e Rossi. Sorice fu nominato consigliere nazionale287. Quasi tutti i magistrati considerati entrarono al Consiglio in epoca fascista, con l’eccezione dei 6 già presenti dall’età giolittiana: Fagiolari, Gatti, Carapelle, Savini Nicci, De Simone, Ferraris. Solo 3 magistrati risultavano iscritti al Pnf prima della sua costituzione288. La maggior parte, il 66%, si iscrisse tra il 1922 e il 1928, negli anni della fascistizzazione dello Stato; gli altri tra il 1932 e il 1934, quando, in occasione della riapertura delle iscrizioni al partito, i magistrati furono insistentemente sollecitati a iscriversi e lo fecero in massa. Solo un magistrato risulta non iscritto al Pnf, Zoli, e in un caso manca l’informazione, Martina289.

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Il collocamento a riposo, quasi sempre su domanda, coincideva con l’estinzione del procedimento come per il caso di Santi Romano.

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M. Cardia, L’epurazione della magistratura, cit., p. 245. 287

G. Melis, «Il Consiglio di Stato nel periodo fascista», cit., p. 258 ; M. Cardia, L’epurazione del Senato del Regno (1943-1948), cit.

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Bolzon, Minale, Rossi. 289

M. Cardia, «L’epurazione», cit., p. 306

Durante il regime fascista la prassi dell’attribuzione di incarichi esterni influì sul ruolo del Consiglio di Stato, compensando lo svuotamento della funzione consultiva del Consiglio derivante dalla moltiplicazione degli organi consultivi speciali. Il 25% dei magistrati del Consiglio di Stato che furono esaminati per l’epurazione aveva avuto nel corso della sua carriera importanti incarichi esterni in qualità di membro degli uffici di Gabinetto nei ministeri, o aveva ricoperto ruoli di rilievo nell’amministrazione statale o parastatale. Tuttavia, la fitta rete di rapporti tra l’ambito amministrativo e quello politico ed economico, intessuta attraverso gli incarichi extragiudiziari dei magistrati, fu presentata sotto la stessa ideologia di neutralità rivendicata per l’attività interna del Consiglio, utilizzata dai magistrati sottoposti al giudizio di epurazione come principale tesi difensiva del proprio operato istituzionale.

La questione dello smantellamento del regime fascista e della punizione dei suoi delitti e dei suoi illeciti si rivelò giuridicamente e politicamente estremamente complessa, anche perché alla frammentarietà e all’ambiguità della normativa si sommò la discrezionalità degli organi inquirenti e giudicanti. Il cardine dell’impianto sanzionatorio fu il decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 Sanzioni

contro il fascismo che regolava unitariamente tutta la materia dei delitti fascisti,

dell’epurazione dell’amministrazione e dell’avocazione dei profitti di regime, modificando la legislazione adottata in precedenza dai governi Badoglio. La legge, tra l’altro, istituiva l’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, col compito di promuovere e sovraintendere l’attività di tutti gli organi impegnati nelle sanzioni contro il fascismo.

Era prevista anche una Commissione centrale per i ricorsi ed estendeva i procedimenti anche a coloro che avessero fatto manifestazione di apologia fascista, rendendosi «indegni di servire lo Stato» o avessero conseguito nomine e avanzamenti indebiti per favori partitici290.

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La procedura era piuttosto complessa: le Commissioni erano composte di un magistrato dell’ordine giudiziario o amministrativo, in servizio o a riposo, che le presiedeva, del capo del personale o di un funzionario dell’amministrazione e di un membro designato dall’alto commissario. Le procedure previste dovevano iniziare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, a eccezione dei territori non liberati o non ancora restituiti al governo. Le commissioni avevano facoltà di escutere testi, di chiedere documenti all’autorità giudiziaria e alla pubblica amministrazione, e potevano sentire personalmente l’interessato. L’impiegato proposto per la dispensa poteva presentare le sue deduzioni e il procedimento davanti alla Commissione di primo grado doveva essere ultimato entro tre mesi dall’inizio. Era ammesso ricorso a una Commissione centrale nominata dal presidente del Consiglio dei ministri e composta del presidente, di 2

La Commissione di primo grado per il giudizio di epurazione del personale del Consiglio di Stato venne nominata il 17 agosto 1944, composta da Pilotti, procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione, con funzioni di Presidente, De Simone, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, e Nicolone, designato dall’Alto Commissario, sostituito in ottobre da Fiore. Tra novembre e dicembre, a seguito di successive dimissioni, venne ricostituita, per cui alla fine dell’anno la Commissione era composta da De Simone, Presidente, De Ficchy, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, Presidente supplente, Nicolone e Fiore in rappresentanza dell’Alto Commissariato291. Alla fine di ottobre la Commissione deliberò all’unanimità di non avere elementi per attivare il giudizio di epurazione nei confronti di 27 consiglieri, Baratono, Barbieri, Barra Caracciolo, Aldo Bozzi, Carini, Castelli Avolio, Colucci, De Marco, De Martino, Ferraris, Gallo, La Torre292, Montagna, Mosca, Papaldo, Parpagliolo, Petrocchi, Roehrssen, Scaccia Scarafoni, Scalise, Severi, Sorrentino, Stumpo, Tricarico, Trifogli, Uccellatore, Vetrano, e dei referendari Rizzati e Zotta.

A sua volta, l’alto commissario aggiunto Scoccimarro decise di non deferirne 33: Aru, Baratono, Barra Caracciolo, Aldo Bozzi, Castelli Avolio, Chiofalo, Colucci, De Gennaro, De Marco, De Marsanich, De Martino, De Simone, Fagiolari, Ferraris, Gallo, La Torre, Montagna, Mosca, Papaldo, Parpagliolo, Petrocchi, Pini, Rizzatti, Roehrssen, Sandiford, Scaccia Scarafoni, Scalise, Sorrentino, Stumpo, Trifogli, Uccellatore, Vetrano, Zotta293.

Tra agosto e novembre del 1944, l’alto commissario deferì invece gli altri 42 magistrati: Baistrocchi, Barbieri, Bellazzi, Bolzon, Carlo Bozzi, Carapelle, Carini, Castelli, Corsini, Corso, Costanzi, Dedin, Di Martino, Ferrari Pallavicino, Fiaccavento,

magistrati dell’ordine giudiziario o amministrativo, in servizio o a riposo, di 2 funzionari delle amministrazioni centrali e di 2 membri designati dall’alto commissario. L’impiegato inquisito poteva essere sospeso dall’ufficio; quello dispensato dal servizio era ammesso alla liquidazione del trattamento di quiescenza spettante; nei casi più gravi poteva essere disposta la perdita del diritto a pensione.

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I lavori della Commissione iniziarono in settembre, tra non poche difficoltà operative dovute alle continue modifiche apportate alla sua composizione, alla mancanza del regolamento e alla carenza di personale di segreteria. Cfr. M. Cardia, «L’epurazione», cit., p. 308

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Sulla posizione del consigliere Michele La Torre e sulla sua adesione alle teorie razziste durante il fascismo esistono opinioni discordati. C’è chi sostiene, come il De Napoli, che anche se La Torre aderì alle apparentemente alle idee razziste in realtà adoperò il classico metodo del tecnicismo giuridico per smontare le tesi razziste riferite agli ebrei operando una applicazione dei principi generali del diritto che escludevano di fatto l’applicazione delle leggi razziali “per analogia”. Non basterebbe il fatto che La Torre scrisse sulla rivista “Il Diritto Razzista”, dato che anche altri giuristi scrissero per la rivista di Cutelli. Cfr. O. De Napoli, La prova della razza, cit., pp. 172-174.

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M. Cardia, «L’epurazione», cit., p. 310

Gatti, Gentile, Giannini, Lissia, Macchia, Malinverno, Marpicati, Mesina, Minale, Miranda, Montemurri, Mormino, Pacifico, Petretti, Piccardi294, Pierro, Presti, Rocco, Romano, Rossi, Ruberti, Savini Nicci, Severi, Sorice, Tricarico, Zoli. Scoccimarro sostenne che questi magistrati avessero partecipato attivamente alla vita politica del fascismo, contribuendo al suo mantenimento. I presidenti di sezione e i consiglieri Castelli, Ferrari Pallavicino e Mormino erano stati deferiti anche all’Alta Corte di Giustizia per la decadenza dalla carica di senatore; Mormino, inoltre, in qualità di segretario generale del Consiglio di Stato durante l’occupazione nazista, aveva curato il trasferimento al Nord degli uffici del Consiglio. Gatti, Lissia e Rossi erano stati sottosegretari di Stato nel governo Mussolini; Minale era stato capo di Gabinetto al Ministero delle comunicazioni; Marpicati, già vicesegretario del Partito nazionale fascista, e Bolzon, già consigliere nazionale, si trovavano anche nelle condizioni previste dall’art. 14 del decreto n. 159, per aver rivestito cariche fasciste295.

Mentre la conclusione dei giudizi di primo grado veniva prorogata per la complessità degli accertamenti richiesti, mentre si acuirono le difficoltà in cui versava la gestione dell’epurazione e mentre era pendente il loro giudizio di epurazione, 18 consiglieri vennero collocati a riposo e precisamente: Baistrocchi, Bellazzi, Bolzon, Carapelle, Castelli, Corso, Costanzi, Ferrari Pallavicino, Gatti, Gentile, Giannini, Marpicati, Martina, Mormino, Pacifico, Presti, Romano, Rossi296. L’analisi dei fascicoli personali consente di capire se le dimissioni tempestivamente richieste avessero lo

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Per dovere di cronaca bisogna ricordare che il consigliere Piccardi, personaggio di spicco del Consiglio di Stato ed estensore di molte sentenze in cui non vennero applicate per analogia le norme contenute nelle leggi razziali antiebraiche, partecipò alla delegazione ufficiale italiana al II convegno del “Comitato di collaborazione giuridica Italo-Germanico”, insieme ad un esponente di spicco della magistratura “razzista” quale Carlo Costamagna, in particolare nella sessione dedicata alla razza tenutosi a Vienna nel marzo 1939. Piccardi fu relatore di una tesi piuttosto interessante in riferimento alla necessità dell’introduzione in campo giuridico del concetto di razza in quanto fase ulteriore per la costruzione dell’identità nazionale italiana. Il suo intervento è consultabile in http://www.lex.unict.it/radies/documenti/Comitato_razza_diritto.pdf, pp. 14-18. Su questo si veda O. De Napoli, La prova della razza, cit., pp. 219-224. Interessante notare comunque che tra le figure di spicco all’interno di tutta la magistratura, specie quella penale e civile, che sostenevano, o discutevano di, tesi razziste comparissero i nomi di due consiglieri di Stato, La Torre e Piccardi, comunque non epurati dopo la guerra. Neanche Carlo Costamagna fu epurato e divenne poi Presidente di Cassazione.

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M. Cardia, «L’epurazione», cit., p. 311. 296

Di essi, 10 presentarono domanda e ottennero di essere collocati a riposo nel 1945, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs.lgt. 11 ottobre 44, n. 257: Giannini, Bolzon, Carapelle, Costanzi, Ferrari Pallavicino, Gatti, Gentile, Romano, Rossi, Baistrocchi. Non venne accolta invece la domanda presentata da Lissia, che era stato il primo segretario del Pnf e quadrumviro della marcia su Roma, nominato consigliere nel 1923. Ivi, pp. 312

scopo di evitare eventuali sanzioni, come nel caso del presidente Romano, che chiese il collocamento a riposo nell’ottobre 1944 e lo ottenne nel gennaio 1945, qualche giorno prima del compimento del settantesimo anno di età. Il giudizio di primo grado si era concluso con la dispensa senza perdita del diritto a pensione, e contro questo giudizio proposero appello sia Romano che l’Alto Commissario. La Commissione centrale rigettò la richiesta dell’Alto Commissario e confermò a Romano il diritto alla pensione297.

Ben più grave fu, però, il collocamento a riposo d’ufficio subito da 8 consiglieri, dei quali 3 – Presti, Marpicati e Mormino – il 29 gennaio 1945, ai sensi dell’art. 2 del decreto n. 257. Marpicati e Presti vennero collocati a riposo durante il giudizio di primo grado. Per Presti era stata proposta la dispensa dal servizio. Mormino, invece, fu collocato a riposo dopo il giudizio di primo grado, conclusosi con la dispensa, contro la quale aveva presentato appello. L’alto commissario aveva chiesto la perdita del diritto alla pensione, ricorso dichiarato però improcedibile a causa del collocamento a riposo. Gli altri 5 consiglieri (Bellazzi, Castelli, Corso, Martina, Pacifico) furono collocati a riposo il 22 gennaio 1946, nell’ambito di un elenco di funzionari dei primi cinque gradi delle varie amministrazioni, ai sensi del decreto n. 716298.

Le memorie difensive che quasi tutti i magistrati presentarono nel primo grado di giudizio sono un campionario significativo della classe dirigente italiana nella travagliata transizione dalla dittatura alla democrazia. Da questi documenti emergono alcune strategie difensive comuni, basate sul modo di concepire la funzione del magistrato amministrativo, all’interno e all’esterno del Consiglio di Stato, l’adesione al fascismo, il ruolo svolto nel parlamento, nelle colonie, nelle attività militari, nella Repubblica sociale italiana, nella Resistenza. Il principale argomento utilizzato fu l’osservanza della neutralità e della continuità della funzione amministrativa, esercitata con competenza e spirito di servizio su un piano esclusivamente tecnico. L’avanzamento di carriera e le onorificenze ricevute vennero ascritte ai meriti e alla correttezza della condotta tenuta. Nonostante le ammissioni fatte dallo stesso presidente

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Anche per Baistrocchi la richiesta di collocamento a riposo – avanzata a oltre 69 anni – si può attribuire alla scelta di interrompere il procedimento di epurazione, chiudendo senza danni una lunga carriera amministrativa, giunta quasi alla fine del suo naturale percorso. Era ormai prossimo al pensionamento pure Costanzi, che lo ottenne pochi mesi prima di compiere 70 anni, mentre non fu accolta la richiesta di perdita di pensione, avanzata dall’alto commissario. Ibidem.