• Non ci sono risultati.

Il Consiglio di Stato e il fascismo

Al di là delle vicende politiche strettamente legate all’avvento al potere di Mussolini, si proveniva da una esperienza bellica che, seppur aveva visto la vittoria dell’Italia con la conquista delle terre irredente, aveva conosciuto anche una presa di coscienza sempre più forte dell’identità nazionale, usata dal fascismo per fondare le basi di quel nazionalismo patriottico che giustificò tante sue azioni. Durante la I Guerra Mondiale anche molti magistrati del Consiglio di Stato erano andati al fronte, tra cui anche Bartolomeo Ruini, conosciuto come Meuccio, che da bersagliere seppe farsi conoscere ed ammirare per alcuni gesti eroici107.

Gli apparati statuali e amministrativi avevano visto un iniziale rafforzamento e un necessario consolidamento sia per le accresciute esigenze, sia per il naturale dispiegarsi della vita sociale e gestionale dello Stato, sia in Italia108, sia in altri paesi109. Si comincia a restringere il concetto di atto politico sottratto al sindacato giudiziale con una interpretazione che lega sempre più l’atto non a chi lo emana ma alla natura propria del singolo provvedimento110. Quanto detto prima per il periodo liberale trova ancor più forza in questi anni e il concetto di amministrazione statale che deriva dallo Stato, l’esigenza di far funzionare l’amministrazione statale a parere di tutti enorme e lenta come un pachiderma, viene posta dal fascismo a motivo di una generale riorganizzazione dei pubblici uffici. In questa linea si colloca la nomina di Santi Romano a presidente del Consiglio di Stato e tutti gli interventi legislativi volti a

107

M. Ruini, Ricordi, Giuffrè, Milano 1973, pp. 36-37. Sulla figura di Ruini si tornerà in seguito. 108

G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Il Mulino, Bologna 1996. 109

Su una panoramica dell’evoluzione degli apparati amministrativi in Europa e negli Stati Uniti si veda M. D’Alberti, La Giurisprudenza amministrativa negli anni Trenta, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, a. XX, n. 2, dicembre 1990, ripreso anche da G. Melis, «Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano», in La giustizia amministrativa ai tempi di Santi Romano presidente del Consiglio di Stato, Giappichelli, Torino 2004. Si veda anche D. Lochak, «Il “Conseil d’Etat” di Vichy ed il Consiglio di Stato nel periodo fascista», in Il Consiglio di Stato in Francia e in Italia, a cura di Yves Mény, cit., pp. 51 e segg., M.S. Righettini, Il giudice…, cit. p. 62 e segg.

110

D’Alberti giustamente cita l’esempio della legge di adeguamento della spesa pubblica, atto di carattere politico, che però nella sua applicazione, la riduzione di stipendi, è atto di natura amministrativa. M. D’Alberti, La Giurisprudenza amministrativa negli anni Trenta, cit., p. 439.

riorganizzare, ridefinire funzioni e competenze, per far funzionare meglio l’Istituto, a servizio dello Stato e, prima di tutto, del Governo.

Quanto detto per l’interpretazione restrittiva di atto propriamente politico deriva dal consolidarsi della consapevolezza che un atto può definirsi politico quando soddisfa contemporaneamente alcune caratteristiche e cioè che abbia l’imperium, il perseguimento dei fini supremi dello Stato, la straordinarietà e la eccezionalità degli motivi, le forme solenni e la competenza attribuita ai più alti organi statali111. Il Consiglio di Stato giustamente sottolineava come non esiste una definizione astratta di finalità suprema, ma va sempre collegata a quello che è lo Stato in un determinato momento storico112. Nascono e prendono sempre più vita nel nostro paese le figure dell’eccesso di potere, l’errore di fatto, lo sviamento, l’indagine sulla motivazione fino ad arrivare negli anni Trenta al controllo giudiziale sulla completezza degli interessi valutati dalle amministrazioni. Questo anche prima o in maniera più completa rispetto al Consiglio di Stato francese113.

Sembra cioè che il fascismo, che voleva uno Stato forte e per fare questo si appoggia al Consiglio di Stato e ad un all’ora professore affermato di diritto amministrativo come Santi Romano, si ritrovi imbrigliato dagli stessi schemi e regole voluti per evitare turbamenti dell’ordine pubblico o cali di consenso. Qualcuno ha parlato di un diritto amministrativo asservito ai regimi assolutisti e autoritari mentre il diritto comune sembrava aver salvato da questa deriva paesi come la Gran Bretagna e gli USA, ma in realtà, a dire di D’Alberti,

«il diritto amministrativo, soprattutto attraverso la sua giurisprudenza, ha saputo conservare una voce liberale, come dimostra l’esperienza italiana degli anni Trenta. Il potere discrezionale delle amministrazioni ha subìto limitazioni prima sconosciute attraverso il controllo sull’eccesso di potere,

111

Così M. D’Alberti, La Giurisprudenza amministrativa negli anni Trenta, cit, pp.439-440. Su questa compresenza di caratteri più volte il Consiglio di Stato tornerà in quanto, specie in periodi più bui e pericolosi degli anni 30-40, si poteva fare riferimento solamente al rispetto di questi principi che comunque erano entrati ed erano stati assimilati dalla mentalità fascista. A questa concezione si arrivò anche grazie a tre pronunce della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, quella del 4 marzo 1933, n. 78, quella del 7 aprile 1933, n. 123, quella del 16 marzo 1935, n. 159. Tutte e tre queste pronunce vennero citate dal presidente Santi Romano nella relazione periodica al Consiglio dei Ministri, in Il Consiglio di Stato nel quinquennio 1931-35, Roma 1937, vol. II, pp. 2 e segg.

112

Marco D’Alberti, La Giurisprudenza amministrativa negli anni Trenta, cit. 113

Ivi, p. 441.

e attenuazioni connesse all’espansione della contrattualità e all’affermarsi della responsabilità amministrativa»114.

Durante quel periodo molti eventi contribuirono allo sviluppo della scienza amministrativa: la nazionalizzazione delle acque e delle miniere, la publicizzazione delle banche, il controllo pubblico del credito, la statizzazione dell’istruzione elementare, lo sviluppo delle società a partecipazione statale, insomma il fascismo potè contare su un felice periodo di sviluppo concettuale del diritto, che cercò di sfruttare per i suoi fini115. Guido Melis, in uno scritto del 1990, nota come fu Massimo Severo Giannini a segnalare che «le riforme di struttura che si operano nel periodo fascista […] o passano inosservate o vengono minimizzate ad una riaffermazione dell’autorità dello Stato»116. Dopo una «legislazione di guerra» che aveva portato ad una miriade di leggi e leggine, già prima di Mussolini si intravedeva una certa crisi, a cui cercarono di porre un freno gli uomini nuovi di quella tecnocrazia nittiana come Ruini, Petrocchi e altri. È l’epoca dei testi unici che tentano di raccordare, raccogliere e al tempo stesso colmare lacune nella legislazione. È su questo terreno, necessità di riorganizzare, conoscenza della pubblica amministrazione, background scientifico unito a tecnicismo applicato, che si collocano le nomine «tecniche» di Beneduce all’IRI e Romano al Consiglio di Stato117.

Santi Romano fu nominato presidente del Consiglio di Stato il 16 dicembre 1928 allorchè si trattò di trovare il successore del precedente presidente, Raffele Perla. Secondo consuetudine sarebbe dovuto essere il più anziano a seguire, cioè il Presidente di Sezione Schanzer, ma fu scelto una persona estranea al Consiglio di Stato, probabilmente su consiglio di Alfredo Rocco, altro insigne giurista, per evitare di nominare Schanzer, inviso al regime118. Mussolini aveva chiare due regole: semplificare

114

Ivi, p. 444. 115

Un’analisi chiara sul diritto amministrativo in questo periodo è in G. Melis, Il diritto amministrativo tra le due guerre, relazione al convegno in onore di Massimo Severo Giannini su Il diritto amministrativo negli anni trenta, tenuto all’Università di Sassari l’11 maggio 1990 e pubblicato in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, a. XX, n. 2, dicembre 1990.

116

G. Melis, Il diritto amministrativo, cit. p. 403 117

G. Melis, Il diritto amministrativo, cit. pp. 408-410; Idem, «Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano», cit.; Idem, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), cit.; F. Cocozza, Santi Romano presidente del Consiglio di Stato, cit., pp. 1231-1252.

118

F. Cocozza, Santi Romano presidente del Consiglio di Stato, cit., p. 1234; G. Melis, «Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano», cit., pp. 39-44.

e unificare119, nell’ambito di un processo di legalizzazione del regime. Santi Romano «approfitta» del regime vedendo «nella riorganizzazione dei poteri e soprattutto nel rafforzamento del potere esecutivo la possibilità di restituire allo stato e ai suoi apparati amministrativi e giudiziari una nuova centralità ed un rinnovato prestigio»120.

Vale la pena sottolineare come da un lato si andasse affermando un lessico retorico nel pieno stile fascista dell’epoca per quanto riguarda la comunicazione istituzionale, mentre, da un punto di vista giurisprudenziale, una novità che fu molto importante era il richiamo, nelle sentenze, alla propria giurisprudenza. Nella parte della decisione relativa al diritto spesso si trovano espressioni quali «per costante giurisprudenza di questo collegio», «è consolidata giurisprudenza del collegio», «la giurisprudenza del Consiglio si è da tempo espressa», ecc.121.

Tornando alla nomina di Santi Romano al Consiglio di Stato come decimo presidente, vale la pena soffermarsi sui discorsi che furono pronunciati nell’Adunanza generale che si tenne il 22 dicembre del 1928. I discorsi di Mussolini e di Romano, riportati nell’Annuario del Consiglio di Stato, vengono tenuti nel corso di una «cerimonia austera e solenne» che «si è svolta nell’Aula Magna della sede del Consiglio di Stato, al Palazzo Spada. Erano presenti: i membri del Governo, le rappresentanze del Senato e della Camera, e tutte le alte cariche dello Stato comprese nelle prime quattro categorie delle precedenze a Corte. I consiglieri di Stato avevano preso posto a destra e a sinistra del seggio riservato a S. E. il Capo del Governo»122. Santi Romano era un professore universitario, come Schanzer, ma questi si sentì comunque scavalcato e infatti il 26 dicembre 1928, quattro giorni dopo la cerimonia di Romano, si dimise da consigliere123.

119

Così A Acquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino 1955, p. 3. 120

M. S. Righettini, Il giudice amministratore, cit., p. 68. Secondo la Righettini c’è un ricerca della neutralità che serve allo Stato autoritario per legittimarsi sia all’interno, sia all’esterno. Caso diverso sono i regimi totalitari, come la Germania nazista, che abbisognano di una magistratura politicizzata.

121

Su questo si veda G. Melis, «Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano», cit., pp. 46-47 e G. Barbagallo, «Stile e motivazione delle decisioni del Consiglio di stato», in I Consigli di Stato di Francia e d’Italia, a cura di G. Paleologo, Giuffrè, Milano 1998; G. Melis, «Il Consiglio di Stato durante la dittatura fascista. Note sulla giurisprudenza», in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Università di Siena e di Sassari, tomi I e II, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, II, pp. 143-212. 122

Annuario Consiglio di Stato, 1928, p. 31. 123

Santi Romano tenne un discorso in occasione del collocamento a riposo di Schanzer. Cfr. Annuario Consiglio di Stato, 1928.

Nelle parole del presidente siciliano traspare una evidente commozione descrivendo i compiti futuri del Consiglio di Stato. Compiti effettivamente futuri dato che Santi Romano sarebbe stato presidente dell’Istituto per quasi 18 anni, il periodo più lungo di presidenza124. Mussolini aveva detto nel suo discorso che stava per riformare lo Stato dall’alto e dal basso: «prima che il Fascismo assumesse il governo d’Italia con la rivoluzione dell’ottobre ‘22, v’erano, in alto, le baronie dei partiti, che avevano ridotto l’esercizio della sovranità alla gestione irresponsabile di un’accomandita commerciale» e dal basso «l’amministrazione asservita all’alterna vicenda delle fazioni, priva di spirito proprio, scettica e senza alcuna fede in una superiore missione di Civiltà

attuazione di una più rigorosa giustizia in tutti i rami de

distinguibile è la funzione che esso adempie: l’attuaz

».

Ormai era giunta una nuova era per Mussolini dato che «il Fascismo ha restituito allo Stato la sua dignità sovrana, rivendicandone, contro tutti i particolarismi di classe e di categoria, l’assoluto valore etico»125 ed «ha restituito al Governo dello Stato, ridotto a strumento esecutivo dell’assemblea elettiva, la sua dignità di rappresentante della personalità dello Stato e la pienezza della sua potestà d’imperio; ha sottratto l’amministrazione alle pressioni di tutte le faziosità e di tutti gli interessi». Questo per dire, in uno strano breve discorso data la ben nota sua capacità oratoria, che «desidero affermare nettamente che intendiamo restituire in integro la funzione consultiva e correttiva del Consiglio di Stato, per l’

lla pubblica amministrazione».

Questo passaggio era già noto ai più, dell’esigenza per il fascismo di governare all’interno di un sistema che garantisse giustizia nell’amministrazione e per questo scelse una personalità di rilievo come Santi Romano per ricoprire una carica così delicata anche perché, diceva sempre Mussolini, «o che il Consiglio di Stato sia chiamato ad esprimere pareri, in sede consultiva, o che sia chiamato a dettare sentenze, in sede giurisdizionale, unica ed in

ione della legge e del diritto».

Non era questo l’unico caso in cui Mussolini metteva a capo di importanti Istituti uomini di prestigio, al di là della intima adesione che questi potessero avere nei confronti del partito fascista. Vi è un passaggio nel discorso, stranamente breve, di

124

Cfr. C. Cavallo, Il Consiglio di Stato e i suoi Presidenti, cit. 125

Annuario Consiglio di Stato, 1928, p. 32.

Mussolini che vale la pena sottolineare: egli sostiene che l’amministrazione fascista non è legata a nessun compromesso e a nessun interesse, che la giustizia nell’amministrazione «per il Governo Fascista, la giustizia nell’amministrazione non è una vana formula» e di conseguenza, egli precisa, quando «Voi, Onorevoli Signori del Consiglio di Stato, annullate atti amministrativi inficiati di incompetenza, di violazione di legge o di eccesso e traviamento di potere, Voi non create ostacoli all’andamento dell’amministrazione fascista, che non può essere intesa in senso meramente meccanico, ma la richiamate e la restituite ai suoi compiti essenziali». La funzione dell’Istituzione, racchiusa in quei due Voi, viene enfatizzata e in qualche modo resa neutrale dall’affermazione «perciò che ho chiamato a Presidente del Consiglio di Stato uno studioso serio, che non aveva bussato, per entrarvi, a nessuna anticamera». Infatti Santi Romano era riuscito fino a quel momento a non essere iscritto al partito per poter lavorar

«contin

e.

Santi Romano, sinceramente commosso e felice allo stesso tempo, innanzitutto sottolinea la capacità dei consiglieri «che ben sapranno essi sostenermi nell’arduo compito» e poi richiama il valore dei presidenti suoi predecessori, in particolare del presidente Perla, in una sorta di continuità della sua presenza al Consiglio di Stato. Egli sottolinea che «al suo esempio e al suo insegnamento io vorrò ispirarmi»126. Non disdegna di elogiare il fascismo i cui principi non contrastavano con le sue idee di giurista e con la sua teoria istituzionalistica del diritto. Il fascismo, per lui, aveva «creato un nuovo ordinamento giuridico; un ordinamento interamente e schiettamente italiano, che è venuto mano mano sostituendo quello che una serie di avvenimenti storici ci avevano costretto ad importare, più o meno direttamente, da altri paesi». Non era contrario al rafforzamento del potere esecutivo, ed essendo il Consiglio di Stato naturale e logica istituzione del potere esecutivo, non poteva che richiamare il bisogno di una maggiore partecipazione dell’Istituto al potere di vertice e al contempo essere uo, pronto, efficace ausilio nel conseguimento dei suoi antichi e nuovi compiti». Quindi funzione giurisdizionale e funzione consultiva, decisione e pareri che rientrano nelle funzioni proprie del Consiglio, come le due facce di una stessa medaglia. Da questo deriva il suo elogio alla creazione del Gran Consiglio del Fascismo, come

126

Ivi, pp. 33-34.

organo di altissima consulenza del Governo e del potere legislativo, cioè ben vengano altri organi consultivi dato che «il Consiglio di Stato era il solo organo di consulenza generale del potere esecutivo». Romano però sottolinea come, anche se il Gran Consiglio ha funzioni diverse dal Consiglio di Stato, tenendo ben distinti i due Istituti, solo le leggi costituzionali hanno il potere «di riverberare la loro, efficacia su tutto l’ordin

valore di legg

e, persona che può, con il suo valore, «rimediare alla imperfezione delle istituzi

nti con il governo, distribu

amento dello Stato».

Questa distinzione rimarrà ben presente nella mente non solo di Santi Romano ma anche in quella di molti consiglieri, chiamati a decidere tangenzialmente sull’applicazione delle leggi razziali emanate dieci anni dopo questo discorso. Lo stesso Romano firmerà la relazione periodica al Governo delle attività del Consiglio di Stato per il quinquennio 1936-1940 in cui si sottolinea che le leggi razziali non hanno

i costituzionali e quindi non hanno il potere di influire sull’ordinamento.

Sulla funzione giurisdizionale non può che ricordare la riforma fascista del Consiglio di Stato avvenuta cinque anni prima, nel 1923, per una completa attuazione della giustizia amministrativa, concetto ribadito anche nel breve discorso introduttivo di Mussolini pronunciato pochi minuti prima. Il suo discorso non può che chiudersi con l’elogio del Duc

oni».127.

Giustamente egli ricorda la riforma del 1923 dato che il Consiglio di Stato durante il fascismo non è solo e soltanto Santi Romano. Infatti è anche da sfatare il mito che Santi Romano fosse un amico di Mussolini: non si trova traccia di nessun incartamento relativo a Romano nell’archivio della Presidenza del Consiglio e della Segreteria particolare del duce conservate all’Archivio Centrale dello Stato, né il nome di Romano compare negli innumerevoli discorsi tenuti dal duce in pubblico128. Vero è però che il presidente Romano ha svolto, in quasi 18 anni di presenza a palazzo Spada, un importante ruolo di mediatore, tenendo le fila dell’intera attività dell’istituzione, influenzandone lo stile pubblico, assicurandone i collegame

endo arbitrati e criticando anche alcuni comportamenti129.

127

In ogni caso Santi Romano assume la presidenza del Consiglio di Stato in nome del Re. Ivi, p. 36. 128

Quasi tutti i magistrati ricoprirono incarichi di governo nel Ventennio, al di fuori di Santi Romano. Cfr. M.S. Righettini, Il giudice amministratore, cit., pp. 83-85.

129

Così G. Melis, «Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano», cit. pp. 49-50.

A volte si è voluto vedere l’amicizia con Mussolini dietro ad un parere reso il 2 aprile del 1938 del conferimento del titolo di Primo maresciallo dell’Impero contemporaneamente al Re e al Duce. Tale questione, pare essere l’unico caso in cui il Presidente del Consiglio di Stato Santi Romano, esprime su richiesta di Mussolini un proprio personale parere su una questione giuridica a cui il Re Vittorio Emanuele III sembra attribuisse un grande significato130. Ma questo parere, reso comunque dopo l’approvazione della legge, o meglio sabato 2 aprile, lo stesso giorno della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Regno due giorni dopo l’approvazione, avvenuta mercoledì 30 marzo, sembra aver scatenato le ire del Re. In uno scambio di lettere tra Santi Romano e Vittorio Emanuele Orlando nel 1946, il succo della questio

9, a cui Santi Romano dedicò un breve

ne131. Rimane questo l’unico parere reso da Santi Romano su richiesta di Mussolini132.

Vale la pena inoltre soffermarsi su un episodio accaduto poco dopo la nomina di Santi Romano a Presidente del Consiglio di Stato. Come detto il Presidente di Sezione Schanzer si dimise dal Consiglio di Stato immediatamente dopo la notizia della nomina di Santi Romano e le sue dimissioni furono accolte con decorrenza 26 dicembre 1928; all’indomani del nuovo anno, con la ripresa delle attività del Consiglio di Stato Il primo atto pubblico di Santi Romano fu, dopo la commemorazione del consigliere di Stato Domenico Barone morto nella notte del 3 gennaio 192

discorso di commemorazione, quello di ricordare la figura di Schanzer all’apertura della pomeridiana Adunanza Generale133.

Già Santi Romano aveva avuto modo di usare la parola «nostra Famiglia» riferita al Consiglio di Stato che aveva subito la perdita del consigliere Barone, e ora usa

130

Su questo di veda R. De Felice, Mussolini il duce. II. Lo Stato totalitario. 1936-1940, Einaudi, Torino, 1981, e anche l’appropriato richiamo e commento che ne fa G. Virga in http://blog.lexitalia.it/?p=164 .

131

Romano scrisse a V.E. Orlando «E’ vero che il parere fu da me dato. Esso mi fu chiesto dopo che la legge era stata approvata dalle due Camere e concerneva soltanto la questione giuridica se tale legge ledeva le prerogative regie, non l’opportunità politica del provvedimento. Sono anche oggi convinto della esattezza del mio parere». Tre giorni dopo gli rispose Orlando: «Per quanto mi riguarda, io non posso escludere che l’opinione da Lei espressa sia discutibile, come invece escludo che l’averla manifestata