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Consonanti in posizione finale

Nel documento Antichi testi trevigiani (pagine 132-137)

COMMENTO LINGUISTICO

41. Consonanti in posizione finale

Le consonanti etimologicamente sonore in posizione postconsonantica rimaste scoperte in seguito al dileguo generalizzato di -e e -o atoni finali (per cui cfr. § 24) vanno incontro a un processo di desonorizzazione, comune anche alle altre varietà settentrionali che partecipano all’apocope (cfr. ROHLFS 1966-1969, § 299).207 -d > -t: Bastart 4v.2, 9v.38, 12r.30 (tot. 9, insieme

con Pastart 9v.36), corant 26r.25 (con chorant c.e.1), Gagart 18v.8 (con Iagart 14r.25, 27, con scambio di sillaba), vert 19v.32; il medesimo passaggio si registra negli antroponimi d’origine germanica Berart 8v.57, 62, Catalt 15v.2, 6, 28v.8, 13, Girart 8r.2, 5, 8v.12 (tot. 13), Lunart 2v.36, 38, 39 (tot. 19), Morant 30r.29, 33, Renalt 30r.12, Renaut 7v.8, 11, 20r.26 (insieme con Renault 30r.8), Ricart 31v.20, 24, Sinibalt 32r.2, Çeraut 29v.2, 7. -g > -k: borc 13v.14, 16v.19, 20r.11 (tot. 8), Merlenc 8r.17, 12v.20, 22, sorc 24v.8, 34r.25, Unsberc 1v.19; in seguito all’apocope ritornano al grado sordo anche le sonore originarie che in posizione intervocalica dovevano essersi sonorizzate: Bolpac 13r.19, 24, Domenec 6v.8, 12, 8v.23 (tot. 15, con Dominic 21r.6), Indric 4r.33, 35, 39 (tot. 10, con Enric 22v.2), Lançenic 33r.21, miedec 33v.22, Munic 20v.2, Odoric 1r.1, Vedelac 26r.34. -v > -f: apruof 8r.28, 17r.3, blaf 23r.21, Cortif 13v.13, Plaf 12v.13, Radif 12r.24, 28, Véscof 5r.24, 28, 31v.25 Çerf 13v.20, 24r.25, 29, 25r.17. Bisognerà notare che la

207 Il fenomeno non è documentato nel Lapidario estense e neppure nei testi di mano notarile a oggi conosciuti (né in

quelli studiati da TOMASONI 1980, né in quelli raccolti in Appendice), nei quali l’apocope, per lo più per influenza del veneziano, era assi limitata; dileguo della vocale atona finale e conseguente desonorizzazione sono ben attestati, invece, nella canzone di Auliver (cfr. PELLEGRINI 1957 (1977), p. 358) e, nel Cinquecento, nelle Rime del Cavassico (cfr.

SALVIONI 1894a, p. 317) e nei componimenti poetici editi e analizzati da ID., 1902-1905 (2008), III, p. 645). Per il secolo XIV qualche esempio è offerto dalla Preghiera dei viaggiatori pubblicata da CAGNIN 2000, pp. 172-173 (dove troviamo salt 15 e sanc ‘sangue’ 14), mentre nella Lauda valdobbiadenese incontriamo solo grant 12, 16, 27.

desonorizzazione è registrata nella grafia senza nessuna eccezione: il nostro scrivente dimostra così di anteporre la congruenza con quella che doveva essere la reale pronuncia al rispetto dell’origine etimologica delle parole, che emerge invece in molti testi d’estrazione più colta.208

Le consonanti in posizione originaria intervocalica di sillaba finale postonica una volta riuscite in fine di parola, etimologicamente sonore ovvero ormai lenitesi (cfr. § 25), non resistono e cadono: per il fenomeno, che conferma la posizione geografica del trevigiano come area intermedia tra zona veneta centrale e friulana, si rinvia al § 46. Le consonanti succedanee di geminate intervocaliche si mantengono, a ulteriore dimostrazione del fatto che l’apocope seguì cronologicamente i processi di lenizione e degeminazione: per le doppie sonore il nostro quaderno non offre esempi, mentre per lo spoglio esaustivo di quelle sorde si rinvia a § 24.II; analogamente, si conserva -t < -CT- nel participio passato dit 13v.15, 17, 20 (tot. 19). La dentale intervocalica etimologicamente sorda in contesto dato da sillaba finale non immediatamente postonica deve aver subito lenizione, per poi passare nuovamente allo stadio sordo una volta trovatasi in fine di parola per l’apocope: ne è esempio sàbat 1v.2, 4, 9 (tot. 207).

La caduta della consonante finale in casi come Lunart 32v.15 (di contro alle 19 occ. di Lunart) e Françesc (28v.14, 18, 25, 27, 29r.7, 30v.29, 33) sarà da ritenere frutto di un errore dello scrivente: con riferimento a quest’ultimo nome, in cui l’omissione di -c è relativamente frequente (anche se restano nettamente maggioritari i casi con -sc, che ammontano a un totale di 25), l’ipotesi di una forma concorrente sembra essere smentita dalla concentrazione delle forme prive di -c in un uno stretto giro di righe e di carte (coincidenti, forse, con un punto di minor concentrazione dello scrivente); per questo motivo in sede di edizione le consonanti finali sono ripristinate.

208 Si vedano p.e. le considerazioni di SALVIONI 1894a, p. 317, ID., 1902-1905 (2008), III, p. 645, PELLEGRINI 1957

(1977), p. 358. È questa un’ulteriore conferma della scarsa conoscenza del latino da parte dei due scriventi: cfr. § 1, in partic. n. 5.

ACCIDENTI GENERALI

42. Aferesi

Ai casi di aferesi di -e del tutto aspecifici quali glesia 32r.18, Ric 31v.20, Riç 19v.41 e Riço 2r.8, Véscof 5r.24, 28, 31v.25 aggiungiamo la voce remit 13v.13, attestata, pur con conservazione della vocale atona finale, anche nei Testi veneziani di STUSSI 1965 (p. 247); registriamo infine la forma aferetica sti ‘questi’ 19v.18, 26r.39 (più numerose, tuttavia, le forme piene: cfr. § 57).

43. Sincope

Tralasciando le sincopi già del latino volgare (per cui butegler 5r.16, 13v.33, Coneglan 30r.29, dona 6r.31, 10v.7, 15r.7 – tot. 12 –, madona 6v.35, 39, 8v.32 – tot. 23 –, segurtà 1v.20, 7r.18, sorc 24v.8, 34r.25), è aspecifica la caduta di vocale in conprà 33r.13 e conprar 11r.11; a errore dello scrivente – ipotizziamo – si dovrà la forma pliçonel 4r.35, 7r.26 (a fronte delle 55 occ. di piliçonel).

Anche per enflorà 1r.2, 20v.35, voce del verbo enflorar ‘foderare’ si ipotizza una sincope a partire da foderare (fodrare) con successiva riduzione -dr- > r, comune a tutto il Veneto (cfr. § 26 e Glossario I, s.v.).

44. Epentesi

È epentetico v in avost 6r.15, 21, 26 (tot. 17), voce comune a molti volgari settentrionali, e nell’isolato Çovane 7r.25; annotiamo epentesi di r in estre ‘essere’ 26r.26, c.i.4, forma già presente nel Cavassico (cfr. SALVIONI 1894a, p. 326) e registrata da ASCOLI 1873, p. 413 come tipica del feltrino-bellunese; similmente in arçonta 21v.9, di cui si trova diretto riscontro solo più tardi, nel Ruzante (cfr. PACCAGNELLA 2012, s.vv. arzonta, arzonzere), e al quale possono essere assimilati casi quali arlevada, arbandonar, arsaltar ecc. rilevati da SALVIONI 1894a, p. 326 nelle Rime del Cavassico. In tre occasioni si registra l’inserzione di un suono vocalico a sciogliere il nesso secondario -vr- e primario -dr-: si tratta di aviril 23r.8, 15, 21 (16 occ., contro le 36 della forma senza anaptissi avril), di cavere 21v.9, 31v.20 ‘capre’ (insieme con cavra 11r.25, 17v.31 e cavre 4v.25, 18r.2, per un tot., dunque, di 4 occ.) e di darapier 2r.30 (ma drapier 1v.26, 2r.31). A prescindere dall’ultimo esempio, isolato, notiamo che nei restanti due casi l’anaptissi occorre all’interno di un gruppo consonantico ben tollerato (cfr. § 29) e, soprattutto, in maniera non costante: tale asistematicità, attestata in diverse aree e in tempi differenti,209 è in effetti verificabile

209 Per la fase medievale troviamo la forma avirile, p.e., nei testi fiorentini editi da CASTELLANI 1952 (p. 66); restando

nel Veneto e spostandoci avanti nel tempo s’individuano spalevier ‘sparviero’ e staramot ‘strambotto’ nel Cavassico (cfr. SALVIONI 1894a, pp. 326 e 394) e cambera, cancher nei componimenti editi e studiati da SALVIONI 1902-1905b (2008), III, p. 650.

in molte delle varietà odierne del Veneto, dove la tendenza all’eliminazione di -vr- tramite inserzione vocalica (per lo più di a) è prevalente ma non esclusiva.210

45. Metatesi

Oltre ai casi di anticipo di iod presupposti da alcune forme attestate nel nostro quaderno (per cui cfr. § 33), registriamo l’aspecifica metatesi di r in forment 1v.14, 2r.23, 3r.35 (tot. 9), Formenti 9v.2211 e Trivisan 24v.12, 25v.2. Accogliamo con riserva il caso di belvan 4r.6, probabile errore dello scrivente per plevan, scritto due righe più sopra.

46. Apocope

Prescindendo dai casi di dileguo delle vocali atone finali, le cui condizioni sono state descritte ed esemplifcate al § 24, registriamo apocope sillabica in cha’ c.e.5, die’ (tot. 461), de’ (tot. 35) ‘deve’, fe’ ‘fece’ 1v.19, 3v.34, 9v.31 (tot. 8), Manfre’ 24r.20, pre’ 4r.33, 35, 39 (tot. 40).

Come già anticipato (cfr. § 41), tutti gli aggettivi, sostantivi e participi passati deboli maschili < - ATU(M), -ITU(M), -UTU(M), -ATI insieme con i sostantivi astratti <- TATE(M) – siamo dunque in sillaba postonica finale di parole soggette ad apocope – danno senza eccezioni -à, -ì, -ù e ancora - à:212 cugnà (chugnà) 8v.23, 19r.35, 34v.13, dà 10v.18, Donà 27v.26, 30, 34r.16 (tot. 7), enprestà

28r.28 (in questo caso < ATI), Pelà 29v.32, 34, pignolà 2v.5, 15r.19, 19v.18 (tot. 9), soldà 16r.26, 18r.26, vergà 23r.20; fornì 15r.19, marì 12v.23, 12v.27; Bevegnù 11v.7, 10, 12v.2 (tot. 12), metù 28v.22, tegnù 7r.21; mità 11r.15, segurtà 1v.19, 7r.19 e Podestà 27r.7, 32v.16. Dati insieme la sistematicità con cui -e e -o atoni dileguano e la resistenza della dentale intervocalica (per cui cfr. rispettivamente §§ 24, 25), bisognerà imputare le terminazioni tronche non già a caduta della dentale e successiva contrazione o apocope (com’è invece lecito ipotizzare per esiti simili in varietà, come veronese o padovano, maggiormente disponibili alla caduta della consonante: vd. più avanti), ma al cedimento della stessa che, ormai indebolitasi in posizione intervocalica (fase del resto documentata per le voci femminili in cui la vocale resta intatta: cfr. § 25), cade una volta rimasta scoperta in seguito al dileguo dell’atona finale; la caduta della dentale è quindi causata

210 Per il veneziano cfr. ZAMBONI 1974, p. 26, ID. 1979, p. 22 e, limitatamente all’esempio di ‘capra’, BOERIO 1856 s.v.

cavra, cavera; per le varietà centrali cfr. invece ZAMBONI 1974, p. 40 e TUTTLE 1997 il quale, riferendosi alla presenza

in Ruzante del tipo càvera, individua nella presenza di epentesi vocalica a sciogliere il nesso -vr-, imputabile a una «preferenza fonotattica per un canone CVCVCV» (p. 138), un elemento distintivo del veneto centrale rispetto al volgare lagunare e settentrionale in una fase più antica, assunto che in effetti non pare retrodatabile al periodo medievale, così come emerge dalle analisi di TOMASIN 2004a e BERTOLETTI 2005.

211 Per la frequenza e la distribuzione della forma metatetica nelle varietà antiche e nei dialetti veneti moderni si rinvia

al Glossario I, s.v. forment.

212 -t succedaneo di -CT- e-TT- resta ovviamente intatto: Castelat 25v.7, dit 13v.15, 17, 20 (tot. 19), Navat 25r.2,3, 28r.9,

esclusivamente dall’apocope vocalica, in conseguenza della quale la consonante viene a trovarsi in posizione finale dopo vocale accentata: ne sia prova il fatto che in nessun caso s’incontrano participi in -ao, -ai e addirittura -aa ben attestati, invece, nei volgari veneti meno sensibili all’apocope e variamente inclini al dileguo della dentale intervocalica.213 La trafila da ipotizzare, insomma, è -ATU(M) > -ado > -at > -à, ecc.214

La caduta sistematica della consonante di sillaba finale postonica riuscita in fine di parola in seguito all’apocope permette di collocare il trevigiano in una zona intermedia fra i volgari veneti da una parte (nei quali, in un contesto dato dal più o meno costante mantenimento dell’atona finale, la dentale intervocalica dilegua tanto in protonia quanto in postonia, dando esito alle caratteristiche uscite dei participi passati deboli in -ao, ae, -ai: cfr. § 25) e il friulano dall’altra, volgare che come il nostro partecipa sistematicamente all’apocope e, in sillaba finale postonica, alla conservazione della dentale intervocalica la quale per altro, di più, resiste fin dopo il dileguo della vocale, così come testimoniato dai participi deboli in -at, -it, -ut (cfr. BENINCÀ 1995, p. 53).215

Tale situazione non è verificabile nel trevigiano moderno che, fortemente influenzato dalla lingua di koiné, ha livellato il trattamento delle dentali intervocaliche a quello del veneziano (cfr. ZAMBONI 1974, pp. 54-55 e 58), mentre una certa continuità si nota coll’odierno bellunese, che partecipa massicciamente alla caduta della vocale atona finale (cfr. § 24) e che, proprio come il trevigiano antico, mantiene la dentale intervocalica della sillaba finale postonica nelle voci non colpite da apocope mentre in quest’ultime perde la consonante (cfr. ZAMBONI 1974, p. 58). Come già gli altri fenomeni che abbiamo indicati come caratterizzanti della trevigiano medievale, vediamo che anche i participi maschili apocopati possono contribuire a una valutazione della presunta

213 Si prendano come esempio gli esiti di ‘cognato’ nei testi pubblicati da STUSSI 1965: cugnado è più frequente di

cugnà (cfr. p. 206); i participi in -ao, ecc., che registrano sola caduta della dentale, sono frequenti in veneziano e veronese (cfr. STUSSI 1965, pp. XXXV-XXXVI, BERTOLETTI 2005, pp. 64-76); in padovano, invero, sono assai

numerosi anche i casi in -à e in -ù (cfr. TOMASIN 2004a, pp. 111-116): per altro il fatto che la terminazione in -à sia

pressoché esclusiva anche nei participi femminili < ATA(M), in corrispondenza dei quali in trevigiano troviamo senza

eccezioni -ada, assicura che per il padovano si tratterà, appunto, di contrazione a partire da -àa con dileguo della dentale (stadio invero rappresentato da alcune forme che mantengono le due vocali, del tipo contraa) e rappresenta soprattutto un’ulteriore conferma del fatto che nel volgare restituito dal nostro registro l’apocope nei participi è senz’altro correlata alla caduta dell’atona finale. Non è un caso, in effetti, che risultati affatto simili si abbiano negli altri volgari che partecipano in modo massiccio all’apocope della vocale finale: per il Veneto si veda Lio Mazor (cfr. LEVI

1904, p. 67), mentre di friulano e mantovano si dirà a breve.

214 Troviamo participi apocopati anche nella Lauda valdobbiadenese edita da CERVELLINI 1921 (batù 10, flagelà 10,

pechà 14, crucifichà 15 18, pasionà 19) e nella preghiera dei viaggiatori pubblicata da CAGNIN 2000, pp. 172-173 (segnà 2, conmandà 2, aconpagnà 3 10, calçà 6, armà 10, atradì 12, enganà 13, vendù 13, conprà 13, tayà 14, bateçà 16; il riferimento è al numero dei righi a partire dalla foto 32). Lo stesso trattamento si registra nel bellunese di Cavassico e nei componimenti cinquecenteschi studiati da Salvioni (cfr. rispettivamente SALVIONI 1894a, pp. 339-340 e

ID. 1902-1905, p. 660).

215 Al friulano accosteremo il mantovano di Belcalzer, che registra oscillazione, anche nella medesima parola, tra esito

solidarietà tra bellunese e trevigiano in una fase antica, a oggi supposta sulla base della vicinanza di documenti medievali d’area trevigiana e testi bellunesi del Cinquecento (e confermata, pur con dei limiti oggettivi legati alla carenza di materiale, dai documenti bellunesi trecenteschi studiati da TOMASIN 2004c e BERTOLETTI 2006a): anche in questo settore, in effetti, si nota una sostanziale continuità tra il trevigiano municipale trecentesco (le cui soluzioni più particolari non sono continuate nella varietà odierna) e il bellunese attuale. Aggiungendo l’apocope nei participi maschili ai fenomeni già rilevati come fondamentali in senso contrastivo rispetto alle varietà contermini (come la caduta delle vocali atone finali, la conseguente desonorizzazione delle consonanti etimologicamente sonore riuscite in fine di parola e il trattamento conservativo delle dentali intervocaliche tanto in protonia quanto in sillaba postonica finale: tutti fenomeni legati tra loro), insomma, si può confermare ancora l’ipotesi di un’antica solidarietà tra i due volgari, venuta poi meno a causa della progressiva “venezianizzazione” subìta dalla varietà di pianura, processo favorito da condizioni socio-politiche le cui origini, come abbiamo visto, risalgono proprio alla metà del secolo XIV e che evidentemente non riuscì a oltrepassare i confini naturali segnati dalla zona montuosa.

Nel documento Antichi testi trevigiani (pagine 132-137)